Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45857 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45857 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME LeoCOGNOME nato a Bova Marina il 28/09/1957
NOME NOMECOGNOME nato a Ferruzzano il 11/06/1963
COGNOME nato a Bova Marina il 10/08/1963
NOME nata in Romania il 07/04/1983
COGNOME NOME, nato a Locri il 28/02/1986
COGNOME NOMECOGNOME nato a Melito di Porto Salvo il 23/08/1969
COGNOME NOMECOGNOME nato a Benevento il 20/11/1976
COGNOME NOMECOGNOME nato a Melito di Porto Salvo il 20/04/1975
NOMECOGNOME nato a Locri 11 16/11/1969
avverso la sentenza del 06/06/2023 della Corte di Appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi di COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME limitatamente alla mancata motivazione per la contestata eccessività degli aumenti per i reati posti in continuazione; per
l’accoglimento del ricorso di COGNOME Franco limitatamente all’art. 85 DPR 309/90 per omessa motivazione sulla pena accessoria; per il rigetto degli altri ricorsi; uditi i difensori Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOMEper COGNOME), Avv. NOME COGNOMEper COGNOME), Avv. NOME COGNOMEper COGNOME e COGNOME), Avv. NOME COGNOMEper Monteleone, anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME, e per COGNOME, anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME), Avv. NOME COGNOME (per COGNOME), Avv. NOME COGNOMEper COGNOME, COGNOME e COGNOME), Avv. NOME COGNOMEper COGNOME), che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 dicembre 2020 la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa il 9 ottobre 2019, all’esito del giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, impugnata dagli imputati, così provvedeva in relazione alla posizione degli odierni ricorrenti, condannati tutti, oltre che per vari reati-scopo, per il delitt previsto dall’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestato al capo 1), per essersi associati tra loro al fine di commettere una serie indeterminata di reati consistenti nella importazione di ingenti quantitativi di cocaina dal Sudamerica:
quanto ad NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità in relazione ai reati di cui ai capi 1) e 6), rideterminava la pena in otto anni, dieci mesi, venti giorni di reclusione ed euro 22.600 di multa;
quanto a NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità in relazione al reato di cui al capo 1), rideterminava la pena in otto anni, due mesi e dieci giorni di reclusione;
quanto a NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità, in relazione ai reati di cui ai capi 1) e 3), rideterminava la pena in otto anni, otto mesi e venti giorni di reclusione ed euro 22.200 di multa;
quanto a NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità, in relazione al reato di cui al capo 1), rideterminava la pena in otto anni e dieci mesi di reclusione;
quanto a NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità, in relazione ai reati di cui ai capi 1), 2), 3) e 6), rideterminava la pena in diciassette anni di reclusione;
quanto a NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità, in relazione ai reati di cui ai capi 1), 3) e 6), rideterminava la pena in dieci anni di reclusione ed euro 24.000 di multa;
quanto ad NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità in relazione al reato di cui al capo 1), rideterminava la pena in sette anni, un mese e dieci giorni di reclusione;
quanto ad NOME COGNOME assolveva l’imputato dal reato di cui al capo 9); esclusa l’aggravante della transnazionalità in relazione ai reati di cui ai capi 1) e 6), rideterminava la pena in diciannove anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione;
quanto a NOME COGNOME esclusa l’aggravante della transnazionalità in relazione al reato di cui al capo 1) e ritenuto il ruolo di mero partecipe dell’associazione, rideterminava la pena in otto anni di reclusione.
Con sentenza del 9 febbraio 2022 la Sesta sezione della Corte di Cassazione – per quanto qui rileva – annullava senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione al reato di cui al capo 7) perché estinto per prescrizione; annullava con rinvio la sentenza impugnata quanto al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 nei confronti di COGNOME Leo, COGNOME NOME Vittorio, COGNOME Santo, COGNOME NOME, COGNOME Franco, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME, NOME nonché, per il capo 6), nei confronti di COGNOME; rigettava nel resto i ricorsi degli imputati, dichiarando definitivo l’accertamento di responsabilità per gli ulteriori reati loro rispettivamente ascritti.
La sentenza rescindente, in relazione al delitto di cui al capo 1), osservava che la Corte di merito, nella sentenza impugnata, si era limitata a riportare quanto affermato dalla sentenza di primo grado senza motivare sugli specifici rilievi difensivi formulati negli atti di appello in ordine alla permanenza del vincolo tra gli associati e all’esistenza di una struttura organizzata.
Richiamati i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai presupposti necessari per la configurabilità del delitto associativo previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, la Sesta sezione rilevava che la motivazione della sentenza impugnata si rivelava «carente in ordine alla dimostrazione della struttura organizzata stabile, della permanenza dell’associazione illecita oltre la realizzazione dei reati fine e della volontà e consapevolezza degli imputati di operare in qualità di aderenti ad un’organizzazione criminale e nell’interesse della stessa».
Quanto al profilo strutturale dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la Corte di appello di Venezia aveva fatto ricorso alla metafora della «struttura a stella», tuttavia individuando il suo nucleo nella sola persona di COGNOME e facendo generico riferimento ai suoi sodali, senza delineare compiutamente il perimetro soggettivo del vincolo associativo e precisare sulla base di quali risultanze probatorie lo stesso fosse affermato.
Anche in ordine alla permanenza del vincolo tra gli associati, una volta cessata la commissione dei delitti-scopo, e alla sussistenza di un programma criminale condiviso, la motivazione della sentenza risultava inadeguata e apparente là dove aveva ritenuto «logicamente inverosimile ipotizzare che importazioni di così ingenti quantitativi di cocaina in ottima qualità, proveniente da due diversi paesi del Sud America, dopo che era stato realizzato un vero e proprio nuovo canale di importazione con destinazione finale Venezia, potessero realizzarsi in circostanze di saltuario e occasionale concorso di persone».
Con la sentenza qui impugnata la Corte di appello di Venezia, in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato per tutti gli odierni ricorrenti la condanna per il reato associativo, esclusa l’aggravante della transnazionalità, e così ha deciso in relazione alle singole posizioni:
quanto ad NOME COGNOME ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo 6) e ha rideterminato la pena in sei anni e otto mesi di reclusione;
quanto a NOME COGNOME ha riconosciuto le attenuanti generiche e la continuazione esterna, rideterminando la pena complessiva in cinque anni e un mese di reclusione;
quanto a NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha confermato il diniego delle attenuanti generiche e ha riconosciuto la continuazione esterna, rideterminando le pene complessive, rispettivamente: in otto anni e dieci mesi di reclusione; diciassette anni di reclusione; diciannove anni, tre mesi e dieci giorni di reclusione;
quanto a NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha integralmente ribadito le statuizioni della sentenza di appello annullata;
quanto a NOME COGNOME riconosciute le attenuanti generiche e ritenuto il ruolo di promotore dell’associazione, come già il primo giudice, ha rideterminato la pena in nove anni di reclusione.
Avverso la sentenza rescissoria hanno proposto ricorso per cassazione i nove imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento.
Il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
4.1. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) con riferimento alla esistenza e alla permanenza dell’associazione nonché motivazione apparente e illogica nella parte in cui ha ritenuto provata la sussistenza del sodalizio.
Gli elementi evidenziati nella sentenza, relativi alla ritenuta esistenza di una “struttura organizzata”, non hanno dimostrato la effettività di un vincolo strutturale permanente e continuativo, tantomeno di un accordo criminoso che riguardasse tutti i fruitori della struttura RAGIONE_SOCIALE, essendo emerse piuttosto condotte concorsuali di individui coinvolti nella commissione di reati in materia di stupefacenti nell’ambito di singoli progetti criminali.
La Corte territoriale ha affermato l’esistenza della stabile e autonoma struttura organizzata di mezzi e di uomini individuandola sulla base di dati non particolarmente significativi, quali i reati-fine, l’esistenza di più gruppi e d modalità per lo stoccaggio della sostanza, l’uso di linguaggio criptico, l’immissione di denaro alla RAGIONE_SOCIALE, tutti elementi che non fanno propendere per la tesi della stabile presenza di un gruppo di persone solidalmente protese verso comuni e indeterminati obiettivi criminosi, a sostegno dell’associazione.
La Corte d’appello ha erroneamente individuato lo scopo comune nel reato associativo, che non è l’illecito profitto, ma il rafforzamento della vitalità de sodalizio criminoso in vista dell’illecito profitto, omettendo una indagine sull’elemento soggettivo, ossia sulla volontà da parte del singolo di partecipare all’associazione e di aderire alle sue finalità.
La sentenza impugnata, affermando che l’associazione sarebbe esistita per mantenere in vita RAGIONE_SOCIALE non ha considerato che senza detta società non vi sarebbe stato alcun nuovo canale d’importazione.
I cattivi rapporti fra alcuni degli imputati appaiono incompatibili con l’affectio societatis che deve pur sempre caratterizzare le relazione tra sodali; una serie di conversazioni intercettate conferma che COGNOME, COGNOME e COGNOME costituivano una entità totalmente distinta da COGNOME, tesi avvalorata dal fatto che il Tribunale di Locri aveva riconosciuto l’esistenza di un’associazione indicando sostanzialmente gli stessi soggetti appartenenti ai due sodalizi.
La stessa Corte ha sminuito l’importanza di altri elementi nettamente contrastanti con la tesi della sussistenza di un gruppo associativo, quali la inesistenza di una cassa comune, la omessa ripartizione degli utili e la mancata divisione dei ruoli; nel contempo, disattendendo l’indicazione del giudice di legittimità, la sentenza impugnata non ha motivato circa la sussistenza del vincolo associativo nei rapporti tra le singole fazioni, ancor di più in considerazione della loro relativa indipendenza, come è nella struttura a stella e parimenti nella confederazione evocata dal giudice del rinvio.
La Corte d’appello ha erroneamente applicato la legge penale anche nella valutazione della permanenza del vincolo associativo, affermata con una motivazione manifestamente illogica perché fondata sulla sussistenza di gruppi funzionali alla operatività dell’associazione, nonostante il venir meno di soggetti
appartenenti agli stessi, funzionali a garantire le operazioni eseguite da RAGIONE_SOCIALE, che si poneva come una entità autonoma a disposizione di chi ne richiedeva i servizi di trasporto e importazione di merce lecita e illecita.
4.2. Violazione di legge (art. 597 cod. proc. pen.), in relazione al reato di cui al capo 1), per contrasto con il principio del divieto di reformatio in peius, avendo il giudice del rinvio confermato il ruolo di COGNOME di promotore dell’associazione (peraltro con motivazione identica a quella del primo Giudice), quando invece la sentenza annullata, non impugnata sul punto dalla Procura generale, ne aveva affermato il ruolo di mero partecipe, irrogando una pena inferiore a quella poi inflitta nella sentenza impugnata.
4.3. Motivazione illogica e omessa (con conseguente violazione di legge ex art. 125, comma 3, cod. proc. pen.) in ordine alla materiale partecipazione al reato associativo di NOME COGNOME al quale non è stato contestato alcun reato-fine.
Contrariamente a quanto affermato in sentenza, non fu il ricorrente a intraprendere il percorso di affiliazione di nuovi associati (COGNOME che poi portò COGNOME e gli altri “milanesi”), ma fu altro soggetto (NOME COGNOME, come riferito da COGNOME nella conversazione con l’undercover.
È poi altamente significativo il fatto che, quando COGNOME e COGNOME decisero di escludere COGNOME dagli affari illeciti, non ritennero necessario informare COGNOME il cui ruolo, pertanto, non era in alcun modo funzionale al sodalizio, non avendo mai neppure presenziato a uno degli incontri fra COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e l’undercover.
COGNOME non può avere rivestito neppure il ruolo di partecipe, considerato che l’associazione nacque nel dicembre 2013 e cessò due anni dopo, mentre egli comparve solo nel settembre 2014 per il coinvolgimento di COGNOME in una unica importazione alla quale, peraltro, egli non prese parte.
Il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME si compone di due motivi, il primo dei quali è in tutto sovrapponibile al primo motivo dell’impugnazione proposta per NOME COGNOME.
Con il secondo motivo la motivazione viene censurata per manifesta illogicità e contraddittorietà là dove all’imputato non sono state riconosciute le attenuanti generiche nonostante il suo corretto comportamento processuale e la presenza di precedenti penali non specifici né recenti.
Il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
6.1. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo.
Il progetto di NOME COGNOME è stato dalla Corte di appello erroneamente individuato come rappresentativo di un programma criminoso comune a tutti i soggetti imputati attraverso una incomprensibile generalizzazione degli accordi sinallagmatici che Violi raggiungeva di volta in volta con i singoli gruppi interessati alla transazione illecita, dopo avere da solo ideato la costituzione di un canale alternativo di ingresso di stupefacente in Italia.
La Corte di appello non ha fornito adeguata e logica spiegazione del perché le operazioni di importazioni pacificamente attribuibili a singole batterie di volta in volta in rapporto sinallagmatico con il nucleo centrale costituito da COGNOME e dall’undercover debbano essere lette come l’attuazione di un programma criminoso comune a tutti gli imputati e non già, invece, come l’esecuzione di accordi estemporanei riguardanti i singoli soggetti interessati a ciascuna importazione.
La motivazione contraddice anche i risultati investigativi, poiché gli stessi inquirenti, in occasione di ogni importazione, hanno individuato i soggetti di volta in volta interessati alle singole forniture di sostanza stupefacente. In particolare, dall’analisi dei reati-fine emerge che COGNOME si occupò direttamente solo di importazione della cocaina dal Costa Rica, mentre le importazioni dalla Colombia erano appannaggio del “gruppo dei milanesi”, il quale soltanto, inoltre, utilizzava nickname, aveva a disposizione utenze dedicate per le comunicazioni con l’undercover e forniva a quest’ultimo apparecchi telefonici.
Peraltro, l’esistenza di mezzi e luoghi per procedere a una importazione di rilevanti quantitativi di stupefacente è strutturalmente connessa al reato di importazione medesima.
Nella sentenza rescissoria, poi, si afferma che le cospicue e sistematiche forme di finanziamento della RAGIONE_SOCIALE, effettuate dai presunti sodali, fossero destinate a mantenere in vita la società sotto copertura, ancorando a questo aspetto la stabilità del vincolo associativo e della organizzazione oltre la realizzazione dei singoli reati-scopo. Il dato probatorio sul punto è stato travisato, in quanto dalle informative di p.g. emerge che i versamenti effettuati dagli imputati alla RAGIONE_SOCIALE erano funzionali all’attivazione di rapporti apparentemente leciti con le ditte sudamericane.
Risulta altresì illogica l’affermazione secondo cui nel caso di specie non sarebbe rilevante l’assenza di una cassa comune, in quanto l’associazione non si occupava della successiva fase di commercializzazione: gli importatori, infatti, dovevano pur sempre sostenere i costi della cocaina acquistata e le spese necessarie per il trasporto e lo stoccaggio dello stupefacente.
L’elemento aggiuntivo espresso nella sentenza impugnata, rispetto a quelli della pronuncia annullata, è costituito dall’affermazione, priva di supporto
probatorio, secondo la quale ciò che accomunava i soggetti dei gruppi confederati attorno alla figura di COGNOME sarebbe stata la loro affiliazione alla ‘ndrangheta calabrese.
I giudici di merito hanno nella sostanza affermato l’esistenza del requisito strutturale organizzativo facendo riferimento a elementi necessari per la realizzazione dei reati di importazione, quando invece si sarebbe dovuta provare la presenza di una organizzazione strutturalmente funzionale alla conservazione di sé stessa, dovendo essa reggersi in maniera indipendente dalla consumazione dei reati-scopo.
6.2. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) e vizio della motivazione in ordine all’attribuzione a COGNOME del ruolo di organizzatore del sodalizio.
Il ricorrente non ha condiviso, in maniera stabile e duratura, alcun programma criminoso indeterminato con altri membri della consorteria, neppure aveva conoscenza degli interessi illeciti dei soggetti appartenenti ad altre “batterie” e non ha quindi fornito alcun contributo causale efficiente alla vita dell’associazione.
Quanto all’attribuzione del ruolo qualificato di organizzatore, la motivazione è mancante e illogica, oltre che contrastante con le emergenze probatorie.
COGNOME, infatti, si è limitato a importare in determinate occasioni ingenti quantitativi di stupefacente, utilizzando propri contatti in Sudamerica e approfittando del canale alternativo individuato da COGNOME e dall’undercover.
La sentenza impugnata ha travisato il dato del collegamento tra COGNOME e COGNOME il quale non si è mai recato in Sudamerica per interessarsi delle fasi preparatorie delle importazioni né ha mai effettuato le operazioni di recupero e stoccaggio dello stupefacente.
Il ricorrente, inoltre, non risulta neppure indagato nel procedimento “RAGIONE_SOCIALE” a carico di alcuni soggetti, tra i quali COGNOME e COGNOME, dei quali è stat disposta la custodia in carcere per il reato ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990, a conferma del fatto che il fraterno rapporto esistente tra COGNOME e COGNOME non consente da solo di attribuire a quest’ultimo un ruolo di vertice nell’associazione.
6.3. Vizio della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena, avuto particolare riguardo alla entità degli aumenti determinati a titolo di continuazione.
Con un unico motivo il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME denuncia violazione di legge (art. 627 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), carenza e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha ritenuto sussistenti gli
elementi costitutivi del reato associativo sulla base delle medesime argomentazioni svolte nella sentenza annullata dalla Suprema Corte.
In particolare, nelle parti ove vengono trattate la struttura dell’associazione, la permanenza del vincolo e la partecipazione ai reati-fine, NOME COGNOME non viene neppure menzionata; la Corte di appello, infatti, si è limitata a rilevare quanto già evidenziato dal primo Giudice per desumere la conoscenza dell’associazione e la volontà di partecipazione in capo alla ricorrente, indicando a suo carico condotte generiche (la coabitazione con NOME COGNOME e la sua presenza nei luoghi in cui si sarebbero svolte le riunioni), certamente non dimostrative di tale volontà.
Il Giudice del rinvio non ha considerato che NOME COGNOME negli atti d’indagine compare solo quale compagna silente di NOMECOGNOME fatta eccezione per la consegna di circa 500 grammi di cocaina all’undercover, né ha valutato altri elementi evidenziati nell’appello indicativi della mancata partecipazione della ricorrente al sodalizio, quali lo scarso numero (sei) di contatti telefonici avuti con la compagna di NOMECOGNOME in periodo antecedente alla prima importazione di stupefacente, ovvero le precauzioni e gli stratagemmi adottati per evitare la sua comprensione delle conversazioni fra COGNOME ed altri riguardanti gli affari illeciti.
Inoltre, le cessioni di droga al pusher COGNOME, asseritamente effettuate dalla Dascalu, risalgono a un periodo nel quale l’associazione non esisteva nemmeno, mentre le sue dazioni di denaro all’undercover, da versare alla NOMECOGNOME (denaro poi restituitole per il pagamento di voci stipendiali ritenute fittizie), non erano certamente funzionali al sodalizio.
La ricorrente, poi, era l’unica persona a utilizzare il proprio telefono cellulare, a riprova del fatto che la stessa non temeva di essere intercettata, non essendo partecipe dell’associazione.
Il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in quattro motivi.
8.1. Violazione di legge (artt. 627, 192, comma 2, e 533 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990) per mera ripetizione del percorso logico censurato nel giudizio rescindente e illogicità della motivazione.
La decisione impugnata, violando il disposto dell’art. 627 del codice di rito, non ha colmato le lacune motivazionali indicate nella sentenza rescindente, alle cui censure non ha risposto adeguatamente, non avendo assoggettato il materiale probatorio ritenuto carente dalla Suprema Corte a un percorso argomentativo in parte diverso e in parte arricchito rispetto a quello censurato in sede di legittimità.
8.2. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo.
I giudici di merito non hanno indicato elementi concreti idonei a dimostrare la sussistenza dell’associazione e la partecipazione di Monteleone, la cui condotta si è esaurita con la consumazione del reato contestato al capo 2), essendo egli rimasto estraneo ad altre importazioni di stupefacente riconducibili al presunto sodalizio. La sentenza impugnata ha affermato apoditticamente la vicinanza di Monteleone a Morabito perché quest’ultimo inserì nel gruppo il ricorrente tramite COGNOME.
Avuto riguardo alle modalità di commissione delle singole fattispecie di cessione e a quelle di custodia dello stupefacente nonché all’assenza di una struttura logistica, non era possibile ritenere l’esistenza del requisito della organizzazione, elemento differenziale tra reato associativo e concorso di persone nelle condotte continuate di detenzione e cessione di stupefacente.
Inoltre, dalle annotazioni e informative di p.g. emerge che gli imputati non avevano rapporti costanti tra loro, ma si limitavano a interloquire in archi temporali ristretti esclusivamente in occasione dei singoli episodi di importazione e solo con NOME COGNOME che aveva reso possibile l’attivazione del canale veneziano grazie all’apporto determinante dell’undercover.
8.3. Violazione di legge (art. 62 -bis cod. pen.) e vizio della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche che la Corte non ha riconosciuto alla luce soltanto della gravità del reato e della esistenza di due precedenti penali, uno dei quali di natura contravvenzionale.
8.4. Violazione di legge (art. 85 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e vizio della motivazione in relazione alla conferma della pena accessoria del ritiro della patente di guida, applicata in assenza di adeguata risposta alle censure difensive.
Il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME si compone di tre motivi.
9.1. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo nonché carenza e illogicità della motivazione rispetto alle censure svolte nei motivi di appello.
Anche la sentenza rescissoria, come già quella annullata, non è riuscita a dimostrare la sussistenza di un condiviso programma criminale, di un accordo stabile e durevole tra gli associati, la volontà in capo a ciascuno di essi di aderire a un precipuo accordo delittuoso, nella consapevolezza che le attività proprie e altrui fossero funzionali all’attuazione di detto programma.
La Corte territoriale non ha logicamente risposto alle deduzioni difensive con le quali si era valorizzata la totale assenza di affectio societatis, in quanto l’accordo si esauriva nella singola importazione e riguardava solo i soggetti a essa interessati, che agivano in batterie del tutto autonome, tant’è che mancava una cassa comune e gli utili non venivano ripartiti.
Anche per realizzare più importazioni di stupefacente occorre un minimo di organizzazione, ma questo requisito non va confuso con quello della necessaria sussistenza di una organizzazione che sia strutturalmente funzionale a sé stessa, indipendentemente dalla commissione dei singoli reati, requisito nel caso di specie del tutto mancante, poiché la presunta associazione non disponeva di mezzi e luoghi comuni.
È poi apodittica l’affermazione della sentenza circa l’appartenenza di tutti gli imputati alla ‘ndrangheta calabrese.
9.2. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) in ordine alla ritenuta partecipazione di Palamara all’associazione nonché carenza della motivazione rispetto alle argomentazioni svolte sul punto nei motivi di appello.
La Corte territoriale, limitandosi a riportare la responsabilità di COGNOME per alcuni reati-fine, non ha accertato che il ricorrente avrebbe agito nella consapevolezza di essere stabilmente a disposizione del presunto sodalizio e quindi di verificare la sussistenza dell’elemento psicologico.
9.3. Carenza della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena, avuto particolare riguardo alla entità degli aumenti determinati a titolo di continuazione.
Anche il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in tre motivi, preceduti, però, da una richiesta preliminare di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale qualora si ritenesse che anche all’imputato latitante si applichi la disposizione di cui all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., valutata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, comma 2, 27, comma 2, e 111 della Costituzione.
10.1. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo nonché carenza e illogicità della motivazione rispetto alle censure svolte nell’atto di appello.
Il motivo è in tutto sovrapponibile al primo motivo dell’impugnazione proposta per NOME COGNOME
10.2. Violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) in ordine alla ritenuta partecipazione di COGNOME all’associazione nonché carenza della motivazione rispetto alle argomentazioni svolte sul punto nei motivi di appello.
La partecipazione di COGNOME alla presunta associazione è stata illegittimamente desunta solo dalla commissione del reato di importazione di stupefacente contestato al capo 3), per il quale l’imputato è stato separatamente giudicato.
Come osservato nell’atto di appello, COGNOME non poteva essere ritenuto stabilmente inserito nel sodalizio, poiché egli fu coinvolto nelle indagini per un periodo molto ridotto, essendo poi uscito di scena: a fronte di tale rilievo, la Corte territoriale si è limitata ad affermare la rilevanza del ruolo svolto dal ricorrente nell’associazione al di là del dato temporale.
10.3. Carenza della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, spiegato solo con la mancanza di elementi positivi e con la gravità della condotta contestata.
Nel ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME sono dedotti tre motivi.
11.1. Violazione di legge (artt. 111 Cost., artt. 187, 192, comma 3, 533, 546, 605 e 627, comma 3, cod. proc. pen., art. 74 d.P.R. n. 309/1990) e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione e alla partecipazione di RAGIONE_SOCIALE
La motivazione del Giudice del rinvio è analoga a quella precedente e desume la sussistenza della struttura organizzativa e di un vincolo permanente dell’associazione dall’argomento, del tutto apodittico, della comune affiliazione di tutti gli imputati alle cosche di ‘ndrangheta radicate in Calabria, già operanti nel traffico internazionale di cocaina.
La Corte d’appello ha confuso l’accordo programmatico indeterminato che dovrebbe caratterizzare l’associazione con le intese e le modalità di esecuzione previste dai singoli gruppi che – come riconosciuto nella stessa sentenza impugnata – agivano in autonomia per le singole importazioni attraverso il nuovo canale rappresentato dalla RAGIONE_SOCIALE; il fatto che detti gruppi potessero trovare reciproco vantaggio, attraverso l’utilizzo di detto canale, dalle rispettive attività criminose non può di per sé significare che gli stessi operassero all’interno della medesima associazione, tant’è che anche l’agente sotto copertura ha parlato di “gruppi distinti e avversi”.
Altro dato rilevante obliterato nella motivazione è quello della durata abbastanza limitata dell’associazione, coincidente in sostanza con l’arco temporale in cui vennero commessi i reati-scopo, durante il quale, peraltro, si verificarono ripetuti contrasti per diversità di opinioni, elemento che mina la tesi dell’esistenza del sodalizio, come osservato anche nella sentenza rescindente.
La Corte territoriale, ai fini della prova della sussistenza del reato associativo, ha valorizzato elementi pienamente compatibili con un contesto di semplice concorso nella commissione dei singoli reati-fine, quali l’utilizzo dei telefoni “dedicati”, di linguaggio criptico e di nickname ovvero le modalità prestabilite per lo stoccaggio e smistamento dei quantitativi di stupefacente importato od ancora i contatti con intermediari stranieri, i viaggi all’estero per l’acquisto della droga, l’assunzione di compiti ben delineati da parte dei ricorrenti.
La sentenza ha erroneamente svilito il denunciato profilo dell’assenza di una cassa comune e della mancata ripartizione degli utili, non ha spiegato in quali termini i gruppi “confederati” si relazionavano tra loro e quali attività avrebbero svolto in comune né ha affrontato il profilo della consapevolezza del patto associativo in capo a tutti i presunti associati.
Alcuni dei ricorrenti, tra i quali COGNOME, hanno avuto pochi contatti solo con qualche coimputato in un contenuto arco temporale e con ampi contrasti, elementi tali da escludere che si sia in presenza di una organizzazione strutturata in modo permanente e di un programma criminoso indeterminato.
Avuto specifico riguardo alla posizione di COGNOME, la motivazione non supera le criticità segnalate nella sentenza rescindente, avendo indicato elementi che si risolvono nella descrizione di attività preparatorie dei singoli fatti-reato di importazione di stupefacente e avendo omesso di rilevare la contraddittorietà tra l’affermazione di intraneità del ricorrente all’associazione e i suoi contrasti con altri imputati, dai quali, nelle conversazioni intercettate, non viene riconosciuto quale sodale ma ritenuto privo di credito e poco riservato.
COGNOME e COGNOME addirittura pensarono di “toglierlo di mezzo”; nell’incontro del 23 novembre 2015 COGNOME fu definitivamente estromesso in quanto giudicato soggetto poco affidabile e rientrò della somma spesa per l’acquisto del pesce solo in minima parte.
La Corte di appello non ha considerato che COGNOME partecipò a due sole operazioni d’importazione, peraltro di merce lecita, e che egli svolgeva una regolare attività imprenditoriale con scopi estranei ai traffici illeciti di droga.
Non si può affermare, dunque, che la condotta del ricorrente, finalizzata ad aprire un nuovo canale d’importazione e a finanziare il mantenimento e l’operatività della RAGIONE_SOCIALE, possa univocamente rappresentare un apporto concreto alle operazioni dell’associazione: il suo contributo, infatti, limitato nel tempo, è del tutto compatibile con un’attività criminosa episodica, senza adesione all’intero programma criminoso posto in essere dall’asserito sodalizio criminale.
La sentenza ha omesso di confrontarsi con una serie di elementi dimostrativi della estraneità di Vadalà al contesto associativo analiticamente indicati nell’atto di appello e non ha considerato il profilo soggettivo del ricorrente, la cui condotta illecita fu occasionale, in assenza della affectio societatis.
11.2. Violazione di legge (art. 62-bis cod. pen.) e vizio della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche che la Corte non ha riconosciuto alla luce dell’unico precedente penale del ricorrente, di una sua presunta mancata collaborazione e degli stessi elementi desunti dall’art. 133 cod. pen., già utilizzati per determinare l’entità della pena, in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale.
11.3. Violazione di legge (artt. 81, secondo comma, e 133 cod. pen.) e vizio della motivazione in relazione alla dosimetria della pena, avuto particolare riguardo alla entità dell’aumento determinato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo 15).
Con un unico motivo il ricorso proposto dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME denuncia violazione di legge (artt. 627, 192, comma 2, e 533 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) per mera ripetizione del percorso logico censurato nel giudizio rescindente nonché illogicità della motivazione sui contenuti probatori sottoposti ad esame.
Con argomentazioni sovrapponibili a quelle svolte nel primo motivo del ricorso proposto per Monteleone, si afferma che la decisione impugnata non ha colmato le lacune motivazionali evidenziate nella sentenza rescindente, alle cui censure non ha risposto adeguatamente.
Quanto al secondo rilievo, riguardante il vizio della motivazione, premesso che la prova sulla partecipazione di Fuda all’associazione rientrava nel catalogo tipico delle prove indiziarie, la difesa sostiene che la sentenza impugnata ha ripreso la motivazione della decisione di primo grado, ancorando detta partecipazione a quelle stesse circostanze relative all’imputazione ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 che nulla significano né in ordine all’accettazione del programma associativo da parte del ricorrente né in merito alla volontà di accettarlo in vista di altre attività né in ordine alla sussistenza della affectio societatis.
La condotta di COGNOME si esaurì nell’incontro del 6 giugno 2015 e pochi giorni dopo egli fu arrestato nell’ambito di altro procedimento, circostanza assai significativa se si considera che l’associazione avrebbe ininterrottamente operato per due anni dal dicembre 2013 e che in epoca precedente a detto incontro non si è registrato alcun contatto tra il ricorrente e gli altri partecipi.
La partecipazione a un’associazione criminosa non può essere ritenuta sussistente in forza di una mera esaltazione delle condotte poste in essere in occasione di un unico reato. Che quello di Fuda non sia stato un contributo apprezzabile in termini di rafforzamento dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacente è circostanza sostenuta addirittura nella decisione di primo grado, là dove in cui ha affermato che il sodalizio non ha in alcun modo risentito della uscita di scena di Fuda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sono fondati, rispettivamente, solo quanto al secondo motivo (violazione del divieto di reformatio in peius) e al quarto motivo (applicazione della pena accessoria del ritiro della patente di guida).
Gli altri ricorsi, così come i predetti per i restanti motivi, vanno rigettat perché proposti con motivi infondati e, in parte, manifestamente infondati, generici o non consentiti in sede di legittimità.
Pare opportuno richiamare preliminarmente alcuni principi che sono pertinenti ai fini della risoluzione di una serie di questioni poste nei ricorsi di var imputati, in modo da evitare ripetizioni nell’esame delle singole posizioni.
2.1. In ordine ai motivi con i quali alcuni ricorrenti hanno sostenuto la violazione del disposto dell’art. 627 del codice di rito, va ricordato che, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio, con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge e la impossibilità di fondare la nuova decisione sui medesimi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione. Pertanto, i poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, come nel caso in esame. Nella prima ipotesi resta ferma la valutazione dei fatti come accertati dal provvedimento annullato; nella seconda, invece, l’annullamento travolge gli accertamenti e le valutazioni già operate e, dunque, i poteri del giudice di rinvio hanno la massima latitudine imponendo un nuovo ed esaustivo esame del materiale probatorio, con l’unico limite negativo sopra richiamato (Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, COGNOME, Rv. 280660 – 01; Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273628 – 01; Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F.,
Rv. 271345 – 01; Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande COGNOME, Rv. 259811 01; Sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 261760 – 01).
Nel caso di specie il giudice del rinvio, dopo avere puntualmente sintetizzato i motivi di appello (pagg. 34-47), le argomentazioni svolte nella pronuncia annullata (pagg. 47-60) e le indicazioni della sentenza rescindente (pagg. 6063), richiamati altresì i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità i ordine al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P,R. n. 309 del 1990 (pagg. 6771), ha ampiamente esaminato le doglianze difensive inerenti alla sussistenza di detto reato, analizzandone specificamente tutti gli elementi costitutivi (pagg. 7198) e valutando singolarmente le posizioni di ciascun imputato (pagg. 98-129).
Anche ad esito di un confronto fra la motivazione della sentenza annullata dalla Sesta sezione di questa Corte e quella qui impugnata, risulta evidente che il giudice del rinvio non è incorso affatto nella violazione di legge denunciata, avendo superato le lacune motivazionali indicate nella pronuncia rescindente, seguendo un percorso argomentativo in parte diverso e in parte arricchito rispetto a quello censurato in sede di legittimità, avuto anche riguardo al ricorso assai limitato alla tecnica della motivazione per relationem, diversamente da quanto accaduto nella prima sentenza di appello, stigmatizzata anche per l’apparenza della motivazione in ordine alla prova del vincolo associativo.
Su questo ultimo punto – si vedrà – la sentenza qui impugnata ha dato risposta esauriente, disattendendo i motivi di gravame, dovendosi comunque ribadire che in sede di legittimità non è censurabile il silenzio su una specifica doglianza difensiva quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della motivazione (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01; Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, COGNOME, Rv. 282097 – 01; Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057 – 01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500 – 01; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340 – 01). Inoltre, la presenza di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, qualora le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227 – 01; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723 01; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988 – 01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445 – 01; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 14096 del 28/02/2024, Mulè, non mass.).
2.2. Alcuni ricorsi hanno denunciato la inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. sotto il profilo della violazione di legge; tuttavia, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione della suddetta norma per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o ‘ poiché i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) dello stesso articolo nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04; Sez. 6 n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE.a., Rv. 278196 – 01; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 – 01; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294 – 01).
Detta violazione, pertanto, può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lettera e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame.
In numerosi ricorsi, però, il vizio della motivazione è stato denunciato con una generica deduzione ovvero lamentandone la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità, in contrasto con il principio secondo il quale i vizi della motivazione si pongono «in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che – all’evidenza – la motivazione, se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante» (così Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518 – 01; nello stesso senso vds. Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 264535 – 01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251528 – 01).
Anche le Sezioni Unite, nella citata sentenza COGNOME hanno ribadito che «il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa
previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione» (in senso conforme, da ultimo, v. Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01).
2.3. Numerosi ricorsi, poi, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, non hanno effettivamente denunciato una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, bensì una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio.
Con alcune argomentazioni, infatti, sono state proposte doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso stimato più plausibile; tuttavia, la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di prova, di quelli ritenuti più idone sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 3, n. 17516 del 30/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275596 – 02; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 – 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 – 01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362 – 01).
Va ribadito, dunque, che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME Rv. 273217 – 01).
Anche da ultimo questa Corte ha precisato che il controllo sulla motivazione in sede di legittimità è circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla «verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione insindacabile e, pertanto, intangibile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata; 2) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza delle argomentazioni esposte rispetto al fine che le hanno determinate; 3) la non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo dell’atto impugnato o da altri atti del processo, se
specificamente indicati nei motivi di gravame» (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01).
Inoltre, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione, la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento a dati sostenibili, cioè desunti dai risultati probatori, e non a elementi meramente ipotetici seppur plausibili (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 – 04; Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237 – 01; Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204 – 01; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C., Rv. 260409 – 01).
In ordine ai motivi aventi ad oggetto la contestata sussistenza del reato associativo, che possono essere unitariamente trattati, risultando in larga parte sovrapponibili, la Corte di appello ha logicamente valorizzato le precise annotazioni dell’agente sotto copertura e il contenuto delle numerose conversazioni intercettate al fine della dimostrazione dell’accordo criminoso intervenuto fra il gruppo dei “milanesi” e quello dei “calabresi”, consacrato in numerosi incontri: fu COGNOME a introdurre COGNOME (esponente del primo gruppo, unitamente a Palamara, Catalano, Fuda e COGNOME), facendosi suo garante, mentre l’undercover fu introdotto da COGNOME esponente del secondo gruppo, del quale facevano parte anche COGNOME, COGNOME COGNOME e NOME COGNOME.
incontroversa la circostanza che l’intesa raggiunta dagli imputati fu incentrata sulla organizzazione di importazione di derrate alimentari da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE, intestata all’undercover, finanziata dagli aderenti all’accordo, merce che avrebbe viaggiato unitamente alla cocaina occultata: il carico veniva poi sdoganato all’interporto di Venezia e poi portato presso il magazzino della stessa ditta o in altri luoghi ove si sarebbe proceduto alla separazione della droga dalla merce lecita, con pagamento di una quota in sostanza stupefacente o in denaro a COGNOME e all’agente sotto copertura. É
Peraltro, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, potendo anche essere non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie e altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune (Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283691 – 02; Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610 -01).
Il ruolo dell’agente sotto copertura è risultato determinante già nella genesi della vicenda, in quanto fu proprio la possibilità di avere a disposizione un nuovo
e meno pericoloso canale d’importazione della cocaina, garantito dalla operatività della sua ditta, “la base per un vincolo associativo duraturo e stabile (in quanto garanzia di sicurezza e maggiore affidabilità rispetto a quelli utilizzati) secondo un programma comune che prevedeva la realizzazione di un numero indeterminato di operazioni illecite” (pag. 76 della sentenza impugnata), attuabili fin quando detto canale avesse garantito sicurezza e profitti.
L’attività d’importazione di stupefacente in corso da parte dei singoli gruppi ebbe quindi uno sviluppo rilevantissimo che per un verso richiese un accordo stabile e per altro verso comportò una sinergia sul piano dell’organizzazione in quanto le dotazioni di contatti con i fornitori, i canali di distribuzione e la capacità di finanziamento da quel momento furono funzionali allo sfruttamento del nuovo canale d’importazione, secondo un programma la cui stabilità e permanenza è emersa, in base alla ricostruzione dei giudici di merito, anche dal contenuto di numerose conversazioni intercettate: a questo proposito va ricordato che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche se sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.
In questa sede, dunque, è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01).
La sentenza impugnata, a conforto della interpretazione delle conversazioni intercettate, ha anche richiamato le ammissioni di NOME COGNOME in sede di interrogatorio nonché l’accertamento circa le sistematiche immissioni nella ditta RAGIONE_SOCIALE di denaro, per oltre 600.000 euro, di provenienza illecita dal traffico di stupefacenti, divenuto definitivo dopo la pronuncia della sentenza rescindente, che ha rigettato i ricorsi in punto di responsabilità per i reati di riciclaggio autoriciclaggio (nonché per tutti i reati-fine di importazione di ingenti quantitativi di cocaina, indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione, anche se di per sé insufficiente).
La pacifica esistenza di modalità prestabilite per lo stoccaggio e lo smistamento dello stupefacente importato, con una logistica funzionale a
consentire agli aderenti di reperire in breve tempo luoghi in cui custodire la droga giunta a Venezia, conferma la correttezza della valutazione fatta dal giudice del rinvio circa la sussistenza dell’elemento organizzativo, che costituisce il dato differenziale tra la fattispecie associativa di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 30 del 1990 e quella del concorso di persone nel reato prevista dagli artt. 110 cod. pen. e 73 del citato d.P.R., come da ultimo ribadito da questa Corte (Sez. 4, n. 27517 del 12/04/2024, COGNOME, Rv. 286738 – 01).
Detta valutazione non è inficiata dal fatto che a singole importazioni abbiano partecipato solo alcuni degli imputati, essendo anzi del tutto fisiologico la mancanza di una completa identità fra associati e autori dei singoli reati-scopo, avendo la Corte anche rimarcato, a conferma della permanenza del vincolo, che i rapporti tra gli imputati e l’attuazione del programma criminoso proseguirono pur a seguito dell’arresto di alcuni sodali (prima Femia e poi Fuda), addirittura precedente alle operazioni di importazione della cocaina integranti i reati-fine.
Gli stabili contatti fra alcuni degli imputati e i loro incontri periodici per “far il punto” della situazione, accertati nella fase delle indagini, hanno confermato secondo la incensurabile ricostruzione in fatto dei giudici di merito – la permanenza del vincolo tra gli associati, una volta cessata la commissione dei delitti-scopo, e la volontà di realizzare una serie indeterminata e duratura di importazione di cocaina dal Sudamerica.
Non è illogica neppure la considerazione della Corte di appello là dove ha affermato che l’asserita mancanza di una cassa comune o di una predefinita ripartizione di utili in capo a tutti gli associati risultava in ogni caso irrilevante ragione della descritta struttura e finalità del sodalizio, dislocata in regione diverse (in particolare Calabria e Lombardia), che non si occupava della successiva fase di commercializzazione della droga, risultando chiaro “come il vero utile che l’associazione garantiva fosse costituito, per COGNOME, nella quota parte dello stupefacente predefinito con i sodali importatori e, per tutti, dalla forza economica e criminale nell’ambito narcotraffico internazionale che tale contesto associativo garantiva attraverso la programmazione di plurime importazioni sicure” (pag. 85 della sentenza impugnata).
Peraltro, in linea generale, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l’assenza di una cassa comune non è ostativa al riconoscimento del sodalizio, essendo sufficiente, anche nella ipotesi di una gestione degli utili non paritaria né condivisa tra i vari sodali, che tra questi sussista un comune e durevole interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una sia pur minima organizzazione (cfr., ad es., Sez. 6, n. 2394
del 12/10/2021, dep. 2022, Napoli, Rv. 282677 nonché, da ultimo, Sez. 4, n. 26544 del 23/07/2024, COGNOME, non mass.).
È poi conforme alla costante giurisprudenza di legittimità la considerazione espressa dal giudice del rinvio circa la irrilevanza, al fine di escludere il reato associativo, di fisiologici contrasti insorti nell’ambito del sodalizio né di interess personali perseguiti dai vari aderenti: si è più volte affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, è sufficiente l’esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall’interesse a immettere stupefacente sul mercato del consumo, non essendo invece di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversità degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attività criminale e neppure l’esistenza di interessi conflittuali tra i singoli componenti del sodalizio (cfr., fra le tante, Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276068 nonché, da ultimo, Sez. 6, n. 34195 del 18/07/2024, Domicoli, non mass.).
Per il riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, non è neppure richiesto che le successive condotte delittuose dei singoli, di cui all’art. 73 dello stesso d.P.R., siano compiute in nome e per conto del sodalizio, essendo sufficiente che esse rientrino nel programma criminoso dell’associazione (cfr. Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269150 – 01; Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285646 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; Sez. 2, n. 10468 del 10/02/2016, Ancora, Rv. 266405 – 01; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265945 – 01).
Che ciò sia accaduto la Corte di appello lo ha ritenuto evidenziando anche le modalità di esecuzione dei reati-fine, analiticamente descritte nella sentenza impugnata (pagg. 92-95), che coinvolsero soggetti di entrambi i gruppi, essendo emersa dagli atti d’indagine “in modo non confutabile l’esistenza di collegamenti tra i sodali non solo rispetto ai gruppi di riferimento ma anche tra singoli, cosicché tutti erano in grado di contribuire con le attività proprie a fornire ausilio a quelle degli altri al fine dell’attuazione dello scopo comune” (pag. 89).
In questi termini il giudice del rinvio ha superato l’immagine della struttura della organizzazione “a stella”, evocata nella sentenza annullata, ritenendo che nella contestata consorteria fosse configurabile “una confederazione garantita da accordi associativi stabili e durevoli tra gruppi già operativi e accomunati dallo scopo di mantenere in vita il nuovo canale di importazione per il quale avevano messo in comune mezzi e risorse che avevano trovato nel COGNOME un intermediario necessario”.
Correttamente la Corte di merito ha così affermato che la possibilità di una confederazione tra gruppi distinti non è contraddetta dalla capacità di ogni gruppo di operare anche autonomamente: il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, infatti, è configurabile anche in caso di stabile collaborazione tra soggetti che partecipano, pure in posizione apicale, ad altri sodalizi impegnati nel medesimo settore criminoso o siano attivi, anche in forma non associata, in quel settore (cfr. Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 01 nonché, di recente, Sez. 4, n. 19969 del 18/04/2023, COGNOME, non mass.).
Non è fondata, poi, la deduzione svolta da alcuni ricorrenti circa la incompatibilità del periodo temporale nel quale essi avrebbero operato per l’associazione con la coscienza e volontà di partecipare ad essa: secondo la costante giurisprudenza di legittimità, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, e in particolare dell’affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282122 – 01; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 02; da ultimo vds. Sez. 6, n. 36868 del 05/09/2024, COGNOME, non mass.).
4. Ricorso COGNOME.
4.1. Per il primo motivo di ricorso, inerente alla contestata sussistenza dell’associazione, si richiama quanto osservato nei due paragrafi che precedono.
4.2. È fondato, invece, il secondo motivo con il quale la difesa ha denunciato la violazione del principio del divieto di reformatio in peius rispetto alla precedente sentenza di appello, che aveva inflitto all’imputato, ritenuto mero partecipe dell’associazione, una pena inferiore a quella determinata nella sentenza qui impugnata (otto anni di reclusione a fronte di nove anni irrogata dal giudice del rinvio).
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il principio sancito dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. opera anche nel giudizio di rinvio e si estende a tutti gli eventuali, ulteriori giudizi di rinvio, nel senso che la comparazione fra sentenze, necessaria alla individuazione del trattamento meno deteriore, deve essere eseguita tra quella di primo grado e quelle rese in detti giudizi, restando immodificabile in peius l’esito più favorevole tra quelli intervenuti a seguito di esclusiva impugnazione dell’imputato (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258652 – 01; Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801
– 04; Sez. 4, n. 31840 del 17/05/2023, COGNOME, Rv. 284862 – 01; Sez. 6, n. 16676 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284591 – 01; Sez. 5, n. 38470 del 10/07/2019, Natale, Rv. 277747 – 01).
Il trattamento deteriore è conseguito alla diversa qualificazione giuridica effettuata nella sentenza rescissoria che, confermando sul punto quella di primo grado, ha attribuito a COGNOME il ruolo di promotore dell’associazione, che costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione (Sez. 1, n. 6312 del 27/01/2010, COGNOME, Rv. 246118 – 01), così come ritenuto pacificamente anche in tema di associazione di tipo mafioso (Sez. 2, n. 31775 del 28/04/2023, COGNOME Rv. 285001 – 01; Sez. 6, n. 44667 del 12/05/2016, COGNOME, Rv. 268679 – 01; Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264631 – 01; Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 260444 – 01; Sez. 5, n. 8430 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 258304 – 01).
Si tratta di un profilo logicamente preliminare a quello della determinazione della pena, come efficacemente osservato dalla difesa.
Infatti, posto che sulla riqualificazione operata nella prima sentenza della Corte di appello non vi era stata alcuna impugnazione da parte dell’accusa (i ricorsi per cassazione vennero proposti solo dagli imputati), su tale punto della decisione si era formata una preclusione processuale e la riqualificazione operata nella pronuncia annullata, favorevole all’imputato, non poteva essere oggetto di rivalutazione da parte del giudice del rinvio, cui era demandato il compito di colmare le lacune motivazionali ravvisate dalla Sesta sezione in ordine alla sussistenza della sola condotta di partecipazione di NOME COGNOME al sodalizio, risultando definitivamente escluso il suo ruolo di promotore.
4.3. Non è fondato, invece, il terzo motivo, riguardante la partecipazione al reato associativo di NOME COGNOME non risultando la motivazione della sentenza impugnata né mancante né illogica.
La Corte di appello ha specificamente richiamato le risultanze probatorie che confermano l’intervento del ricorrente nei momenti cruciali della vita dell’associazione, a partire dagli incontri preliminari con COGNOME nel maggio e nell’agosto del 2014, seguiti da quello del 7 settembre 2014 in Calabria e soprattutto da quello di dieci giorni successivo al Valecenter di Marcon, quando egli introdusse COGNOME e il gruppo dei “milanesi” con COGNOME, che gli fece conoscere l’undercover: proprio in tale occasione furono poste le basi per l’avvio delle attività prodromiche all’arrivo della droga dalla Colombia attraverso il nuovo canale d’importazione.
La difesa ha dedotto che a presentare COGNOME, che poi portò COGNOME e gli altri “milanesi”, non fu COGNOME bensì NOME COGNOME come riferito da COGNOME in una conversazione con l’undercover. La sentenza, però, ha specificamente disatteso
detta ricostruzione, sulla base dell’annotazione dell’agente sotto copertura in data 13 luglio 2015 che “chiarisce l’apparente contrasto” (pag. 73 in nota): con detta puntuale motivazione il ricorso non si è confrontato, risultando dunque generico, così come sul ruolo svolto dallo stesso imputato in occasione dell’incontro svoltosi in Veneto il 23 novembre 2015 per dirimere il conflitto insorto sulla figura di COGNOME.
La Corte di appello ha anche citato il nuovo incontro di COGNOME con COGNOME e l’undercover in occasione dell’arrivo del primo carico di cocaina dagli stesso gestito, affermando correttamente che “la sua mancata partecipazione nella realizzazione dei reati fine non smentisce la circostanza della sua adesione all’associazione” (pag. 128): secondo la costante giurisprudenza di legittimità, in materia di reati associativi, la commissione dei reati-scopo dell’associazione, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria né ai fini della configurabilità e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione. Infatti, la fattispecie incriminatrice dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 richiede esclusivamente una condotta di partecipazione che è a forma libera, integrabile cioè da un qualunque comportamento non tipizzato nel modo, purché causale rispetto all’evento tipico, che apporti cioè un contributo, ancorché minimo ma non insignificante alla vita della struttura e in vista del perseguimento del suo scopo, con la conseguenza, a fini dimostrativi della partecipazione a un sodalizio criminale, della irrilevanza della mancanza di prova della consumazione del partecipe dei reati-fine, e del carattere non transitivo della prova della consumazione di più reati-fine a scopi immediatamente dimostrativi dell’appartenenza al sodalizio, posto che la condotta di partecipazione è strutturalmente impermeabile alla consumazione del reato-fine (cfr., ad es., Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, dep. 2016, Venere, Rv. 266710 – 01; Sez. 3, n. 40749 del 05/03/2015, NOME, Rv. 264826 – 01; Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, Bilancia, Rv. 247660 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso, peraltro, ha contestato in larga parte le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata sul “ruolo preminente” che secondo il giudice del rinvio avrebbe rivestito COGNOME considerato promotore del sodalizio con la statuizione sopra censurata, e non già sulla sua partecipazione al sodalizio.
4.4. Pertanto, in ragione dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato nel resto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia affinché proceda alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio sulla base della pena edittale prevista per il delitto di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990).
(-
5. Ricorso Violi.
5.1. Per il primo motivo di ricorso, sovrapponibile a quello proposto nell’impugnazione del medesimo difensore nell’interesse di COGNOME, inerente alla contestata sussistenza dell’associazione, si rinvia a quanto osservato nei paragrafi 2 e 3.
5.2. È manifestamente infondata, invece, la doglianza relativa alla motivazione sul diniego delle attenuanti generiche, che non è né illogica né contraddittoria.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590 – 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610 – 01).
Inoltre, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 01; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01).
Anche i soli precedenti penali possono essere valorizzati per escludere il riconoscimento delle suddette attenuanti (Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444 – 01; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01).
La Corte di appello, attenendosi a detti principi, ha osservato che la confessione dell’imputato, resa all’udienza di convalida dell’arresto in flagranza avvenuto il 3 dicembre 2015, è elemento di per sé insufficiente al fine del riconoscimento di dette attenuanti, il cui diniego è stato legittimamente motivato alla luce dello spessore criminale di COGNOME che ha diretto e organizzato operazioni di importazioni dall’estero di ingenti quantitativi di cocaina ed è gravato di numerosi ed anche rilevanti precedenti penali (fra i quali condanne per porto illegale di armi ed estorsione).
6. Ricorso COGNOME.
6.1. Per il primo motivo di ricorso, inerente alla contestata sussistenza dell’associazione, si richiama quanto osservato nei paragrafi 2 e 3.
6.2. Il secondo motivo, relativo all’attribuzione a COGNOME del ruolo di organizzatore del sodalizio, non è fondato.
Estrapolando due brevi frasi riferite da COGNOME all’agente sotto copertura, riportate in altrettante annotazioni da quest’ultimo redatte, la difesa ha sostenuto che COGNOME non era a conoscenza degli interessi illeciti dei soggetti appartenenti ad altre “batterie” e quindi non fornì alcun contributo causale efficiente alla vita dell’associazione, avendo al più perseguito un interesse personale allo sfruttamento del nuovo canale di importazione della cocaina.
La Corte di appello, tuttavia, rimarcata la partecipazione di COGNOME a tutte e quattro le importazioni di stupefacente, definitivamente accertata, ha evidenziato plurime circostanze indicative del suo ruolo di organizzatore del sodalizio, desunto da una serie di annotazioni dell’undercover, attestanti il suo rapporto privilegiato e paritario con COGNOME, la direzione del gruppo dei “calabresi”, l’intervento in incontri determinanti per la sorte dell’associazione, la conoscenza di tutte le operazioni svolte.
Nelle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata non sono ravvisabili né violazioni di legge né i vizi della motivazione lamentati nel ricorso, peraltro cumulativamente.
La difesa, là dove ha sostenuto un contrasto della motivazione con le emergenze probatorie, ha di fatto introdotto una prospettazione alternativa di merito, inammissibile in questa sede.
I giudici di merito hanno anche dato atto della diversità, quanto alla composizione e al diverso ambito temporale, dell’associazione di cui qui si tratta e di quella contestata nel processo “RAGIONE_SOCIALE“, cosicché la dedotta estraneità di COGNOME a tale secondo sodalizio non sarebbe in ogni caso in contrasto con la ritenuta sua partecipazione con ruolo apicale nella prima consorteria.
6.3. È infondato anche l’ultimo motivo di ricorso in tema di trattamento sanzionatorio.
In applicazione del principio sopra ricordato (sub § 5.2.), la sentenza impugnata ha dato atto, in primo luogo, dell’assenza di elementi di segno positivo tali da giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche, elementi che neppure nel ricorso sono stati allegati.
In ordine alla doglianza relativa alla determinazione della pena in continuazione, peraltro espressa in termini assai generici, va ricordato che di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che il giudice di merito ha l’onere di esprimere una specifica motivazione sull’aumento di pena per ciascuno dei reati satellite, precisando che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia surrettiziament
operato un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 41127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
Ribadendo un principio già espresso in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno affermato che, «qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale», dovendo essere tendenzialmente rispettato il criterio di proporzionalità reciproca nella determinazione delle pene per il reato più grave e per i reati satellite.
In particolare, sulla scorta della sentenza COGNOME si è affermato che il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01; da ultimo vds. Sez. 4, n. 37655 del 26/09/2024, Breshana, non mass.).
Nel caso di specie l’assai modesta entità degli aumenti disposti consente di verificare che sono stati rispettati i criteri e limiti sopraindicati, dato che pe quattro importazioni di ingenti quantitativi di cocaina (per chilogrammi 50, 98, 222 e 243), l’aumento è stato determinato, senza considerare la riduzione per il rito, in un anno di reclusione (in due casi), in un anno e sei mesi e in due anni di reclusione per gli altri due reati, vale a dire in misura assai inferiore al minimo della pena (otto anni di reclusione) previsto per ciascun delitto ex artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990.
7. Ricorso Dascalu.
Per quanto concerne le doglianze riguardanti la sussistenza dell’associazione si richiama quanto osservato nei paragrafi 2 e 3 circa il rispetto del disposto dell’art. 627 cod. proc. pen. da parte del giudice del rinvio, la cui motivazione è esente dai vizi denunciati.
Neppure le argomentazioni inerenti alla partecipazione di NOME COGNOME all’associazione sono fondate.
Secondo la incensurabile ricostruzione dei giudici di merito, basata sulle numerose annotazioni dell’agente sotto copertura e conversazioni intercettate, la ricorrente era presente durante le varie riunioni svoltesi presso l’abitazione ove conviveva con COGNOME che accompagnava in occasione degli incontri con gli altri sodali e con gli acquirenti dello stupefacente; effettuò personalmente la consegna all’undercover di mezzo chilogrammo di cocaina costituente parte del
carico arrivato a Venezia il 10 luglio 2015 (fatto per il quale l’imputata è stata condannata in via definitiva in separato processo); si incaricava di trasmettere messaggi di COGNOME ad altri sodali (COGNOME e COGNOME) parlando con le loro compagne; rivolgeva richieste e impartiva istruzioni mostrandosi pienamente al corrente dei rapporti intrattenuti dalla RAGIONE_SOCIALE con le ditte sudamericane; poneva in essere plurime attività di riciclaggio al fine di garantire la operatività dell stessa ditta e quindi dell’associazione, fatti per i quali, anche in questo caso, l’accertamento di responsabilità è divenuto definitivo a seguito del rigetto da parte della Sesta sezione dei motivi riguardanti i relativi capi d’imputazione.
Le condotte indicate nella sentenza impugnata non sono affatto generiche e legittimamente sono state ritenute dai giudici di merito espressive anche della coscienza e volontà di NOME COGNOME di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e del programma delittuoso in modo stabile e permanente, sicché è integrato il dolo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (cfr. Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, COGNOME, Rv. 283351 – 04; Sez. 1, n. 30463 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251012 – 01; Sez. 6, n. 5970 del 23/01/1997, COGNOME, Rv. 208306 – 01; da ultimo v. Sez. 6, n. 34204 del 18/07/2024, Pascal, non mass.).
8. Ricorso Monteleone.
8.1. Sulla infondatezza del primo motivo, riguardante la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. e la correlata illogicità della motivazione, si rinvia a quanto osservato nella parte generale (sub § 2.1.).
8.2. Alla stessa parte (sub § 3.) si fa richiamo per quanto concerne le doglianze (violazione di legge e vizio della motivazione, cumulativamente denunciato) relative alla ritenuta sussistenza dell’associazione ex art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
Con il secondo motivo la difesa ha censurato la sentenza impugnata anche là dove ha ritenuto dimostrata la partecipazione dell’imputato all’associazione, così come il primo giudice.
Il motivo di ricorso sul punto è generico perché nella sostanza non si confronta con le specifiche argomentazioni della Corte territoriale a sostegno della propria conclusione.
COGNOME, che faceva parte del gruppo dei “calabresi”, ebbe un ruolo determinante nella realizzazione del canale commerciale con la compiacente ditta del Costarica “RAGIONE_SOCIALE del Sud”, grazie al quale furono importati gli ingenti quantitativi di cocaina il 10 luglio 2015 e il 3 dicembre 2015, operazioni delle quali egli seguì le fasi preparatorie, organizzative ed esecutive,
contribuendo a finanziare la spedizione della droga, recandosi sul posto e tenendo i contatti con i fornitori.
Il ricorrente, responsabile anche di condotte di riciclaggio di denaro, finalizzate a finanziare le operazione di acquisto della merce di copertura, e soprattutto, in stretto rapporto con COGNOME e il cugino COGNOME, partecipava alla definizione delle strategie e degli obiettivi da realizzare, come quando, insieme ai predetti, intraprese una trattativa per l’importazione di stupefacente da Panama.
Così ricostruito dai giudici di merito il ruolo svolto da COGNOME risulta incensurabile la valutazione in ordine al suo organico inserimento nel sodalizio criminoso, al suo apporto causale e alla consapevole volontà di aderirvi, ben al di là della partecipazione ad alcuni reati-fine.
8.3. È del tutto generica e comunque manifestamente infondata la doglianza relativa al diniego delle attenuanti ex art. 62-bis cod. pen.
La sentenza, oltre a rimarcare la gravità della condotta, connotata da un dolo di particolare intensità, ha ricordato il grave precedente penale specifico di Monteleone (condanna per il reato ex artt. 74 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990) nonché l’assenza di elementi positivi che la difesa non ha indicato neppure in ricorso.
8.4. È fondato, invece, l’ultimo motivo dell’impugnazione qui proposta.
Con l’atto di appello si era lamentata la totale assenza di motivazione nella sentenza del primo giudice in ordine all’applicazione della pena accessoria del ritiro della patente di guida, previsto dall’art. 85 d.P.R. n. 309 del 1990, motivo reiterato con il ricorso per cassazione, ritenuto assorbito dalla Sesta sezione.
Neppure la sentenza impugnata, al pari di quella annullata, ha fornito alcuna risposta alla doglianza difensiva. Effettivamente il G.i.p., in dispositivo, aveva applicato la pena accessoria del ritiro della patente di guida per tre anni, unitamente a quella del divieto di espatrio, ma in motivazione non aveva espresso alcuna argomentazione sul punto.
Detta pena accessoria ha natura facoltativa e non obbligatoria; pertanto essa richiede una specifica motivazione da parte del giudice (Sez. 3, n. 10081 del 21/11/2019, Radoman, dep. 2020, Rv. 278537 – 03; Sez. 6, n. 41727 del 18/11/2010, COGNOME, Rv. 248812 – 01; Sez. 6, n. 43308 del 29/10/2009, COGNOME, Rv. 245025 – 01; Sez. 3, n. 16285 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243398 – 01), mancando la quale la sentenza impugnata va annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello.
9. Ricorso Palamara.
9.1. Per il primo motivo di ricorso, inerente alla contestata sussistenza dell’associazione, si rinvia a quanto osservato nei paragrafi 2 e 3.
9.2. È generico e infondato il secondo motivo, riguardante la ritenuta partecipazione di Palamara all’associazione.
Il concorso in due operazioni di importazione della cocaina dal Sudamerica, seguite nelle fasi preparatorie e organizzative, non è stato indicato dalla Corte di merito quale prova di detta partecipazione bensì quale rilevante riscontro al ruolo svolto nel sodalizio dal ricorrente, emerso sin dal primo incontro a Milano con l’undercover e rivelatosi importante con il finanziamento di numerose importazioni di merce dalla Colombia, destinate a creare e consolidare un canale commerciale lecito da utilizzare per importare ingenti quantitativi di cocaina, fatto già definitivamente accertato a seguito della condanna per i reati di riciclaggio.
La sentenza impugnata non ha obliterato neppure il profilo soggettivo, rimarcando anche l’allarmata reazione di COGNOME a fronte della notizia delle dichiarazioni rese dopo l’arresto da COGNOME, definito “infame”, ritenuta con logica osservazione “indice della sua consapevolezza che tale evenienza avrebbe potuto incidere sull’attività associativa che lo vincolava ai suoi sodali” (pag. 119).
In generale, inoltre, i giudici di merito non hanno sovrapposto elemento oggettivo ed elemento soggettivo del reato associativo, evidenziando soltanto che le particolari modalità dell’accordo tra i due gruppi, incentrato sulla organizzazione e sul finanziamento della importazione di merce da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE destinato a produrre effetti stabili e duraturi grazie all sfruttamento del nuovo canale proposto dall’undercover, disvelavano la consapevolezza e la volontà in capo agli aderenti di mantenere un vincolo permanente per la realizzazione del fine comune di trarre profitto dalle importazioni di ingenti quantitativi di cocaina, risultando così integrato il dolo del reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (v. anche sub § 7.).
9.3. È del tutto generico e comunque manifestamente infondato l’ultimo motivo, in tema di trattamento sanzionatorio, con il quale si è dedotto soltanto, quanto al diniego delle attenuanti generiche, che l’onere motivazionale “non sembra essere stato assolto dalla sentenza impugnata” e che “analoga carenza si rinviene in punto di valutazione dell’entità della pena finale applicata all’imputato nonché con riferimento all’eccessività degli aumenti disposti in continuazione”.
La Corte di appello, infatti, ha evidenziato il grave precedente penale specifico del quale è gravato COGNOME nonché l’assenza di elementi favorevoli, neppure indicati dalla difesa.
La pena per il reato di importazione di stupefacente di cui al capo 3 è stata determinata in undici anni di reclusione, in misura assai prossima al minimo edittale di dieci anni di reclusione (a fronte di un massimo di ventiquattro anni), considerato che l’individuazione del concreto trattamento sanzionatorio per il
reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l’irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati-satellite (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255348 – 01; Sez. 3, n. 18099 del 15/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279275 – 01; da ultimo vds. Sez. 2, n. 39983 del 12/09/2024, Ferrara, non mass.).
Gli aumenti determinati a titolo di continuazione (due anni per il reato associativo, un anno e sei mesi per l’importazione di 222 chilogrammi di cocaina e un anno per il riciclaggio di 225.000 euro) sono stati assai modesti e in proposito si rinvia ai principi richiamati sul punto in precedenza (sub § 6.3.).
10. Ricorso Catalano.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. proposta dalla difesa in via preliminare è irrilevante, considerato che il giudizio di primo grado si è svolto con rito abbreviato e che l’avv. NOME COGNOME era munito di procura speciale.
Questa Corte di legittimità ha in proposito affermato che non trova applicazione il disposto di cui all’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen., che prescrive uno specifico mandato a impugnare con riguardo all’imputato giudicato in assenza, nel caso in cui la definizione con rito alternativo sia stata richiesta dal difensore munito di procura speciale, posto che, in tale eventualità, non sussistono dubbi sulla conoscenza del processo da parte dell’imputato, il quale, ai sensi dell’art. 420, comma 2 -ter, cod. proc. pen., è «considerato presente» quando «richiede per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso a un procedimento speciale» o «è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale» (Sez. 2, n. 13714 del 08/03/2024, Jebali, Rv. 286208 – 01; Sez. 3, n. 43835 del 12/10/2023, C., Rv. 285332 – 01; da ultimo v. Sez. 7, n. 35571 del 04/07/2024, Franco, non mass.).
10.1. Per il primo motivo di ricorso, sovrapponibile a quello proposto nell’impugnazione proposta dal medesimo difensore nell’interesse di Palamara, inerente alla contestata sussistenza dell’associazione, si richiama quanto osservato nei paragrafi 2 e 3.
10.2. È generico e infondato il secondo motivo, riguardante la partecipazione di Catalano all’associazione che la Corte di appello non ha desunto soltanto dalla sua responsabilità, accertata in via definitiva, per l’importazione di 243 chilogrammi di cocaina del 18 novembre 2015 e per numerose condotte di riciclaggio.
La sentenza, infatti, ha rimarcato che COGNOME partecipò a una serie di incontri, alla presenza anche di COGNOME e COGNOME, inequivocabilmente finalizzati a
organizzare le future importazioni dalla Colombia di cocaina, nascosta fra la merce di copertura, mediante la consegna di consistenti somme di denaro all’undercover (pag. 104). Con tali argomentazioni il ricorrente ha omesso di confrontarsi.
La Corte di merito, quanto al tempo in cui il ricorrente operò nel sodalizio, ha ritenuto “il dato temporale comunque apprezzabile” e ha correttamente ricordato che, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione all’associazione, la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose può essere anche breve (v. sub § 3.).
10.3. È del tutto generico e comunque manifestamente infondato l’ultimo motivo, in ordine al diniego delle attenuanti generiche, con il quale si è dedotto che l’onere motivazionale “non sembra essere stato assolto dalla sentenza impugnata”.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la sentenza non ha solo evidenziato la mancanza di elementi favorevolmente valutabili (considerazione, peraltro, da sola sufficiente), ma ha anche ricordato il grave precedente penale specifico dell’imputato (per il reato ex artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990), oltre a quello di tentata estorsione, nonché il suo negativo comportamento processuale, essendosi reso latitante due volte.
11. Ricorso Vadalà.
11.1. Sulla infondatezza del primo motivo, nella parte riguardante la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. e la sussistenza del reato associativo, si rinvia a quanto osservato nella parte generale.
Non sono fondate neppure le censure inerenti alla partecipazione di COGNOME al sodalizio criminoso.
Diversamente da quanto opinato dalla difesa, la condotta del ricorrente, finalizzata ad aprire un nuovo canale d’importazione e a finanziare il mantenimento e l’operatività della RAGIONE_SOCIALE, ha rappresentato un apporto concreto alle operazioni dell’associazione: dalle risultanze probatorie richiamate dai giudici di merito è emerso che egli, nel settembre 2014, fu introdotto nel sodalizio grazie a NOME COGNOME e nel primo incontro con COGNOME e l’agente sotto copertura rappresentò di avere attività commerciali in molti paesi con amicizie influenti con funzionari governativi e delle forze dell’ordine, grazie alle quali sarebbe stato in grado di movimentare merce di copertura senza difficoltà.
COGNOME, poi, introdusse come sodali COGNOME COGNOME e COGNOME nel corso dei numerosi documentati incontri a Milano con l’undercover, durante i quali egli manifestò la piena adesione e condivisione degli obiettivi dell’associazione, ben lungi dal porre in essere un’attività criminosa episodica.
Da una serie di conversazioni intercettate, ricordate nella sentenza impugnata, sono emerse l’intraneità di COGNOME al narcotraffico internazionale e la sua capacità di disporre contatti con i fornitori sudamericani, oltre alle indicazioni dallo stesso fornite ai sodali volte ad eludere eventuali controlli.
La Corte di appello ha altresì evidenziato il ruolo rilevante svolto dall’imputato nel finanziamento della merce di copertura dal Sudamerica, con il riciclaggio di consistenti somme di denaro, già definitivamente accertato.
Il contrasto insorto a distanza di oltre un anno, dopo il fallimento della importazione di droga dall’Ecuador, tra COGNOME e altri sodali, che lo ritenevano troppo autonomo, è circostanza che – come logicamente affermato nella sentenza impugnata – non inficia in alcun modo il dato della pregressa partecipazione del ricorrente all’associazione, che peraltro di lì a poco avrebbe cessato la propria operatività.
11.2. È manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche che la Corte non ha riconosciuto applicando correttamente i principi in precedenza richiamati (sub § 5.2.), evidenziando la spiccata capacità a delinquere dell’imputato, il precedente penale del quale egli è gravato e l’assenza di elementi positivi valutabili a suo favore, tale non potendo essere considerata la sola decisione di rispondere agli interrogatori.
Non sussiste neppure la violazione di legge denunciata dalla difesa là dove ha censurato la motivazione sul punto per avere la sentenza richiamato gli stessi elementi desunti dall’art. 133 cod. pen., già utilizzati per determinare l’entità della pena, asseritamente in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la gravità delle condotte e la elevata capacità a delinquere dell’imputato costituiscono dati di indubbia rilevanza negativa che ben possono spiegare efficacia sui differenti profili di valutazione rappresentati dalle attenuanti generiche e dalla entità della pena senza con ciò comportare lesione del principio del ne bis in idem (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378 – 01; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, NOME COGNOME Rv. 258011 – 01).
11.3. È privo di fondamento anche l’ultimo motivo in tema di graduazione della pena.
La pena base per il più grave reato associativo è stata determinata nel minimo edittale di dieci anni di reclusione, prima dell’aumento di soli otto mesi di reclusione per le condotte di riciclaggio, reato che prevede la pena detentiva
minima di quattro anni di reclusione. La decisione è incensurabile in ragione di quanto in precedenza osservato a proposito dell’onere di motivazione sull’aumento di pena per i reati in continuazione, alla luce della sentenza COGNOME e della successiva giurisprudenza di legittimità (sub § 6.3.).
12. Ricorso Fuda.
Sulla infondatezza del primo motivo, nella parte riguardante la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. e la sussistenza del reato associativo, si richiama quanto osservato nella parte generale.
Non sono fondate neppure le censure inerenti alla partecipazione di COGNOME al sodalizio criminoso.
Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la condotta di COGNOME non si limitò alla partecipazione attiva all’incontro del 6 giugno 2015, prodromico all’importazione di cocaina giunta a Venezia il 18 novembre 2015 (fatto per il quale COGNOME è stato definitivamente condannato), dato che i suoi rapporti con l’undercover risalivano al 25 settembre 2014, giorno in cui l’agente sotto copertura gli fu presentato, alla presenza anche di COGNOME (pag. 110 della sentenza impugnata).
La Corte ha anche richiamato le dichiarazioni di COGNOME che con COGNOME collaborava a stretto contatto, circa la consegna di rilevanti somme di denaro per mantenere in vita la ditta RAGIONE_SOCIALE e la partecipazione alle varie riunioni programmatiche e strategiche con gli altri sodali, sintomatica della loro affectio societatis.
L’arresto del ricorrente, avvenuto solo il 17 giugno 2015, è circostanza che non inficia il dato della sua pregressa partecipazione all’associazione, che avrebbe poi operato per altri sei mesi; la sua omertà (“…non ha mai parlato e non parlerà…”), fu pure apprezzata nel corso di un colloquio fra COGNOME e l’undercover, come ricordato dalla Corte territoriale.
13. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla rideterminazione della pena sulla base di quella prevista per il delitto di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990), esclusa la sua qualità di promotore, e nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’applicazione della pena accessoria del ritiro della patente di guida. Gli altri motivi proposti nei predetti ricorsi vanno rigettati per le ragioni sopraindicate.
I ricorsi proposti nell’interesse degli altri sette imputati vanno integralmente rigettati. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. segue la condanna degli stessi al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME limitatamente al reato di cui al capo 1), relativamente alla qualifica di promotore,
che elimina, e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Venezia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Rigetta nel
resto il ricorso e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Franco limitatamente alla pena accessoria di cui all’art. 85 d.p.r. n. 309 del 1990, con
rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di
Venezia. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Rigetta i ricorsi di NOME, NOMECOGNOME
COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/10/2024.