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Associazione per delinquere: quando si è complici?

La Cassazione ha respinto il ricorso di un soggetto indagato per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha stabilito che un rapporto continuativo e stabile con il sodalizio, che va oltre singoli episodi di spaccio, è sufficiente a configurare la partecipazione all’associazione, anche in assenza di un ruolo di vertice.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: non basta dire ‘sono solo uno spacciatore’

Quando un pusher cessa di essere un semplice spacciatore e diventa un membro effettivo di un’associazione per delinquere? La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha tracciato una linea netta, chiarendo che la stabilità e la continuità del rapporto con l’organizzazione criminale sono elementi decisivi per configurare la partecipazione al sodalizio. Questo principio è fondamentale per comprendere i confini del reato associativo nel contesto del traffico di stupefacenti.

I Fatti del Caso

Il caso nasce da un’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, che confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari per un individuo. L’accusa era grave: partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 74 del d.P.R. 309/90.
La difesa del ricorrente sosteneva che il suo assistito fosse semplicemente uno spacciatore che agiva per conto del gruppo criminale, ma senza esserne un membro organico. A suo dire, mancavano prove di una vera e propria partecipazione al sodalizio, essendo i contatti con gli altri membri sporadici e non indicativi di un’appartenenza strutturata.

La Partecipazione all’Associazione per Delinquere secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la visione del Tribunale. I giudici hanno sottolineato che, per essere considerati partecipi di un’associazione per delinquere, non è necessario ricoprire un ruolo di vertice o essere a conoscenza di ogni singola operazione. Ciò che conta è l’inserimento stabile e consapevole nella struttura.

Il Tribunale aveva basato la sua decisione su una serie di elementi probatori, tra cui intercettazioni telefoniche, servizi di osservazione e attività di perquisizione e sequestro. Da queste indagini era emersa l’esistenza di un’organizzazione ben strutturata, con un centro operativo a Lamezia Terme e rapporti stabili con fornitori anche fuori dalla Calabria. L’organizzazione si occupava di tutte le fasi del traffico: custodia, preparazione, confezionamento e spaccio di marijuana e cocaina.

Il Ruolo del ‘Pusher Stabile’

Il ricorrente non era un attore marginale. Dalle conversazioni intercettate, emergeva come i vertici dell’associazione facessero costante affidamento su di lui per lo spaccio e, soprattutto, per il recupero delle ingenti somme di denaro derivanti dalla vendita della droga. Questo rapporto non era occasionale, ma caratterizzato da “continuità e sistematicità”, con transazioni di quantità e qualità tali da superare la logica del singolo rapporto contrattuale di scambio.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: la veste di partecipe a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti può essere riconosciuta a chi si rende disponibile in modo durevole, anche se non esclusivo, a fornire o acquistare le sostanze per conto del sodalizio. Il vincolo associativo si forma quando la volontà delle parti supera la soglia del semplice rapporto commerciale (rapporto sinallagmatico) per trasformarsi in un’adesione al programma criminale comune.

Gli elementi chiave che dimostrano questo ‘salto di qualità’ sono:

1. Modalità dell’approvvigionamento: La fornitura di sostanze non è episodica ma continuativa.
2. Contenuto economico: Le transazioni hanno un valore economico rilevante, indicativo di un flusso costante e non di un singolo affare.
3. Rilevanza per il sodalizio: L’acquirente/pusher assume un ruolo oggettivamente importante per l’operatività del gruppo.

Nel caso specifico, la frequenza delle transazioni, i numerosi incontri con gli altri membri, il fatto che il ricorrente ricevesse dai vertici anche vari chilogrammi di narcotico e la fiducia riposta in lui per la gestione del denaro, sono stati considerati elementi “gravi e concordanti” del suo stabile radicamento all’interno dell’organizzazione.

Le Conclusioni

La sentenza chiarisce che la linea di demarcazione tra lo spaccio ‘semplice’ e la partecipazione a un’associazione per delinquere risiede nella stabilità e nella funzionalità del rapporto con il gruppo criminale. Non è necessario un atto formale di affiliazione; è sufficiente la consapevolezza di operare all’interno di una struttura più ampia e di contribuire, con il proprio operato continuativo, al raggiungimento dei fini illeciti comuni. Per gli inquirenti, questo significa che la prova dell’intraneità può essere desunta da una serie di indicatori fattuali che, nel loro complesso, dimostrano come il singolo rapporto di fornitura si sia evoluto in un vincolo stabile di appartenenza.

Quando un semplice spacciatore viene considerato partecipe di un’associazione per delinquere?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando il rapporto tra lo spacciatore e l’organizzazione criminale supera la soglia del singolo scambio commerciale e diventa stabile, continuativo e funzionale agli scopi del sodalizio. La sistematicità delle transazioni, le quantità elevate di stupefacente e il ruolo di fiducia rivestito sono indici di tale partecipazione.

È necessario avere un ruolo di comando per essere accusati di associazione per delinquere?
No, la Corte chiarisce che non è necessario ricoprire un ruolo di vertice. Anche chi svolge compiti operativi, come quello di ‘pusher’ di riferimento su cui l’organizzazione conta stabilmente per lo spaccio e il recupero crediti, è considerato a tutti gli effetti un partecipe dell’associazione.

Quali prove dimostrano il passaggio da un rapporto di spaccio a un vincolo associativo?
Le prove possono essere varie e concorrenti: la frequenza e stabilità delle transazioni, la quantità di droga trattata, i numerosi incontri con altri membri, le conversazioni intercettate che dimostrano l’affidamento dei vertici sulla persona e la sua consapevolezza di operare all’interno di una struttura organizzata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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