Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10855 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10855 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 17/12/1984
avverso l’ordinanza del 28/10/2024 del Tribunale di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28 ottobre 2024 il Tribunale di Napoli ha confermato il provvedimento emesso il 2 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura
cautelare della custodia in carcere, per avere partecipato all’associazione, dedita al narcotraffico, capeggiata da NOME COGNOME
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto vizi della motivazione, per avere il Tribunale valorizzato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che sarebbero generiche, seppure abbiano fornito una prospettazione inerente all’autonomia dell’attività posta in essere dal ricorrente in una piazza di spaccio. Tali dichiarazioni non troverebbero riscontro alcuno nel materiale accusatorio e neanche nelle dichiarazioni di NOME COGNOME COGNOME, contrastanti con quelle dell’altro collaboratore. Quest’ultimo, infatti, aveva detto che il ricorrent era titolare di una piazza autonoma; COGNOME, al contrario, lo aveva individuato quale spacciatore del clan COGNOME. Peraltro, il Tribunale non avrebbe considerato sia che dai filmati, estratti dalle telecamere nel garage di NOME COGNOME, non sarebbe emersa la presenza del ricorrente sia che i rapporti con alcuni sodali troverebbero origine soltanto dai legami familiari intercorrenti. Con riguardo all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., inoltre, si discorrerebbe della posizione di NOME COGNOME, suocero di NOME COGNOME e non di quella del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
Incontestata la sussistenza del sodalizio, capeggiata da NOME COGNOME il Tribunale ha affermato che un primo elemento altamente indiziante della partecipazione del ricorrente era dato dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che aveva attribuito un ruolo chiaro all’indagato, collocandolo con certezza nel mercato della droga per conto dell’anzidetto capo clan, con compiti trasversali sia di ausilio e supporto che di spaccio. Il menzionato collaboratore di giustizia aveva riferito circostanze specifiche, vissute in prima persona, come la vicenda del summit, tenuto presso l’abitazione del ricorrente, che pure vi aveva preso parte, altamente indicativa della sua intraneità.
Secondo il Tribunale, tali dichiarazioni, attendibili poiché precise, dettagliate, coerenti e relative a fatti vissuti in prima persona dal collaboratore, non erano «contrastate da altre risultanze probatorie di segno contrario: anzi, erano convergenti con le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, secondo cui il ricorrente spacciava per conto del clan COGNOME (di cui NOME COGNOME era il
capo)», e trovavano riscontro anche nei filmati presso il garage di NOME COGNOME e nelle intercettazioni richiamate nell’ordinanza genetica, che avevano documentato i ripetuti e frequenti contatti tra il ricorrente e altri sogget stabilmente dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti e pienamente inseriti nella compagine associativa. Dalle conversazioni captate era emerso, tra l’altro, che la casa del ricorrente costituiva spesso il luogo di ritrovo e di riunioni tra partecipi e il loro capo, così che era confermato anche il narrato di COGNOME sul punto, che aveva collocato un summit di camorra proprio presso l’abitazione del ricorrente. Era anche emerso che il ricorrente aveva rapporti con il capo indiscusso del clan.
Il Collegio della cautela ha anche precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la circostanza, riferita dal collaboratore COGNOME, della titolarità da parte del ricorrente di un’autonoma piazza di spaccio non risultava in contraddizione con il ruolo di partecipe all’associazione. L’indicazione, invece, riscontrava l’ipotesi accusatoria, in quanto perfettamente in linea con le modalità di gestione delle piazze di spaccio da parte del clan. Mentre, infatti, gli affiliati gestori di piazze di spaccio, riconducibili al sodalizio, non erano tenuti al pagamento della provvigione, i titolari di piazze di spaccio, gestite da esterni, erano, in quanto tali, tenuti a versare periodicamente parte dei proventi al gruppo, che, in caso contrario, metteva in atto ritorsioni contro i gestori inadempienti. Il ricorrente, nella qualità di intraneo, gestiva la sua piazza di spaccio autonoma, nel senso che da interno non pagava provvigione e offriva il suo contributo, rifornendosi da NOME COGNOME e gestendo per conto dell’associazione l’autonoma piazza di spaccio.
Alla luce di tali elementi è evidente che la motivazione del provvedimento impugnato, con cui il ricorrente è stato ritenuto intraneo al sodalizio, è immune da vizi, sindacabili in questa sede, avendo il Tribunale, al pari del Giudice per le indagini preliminari, individuato fatti concreti rivelatori dello stabile inseriment dell’indagato nell’associazione, «alla quale deliberatamente aderiva e della quale condivideva i piani delittuosi e alla cui attuazione contribuiva in modo non occasionale».
Il ricorrente, di contro, non ha individuato passaggi o punti della decisione idonei a disarticolare o, comunque, a porre in crisi la complessiva tenuta del discorso logico-argomentativo delineato dal Collegio della cautela, essendosi limitato a svilire gli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato e a sollecitare una non consentita ricostruzione del quadro indiziario.
Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178 – 01).
3. La censura sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante è infondata.
Se è vero, infatti, che, a pagina 22 dell’ordinanza impugnata, nel motivare in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., si fa riferimento ad NOME COGNOME, è altresì vero che il Tribunale ha premesso che valevano «le considerazioni svolte nel precedente paragrafo (da intendersi richiamate anche in relazione alle specifiche posizioni al vaglio)» e, quindi, ha valorizzato la circostanza «che l’associazione aveva ottenuto e mantenuto il monopolio sulle attività di spaccio, avvalendosi della forza di intimidazione nascente dal vincolo associativo e dal carisma criminale dei suoi capi e imponendosi sul territorio anche militarmente». Ha poi aggiunto che era anche configurabile la finalità agevolatrice del sodalizio, «nell’ottica del rafforzamento del potere dell’associazione sul territorio attraverso il controllo delle piazze di spaccio nonché del finanziamento delle sue casse».
Tali argomentazioni sono idonee a fondare la sussistenza dell’aggravante de qua.
Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presi ente