Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2474 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2474 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/06/2023 del Tribunale del riesame di Napoli visti gli atti, l’ordinanza impugnata ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del difensore, ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli, adito ex art. 309 cod. proc. pen., che ha confermato la custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice delle indagini preliminari in ordine ai delitti di cui all’art. 74 (capo 2, in cui è stato ricompres capo 2-bis) e 73 (capi 35, 45, 46, 48, 49, 58, 59, 60, 64, 65, 68, 69 e 70) del d.P.R. n. 309 del 1990 e a quello di concorso (con COGNOME NOME e COGNOME NOME) nell’illecita detenzione di armi comuni da sparo ex artt. 110, cod. pen., 2 e 7 I. n. 895 del 1967 (49-bis).
A NOME COGNOME viene contestato di essere gravemente indiziato di far parte dell’RAGIONE_SOCIALE dedita al RAGIONE_SOCIALE operante nella zona centrale della città di Napoli, nota come “Quartieri Spagnoli”, con a capo, in quanto facente parte della collaterale famiglia RAGIONE_SOCIALE cosiddetta “RAGIONE_SOCIALE” (che ricomprende anche le figure di NOME COGNOME ed NOME COGNOME), NOME COGNOME, referente della “piazza di spaccio” allocata in INDIRIZZO e presso la abitazione dello stesso ricorrente; vengono provvisoriamente contestati i reati fine di cessione e vendita, anche in concorso con altri sodali, di sostanza stupefacente del tipo cocaina ex artt. 110 cod. pen. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 35, 45, 46, 48, 49, 58, 59, 60, 64, 65, 68, 69 e 70), oltre al delitto di illec detenzione di armi comuni da sparo.
1.2. Il Tribunale ha ritenuto di confermare la valutazione operata dal Giudice delle indagini preliminari di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in merito alla partecipazione di NOME COGNOME nell’ambito di un’RAGIONE_SOCIALE dedita al RAGIONE_SOCIALE ex artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 operante nel centro storico di Napoli nei cosiddetti “Quartieri Spagnoli” ed in particolare all’interno dell’abitazione in uso a NOME COGNOME, soggetto ritenuto al vertice del sodalizio dedito al RAGIONE_SOCIALE ed – a sua volta – inserito nell’ambito della collaterale RAGIONE_SOCIALE operativa sullo stesso contesto territoriale; in detto contesto il ruolo del ricorrente sarebbe stato individuato nello svolgimento dell’attività eseguita proprio all’interno di un appartamento di INDIRIZZO ed altro in INDIRIZZO, abitazione, quest’ultima, in cui il ricorrente era ristretto agl arresti domiciliari.
Detti luoghi avrebbero costituito le basi logistiche dell’RAGIONE_SOCIALE ove lo stupefacente, prevalentemente del tipo cocaina, veniva ricevuto personalmente dal ricorrente e suddiviso in dosi per la successiva cessione a terzi, in ciò coadiuvato da NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME.
Con il ricorso la difesa di NOME COGNOME formula tre distinti motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione e violazione di legge in merito alla partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990.
Il Tribunale ha desunto la partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE dedita al RAGIONE_SOCIALE del NOME unicamente sulla base dei reati fine che, in realtà, hanno interessato, in un arco temporale che andava dall’aprile 2019 all’aprile 2020, poche ipotesi di reato, che potevano, semmai, costituire concorso nel reato.
La difesa osserva che nei fatti di cui alla contestazione del capo 68 COGNOME NOME ha posto in essere il delitto autonomamente, mentre quelli di cui al capo 60 vedono quale concorrente NOME COGNOME, persona estranea all’RAGIONE_SOCIALE ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il Collegio della cautela ha equivocato sulla natura dell’apporto fornito dal ricorrente all’RAGIONE_SOCIALE, né ha valorizzato i rapporti di parentela esistenti con colui che si reputa costituire il vertice della stessa, NOME COGNOME, circostanza che avrebbero imposto di apprezzare la mancanza di consapevolezza del compimento di attività funzionale al rafforzamento dell’RAGIONE_SOCIALE criminale; non è invece sufficiente la mera partecipazione ad alcuni dei reati fine, condotta che non esclude la possibilità della compagine di utilizzare persone in via occasionale e non realizza alcuna partecipazione al sodalizio.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla ritenuta gravità indiziaria per il delitto di cui agli artt. 2 e n. 895 del 1967 (capo 49-bis) ex art. 273 cod. proc. pen.
La conversazione intercettata il 30 dicembre 2019 non era idonea a dimostrare la disponibilità dell’arma da parte del ricorrente, né potevano costituire conferma di corretta interpretazione del contenuto delle captazioni le dichiarazioni rese nel lontano 2015 dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 274 cod. proc. pen. quanto ad esigenze cautelari ed adeguatezza della misura in ragione della minimale condotta contestata, che poteva invece essere arginata grazie ad una misura meno gravosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, in quanto generico e manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.
Quanto al primo motivo si precisa che il ricorrente rivolge censure unicamente in merito alla confermata gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. cit. ed al delitto di illecita detenzione di arma da sparo, ma non anche in merito alla ritenuta gravità indiziaria per i reati fine.
Ciò precisato, deve ribadirsi l’ormai pacifico principio di diritto espresso da questa Corte secondo cui, allorché sia denunciato con ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare se la decisione impugnata abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto il collegio ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del
29/05/2013, Tiana, Rv. 255460); deve qualificarsi inammissibile il motivo che si risolva nella censura di non aver preso in esame alcuni o tutti i singoli elementi risultanti in atti, poiché costituisce una censura afferente al merito della decisione, in quanto implicitamente teso a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri (Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000, Garasto L, Rv. 216367) o una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
In considerazione del perimetro entro il quale deve svolgersi il giudizio di legittimità, logica e completa, invero, risulta la motivazione del Tribunale in merito alle ragioni che hanno fatto ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione di NOME COGNOME al sodalizio dedito al RAGIONE_SOCIALE che la difesa afferma, in maniera apodittica, sia stata desunta dalla sola dimostrazione dei reati fine.
Il Collegio della cautela, pur avendo inteso valorizzare detti reati, ha, innanzitutto, dato conto delle modalità attraverso cui operava l’RAGIONE_SOCIALE ex art. 74, d.P.R. cit. nell’ambito della più ampia famiglia RAGIONE_SOCIALE contestata al capo 1 e che vedeva al vertice NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; ha, poi, rilevato come NOME COGNOME in detto contesto gestisse la “piazza di spaccio” sita nel centro storico della città di Napoli, con particolare riferimento ai “Quartieri Spagnoli”, per rilevare, inoltre, come le concrete modalità attraverso cui veniva gestito il traffico di sostanze stupefacenti dall’abitazione di NOME COGNOME sita al INDIRIZZO, monitorata attraverso la predisposizione di telecamere, e nell’abitazione in cui il ricorrente era ristretto agli arresti domiciliari, sita in INDIRIZZO, deponessero per una stabile attività di spaccio prevalentemente di sostanza stupefacente del tipo cocaina da parte di tutti coloro che gravitavano intorno a detti immobili.
Il Tribunale ha valorizzato la rodata organizzazione che prevedeva l’utilizzo di locali dedicati alla preparazione delle dosi, alla “accoglienza dei clienti”, verifica l’assegnazione di ruoli, in parte fungibili, a soggetti stabilmente inseri nell’organigramma associativo, la cui consistenza rimaneva inalterata nonostante le vicissitudini di carattere giudiziario che interessavano i protagonisti e i partecipi
Proprio in detto contesto l’ordinanza ha apprezzato, nei confronti del ricorrente, l’incidenza dei plurimi reati fine, solo apoditticamente ritenuti dall difesa avere carattere minimale, omettendo, però, di confrontarsi con la parte di decisione che ha, invece, dato conto delle ragioni dell’intraneità del ricorrente all’interno della compagine dedita al RAGIONE_SOCIALE.
L’ordinanza ha spiegato quale fosse il ruolo del ricorrente, zio del soggetto di vertice della compagine, osservando come costui operasse stabilmente negli
appartamenti di INDIRIZZO ed in quello in cui era ristretto agli arresti domiciliari in INDIRIZZO, luoghi che costituivano la base logistica dell’RAGIONE_SOCIALE ove lo stupefacente, prevalentemente del tipo cocaina, veniva ricevuto da NOME COGNOME e personalmente suddiviso in dosi per la successiva cessione, coadiuvato dalla moglie NOME COGNOME (v. pag. 5, ordinanza impugnata, ove emerge il coinvolgimento dell’intero gruppo presso l’immobile del ricorrente che veniva immediatamente adibito a nuovo punto di ritrovo e base logistica, quando COGNOME NOME apprendeva della presenza di telecamere collocate sul precedente covo in occasione degli arresti di NOME COGNOME e NOME COGNOME effettuati immediatamente prima di una programmata incursione armata presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Pellegrini).
Il Tribunale ha preso in esame la condotta posta in essere dal ricorrente che, all’interno dell’appartamento, provvedeva a pesare la sostanza, predisporre le dosi che venivano consegnate ad altro sodale, con cui si discuteva in ordine al modus operandi e al prezzo della vendita.
In tali termini delineato il contributo fornito dal ricorrente al sodalizio, corre e certo non illogica risulta la motivazione del Tribunale che, da un canto, ha ritenuto che tale organizzazione avesse i caratteri di un’attività associativa ex art. 74, d.P.R. cit., d’altro canto, che la condotta del ricorrente, per come delineatasi, fosse inquadrabile nel ruolo di partecipe, in quanto soggetto attivo nella strutturata attività di spaccio in ordine alla quale è stata assegnata rilevanza anche ai reati fine in quanto significativi della intraneità alla predetta compagine associativa.
Manifestamente infondata risulta la parte del ricorso da cui si vorrebbero far discendere effetti favorevoli sulla posizione del ricorrente dall’apprezzato legame di parentela con NOME COGNOME, ritenuto a capo del sodalizio dedito al RAGIONE_SOCIALE.
Costituisce principio di diritto consolidato quello secondo cui l’esistenza della consorteria criminosa non è esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo più intorno a componenti della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso (Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 268184 01; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, COGNOME, Rv. 261426 – 01).
In linea con detto principio risulta, allora, la parte dell’ordinanza impugnata che ha valorizzato il rapporto di parentela unicamente per spiegare la contiguità tra i due soggetti, senza però farne discendere alcun automatico effetto in ordine all’analisi e ponderazione delle emergenze processuali – sopra evocate – che hanno caratterizzato, invece, il coerente e completo giudizio in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria.
Fermo restando il principio di diritto sopra espresso in ordine ai limiti del giudizio di legittimità allorché si sottopone al vaglio di questa Corte l’ordinanza del Tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria, preclusa risulta la censura che il ricorrente rivolge alla lettura del contenuto delle intercettazioni eseguite ne procedimento che, con giudizio non illogico, ha portato a ritenere esistenti i gravi indizi in ordine alla detenzione di armi comuni da sparo da parte di NOME COGNOME.
Secondo un consolidato indirizzo ermeneutico di questa Corte, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione de giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sabber, Rv. 263715); il principio di diritto è stato ribadito recentemente da questa Suprema Corte (tra le tante decisioni anche da Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, 282337), che ha avuto altresì modo di precisare che il sindacato in sede di legittimità del senso assegnato al contenuto delle intercettazioni è limitato alla sola manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.
Sotto tale aspetto si osserva che la lettura degli elementi risulta coerente e logica nella parte in cui il Tribunale – recependo la parte dell’ordinanza genetica che riportava il testo delle lunghe conversazioni intercettate – dà atto dei passaggi più significativi delle captazioni che deponevano per il comune possesso di almeno due pistole.
In detti termini ricostruita la gravità indiziaria in ordine al delitto contestato capo 49-bis afferente alla detenzione di armi, per nulla illogica risulta l’affermazione secondo cui detta lettura risulti compatibile (solo a tali limitati fi con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che il 30 marzo 2015 aveva riferito di essere a conoscenza che le armi del gruppo fossero custodite nel palazzo dove abita il ricorrente; il limitato utilizzo di detto element indiziario, pur non decisivo, non risulta eccentrico rispetto a dinamiche criminali caratterizzate da una certa metodicità dell’agire e tali da far ritenere logico l’occultamento delle armi della compagine associativa in posti ritenuti sicuri, senza che si riveli utile o necessario il ricorso ad un periodico mutamento del luogo di occultamento delle stesse.
Connotate da genericità risultano, infine, le critiche veicolate attraverso il terzo motivo, rivolte alla parte dell’ordinanza che ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura cautelare in carcere.
Non deve essere trascurato che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede una presunzione relativa sia in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, sia in ordine all’adeguatezza della misura cautelare in carcere; dette presunzioni possono essere superate tramite idonee e precise allegazioni da cui possa inferirsi l’assenza del rischio di recidiva, ovvero l’adeguatezza di differente misura.
Conformemente a tale previsione, il Tribunale ha evidenziato quali fossero le esigenze cautelari da salvaguardare, dando conto della continuativa attività svolta per conto dell’organizzazione criminale e dell’inserimento nella struttura associativa, evidenziando una professionalità criminale che, da un lato, fa ritenere attuale e concreto il pericolo di reiterazione dei reati di spaccio di sostanza stupefacente e, dall’altro, tenuto conto dell’inserimento in un’RAGIONE_SOCIALE e dei contatti con i soggetti di vertice della stessa, adeguata la custodia cautelare in carcere, poiché unica misura in grado di interrompere ogni contatto con i sodali e la ripresa della condotta illecita.
Nonostante le risposte fornite alle deduzioni espresse in sede di impugnazione cautelare, il ricorrente, senza neppure indicare quali passaggi della decisione in punto di esigenze cautelari sarebbero errati o oggetto di censura, si limita ad evocare giurisprudenza di questa Corte ormai superata e non pertinente – in quanto eccentrica rispetto al titolo di reato per il quale il Collegio della cautela h ritenuto sussistenti le esigenze cautelari – in materia di salvaguardia delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura prescelta, omettendo di effettuare un concreto riferimento alla motivazione dell’ordinanza che ha, invece, fornito completa e pertinente risposta alle obiezioni mosse.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
L’attuale stato cautelare cui è sottoposto il ricorrente impone, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen., la trasmissione del presente provvedimento a cura della Cancelleria al direttore dell’Istituto penitenziario per gli adempimenti di cui al comma 1-bis dell’art. cit.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/12/2023.