Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26374 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26374 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato in Marocco il 18/1/1991 avverso l’ordinanza dell’11/2/2025 emessa dal Tribunale di Napoli visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto; udita l’Avvocatessa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il ricorrente impugnata l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame confermava l’applicazione della custodia cautelare in carcere, disposta in relazione ai reati di cui all’art. 270-bis e 414 cod. pen., quest’ultimo ritenuto assorbito nella condotta di partecipazione all’associazione terroristica denominata “Stato
Islamico” o “Isis/Daesh”.
Nell’interesse del ricorrente sono stati formulati tre motivi di ricorso, a loro volta articolati in plurime censure.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la nullità dell’ordinanza impugnata in quanto la motivazione sarebbe meramente apparente. Sottolinea la difesa che il Tribunale del riesame si sarebbe limitato alla mera riproposizione, mediante la tecnica del “copia-incolla”, del contenuto dell’ordinanza impugnata, in tal modo venendo sostanzialmente meno alla funzione di controllo e omettendo di rendere una motivazione calibrata sui motivi di impugnazione.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento dell’ordinanza cautelare. L’autorizzazione alla captazione, infatti, sarebbe stata emessa sulla base di quanto appreso dalla polizia giudiziaria da fonti confidenziali, con conseguente inutilizzabilità delle prove così acquisite stante la violazione dell’art. 203, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La motivazione, peraltro, risulterebbe contraddittoria, posto che da un lato si riconosce che le indagini hanno preso avvio sulla base di informazioni confidenziali e, dall’altra, si nega che tali fonti siano state valutate nell’autorizzare intercettazioni.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativamente al reato di cui all’art. 270-bis cod. pen.
La difesa richiama i consolidati principi giurisprudenziali secondo cui la condotta partecipativa ad associazioni terroristiche internazionali presuppone, quanto meno, la prova di un rapporto concreto tra l’aderente e la cellula terroristica, non essendo sufficiente la mera adesione all’ideologia recepita dall’associazione, né il compimento di atti di apologia o proselitismo.
Nel caso di specie non vi sarebbe alcun elemento idoneo a dimostrare l’esistenza di un rapporto biunivoco tra l’indagato e l’associazione, tanto più che quest’ultima non è stata neppure concretamente individuata.
Tanto meno risulterebbero dimostrati rapporti con altri presunti associati, posto che emergerebbe lo scambio di un unico messaggio, sulla piattaforma Telegram, con tale “Ass mh” rimasto ignoto.
La carenza probatoria non potrebbe essere neppure colmata valorizzato la divulgazione di filmati inneggianti alla lotta terroristica, come pure la manifestazione di propositi omicidiari manifestati dal ricorrente sulle piattaforme “social” a lui riferibili.
Si tratterebbe, a ben vedere, di mere manifestazioni di adesione all’ideologia terroristica, di per sé inidonea a dimostrare – in termini di gravità indiziaria l’effettiva appartenenza ad una delle associazioni effettivamente operanti nel contesto islamico.
Errata, inoltre, sarebbe la ritenuta rilevanza delle modifiche apportate dall’indagato ad alcuni video, mediante l’aggiunta di canti religiosi tipicamente utilizzati dagli jihadisti. Invero, i canti “nasheed” sono riconducibili alla tradizio islamica, non potendosi ritenere tali forme di manifestazione religiosa come sicuramente dimostrativa dell’appartenenza all’Isis.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Pur dovendosi rilevare la sostanziale sovrapponibilità tra l’ordinanza genetica e quella emessa dal Tribunale del riesame, si ritiene che la motivazione non possa ritenersi meramente apparente, nella misura in cui – sia pur con sintetiche locuzioni – il Tribunale ha fornito una risposta alle doglianze difensive.
Nel caso di specie, pertanto, risultano rispettati i limiti che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, consentono il ricorso alla motivazione per relationem. Si è affermato, infatti, che tale modalità di redazione di un provvedimento giudiziale è ammessa quando: 1)- faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2)- fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3)- l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez.U, n. 17 del 21/6/2000, Primavera, Rv. 216664).
Si è anche precisato che, in tema di motivazione della sentenza, è legittimo il ricorso alla tecnica redazionale del c.d. copia e incolla, laddove agevoli la riproduzione della fonte contribuendo ad evitarne il travisamento, quando sia accompagnata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez.2, n.13604 del
28/10/2020, dep.2021, Rv. 281127).
Nel caso di specie, il Tribunale ha risposto alle doglianze sollevate dal ricorrente, sia con riguardo all’eccepita inutilizzabilità (si veda pg.2), sia i relazione alla gravità indiziaria (pg.8).
In buona sostanza, l’ordinanza ha ampiamente trascritto il contenuto dell’ordinanza genetica, in tal modo riproponendo tutti gli elementi fattuali sui quali la decisione era stata assunta ma, al contempo, ha fornito una sintetica, ma non apparente, risposta ai motivi di ricorso dedotti dall’indagato.
Il secondo motivo di ricorso, concernente la dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni, è manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata ha compiutamente dato atto che il ricorso a fonti confidenziali ha rappresentato solo lo spunto investigativo sulla cui base l’autorità inquirente ha svolto ulteriori accertamenti, consistenti in primo luogo nell’esame del contenuto dei profili “social” aperti dell’indagato, riuscendo in tal modo a venire a conoscenza di condotte tipicamente riconducibili al contesto del terrorismo di matrice islamica. Al contempo, è stata avviata anche un’attività di indagine basata su servizi di pedinamento, finalizzati a stabilire il contesto di riferimento dell’indagato, i suoi contatti e la sua frequentazione con ambienti religiosi potenzialmente idonei a indicarne la sua estremizzazione.
Nel caso di specie, pertanto, le fonti confidenziali hanno rappresentato esclusivamente lo spunto iniziale delle indagini, la cui prosecuzione con le ordinarie modalità operative ha consentito di acquisire elementi idonei a supportare la richiesta di intercettazioni.
Deve trovare applicazione, GLYPH pertanto, GLYPH il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le informazioni confidenziali acquisite dagli organi di polizia giudiziaria determinano l’inutilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi de combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 1-bis e 203, comma 1-bis, cod. proc. pen., soltanto qualora esse rappresentino l’unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità, mentre il loro utilizzo è legittimo per avvia l’attività investigativa o per estenderne l’ambito alla ricerca di ulteriori elementi (Sez.1, n. 11640 del 14/5/2019, dep.2020, Rv. 279322; Sez.6, n. 39766 del 15/4/2014, Pascali, Rv. 260456).
Il terzo motivo pone la questione della sussistenza o meno di elementi indiziari idonei a far ritenere l’adesione del ricorrente all’organizzazione terroristica, di matrice islamistica, non meglio identificata.
Si tratta di un argomento sul quale il Tribunale ha fornito una specifica
risposta, dando atto che l’indagato doveva ritenersi associato a gruppi di matrice jihadista, sostanzialmente ritenendo irrilevante l’individuazione dello specifico gruppo con il quale il predetto avrebbe intrattenuto contatti.
La motivazione, per quanto sintetica, deve ritenersi idonea a fornire risposta al motivo di impugnazione.
L’accertamento dell’adesione ad una “specifica” associazione terrorista deve essere valutato tenendo conto delle peculiarità della complessa galassia di gruppi, il più delle volte non dotati di specifica struttura organizzativa, operanti in Paesi diversi e la cui attività passa essenzialmente attraverso quelle condotte di apologia e istigazione, oltre che di addestramento, svolte principalmente mediante sistemi informativi.
Deve ritenersi, pertanto, che la partecipazione all’Isis o ad analoghe associazioni internazionali deve essere accertato considerando che tali sodalizi hanno un’articolazione destrutturata, basata su rapporti che non richiedono affatto un’organizzazione riconoscibile e che privilegiano l’agire di singoli. Il dato unificante, pertanto, è costituito essenzialmente dalla comune osservanza della medesima finalità terrorista basata sull’estremismo religioso, sull’antisemitismo e sulla contrapposizione al mondo occidentale. In buona sostanza, quindi, l’elemento unificante degli associati non dipende dall’esistenza di un gruppo strutturalmente organizzato, bensì dalla comune ideologia e dalla condivisione dei metodi violenti impiegati. Ciò consente di affermare che, al fine di ritenere configurabile il reato di cui all’art. 270-bis cod. pen., non occorre individuare lo specifico gruppo di riferimento dell’associato, proprio perché nel contesto jihadista vi è una sorta di associazione diffusa, che può assumere connotati diversi a seconda delle realtà territoriali in cui opera, ma che risponde al comune denominatore di essere volta all’imposizione di precetti religiosi e modalità di vita frutto dell’estremizzazione di principi religiosi.
3.1. L’ulteriore questione che pone il ricorrente attiene alla possibilità che, nel caso di specie, sia possibile individuare una “relazione biunivoca” tra l’indagato e l’associazione di riferimento, di modo da escludere che le condotte evidenziate siano riconducibili ad una mera esternazione personale del proprio estremismo religioso, senza che ciò comporti alcun apporto causale all’associazione.
Sul tema, dopo un iniziale orientamento volto a valorizzare essenzialmente la condotta unilaterale ispirata alla condivisione e propaganda dell’ideologia estremista religiosa jihadista, di chi aderisce all’associazione, rendendosi concretamente disponibile e pronto a compiere attentati sul territorio italiano ed estero, mediante condotte di addestramento ed autoaddestramento ad azioni terroristiche con l’uso della violenza (Sez.5, n. 50189 del 13/7/2017, COGNOME, Rv.
271645), la giurisprudenza ha introdotto parametri di maggior rigore.
Si è affermato, infatti, che la partecipazione all’Isis o, comunque, ad analoghe associazioni internazionali di matrice islamica che propongono una formula di adesione “aperta”, può essere desunta, in fase cautelare, dai propositi di partire per combattere gli “infedeli”, dalla dichiarata vocazione al martirio e dall’opera di indottrinamento, a condizione che esista un contatto operativo, un legame, anche flebile, ma concreto tra il singolo e l’organizzazione che, in tal modo, abbia consapevolezza, anche indiretta, dell’adesione da parte del soggetto agente (Sez.6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv. 277230).
In buona sostanza, i tradizionali principi in tema di prova dell’appartenenza ad un sodalizio criminoso devono essere applicati compatibilmente con le assolute peculiarità dei gruppi terroristici di matrice islamica, tenendo conto che l’adesione può avvenire anche con modalità spontaneistiche e “aperte”, non implicanti una formale accettazione da parte del gruppo terroristico, ma volte ad includere progressivamente il partecipe, attraverso contatti con i livelli intermedi o propaggini finali, anche “mediatamente” e flebilmente riconducibili alla “casa madre”, purché idonei a dare una qualche consapevolezza, anche indiretta, della sua adesione (Sez.5, 8891 del 18/12/2020, dep.2021, COGNOME, Rv.280750).
In buona sostanza, deve ribadirsi che la risposta alla chiamata alla jihad non costituisce la prova della condotta di partecipazione, ma segna il momento in cui si instaura il legame tra il singolo e l’associazione, alla luce del quale vanno lette le condotte che il singolo pone in essere richiamandosi e utilizzando il patrimonio ideologico, culturale e di condivisione delle tecniche terroristiche, che costituisce il sostrato organizzativo dell’associazione.
In tale contesto, pertanto, non è la mera attività di propaganda a dimostrare la partecipazione, bensì il fatto di instaurare contatti con terzi con i quali si condivide la medesima finalità terroristica, come pure la dimostrata possibilità di accedere a fonti riservate per poi procedere alla divulgazione di materiale di propaganda e addestramento.
Deve affermarsi, pertanto, che integra il delitto di partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo la condotta dell’agente volta alla sistematica diffusione verso terzi di informazioni provenienti da fonti, anche di accesso limitato, sicuramente riferibili al gruppo terroristico ed attinenti alla vita di questo in quanto sintomatica dello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione (Sez.5, n. 27/1/2022, COGNOME, Rv. 283368).
3.2. Applicando tali principi al caso di specie, si rileva come il Tribunale abbia fornito una logica e coerente risposta alla censura difensiva, sottolineando come l’indagato non si sia affatto limitato a svolgere una generica attività di proselitismo,
bensì intratteneva contatti con altri soggetti che condividevano la medesima ideologia su gruppi Telegram, manifestava espressamente la propria volontà di
compiere atti di natura terroristica e diffondeva materiali propagandistici non di libero accesso, bensì appositamente predisposti da organizzazioni direttamente
facenti capo all’Isis.
A ben vedere, proprio quest’ultimo elemento è quello che meglio degli altri dimostra l’esistenza di quel legame biunivoco che è la riprova della partecipazione
all’associazione, posto che la messa a disposizione di materiale riservato e sicuramente proveniente da gruppi terroristici presuppone il riconoscimento del
destinatario quale un appartenente al medesimo contesto jihadista.
3. Sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 giugno 2025
GLYPH
Il Consigliere estensore