Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3671 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 3671  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Siria il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 30/05/2023 del Tribunale di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, il cittadino siriano NOME COGNOME impugna la decisione del Tribunale del riesame di Messina del 30 maggio scorso, che ne ha confermato la custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 270-bis, cod. pen., poiché ritenuto partecipe dell’associazione terroristica siriana denominata “RAGIONE_SOCIALE” (già “RAGIONE_SOCIALE“), cellula della rete “RAGIONE_SOCIALE“.
Il ricorso è sostenuto da due motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione dell’art. 6, cod. pen., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che parte della condotta delittuosa si sia svolta in territorio italiano ed avere, perciò, affermato la giurisdizione del nostro Stato.
Rileva la difesa che l’ordinanza ha giustificato tale assunto esclusivamente in ragione dell’ingresso clandestino in Italia del ricorrente, il quale però – si obietta – non ha arrecato alla vita od al rafforzamento dell’associazione quel contributo che realizza la condotta partecipativa. Né potrebbero aver rilievo, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, i messaggi rinvenuti sull’applicativo “whatsapp” del suo telefono ed asseritamente espressivi della sua adesione a quel sodalizio, non potendosi stabilire il luogo dal quale essi sono stati inviati.
2.2. Con il secondo motivo si contesta la gravità del quadro indiziario, sostenendosi che i messaggi ed i filmati rinvenuti all’interno del telefono portatile in possesso dell’indagato all’atto del suo sbarco clandestino nel porto di Messina non abbiano un significato univoco nel senso ritenuto dal Tribunale.
Ha depositato requisitoria scritta il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi di ricorso non possono essere ammessi.
Il primo è manifestamente infondato.
Al di là del passaggio testuale dell’ordinanza evidenzial:o in ricorso, che effettivamente sembrerebbe radicare la giurisdizione italiana al nudo dato dell’ingresso dell’indagato in Italia («la giurisdizione interna è giustificata dall’ingresso clandestino del ricorrente nel paese, presupposto che costituisce quel “frammento” della condotta di reato punibile»: pag. 5), dalla complessiva motivazione della stessa si comprende chiaramente, invece, che il Tribunale ha valutato tale dato unitamente ad altri comportamenti da costui tenuti successivamente al suo ingresso in Italia e rilevanti ai fini dell’integrazione del reato: basti pensare alla parziale cancellazione di materiale propagandistico presente sul telefono, e comunque alla conservazione di parte di esso, ma altresì alle comunicazioni da lui intrattenute, anche quando già sottoposto a fermo, con i suoi parenti, pure aderenti al gruppo jihadista.
 Il secondo motivo, in tema di gravità indiziaria, è anch’esso manifestamente infondato, ma, prim’ancora, rivolto ad una rivalutazione del
materiale probatorio e generico, poiché non si misura crticamente con le motivazioni del Tribunale.
L’ordinanza, infatti, illustra puntualmente il ruolo di rilievo ricoperto dall’indagato all’interno del gruppo, quale emerge dalle chat; l’assenza, da parte sua, di segni di dissociazione; la circostanza – indiscutibilmente assai suggestiva – che egli sia arrivato in Italia clandestinamente, pur essendo titolare di valido passaporto; nonché l’assenza di qualsiasi plausibile giustificazione alternativa del suo viaggio. La deduzione per cui egli fosse venuto nel nostro Paese per fare proselitismo, e comunque per agire nell’interesse dell’associazione, risulta dunque fornita di adeguata base logica.
Va, allora, ribadito che, in tema di associazioni con finalità di terrorismo, di cui all’art. 270-bis, cod. pen., costituisce condotta partecipativa la sistematica reiterazione di atti di indottrinamento, proselitismo e propaganda apologetica rivolti a terzi, compiuta da chi intrattenga contatti operativi con componenti o con soggetti comunque riconducibili, anche in via mediata, al sodalizio. In tal senso, sono stati ritenuti indici sintomatici, a seconda dei casi: l’aver fornito assistenza ad un associato; l’aver svolto attività di apologia del terrorismo, di propaganda o proselitismo sui social network o nel corso di lezioni di religione in un centro culturale, con la finalità di creare emulazione, indirizzare consenso, incitare alla violenza, rafforzando, mediante capillare divulgazione, il proposito criminoso propagandato; la detenzione, al medesimo scopo, di materiale “jihadista” di propaganda, indottrinamento ed arruolamento, acquisito nel c.d. “dark web” (tra altre: Sez. 5, n. 17079 del 18/01/2022, NOME, Rv. 283077; Sez. 2, n. 7808 del 04/12/2019, dep. 2020, NOME, Rv. 278680; Sez. 1, n. 51654 del 09/10/2018, NOME, Rv. 274985).
Nel caso in rassegna, peraltro, le chat rinvenute sul telefono del ricorrente riportate testualmente per estratto nell’ordinanza – rivelano non soltanto una sua attività di apologia e propaganda della “jihad”, ma altresì la sua rivendicazione espressa della propria appartenenza ad essa, esplicite incitazioni alla guerriglia e la disponibilità, all’occorrenza, di munizioni ed armi pesanti, finanche antimissile, nonché, da parte dei suoi interlocutori, il riconoscimento a lui del titolo di “AVV_NOTAIO” e l’affermazione di essere pronti a combattere al suo segnale.
4. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta
somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2023.