Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8362 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8362 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il 18/05/1986 avverso l’ordinanza del 25/07/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Napoli; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei riguardi di NOME COGNOME cl. 86 per i delitti di cui a capi provvisori 14 e 17, precisamente per quello di cui all’articolo 74 d.P.R. 309/1990 di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti quali cocaina, crack, marijuana, hashish e per quello di cui all’articolo 73 d.P.R. 309/1990, in ragione di plurime cessioni di dette sostanze a tale “NOME“: fatti entrambi aggravati dall’essersi avvalso della forza intimidatrice correlata all’appartenenza al clan camorristico COGNOME e dall’aver agevolato detto clan.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato.
2.1. Col primo motivo lamenta violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/1990, in
relazione agli artt. 192, 273 e 292 cod. proc. pen. e vizi di motivazione circa i gravi indizi di colpevolezza correlati al delitto di cui al menzionato art. 74 (capo 14).
Secondo parte ricorrente, il quadro a carico per il reato associativo si baserebbe sugli indizi, “non contestati dalla difesa”, in relazione all’attività d detenzione e spaccio di cui al capo 17: dai quali, unitamente alle intercettazioni, emergerebbe la sistematicità della condotta e l’inserimento del ricorrente nella più ampia attività associativa.
Tuttavia, lamenta parte ricorrente che non si sarebbe, in tal modo, spiegato il perché, nella specie, si fosse integrato lo stabile inserimento in un gruppo organizzato piuttosto che lo svolgimento di una autonoma e personale attività di spaccio, da parte del Giuliano.
Al riguardo si rimarca, ancora, l’illogica lettura della conversazione del 14/7/2020, da parte dell’ordinanza impugnata, posto che il rimprovero fatto al ricorrente da NOME COGNOME cl. 84 e NOME COGNOME, per avere lo stesso ricorrente venduto a loro insaputa una “plancia di fumo” ad una persona che la stava, a sua volta, rivendendo a terzi, dimostrerebbe, invece, esattamente il contrario: ovvero che NOME COGNOME cl. 86 si muovesse autonomamente e non riconoscesse, dunque, chi si proclamava capo del clan.
Non sarebbe stata adeguatamente considerata l’affermazione, in data 14/7/2021, del collaboratore di giustizia NOME COGNOME cl. 84, secondo cui il ricorrente gestiva una piazza di spaccio di “erba” e, pur appartenendo alla famiglia NOME, non era stipendiato dal clan, autogestendosi: ciò che aveva indotto il Giudice per le indagini preliminari a rigettare la richiesta di misura cautelare in relazione al delitto ex art. 416-bis cod. pen. pure inizialmente contestato al ricorrente.
Si deduce, al riguardo, il “travisamento dei fatti”, potendosi al più configurare un “rapporto di vassallaggio”, in ogni caso contraddetto dalla indipendenza di cui godeva, secondo il collaboratore di giustizia, il ricorrente.
2.2. Col secondo motivo, parte ricorrente censura l’ordinanza del Tribunale del riesame per violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen., in relazione agli artt. 192, 273 e 292 cod. proc. pen. e vizi di motivazione circa i gravi indizi di colpevolezza correlati all’aggravante contestata: senza peraltro argomentare alcunché.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato, il secondo inammissibile.
1.1. Quanto al primo, non è vero che l’ordinanza censurata si limiti ad
attribuire alla molteplicità delle condotte di spaccio il significato, sic et simpliciter, di partecipazione ad associazione dedita alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, né è vero che la stessa si limiti a valorizzare l’intercettazione del 14/7/2020, ore 20.29 (di cui a p. 394 dell’ordinanza genetica), riportando la dettagliata descrizione che NOME. 84 fa dell’organizzazione interna dedicata al rifornimento delle varie piazze di spaccio, con l’indicazione dei vari ruoli e la descrizione persino delle modalità di suddivisione degli utili col fornitore, COGNOME Salvatore (p. 5, interrogatorio del 12/7/2021).
Ed è vero che la medesima ordinanza indichi come dalle intercettazioni emergessero conferme di detta attività organizzata di spaccio di sostanze stupefacenti e dei relativi ruoli, direttivi ed esecutivi, venendo in particolar menzionati i componenti l’associazione che dettavano le loro decisioni, quelli che gestivano le piazze di spaccio e quelli con compiti meramente esecutivi.
Nella specie, è noto, altresì, in diritto, come «i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi» (Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, Rv. 278583-01). Ed altresì pacifico che sia sufficiente che un’associazione di tipo mafioso si dedichi stabilmente anche al traffico di sostanze stupefacenti, perché risultino configurabili entrambi i reati, anche se non è necessario che tutti coloro che partecipano a un’associazione partecipino anche all’altra (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Rv. 241883-01; Sez. 5, Sentenza n. 5791 del 29/11/1999, dep. 2000, Rv. 215257-01).
Tuttavia, non risulta adeguatamente giustificato il motivo per cui il ricorrente, pur ritenuto estraneo al sodalizio mafioso, sia stato, ciononostante, ritenuto parte di quello ex art. 74 d.P.R. 309/1990 detto.
Invero, in tale contesto appare insufficiente il mero richiamo, da parte del Tribunale del riesame, della menzionata intercettazione del 14/7/2020, ore 20.29, in cui NOME COGNOME cl. 84, in presenza di NOME COGNOME, rimprovera NOME COGNOME cl. 86, detto “bombolone”, per aver “venduto a loro insaputa una plancia di fumo (hashish)”, a causa della quale NOME COGNOME cl. 84 era stato a sua volta richiamato da una terza persona, in quanto l’acquirente la stava rivendendo in autonomia, uscendo dal controllo dell’organizzazione criminale.
Al riguardo, infatti, l’appartenenza all’organizzazione da parte dell’odierno ricorrente è desunta dall’esser stato lo stesso costretto a difendersi dalle accuse precisando di non aver mai autorizzato l’acquirente di vendere in autonomia la droga (“Non è che io gli ho detto a quello mettiti a vendere il fumo!”: p. 394
ordinanza genetica e pp. 6-7 ordinanza impugnata).
Tuttavia, se tale elemento potrebbe far pensare ad una sorta di subalternità del ricorrente, rispetto a NOME COGNOME cl. 84, non si spiega come lo stesso possa fare nel contempo ritenere l’adesione al sodalizio dedito allo spaccio e non a quello mafioso, da parte del medesimo ricorrente: specie laddove si consideri che il collaboratore di giustizia, effettivamente, come rimarcato da parte ricorrente, non solo esclude espressamente che questi sia un affiliato al clan COGNOME (“NOME COGNOME detto bombolone, non può definirsi un vero e proprio affiliato sebbene faccia parte della famiglia”, si assume abbia detto), ma descrive in dettaglio i contrasti di questi col detto clan COGNOME, tanto da precisare pure che egli “non è stipendiato dal clan in quanto si gestisce da solo.” (si veda p. 41 della originaria ordinanza di custodia cautelare in carcere, da cui sono tratti i concetti che precedono).
Insomma, il quadro delineato dal Giudice per le indagini preliminari e dal Tribunale del riesame non appare scevro da contraddizioni, con riferimento alla specifica posizione di NOME COGNOME cl. 86 ed alla sua ritenuta partecipazione al sodalizio di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 e non adesione, invece, al clan COGNOME: il che rende necessaria una nuova valutazione sul punto.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile ai sensi degli artt. 581, comma 1, lettera d) e 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. non avendo parte ricorrente dato seguito alla preannunciata (a p. 2) doglianza sopra descritta, omettendo l’enunciazione specifica dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto, a sostegno della richiesta.
Trattandosi di provvedimento da cui non consegue la rimessione in libertà del detenuto, una sua copia va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. (ai sensi del comma 1-ter del medesimo articolo).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli – sezione riesame. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 06/12/2024