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Associazione traffico droga: condanne in carcere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di diversi imputati condannati per aver creato un’associazione per traffico di droga all’interno di un istituto penitenziario. La Corte ha confermato la decisione di merito, ritenendo provata l’esistenza di un’organizzazione complessa e duratura, respingendo la richiesta di qualificare il fatto come di lieve entità.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per Traffico di Droga: la Cassazione si Pronuncia sul Caso di un Sodalizio in Carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15730 del 2025, ha messo un punto fermo su una complessa vicenda giudiziaria riguardante un’associazione traffico droga operante all’interno di un istituto penitenziario di massima sicurezza. La pronuncia chiarisce importanti principi in materia di valutazione della prova, in particolare delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e sulla distinzione tra l’ipotesi associativa ordinaria e quella di ‘lieve entità’.

I fatti di causa

L’indagine ha svelato l’esistenza di una ramificata organizzazione criminale, attiva per circa sette anni (dal 2014 al 2021), dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, prevalentemente hashish, all’interno di un noto carcere. Il sodalizio, che coinvolgeva detenuti di diverse sezioni, si avvaleva della collaborazione di ‘spesini’ (lavoranti interni) e di agenti di polizia penitenziaria corrotti per introdurre e distribuire la droga.

L’approvvigionamento avveniva grazie a familiari dei detenuti che, durante i colloqui, consegnavano la sostanza a un agente complice. Una volta dentro, la droga veniva tagliata e distribuita nelle varie sezioni, creando una vera e propria piazza di spaccio carceraria.

I motivi del ricorso e l’associazione traffico droga

I numerosi imputati, condannati in primo grado e in appello, hanno presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi. I motivi principali vertevano su:

1. Errata qualificazione giuridica: La difesa sosteneva che il sodalizio dovesse essere inquadrato nell’ipotesi di lieve entità prevista dall’art. 74, comma 6, del d.P.R. 309/1990, data la modesta quantità delle singole cessioni e la natura della sostanza (droghe leggere).
2. Inattendibilità delle prove: I ricorrenti contestavano l’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenendole generiche, contraddittorie e non adeguatamente riscontrate da elementi esterni.
3. Vizi di motivazione: Veniva lamentata una motivazione carente o illogica da parte della Corte di Appello su vari punti, tra cui il riconoscimento delle circostanze aggravanti, della recidiva e la determinazione della pena.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i ricorsi proposti, confermando integralmente l’impianto accusatorio e le condanne inflitte nei gradi di merito.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su argomentazioni solide e conformi ai principi consolidati della giurisprudenza.

Sulla configurabilità dell’associazione traffico droga

Il punto centrale della sentenza riguarda il rigetto della tesi difensiva sulla lieve entità del fatto. I giudici hanno chiarito che, per valutare la gravità di un’associazione traffico droga, non è sufficiente guardare alle singole cessioni. È necessario, invece, un’analisi complessiva che tenga conto:

* Il momento genetico: L’associazione non era nata per commettere fatti lievi, ma per creare un sistema stabile e duraturo di spaccio.
* La potenzialità offensiva: L’organizzazione dimostrava la capacità di procurarsi e gestire quantitativi rilevanti di stupefacenti.
* La struttura e la durata: L’operatività per molti anni, la complessa organizzazione logistica all’interno di un carcere di massima sicurezza, la suddivisione dei ruoli e la corruzione di pubblici ufficiali sono tutti elementi incompatibili con l’ipotesi di lieve entità.

La Corte ha sottolineato come la pericolosità del sodalizio fosse amplificata proprio dal contesto carcerario, un luogo che per sua natura dovrebbe essere immune da tali fenomeni criminali.

Sulla valutazione delle prove

La Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione delle prove operata dai giudici di merito. Le dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia sono state considerate attendibili, convergenti sul nucleo essenziale dei fatti e reciprocamente riscontrate. Eventuali discrasie su dettagli marginali sono state giudicate fisiologiche, data la complessità della vicenda e i diversi ruoli ricoperti dai dichiaranti. Inoltre, è stato ribadito un principio fondamentale: nel giudizio abbreviato, le dichiarazioni rese dai collaboratori, anche oltre i termini di legge, sono pienamente utilizzabili.

Sull’inammissibilità dei ricorsi

Molti ricorsi sono stati giudicati inammissibili perché si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza un reale confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata. Altri, invece, chiedevano alla Cassazione una nuova e non consentita valutazione del merito dei fatti, trasformandosi in un tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma la linea di rigore della giurisprudenza nel contrasto alle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico. Le conclusioni che possiamo trarre sono principalmente due:

1. La valutazione della gravità di un’associazione criminale è complessa: Non si basa solo sulla quantità di droga scambiata, ma sulla sua struttura, potenziale offensivo, durata nel tempo e capacità di infiltrazione, come nel caso della corruzione di agenti pubblici.
2. Il ricorso in Cassazione ha limiti precisi: Non può essere una mera ripetizione dei motivi d’appello né una richiesta di riesaminare le prove. Deve, invece, evidenziare specifici vizi di legittimità (violazioni di legge o manifesta illogicità della motivazione) presenti nella sentenza impugnata.

Cosa distingue un’associazione per traffico di droga ‘di lieve entità’ da una ordinaria?
La distinzione non si basa solo sulla quantità delle singole cessioni o sul tipo di droga, ma su una valutazione complessiva. Secondo la Corte, un’associazione non può essere considerata ‘lieve’ se ha una struttura organizzativa complessa e stabile, opera per un lungo arco temporale, ha la capacità di procurarsi quantitativi rilevanti di stupefacente e si avvale di modalità particolarmente insidiose, come la corruzione di pubblici ufficiali in un carcere.

Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia (‘pentito’) sono sempre valide come prova?
Sì, a determinate condizioni. Il giudice deve valutarne attentamente la credibilità soggettiva (la personalità del dichiarante) e l’attendibilità intrinseca (la logica e coerenza del racconto). Inoltre, queste dichiarazioni necessitano di riscontri esterni, che possono essere altre prove o anche le dichiarazioni convergenti di altri collaboratori, purché autonome. La sentenza precisa che nel rito abbreviato, tali dichiarazioni sono pienamente utilizzabili anche se rese oltre i termini previsti dalla legge.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili senza entrare nel merito di tutte le questioni?
La Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili perché molti di essi erano generici, si limitavano a ripetere le stesse doglianze già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, oppure chiedevano una nuova valutazione delle prove, compito che non spetta alla Corte di Cassazione. Il ricorso per cassazione è un giudizio di legittimità, volto a controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non a riesaminare i fatti come in un terzo grado di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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