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Associazione per delinquere: ruolo e prova del partecipe

La Corte di Cassazione conferma la custodia cautelare per un individuo accusato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico. La sentenza chiarisce che un ruolo logistico stabile, come la preparazione delle dosi, è prova sufficiente della partecipazione, e che il legame di parentela con il capo può rafforzare, anziché escludere, il vincolo associativo. L’appello viene dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: quando il ruolo operativo prova la partecipazione stabile

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 2474/2024 offre importanti chiarimenti sulla prova della partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il caso analizza la posizione di un soggetto legato da un vincolo di parentela al vertice dell’organizzazione, il cui contributo operativo è stato ritenuto elemento sufficiente a dimostrare un’adesione stabile e consapevole al sodalizio criminale, superando le obiezioni difensive che miravano a declassare la sua condotta a mera complicità occasionale.

I Fatti del Caso: Il Ruolo Logistico nell’Organizzazione Familiare

Il ricorrente era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per la sua presunta partecipazione a un’associazione criminale operante nel centro di Napoli e dedita al narcotraffico. L’organizzazione, facente capo a un suo stretto parente, gestiva una ‘piazza di spaccio’ utilizzando diversi appartamenti come basi logistiche. In questo contesto, al ricorrente veniva contestato di avere un ruolo ben preciso: ricevere lo stupefacente (prevalentemente cocaina), suddividerlo in dosi e prepararlo per la successiva vendita, operando direttamente da un immobile adibito a base logistica, dove peraltro si trovava agli arresti domiciliari.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha impugnato l’ordinanza del Tribunale del Riesame basandosi su tre motivi principali:
1. Errata valutazione della partecipazione all’associazione: Si sosteneva che l’apporto del ricorrente fosse stato occasionale e limitato a pochi episodi, insufficienti a provare un’adesione stabile al programma criminale. Il legame di parentela con il capo, secondo la difesa, avrebbe dovuto essere interpretato come un fattore che attenuava la consapevolezza del suo ruolo, piuttosto che come prova di affiliazione.
2. Insufficienza degli indizi per la detenzione di armi: La difesa contestava il valore probatorio di un’intercettazione e delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ritenendole inidonee a dimostrare la disponibilità di armi.
3. Inadeguatezza della misura cautelare: Si riteneva la custodia in carcere una misura sproporzionata rispetto alla presunta minima condotta del ricorrente.

L’Analisi della Cassazione sull’Associazione per Delinquere

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. In particolare, sul tema dell’associazione per delinquere, i giudici hanno confermato la solidità del ragionamento del Tribunale del Riesame. È stato sottolineato che la valutazione non si basava solo sulla commissione di alcuni reati-fine, ma sulla natura del contributo fornito dal ricorrente.

Il suo ruolo non era sporadico, ma si inseriva in modo stabile e funzionale nella catena logistica dell’organizzazione. L’attività di preparazione e suddivisione delle dosi era un compito essenziale per il funzionamento della ‘piazza di spaccio’. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’esistenza di un’organizzazione criminale non è esclusa se questa è imperniata su membri della stessa famiglia. Al contrario, i legami parentali possono rafforzare il vincolo associativo, aumentandone la pericolosità e la coesione.

La Decisione della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando l’impianto accusatorio e la misura cautelare. La decisione del Tribunale del Riesame è stata ritenuta logica, completa e immune da vizi di legittimità.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su tre pilastri argomentativi.

In primo luogo, riguardo alla partecipazione all’associazione, ha specificato che il compito del giudice di legittimità non è rivalutare le prove, ma verificare la coerenza logica della motivazione del provvedimento impugnato. In questo caso, il Tribunale aveva adeguatamente spiegato come il ruolo del ricorrente – zio del soggetto al vertice – fosse stabile e cruciale per le operazioni quotidiane del gruppo, operando da appartamenti che fungevano da vere e proprie basi logistiche. Questo inserimento strutturale va oltre la semplice partecipazione a singoli episodi di spaccio.

In secondo luogo, sulla detenzione di armi, la Cassazione ha ribadito che l’interpretazione del linguaggio, anche criptico, usato nelle intercettazioni è una questione di fatto riservata al giudice di merito. L’intervento della Corte è possibile solo in caso di manifesta illogicità, qui non riscontrata. La valutazione del Tribunale, che ha ritenuto le conversazioni indicative del possesso di armi, è stata considerata coerente.

Infine, per quanto concerne le esigenze cautelari, la Corte ha ricordato la presunzione legale di adeguatezza della custodia in carcere per reati di tale gravità (art. 275, comma 3, c.p.p.). Il Tribunale aveva correttamente motivato la scelta, evidenziando la professionalità criminale del soggetto e la necessità di interrompere ogni contatto con i sodali e con l’ambiente criminale, obiettivo raggiungibile solo con la misura più afflittiva.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati associativi. Per dimostrare la partecipazione a un’associazione per delinquere, non è tanto il numero dei reati-fine commessi a essere decisivo, quanto la prova di un inserimento stabile e funzionale nella struttura. Un ruolo logistico, anche se apparentemente secondario, può essere la chiave di volta per dimostrare l’affectio societatis sceleris. Inoltre, il vincolo di parentela, lungi dall’essere un’attenuante, può essere considerato un elemento che cementa e rafforza il patto criminale, giustificando un approccio cautelare rigoroso.

Un legame di parentela con il capo di un’organizzazione criminale esclude la partecipazione all’associazione?
No, anzi. La Corte di Cassazione chiarisce che i rapporti di parentela possono rafforzare il vincolo associativo, rendendolo più pericoloso, e non costituiscono una scusante per la condotta illecita.

Per essere considerati parte di un’associazione per delinquere è sufficiente commettere alcuni reati insieme agli altri membri?
No, non è sufficiente. La Corte distingue tra la mera partecipazione a singoli ‘reati fine’ e un’integrazione stabile nella struttura organizzativa. È necessario dimostrare che l’individuo svolge un ruolo funzionale e continuativo per il sodalizio, come in questo caso la preparazione delle dosi di stupefacente.

In quali casi la Corte di Cassazione può annullare la valutazione delle prove (come le intercettazioni) fatta da un altro tribunale?
La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione del tribunale di merito è manifestamente illogica, contraddittoria o viola la legge. Non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice precedente, ma si limita a un controllo sulla correttezza del ragionamento giuridico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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