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Associazione per narcotraffico: quando si è complici?

La Corte di Cassazione ha confermato una misura di custodia cautelare, rigettando il ricorso di un individuo accusato di partecipazione in un’associazione per narcotraffico. La sentenza chiarisce che un rapporto stabile e consapevole di fornitura, che va oltre la semplice compravendita e si integra negli scopi del gruppo, è sufficiente a configurare la partecipazione all’associazione criminale, anche in assenza di contatti con tutti gli altri membri.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per narcotraffico: quando il fornitore diventa complice?

La linea di demarcazione tra essere un semplice spacciatore e un membro effettivo di un’associazione per narcotraffico è spesso sottile e complessa da definire. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto cruciale, stabilendo i criteri per determinare quando un rapporto di fornitura di stupefacenti si trasforma in una vera e propria partecipazione a un sodalizio criminale. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere la logica seguita dai giudici nel valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per un reato così grave.

I Fatti del Caso

Un individuo, destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere, proponeva ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame. L’accusa provvisoria era quella di far parte di un’associazione dedita al traffico di marijuana e cocaina. Secondo la difesa, le indagini avevano evidenziato unicamente un rapporto bilaterale di compravendita di droga tra l’indagato e il presunto capo dell’organizzazione, senza che emergessero contatti con altri membri o la consapevolezza di agire per un fine comune.

I Motivi del Ricorso: una difesa a tutto campo

La difesa dell’imputato si basava su tre argomenti principali:

1. Mancanza di partecipazione all’associazione: Si sosteneva l’assenza di un vincolo stabile e durevole e della cosiddetta affectio societatis, ovvero la volontà cosciente di far parte del gruppo criminale. Il rapporto, a dire della difesa, era meramente commerciale (acquirente-venditore), non associativo.
2. Omessa riqualificazione del reato: Veniva lamentata la mancata considerazione della possibilità di qualificare i singoli episodi di spaccio come fatti di lieve entità, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990.
3. Insussistenza delle esigenze cautelari: Si contestava la necessità della misura della custodia in carcere, ritenuta sproporzionata.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, giudicandolo infondato e, per alcuni aspetti, generico. L’analisi dei giudici fornisce chiarimenti preziosi.

Sulla partecipazione all’associazione per narcotraffico

Il cuore della decisione riguarda il primo motivo. La Corte ribadisce un principio consolidato: per integrare la partecipazione a un’associazione per narcotraffico, è sufficiente la costante disponibilità a fornire le sostanze, se questa crea un rapporto durevole e se vi è la coscienza e la volontà di contribuire al mantenimento e agli scopi dell’organizzazione.

Nel caso specifico, le intercettazioni telefoniche e ambientali avevano rivelato molto più di un semplice rapporto di fornitura. Erano emerse conversazioni in cui l’indagato veniva messo al corrente dei canali di approvvigionamento del gruppo, si scambiavano informazioni su controlli di polizia in un’ottica di reciproca solidarietà criminale e, dopo l’arresto del capo, si discuteva su come proseguire l’attività. Questi elementi, secondo la Corte, dimostrano in modo inequivocabile la stabilità del vincolo e l’adesione psicologica (affectio societatis) al programma criminale, superando la soglia del mero rapporto sinallagmatico.

La genericità degli altri motivi

Gli altri due motivi sono stati respinti perché ritenuti generici. La difesa si era limitata a lamentare un’omissione da parte del Tribunale del riesame senza però specificare a quali delle numerose contestazioni si riferisse la richiesta di riqualificazione in fatto di lieve entità. Allo stesso modo, la contestazione sulle esigenze cautelari non si confrontava specificamente con le motivazioni dell’ordinanza impugnata, ma si limitava a evocare principi generali, senza fornire elementi concreti per superare la presunzione di pericolosità che la legge prevede per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

Le Conclusioni

La sentenza in esame conferma che la valutazione sulla partecipazione a un’associazione per narcotraffico non si ferma all’apparenza dei ruoli, ma scava in profondità nella natura dei rapporti tra i soggetti coinvolti. Non è necessario avere contatti diretti con tutti i membri; ciò che conta è fornire un contributo stabile, durevole e, soprattutto, consapevole agli scopi illeciti del gruppo. La decisione sottolinea inoltre un importante principio processuale: un ricorso in Cassazione, per essere efficace, deve essere specifico e puntuale, contestando nel dettaglio le argomentazioni della decisione impugnata e non limitandosi a censure astratte e generiche.

Quando un semplice rapporto di fornitura di droga si trasforma in partecipazione a un’associazione per narcotraffico?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando il rapporto tra fornitore e acquirente supera la mera logica commerciale e diventa stabile e durevole. È necessario che emergano elementi che dimostrino la consapevolezza e la volontà del fornitore di contribuire agli scopi dell’associazione, ad esempio attraverso la condivisione di informazioni strategiche o l’integrazione della propria attività in quella del gruppo.

Perché il ricorso dell’imputato è stato in parte respinto come “generico”?
Il ricorso è stato giudicato generico perché, per alcuni motivi, si limitava a lamentare omissioni o violazioni di legge in modo astratto, senza confrontarsi specificamente con le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato. Ad esempio, non ha specificato a quali accuse si riferisse la richiesta di riqualificazione del reato, rendendo impossibile per la Corte valutare la fondatezza della censura.

Cosa si intende per “affectio societatis” in un’associazione criminale?
Con “affectio societatis” si intende la volontà cosciente e volontaria di un individuo di far parte di un’associazione criminale. Non si tratta solo di compiere atti illeciti, ma di sentirsi parte del gruppo, condividendone il programma criminale, contribuendo al suo mantenimento e agendo per il raggiungimento del fine comune.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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