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Associazione traffico di stupefacenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 12755/2024, ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione a un’associazione traffico di stupefacenti. La Corte ha ribadito che la prova della partecipazione non richiede la commissione di reati-fine specifici, ma può essere desunta da ‘facta concludentia’ che dimostrino un contributo stabile e consapevole all’organizzazione criminale. È stata inoltre confermata la valutazione sulla pericolosità sociale dell’indagato, basata sul suo inserimento in un contesto criminale strutturato.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione traffico di stupefacenti: quando scatta la custodia in carcere?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sui criteri per valutare la partecipazione a un’associazione traffico di stupefacenti ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti su come si prova il vincolo associativo e quali elementi giustificano la misura più grave. L’analisi del caso permette di comprendere la linea interpretativa della giurisprudenza di legittimità su un tema di grande attualità e rilevanza sociale.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava la misura della custodia cautelare in carcere per un individuo, indagato per partecipazione a un’associazione criminale finalizzata al traffico di ingenti quantità di cocaina, ai sensi dell’art. 74 del D.P.R. 309/1990. All’indagato veniva attribuito il ruolo di partecipe con mansioni di trasporto e distribuzione della sostanza stupefacente.

Contro questa decisione, la difesa dell’indagato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’insufficienza del quadro indiziario e la carenza di motivazione riguardo alle esigenze cautelari che giustificavano la detenzione in carcere.

I motivi del ricorso

La difesa basava il proprio ricorso su due argomenti principali:

1. Insufficienza della gravità indiziaria: Secondo il ricorrente, le prove raccolte (poche conversazioni intercettate in un arco temporale limitato) non erano sufficienti a dimostrare un vincolo stabile e permanente con il sodalizio criminale. Veniva sottolineato come non fossero stati contestati specifici reati-fine (come singoli episodi di spaccio) e come l’indagato non fosse stato chiamato in correità da collaboratori di giustizia.

2. Insussistenza delle esigenze cautelari: La difesa contestava la valutazione del pericolo di reiterazione del reato, ritenuta basata in modo sproporzionato su un unico precedente penale per reati di diversa natura (minaccia e resistenza a pubblico ufficiale). Si riteneva inoltre incoerente la motivazione sulla gravità della condotta, data la presunta breve durata del contributo partecipativo e l’assenza di contestazioni per reati-fine.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Le motivazioni della Corte si sono concentrate su entrambi i punti sollevati dalla difesa.

Sulla prova dell’associazione traffico di stupefacenti

La Cassazione ha innanzitutto chiarito che la valutazione sulla sussistenza degli indizi è riservata al giudice di merito e non può essere contestata in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente, come nel caso di specie.

Il Collegio ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia:

* Il patto associativo non deve essere formale: Per configurare un’associazione traffico di stupefacenti, non è necessario un accordo preventivo e formale. Il vincolo può nascere di fatto, dalla consapevolezza dei soggetti che le proprie attività e quelle altrui si supportano a vicenda per il raggiungimento dello scopo comune.
* La prova tramite ‘facta concludentia’: La prova del vincolo permanente può essere fornita attraverso elementi di fatto concludenti (i cosiddetti ‘facta concludentia’), quali contatti continui tra i membri, viaggi per i rifornimenti, disponibilità di basi logistiche, divisione dei compiti e una struttura organizzativa gerarchica.
* L’irrilevanza dei ‘reati-fine’: Punto cruciale della decisione è l’affermazione, consolidata in giurisprudenza, che la commissione dei ‘reati-fine’ (i singoli delitti programmati dall’associazione) non è necessaria né per configurare il reato associativo, né per provare la condotta di partecipazione del singolo associato. L’adesione stabile e consapevole al programma criminale è di per sé sufficiente.

Nel caso specifico, le complesse attività investigative (intercettazioni, servizi di osservazione, sequestri) avevano fatto emergere un’organizzazione strutturata, con canali di approvvigionamento stabili e un programma criminale a lungo termine, elementi sufficienti a integrare il grave quadro indiziario a carico del ricorrente.

Sulla valutazione delle esigenze cautelari

Anche le censure relative alle esigenze cautelari sono state respinte. La Corte ha sottolineato che la prognosi sul pericolo di reiterazione del reato non era basata unicamente sul precedente penale dell’indagato, ma soprattutto sulle circostanze concrete del suo inserimento in un contesto criminale professionale, dedito al traffico di ingenti quantità di droga su scala transregionale.

L’apprezzamento della pericolosità dell’indagato è un giudizio di merito, incensurabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è motivato in modo congruo e logico. La scelta della custodia in carcere è stata ritenuta adeguata proprio in ragione dell’elevato grado di pericolosità desunto dal contesto operativo in cui l’indagato era inserito.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza il principio secondo cui la prova della partecipazione a un’associazione traffico di stupefacenti può basarsi su elementi fattuali che, nel loro complesso, dimostrino l’inserimento stabile e consapevole di un soggetto in una struttura criminale organizzata, anche in assenza della prova della commissione di singoli reati di spaccio. Per quanto riguarda le misure cautelari, la valutazione del pericolo di recidiva deve tenere conto non solo dei precedenti penali, ma del concreto contesto criminale e del ruolo svolto dall’indagato al suo interno, elementi che possono giustificare la misura detentiva più afflittiva.

È necessario aver commesso reati di spaccio per essere considerati partecipi di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che la commissione dei cosiddetti ‘reati-fine’ non è necessaria né per la configurabilità dell’associazione né per provare la sussistenza della condotta di partecipazione di un individuo.

Come si può provare l’esistenza di un accordo per un’associazione dedita al traffico di droga?
La prova del patto associativo non richiede un accordo formale, ma può essere desunta da ‘facta concludentia’, ovvero da elementi concreti come i contatti continui tra gli associati, i viaggi per i rifornimenti, le basi logistiche, le forme organizzative e la divisione dei compiti.

Un singolo precedente penale per un reato diverso è sufficiente a giustificare la custodia in carcere per traffico di stupefacenti?
No, la Corte ha specificato che la pericolosità sociale non è stata desunta solo dal precedente penale, ma soprattutto dalle circostanze concrete che dimostravano l’inserimento dell’indagato in un contesto criminale professionale e strutturato, dedito al traffico di ingenti quantità di droga, indicativo di un elevato rischio di reiterazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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