Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31541 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31541 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ARZANO il 19/01/1975 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 17/08/1989 NOME COGNOME nato a GRUMO NEVANO il 05/05/1969 NOME COGNOME nato a VILLARICCA il 08/08/1988
avverso l’ordinanza del 28/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Napoli, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, in data 13.1.2025, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, gravemente GLYPH indiziati GLYPH dei GLYPH delitti GLYPH loro GLYPH rispettivamente GLYPH ascritti nell’imputazione provvisoria elevata dal pubblico ministero.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiedgv–(> l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione tutti i predetti indagati, con distinti atti di impugnazione
2.1. Il NOME COGNOME, in particolare, nel ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, avendo il tribunale del riesame ritenuto sussistente la gravità indiziaria in ordine al reato associativo di cui al capo A) dell’imputazione, in ragione di elementi (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME e COGNOME) inconferenti rispetto all’imputazione stessa, determinandosi, pertanto, per la conferma dell’ordinanza cautelare, sulla base di una motivazione illogica, sottesa, tra l’altro, da un ritenuto automatismo tra associazione camorristica e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, manifestamente incongruente; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, avendo il tribunale del riesame ritenuto sussistente la gravità indiziaria in ordine al reato di cui al capo F) dell’imputazione, in assenza di elementi, determinandosi, pertanto, per la conferma dell’ordinanza cautelare, sulla base di un ragionamento illogico, invero sotteso da un percorso argomentativo manifestamente congetturale.
2.2. Il COGNOME Vincenzo, nel ricorso a firma dell’avv. COGNOME Michele, lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un grave quadro indiziario a carico dell’indagato, con riferimento alla sua partecipazione all’associazione a delinquere dedita al commercio di sostanze stupefacenti di cui al capo T) dell’imputazione, in assenza di elementi che consentano di pervenire a tale conclusione, essendogli stato ascritto il ruolo di gestore della “cassa”
del sodalizio criminoso, senza esplorare il foro interiore del ricorrente, atteso che, dati i rapporti familiari esistenti tra i condomini, non si può prescindere da un’adeguata valutazione del coefficiente psicologico che ha caratterizzato l’agire del COGNOME nel momento in cui, a tutto voler concedere, in un’unica occasione, si sarebbe fatto custode del denaro del cognato, NOME COGNOME
Sicché, in tal modo, il tribunale del riesame ha totalmente obliterato il tema della sussistenza del dolo specifico, che avrebbe dovuto animare l’indagato allorquando accettò di detenere le risorse dei congiunti spacciatori; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto il tribunale del riesame ha omesso di fornire riposta alla doglianza difensiva avente a oggetto l’applicazione di una misura diversa da quella carceraria, senza tacere che risulta del tutto carente il compendio argomentativo sulla sussistenza dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione criminosa, anche in considerazione del documentato svolgimento di attività lavorativa da parte del COGNOME e della sua incensuratezza.
2.3. Il NOME COGNOME, nel ricorso a firma dell’avv. COGNOME COGNOME, lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un grave quadro indiziario a carico dell’indagato, padre di NOME COGNOME, con riferimento alla sua partecipazione all’associazione a delinquere dedita al commercio di sostanze stupefacenti di cui al capo T) dell’imputazione, in assenza di elementi che consentano di pervenire a tale conclusione, potendosi qualificare la condotta del ricorrente, a tutto voler concedere, in termini di favoreggiamento o di concorso nell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, svolta dal figlio, essendo il suo ruolo limitato a raccogliere presso il circolo ricreativo da lui gestito somme di denaro, che gli venivano consegnate da terzi a pagamento di debiti contratti con il figlio NOME nell’ambito dell’attività di commercio illecito di stupefacenti, alla quale quest’ultimo era dedito.
Osserva il ricorrente che il collaboratore di giustizia COGNOME VincenzoCOGNOME componente dell’associazione a delinquere di cui si discute, ha descritto
in questi termini la condotta del NOME COGNOME escludendo che egli abbia partecipato in concreto ad attività delittuose e trovando conferma le sue dichiarazioni nelle video riprese dei colloqui che il ricorrente svolgeva in carcere con il figlio detenuto, in occasione dei quali quest’ultimo chiedeva se taluno degli acquirenti, di cui venivano esplicitati i nomi, si fosse presentato al circolo per corrispondere il dovuto.
Né va taciuta l’assenza di rapporti tra il NOME NOME e altri componenti del sodalizio, ad eccezione del figlio, e la mancata indagine sull’elemento psicologico del reato, in relazione al quale non è stato tenuto in debita considerazione “il rapporto familiare esistente tra i presunti condomini”; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto il tribunale del riesame ha omesso di fornire riposta alla doglianza difensiva avente a oggetto l’applicazione di una misura diversa da quella carceraria, senza tacere che risulta del tutto carente il compendio argomentativo sulla sussistenza dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione criminosa.
2.4. La COGNOME NOME, nel ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un grave quadro indiziario a carico dell’indagato, padre di NOME Pasquale, con riferimento alla sua partecipazione all’associazione a delinquere dedita al commercio di sostanze stupefacenti di cui al capo T) dell’imputazione, in assenza di elementi che consentano di pervenire a tale conclusione, posto che dagli esiti della disposta attività captativa, si evince che la ricorrente non disponesse di propria autonomia decisionale, né nella gestione della situazione debitoria e creditoria del compagno NOME COGNOME né nelle attività di approvvigionamento e vendita dello stupefacente e che la stessa si limitasse ad eseguire, per un arco temporale assolutamente circoscritto, le direttive impartitele, con l’unico scopo di curare gli interessi del congiunto, senza alcun intento o interesse di contribuire alla realizzazione degli scopi del sodalizio di appartenenza del Cristiano.
In questo contesto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME che le attribuisce, prima il ruolo generico di coadiutrice del compagno nell’approvvigionamento e nello spaccio di droga, poi quello di gestore della contabilità della piazza di spaccio del marito’ da un lato, non trovano riscontro nelle emergenze investigative; dall’altro, confermano che la stessa si limitava a sostenere il compagno in qualità di custode dei suoi risparmi; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis. 1, cod. pen., nella duplice accezione del metodo e dell’agevolazione mafiosa, di cui difettano i presupposti; 3) violazione di legge e vizio di motivazione meramente apparente in ordine all’inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari mediante gli strumenti di controllo a distanza
Con requisitoria scritta del 26.5.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
I ricorsi vanno rigettati, essendo sorretti da motivi in parte infondati, in parte inammissibili.
In via preliminare va ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438; Sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Sez.
IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, rv. 215331; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, rv. 265244).
Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza espositiva (cfr. Sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
5.1. Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Napoli abbia fatto buon uso di tali principi.
Il giudice dell’impugnazione cautelare, invero, ha ritenuto sussistenti a carico dei ricorrenti i gravi indizi di colpevolezza per i reati oggetto dell’imputazione provvisoria elevata nei loro confronti, sulla base di una meditata e congrua valutazione delle risultanze processuali, compiutamente esposta.
5.2 Ciò posto, il ruolo del Cristiano di partecipe all’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute, oggetto della contestazione provvisoria di cui al capo A), è stato desunto da una serie di elementi concreti, dotati di oggettivo valore indiziario, sui quali il giudice dell’impugnazione cautelare si è soffermato con motivazione contraddistinta da intrinseca coerenza logica.
Il giudice dell’impugnazione cautelare ha, invero, valorizzato il contenuto delle convergenti dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia
NOME Pasquale, soprannominato “RAGIONE_SOCIALE“, omonimo del ricorrente, e COGNOME NOME.
Entrambi i collaboratori riferiscono delle attività svolte dal ricorrente nella vendita di sostanze stupefacenti nel territorio del comune di Frattaminore, che aveva svolto, a partire dall’aprile del 2022, prima nell’interesse del gruppo camorristico facente capo a COGNOME NOME; successivamente, in conseguenza dei mutati equilibri camorristici sul territorio, nell’interesse del sodalizio camorristico facente capo a COGNOME NOME, a sua volta articolazione della più vasta associazione a delinquere di stampo camorristico nota come clan COGNOME (associazioni, tutte, di cui il ricorrente non contesta l’esistenza), in ragione delle pesanti minacce subite per mano degli uomini dell’COGNOME, che, approfittando dello stato di detenzione del “Picchistecca”, si erano alleati con il gruppo avversario dei Monfregolo, estendendo il loro controllo sul territorio dei comuni di Frattamaggiore e di Frattaminore, dalle attività estorsive al traffico di sostanze stupefacenti.
Puntuale riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia viene correttamente indicato dal tribunale del riesame nel contenuto di una serie di conversazioni oggetto di captazione svoltesi all’interno dell’autovettura in uso al ricorrente, dalle quali si evince che quest’ultimo, unitamente a COGNOME NOME e COGNOME NOME aveva proceduto a un controllo degli spacciatori della zona, individuati proprio dal NOME, “finalizzato a richieste estorsive nei confronti di questi ultimi, volte a far pagare loro una tangente al clan COGNOME o ad acquistare da quest’ultimo la droga da spacciare” (fatti riconducibili alla contestazione di cui al capo F), giungendo, per recuperare i crediti dello spaccio, ad appropriarsi delle carte di reddito dei debitori fino all’estinzione del dovuto Ulteriore riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è, infine, individuato nel contenuto della conversazione di cui alla pag. 415 dell’ordinanza di custodia cautelare, in cui gli interlocutori danno atto del passaggio del ricorrente al gruppo dell’RAGIONE_SOCIALE, ormai egemone in Frattamaggiore e in Frattaminore (cfr. pp. 10-15 dell’impugnata ordinanza).
Alla luce di tali elementi, appare evidente come il NOME COGNOME abbia messo a disposizione del clan COGNOME/COGNOME la sua rete di spacciatori, continuando a gestire il traffico e lo spaccio di stupefacenti, nell’interesse della nuova organizzazione camorristica egemone sul territorio, quanto meno sino alla data del suo arresto, avvenuto il 4.3.2023.
La conclusione alla quale è giunto il tribunale del riesame appare pertanto conforme al condivisibile principio, secondo cui rispondono sia del reato di associazione di tipo mafioso che di quello di associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti, qualora il traffico di stupefacenti sia oggetto di una delle attività di un’associazione di tipo mafioso e venga gestito attraverso un’associazione all’uopo finalizzata e appositamente costituita e diretta dai componenti di quella mafiosa, non solo questi ultimi, ma altresì coloro che abbiano operato esclusivamente nell’ambito del traffico di stupefacenti nella consapevolezza però che lo stesso fosse gestito dal sodalizio mafioso (cfr. Sez. 6, n. 4651 del 23/10/2009, Rv. 245875)
A fronte di tale limpido percorso argomentati o i rilievi del ricorrente volti a contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non colgono nel segno, in quanto nessun automatismo è ravvisabile nella ritenuta appartenenza del Cristiano all’organizzazione camorristica di riferimento, conforme, come si è detto, ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Allo stesso tempo, premesso che nessuna critica specifica è stata avanzata dal ricorrente in punto di credibilità personale dei collaboratori di giustizia, nonché di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle loro dichiarazioni, non può ritenersi contraddittorio o manifestamente illogico il percorso argomentativo seguito dal tribunale del riesame nel valorizzare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che certo non appaiono in contrasto le une con le altre, in quanto, da un lato, il “RAGIONE_SOCIALE” ha, per così dire, “introdotto” nel tessuto argomentativo la /7 Th figura del cugino, riferendo della sua carriera criminale nel settore del narcotraffico, sino a quando non venne fatto oggetto di pesanti
intimidazioni da parte degli uomini del nuovo gruppo egemone facente capo all’COGNOME, che intendeva sostituirsi ai precedenti referenti camorristici del Cristiano; dall’altro, il Marra ha completato il racconto del “Picchistecca”, rivelando come in conseguenza delle forti pressioni ricevute il ricorrente avesse continuato a gestire il traffico e lo spaccio di droga, sotto l’egida del clan COGNOME/COGNOME, circostanza confermata dal contenuto delle conversazioni intercettate.
Quanto al secondo motivo di ricorso, esso appare inammissibile, consistendo in una mera rivalutazione del contenuto delle conversazioni intercettate all’interno dell’autovettura del Cristiano, che, ad avviso del ricorrente, autorizzerebbero la lettura proposta dal giudice dell’impugnazione cautelare, non consentita in questa sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
5.3. Anche il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME Vincenzo va rigettato.
Al riguardo, in considerazione del rilievo attribuito dal tribunale del riesame, al contenuto delle conversazioni oggetto di captazione, vanno ribaditi i principi affermati da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato (o l’indagato), costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192 comma primo, c.p.p., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno (cfr. Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260842).
Invero il ruolo del COGNOME di componente del sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti di cui al capo T), è desunto dal tribunale del
riesame, con autonoma valutazione, sulla base del contenuto di una conversazione intercettata tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, “da cui si evince che COGNOME NOME non è un mero custode dei risparmi del cognato, affidatigli dal suocero perché la sua casa è dotata di sistema di allarme, bensì una persona che tiene la contabilità dell’organizzazione criminale”. “Se si fosse trattato di denaro frutto di risparmi da conservare”, rileva il giudice dell’impugnazione cautelare per replicare, con logico argomentare, al rilievo difensivo sul punto, “sarebbe bastato custodirlo in un luogo sicuro e non ci sarebbe stato bisogno di annotare tutto”, come stava facendo COGNOME, specificamente indicato dalla COGNOME NOME,.
Sempre con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, il giudice dell’impugnazione cautelare rileva come i conti di cui si parla nella menzionata conversazione riguardavano i proventi dell’illecita attività di spaccio, posto che in essa si fa riferimento “ai 15.000 euro da detrarre, che corrispondono alla somma dovuta per saldare il debito con COGNOME NOME per una precedente fornitura di droga, per il quale COGNOME NOME era intenzionata a versare 1000 euro al mese e non l’intera somma in unica soluzione, come invece dettole da NOME COGNOME (cfr. pp. 25-26 dell’impugnata ordinanza.
La conclusione del tribunale del riesame sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del COGNOME al sodalizio criminoso di cui si discute appare, pertanto, del tutto conforme ai principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce dei quali si è evidenziato che, con riferimento all’attività di procacciamento e di spaccio di sostanze stupefacenti, il reato associativo di cui all’art. 74, d.P.R. 309/90, non richiede una struttura articolata e complessa o una esplicita manifestazione di intenti, essendo sufficiente una struttura anche esile ovvero rudimentale, su cui i compartecipi possono fare affidamento (cfr. Sez. 6, 12.3.2007, n. 22698; Sez. 1, n. 1008 del 12/11/1992, Rv. 195102).
Struttura organizzativa, che, per quanto, rudimentale, non può mai mancare, posto che, come ribadito anche di recente, l’elemento
differenziale tra la fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e quella del concorso di persone nel reato prevista dagli artt. 110, c.p., e 73 del citato d.P.R. risiede nell’elemento organizzativo, consistendo la condotta associativa finalizzata al traffico di stupefacenti in un “quid pluris” rispetto al mero accordo di volontà, sostanziantesi nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (cfr. Sez. 4, n. 27517 del 12/04/2024, Rv. 286738, nonché, nello stesso senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, Rv. 275550, Sez. 6, n. 18055 del 10/01/2018, Rv. 273008; Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Rv. 270396).
Il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo ed esplicito accordo formale esplicitamente manifestato, ma può essere anche non espresso e costituirsi “di fatto” fra soggetti consapevoli che le attività proprie e altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune, con la conseguenza che, ferma restando l’autonomia rispetto ai reati (eventualmente) posti in essere in attuazione del programma, la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle modalità esecutive dei reati-scopo, specie se protratti per un tempo apprezzabile, ovvero da comportamenti significativi, che si concretino in un’attiva e stabile partecipazione (cfr. Sez. 6, 12/3/2007, n. 22698, L. e altro; Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, Rv. 279589).
Particolare attenzione, in siffatto contesto, merita l’elemento temporale, posto che, come evidenziato in un condivisibile arresto, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’ “affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che, attraverso l’analisi del contenuto dei dialoghi
intercettati, aveva ritenuto non significativa la circostanza che l’attività criminosa avesse formato oggetto di un’osservazione non dilatata nel tempo, dando invece rilievo a numerosi elementi di conferma delle origini risalenti dello schema operativo, quali la dimestichezza dei conversanti, l’uso di riferimenti di non immediata intelligibilità, e l’esistenza di debiti già accumulati: cfr. Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Rv. 278440).
Ciò posto, premesso che i reati in materia di sostanze stupefacenti non sono necessariamente condizionati, sotto il profilo probatorio, al sequestro o al rinvenimento di sostanze stupefacenti, poiché la consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie, quali le ammissioni dello stesso imputato, le deposizioni dei testimoni o il contenuto di intercettazioni (cfr. Sez. 6, VI, 13/10/2010, n. 40163, C.A. e altro), si osserva che la prova del vincolo permanente tra i consociati, nascente dall’accordo associativo, può anche essere data per mezzo dell’accertamento di “facta concludentia”, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso, la loro ripetitività e le loro specifiche modalità esecutive (cfr., ex plurimis, Sez. 4, 7/2/2007, n. 25471; Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012, Rv. 255312; Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, Rv. 282610).
Si è, altresì, sottolineato come la prova in ordine all’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, possa essere desunta anche da un singolo episodio criminoso, che attesti l’intervento di un gruppo che partecipa nel suo insieme ad un evento importante per l’associazione, pur dovendosi sempre richiedere un’adeguata motivazione in ordine alla partecipazione del singolo indagato al reato associativo ed al ruolo da lui stabilmente svolto, non esclusivamente nel singolo episodio, ma anche all’interno dell’organizzazione (cfr. Sez. 6, 14.1.2008, n. 6867, P.).
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In conclusione può dunque, affermarsi, che anche nel caso di associazione a delinquere finalizzata al commercio illecito di sostanze stupefacenti trova applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di reati associativi, secondo cui l’appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla partecipazione a un solo reato fine, purché sia dimostrato che il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano stati tali da evidenziare la sussistenza del vincolo (cfr. Sez. 1, 20.1.2010, n. 6308, Rv. 246115 Sez. 3, 16.10.2008, n. 43822, Rv. 241628; Sez. 5, n. 6446 del 22/12/2014, Rv. 262662; Sez. 1, n. 29093 del 24/05/2022, Rv. 283311).
Il vincolo associativo, naturalmente, può unire tutti coloro che, a vari livelli e con modalità diverse, contribuiscono alla realizzazione del programma criminoso, che, in ultima analisi, si riduce alla realizzazione, da parte di tre o più persone, in forma organizzata, di una delle condotte criminose previste dall’art. 73, co. 1, d.P.R. 309/90.
Ne consegue che l’associazione in parola è configurabile sia nel caso di unione parallela di più persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto societario tramite il commercio della droga, sia nell’ipotesi del vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di droga alla rete di acquirenti che, in via continuativa, la ricevono per immetterla sul mercato, anche se a tal fine non si può comunque prescindere dal provare l’effettivo contributo offerto dal singolo alla realizzazione degli scopi propri dell’associazione (cfr. Sez. 6, 31.10.2007, n. 10790, A.).
Correttamente, dunque, il tribunale del riesame ha ritenuto il COGNOME inserito organicamente nel sodalizio criminoso di cui si discute, in ragione del compito attribuitogli di tenere la contabilità delle entrate e delle uscite, riconducibili al traffico di sostanze stupefacenti, indispensabile per assicurare l’operatività dell’associazione in un mercato particolarmente rischioso come quello del commercio illecito di droga, secondo una specifica ripartizione dei ruoli, che dimostra l’esistenza di un’efficace struttura organizzativa.
A fronte del limpido percorso argomentativo i rilievi del ricorrente volti a contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non colgono nel segno, ma si collocano ai confini dell’inammissibilità, consistendo, in ultima analisi, in una mera rivalutazione del compendio indiziario, non consentita in questa sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Il tribunale del riesame, del resto, nel rispondere ai rilievi difensivi, ha anche spiegato, con congrua motivazione, le ragioni per cui del COGNOME non parlano i collaboratori di giustizia e l’assenza di intercettazioni che lo riguardino personalmente, posto che il suo ruolo lo poneva in contatto solo con il gruppo ristretto dei suoi familiari che gestiva l’associazione criminosa e poteva essere svolto in totale autonomia.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, premesso che in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione non è richiesta la prova della conoscenza reciproca di tutti gli associati, ma è sufficiente la consapevolezza e volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (cfr., da ultima, Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, Rv. 287482), esso è insito nel ruolo attributo al COGNOME sicché, in difetto di una specifica contestazione in sede di riesame, la sua configurabilità non richiedeva un’articolata motivazione.
Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Come è noto, in tema di misure cautelari, il pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p., deve essere non solo concreto – fondato cioè su elementi reali e non ipotetici – ma anche attuale, nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla
continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice.
L’attualità del pericolo, pertanto, non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr. Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Rv. 271216; Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Rv. 277242; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, Rv. 282769; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Rv. 282991).
A tali principi si è attenuta la motivazione del tribunale del riesame, che ha ancorato la sua valutazione sulla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato in termini di concretezza e di attualità e l’adeguatezza della sola misura carceraria, proprio alla personalità dell’indagato messa in luce dalle modalità e dalle circostanze dell’azione criminosa, dettagliatamente ricostruita nel corpo dell’ordinanza impugnata, ritenendo, con logico argomentare, che le condizioni familiari e lavorative del COGNOME, proprio perché non gli avevano impedito di partecipare al sodalizio criminoso in parola, non possono essere fatte valere per giustificare l’adozione di una misura cautelare meno afflittiva (cfr. pp. 32-33 dell’impugnata ordinanza).
5.4. Identiche considerazioni valgono per la posizione del NOME COGNOME Al riguardo si osserva come sia incontestata, da parte del ricorrente, la condotta in concreto tenuta, consistente nel raccogliere presso il circolo ricreativo da lui gestito somme di denaro, che gli venivano consegnate da terzi a pagamento di debiti contratti con il figlio NOME nell’ambito
dell’attività di commercio illecito di stupefacenti, alla quale quest’ultimo era dedito, dandone contezza al figlio nel corso dei periodici colloqui con lui nel carcere dove il NOME COGNOME era detenuto
Tale condotta, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, integra gli estremi della partecipazione al sodalizio criminoso di cui si discute, sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, richiamati nelle pagine dedicate alla trattazione della posizione del Setola, alla cui lettura si rimanda.
Correttamente, dunque, il tribunale del riesame ha ritenuto il COGNOME inserito organicamente nel sodalizio criminoso di cui si discute, in ragione del compito attribuitogli di raccogliere sistematicamente il denaro provento dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti posta in essere nell’interesse del sodalizio indispensabile per assicurare l’operatività dell’associazione, secondo una specifica ripartizione dei ruoli, che dimostra l’esistenza di un’efficace struttura organizzativa, in grado di continuare ad agire, incamerando gli introiti derivanti dalla vendita della droga immessa sul mercato e venduta anche quando il NOME COGNOME era ristretto in carcere, utilizzando il circolo ricreativo gestito dal ricorrente come base operativa.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, premesso, come già detto, che in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione non è richiesta la prova della conoscenza reciproca di tutti gli associati, ma è sufficiente la consapevolezza e volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (cfr., da ultima, Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, Rv. 287482), esso è insito nel ruolo attributo al NOME COGNOME
Quest’ultimo, infatti, come rilevato dal tribunale del riesame, alla luce delle dichiarazioni proprio del collaboratore di giustizia COGNOME, non contestate dal ricorrente, era perfettamente a conoscenza del fatto che il figlio, unitamente alla compagna COGNOME NOME, gestiva in forma organizzata una vera e propria piazza di spaccio all’interno della propria
abitazione, dove provvedevano a vendere la droga NOME COGNOME, la COGNOME, le figlie di quest’ultima COGNOME NOME e la sua fidanzata, aggiungendo che ogni tanto nell’abitazione si presentava anche il NOME COGNOME, il quale forniva “informazioni su quello che accadeva sul territorio e sulle stese degli Orefice con i quali in quel periodo eravamo in contrasto, fornendo anche in tal modo un contributo di non poco momento all’operatività del sodalizio (cfr. pp. 16-25 dell’ordinanza impugnata).
Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Nel richiamare le considerazioni già svolte sul tema delle esigenze cautelari nelle pagine relative alla posizione di COGNOME Vincenzo, alla cui lettura si rimanda, non può non rilevarsi come agli indicati principi si sia attenuta anche in questo caso la motivazione del tribunale del riesame, che ha ancorato la sua valutazione sulla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato in termini di concretezza e di attualità e l’adeguatezza della sola misura carceraria, proprio alla personalità dell’indagato messa in luce dalle modalità e dalle circostanze dell’azione criminosa, dettagliatamente ricostruita nel corpo dell’ordinanza impugnata, e dall’esistenza a suo carico di precedenti giudiziari e carichi pendenti per reati in materia di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, di associazione a delinquere e falsi (cfr. pp. 32-33 dell’impugnata ordinanza).
5.5. Anche il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME va rigettato.
Inammissibile va ritenuto il primo motivo di ricorso, consistendo esso, in maniera evidente, in una mera rivalutazione del compendio indiziario, non consentita in questa sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Secondo l’impostazione difensiva la COGNOME avrebbe agito al solo scopo di coadiuvare il compagno NOME COGNOME nell’attività di spaccio, peraltro per un breve periodo di tempo (dall’11.1.2023 al 20.4.2023, come indicato in contestazione).
Premesso che la durata temporale del suo apporto è del tutto irrilevante, alla luce dei principi già esposti affrontando nelle pagine precedenti la posizione del COGNOME, alla cui lettura si rimanda, si osserva che, al contrario, dal contenuto delle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME che non hanno formato oggetto di specifiche critiche da parte della ricorrente, si evince come quest’ultima abbia fornito un contributo causalmente rilevante all’attività di spaccio di sostanze stupefacenti svolta nell’abitazione del NOME COGNOME, gestendo la contabilità, in uno con il COGNOME; provvedendo alla consegna delle dosi di droga vendute al minuto; assumendo decisioni rilevanti per la vita del sodalizio (come la decisione di non spostare, dopo l’arresto del compagno e di NOME NOME, la droga riposta all’interno di un’autovettura); intrattenendo rapporti con le associazioni criminali operanti sul territorio; contestando la decisione assunta dal compagno di estinguere in un’unica soluzione il debito per una fornitura di droga nei confronti del COGNOME; minacciando di far picchiare gli acquirenti di droga per recuperare le somme da questi ultimi ancora dovute per la droga acquistata (cfr. pp. 16-25 dell’ordinanza impugnata).
Risulta dunque del tutto irrilevante la ragione personale per cui la COGNOME ha agito: la ricorrente ha fornito un contributo di assoluto rilievo alla vita del sodalizio criminale, nella piena consapevolezza di operare all’interno di un collaudato meccanismo illecito, che gestiva il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, con metodi intimidatori tipici delle associazioni mafiose e nell’interesse dei clan camorristici egemoni sul territorio, presso i quali il gruppo si riforniva stabilmente, vale a dire, prima quello facente capo al COGNOME e, successivamente, come si è già visto esaminando la posizione di NOME COGNOME, il clan facente capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME (“quelli di INDIRIZZO“).
Il che consente di ritenere infondato il secondo motivo di ricorso. Infondato appare anche il terzo motivo di ricorso.
Nel richiamare le considerazioni già svolte sul tema delle esigenze cautelari nelle pagine relative alla posizione di COGNOME Vincenzo, alla cui lettura si rimanda, non può non rilevarsi come agli indicati principi si sia attenuta anche in questo caso la motivazione del tribunale del riesame, che ha ancorato la sua valutazione sulla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato in termini di concretezza e di attualità e l’adeguatezza della sola misura carceraria, proprio alla personalità dell’indagata messa in luce dalle modalità e dalle circostanze dell’azione criminosa, dettagliatamente ricostruita nel corpo dell’ordinanza impugnata (cfr. pp. 32-33 dell’impugnata ordinanza).
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter, disp. att., c.p.p.
Così deciso in Roma il 12.6.2025.