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Associazione per spaccio: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per associazione per spaccio nei confronti di un gruppo familiare che, con la complicità di un agente di polizia penitenziaria, aveva organizzato un traffico di stupefacenti all’interno di un carcere. La Corte ha rigettato i ricorsi degli imputati, chiarendo che per configurare il reato associativo sono sufficienti un patto stabile, una divisione dei ruoli e una continuità nell’azione criminale, anche in assenza di una struttura complessa o di una ‘cassa comune’. È stata inoltre esclusa l’ipotesi della lieve entità a causa della gravità della condotta, caratterizzata dalla corruzione e dall’introduzione sistematica di droga in un istituto penitenziario.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per Spaccio: Quando il Gruppo Diventa un’Organizzazione Criminale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33696 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la distinzione tra il semplice concorso di persone nel reato di spaccio e la più grave fattispecie di associazione per spaccio. Analizzando il caso di un traffico di droga gestito da un nucleo familiare all’interno di un carcere con la complicità di un agente, la Corte offre importanti chiarimenti sui requisiti necessari per configurare il reato associativo, anche in presenza di una struttura organizzativa minima.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un gruppo di individui, legati da vincoli familiari, accusati di aver creato e gestito un’organizzazione dedita all’acquisto, al trasporto e alla cessione di hashish e cocaina all’interno di un istituto penitenziario. La figura chiave dell’operazione era il padre, detenuto, che coordinava le attività dall’interno del carcere comunicando tramite telefoni cellulari illecitamente introdotti. All’esterno, la sua compagna e i due figli si occupavano dell’acquisto e del confezionamento delle sostanze.

Il passaggio finale era affidato a un agente di polizia penitenziaria corrotto, il quale assicurava l’ingresso della droga in carcere in cambio di denaro, per poi essere distribuita ai detenuti. Gli imputati, condannati in primo e secondo grado, hanno presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, l’insussistenza di una vera e propria struttura associativa e chiedendo il riconoscimento della lieve entità dei fatti.

L’Analisi dell’Associazione per Spaccio da Parte della Corte

I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili. La Corte Suprema ha ritenuto che le sentenze di merito avessero correttamente identificato tutti gli elementi costitutivi del reato di associazione per spaccio previsto dall’art. 74 del DPR 309/1990. La Cassazione ha ribadito che, per la configurabilità di tale reato, non è necessaria una struttura complessa e gerarchica, essendo sufficiente anche una struttura ‘esile’.

Gli elementi chiave individuati dalla Corte sono:

* Il Patto Associativo Stabile: Un accordo, anche non formale, tra almeno tre persone per commettere una serie indeterminata di delitti legati agli stupefacenti.
* La Divisione dei Ruoli: Una precisa ripartizione dei compiti (chi coordina, chi acquista, chi trasporta, chi consegna) che dimostra un’organizzazione funzionale al raggiungimento dello scopo comune.
* La Stabilità del Sodalizio: La messa a disposizione continua delle proprie energie e risorse per il programma criminale, che va oltre la semplice collaborazione occasionale per un singolo episodio di spaccio.

La Struttura dell’Organizzazione e la Cassa Comune

Gli imputati avevano sostenuto che l’assenza di una ‘cassa comune’ provasse la mancanza di una vera struttura organizzativa. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, chiarendo che la cassa comune non è un elemento essenziale per l’esistenza di un’associazione criminale. Ciò che rileva è la stabilità del patto e la continua operatività del gruppo, dimostrata nel caso specifico dalla sistematicità degli acquisti, dalla precisa ripartizione dei ruoli e dal modus operandi costante e collaudato.

La Questione della Lieve Entità nell’Associazione per Spaccio

Un altro punto centrale dei ricorsi era la richiesta di riqualificare il fatto nell’ipotesi di lieve entità (art. 74, comma 6). La Corte ha escluso tale possibilità, sottolineando come la valutazione debba essere complessiva e non limitata alla quantità di droga sequestrata nei singoli episodi. Nel caso in esame, diversi fattori indicavano una gravità tutt’altro che lieve:

1. La Corruzione di un Pubblico Ufficiale: Il coinvolgimento di un agente di polizia penitenziaria è stato considerato un elemento di allarmante gravità, indice di un’elevata capacità criminale e di una particolare insidiosità dell’azione.
2. L’Operatività in Contesto Carcerario: L’introduzione sistematica di droga in un istituto di pena è una condotta che mina la sicurezza e l’ordine interno, aggravando notevolmente il disvalore del fatto.
3. La Stabilità del Collegamento: I rapporti continui con i fornitori e l’organizzazione costante delle consegne deponevano per un’attività strutturata e non occasionale.

Le motivazioni

La Corte ha motivato l’inammissibilità dei ricorsi sulla base del principio della ‘doppia conforme’. Le sentenze di primo e secondo grado avevano analizzato in modo logico e coerente le prove, in particolare le intercettazioni telefoniche e i servizi di osservazione, da cui emergeva chiaramente l’esistenza di un patto stabile e di un’organizzazione funzionale allo spaccio continuativo in carcere. I ricorsi, secondo la Cassazione, si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dai giudici di merito, senza individuare reali vizi di legittimità. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che valorizza i ‘facta concludentia’ (fatti concludenti), come i contatti continui tra i sodali e la divisione dei compiti, quali prove del vincolo associativo permanente. La gravità del sistema corruttivo creato per far entrare la droga in carcere è stata l’elemento decisivo per escludere qualsiasi ipotesi di lieve entità, confermando la piena responsabilità degli imputati per il grave reato di associazione per spaccio.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce che un’associazione per spaccio può esistere anche con una struttura minima e senza elementi come una cassa comune, purché sia provata la stabilità del vincolo e l’organizzazione funzionale a un programma criminale. Inoltre, la gravità della condotta, valutata in base a tutti i suoi aspetti (modalità, mezzi, contesto), può precludere il riconoscimento della lieve entità, specialmente in casi di particolare allarme sociale come il traffico di droga all’interno delle carceri con il coinvolgimento di pubblici ufficiali. La decisione conferma un approccio rigoroso nella repressione delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico.

Quando un gruppo di persone che spaccia droga diventa un’associazione per spaccio?
Un gruppo diventa un’associazione per spaccio quando sussiste un vincolo stabile e permanente tra almeno tre persone, finalizzato a commettere una serie indeterminata di reati di narcotraffico. Non è sufficiente una collaborazione occasionale, ma è necessaria una struttura organizzata, anche se minima, con una divisione dei ruoli e la messa a disposizione continua delle proprie risorse per il fine comune.

La mancanza di una ‘cassa comune’ esclude il reato di associazione per spaccio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la presenza di una cassa comune non è un elemento indispensabile per configurare il reato di associazione per spaccio. L’elemento cruciale è la stabilità del patto criminale e l’organizzazione funzionale a commettere i reati, che possono essere provati anche attraverso altri elementi come la continuità dei contatti e la ripartizione dei compiti.

È possibile applicare l’attenuante della ‘lieve entità’ a un’associazione per spaccio che opera in carcere con un agente corrotto?
No. La sentenza chiarisce che la valutazione sulla lieve entità deve considerare tutti gli aspetti della condotta. L’introduzione di droga in carcere tramite la corruzione di un agente di polizia penitenziaria è una modalità di azione di allarmante gravità. Questo, unito alla stabilità del sistema e alla disponibilità di diversi tipi di droghe, costituisce un quadro di offensività tale da escludere la configurabilità dell’ipotesi lieve.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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