Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12338 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12338 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BELVEDERE MARITTIMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG COGNOME RAGIONE_SOCIALE
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, ha rigettato il ricorso proposto ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. da COGNOME NOME avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Catanzaro del 7 luglio 2023 di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. in relazione ai reati di cui artt. 74 (capo 1 – partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di cocaina, hashish e marjuana, occupandosi di mantenere ed assicurare i rapporti coi fornitori, prevalentemente calabresi e con gli acquirenti della sostanza stupefacente, nelle zone della provincia di Salerno e Napoli, del confezionamento e del trasporto di ingenti quantitativi della stessa, anche mediante l’utilizzo di telefoni criptati, messi a disposizione dal capo promotore NOME, ed auto dotate di doppio fondo per occultare lo stupefacente nonché di una serie di reati fine commessi nell’interesse proprio e del sodalizio di appartenenza, in qualità di uomo di fiducia del COGNOME, col ruolo di: mantenere ed assicurare i rapporti sia coi fornitori, prevalentemente calabresi, sia con gli acquirenti della sostanza stupefacente, nelle zone della provincia di Salerno e Napoli; – confezionamento e trasporto di ingenti quantitativi della stessa, anche mediante l’utilizzo di telefoni criptati messi a disposizione del COGNOME ed auto dotate di doppio fondo per occultare lo stupefacente; – nonché direttamente coinvolti nella commissione di una pluralità di reati fine nell’interesse proprio e del sodalizio di appartenenza) e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 5, 6, 7 – detenzione di quantitativi vari di cocaina ed hashish).
Le indagini hanno disvelato l’esistenza di un gruppo “itinerante” ben organizzato facente capo al coindagato COGNOME NOME, alias “COGNOME” (pregiudicato originario di Torre Annunziata ed all’epoca sottoposto alla sorveglianza speciale di P,S. con obbligo di residenza in Scalea, INDIRIZZO), il quale, insieme ad altri soggetti di origini calabresi e campane, sfruttando la propria esperienza criminale nonché i propri contatti sul territorio, era riuscito a movimentare ingenti quantitativi di cocain e droghe leggere, rivendute soprattutto all’ingrosso in territorio campano (come ad esempio accertato con riguardo al pregiudicato COGNOME NOME, conosciuto dal COGNOME durante la sua coattiva permanenza al Parco Roma di Scalea e – poi rifornito periodicamente di ingenti quantitativi di cocaina una volta ottenuta dallo stesso COGNOME l’autorizzazione al ritorno presso il proprio domicilio di Nocera Inferiore, domicilio presso il quale la droga gli veniva periodicamente consegnata dagli emissari del NOME).
Si è così riusciti ad identificare con certezza gli odierni indagati e a ben circoscrivere le specifiche condotte delittuose, poi trasfuse nei singoli capi d’imputazione.
Nel periodo oggetto di monitoraggio, il COGNOME ed i propri stretti collaboratori, tra i quali il ricorrente, avevano impiantato una stabile struttura organizzata per l’acquisto e la vendita “all’ingrosso” di ingenti quantitativi di cocaina e hashish; detta associazione operava nella Provincia di Napoli (ove gli indagati si recavano frequentemente, sia in ragione dei propri contatti criminali, ad esempio in Torre Annunziata – luogo di origine del COGNOME – sia in Portici ove risiedeva COGNOME NOME, cioè altro importante canale di rifornimento dello stupefacente – sia in COGNOME e Terzigno ove sono siti luoghi di stoccaggio e deposito dello stupefacente del gruppo), nella Provincia di Salerno (è emerso come gli indagati spesso si recavano in Nocera Inferiore, presso il domicilio di COGNOME NOME, emerso come importante acquirente “all’ingrosso” di stupefacente dal gruppo del NOME) e in territorio calabrese specificamente nel Comune di Scalea, in cui l’accordo criminoso diretto all’organizzazione del narcotraffico si era cristallizzato nel Comune di Scalea ove, nel 2021, si trovavano ristretti/domiciliati/coattivamente domiciliati gli associati – e nella Provincia di Regg Calabria – ove era sita una delle principali fonti di approvvigionamento di cocaina del gruppo).
I molteplici reati/fine sopra analizzati documentavano la caratura criminale ed il ruolo del COGNOME, in quanto capace – benché sottoposto, all’epoca dei fatti, alla sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel Comune di Scalea – non soltanto di muoversi liberamente sul territorio calabrese e campano, mantenendo costanti contatti (anche attraverso la partecipazione ad incontri de visu) e concludendo accordi fiduciari con grossisti” della provincia di Reggio Calabria e della Provincia di Napoli come nel caso di COGNOME NOME), in maniera tale da assicurare a sé ed alla propria organizzazione periodici e consistenti approvvigionamenti di stupefacenti, ma anche in grado di vendere, sempre “all’ingrosso” ed in breve tempo (soprattutto in territorio campano), gli ingenti quantitativi di stupefacente acquistati grazie alla propria rete di stabili acquirenti (come nel caso del COGNOME) e grazie ai propri stretti collaboratori (cui di volta in volta delegava specifici compiti di preparazione, di trasporto e/ di vendita al dettaglio della droga).
Il COGNOME era il fulcro e l’apice dell’organizzazione criminale oggetto di analisi (tanto che, in una significativa captazione tra il COGNOME ed il COGNOME – progr. 959 del 21 dicembre 2021 – il primo affermava che, in caso di carcerazione del COGNOME, i rapporti di fornitura sarebbero comunque proseguiti in quanto i proventi della vendita dello stupefacente sarebbero stati consegnati direttamente alla moglie del NOME), in quanto lo stesso assumeva le principali funzioni decisionali dell’organizzazione, sia mantenendo e gestendo i contatti criminali coi fornitori e con i clienti abituali, impartendo direttive ai propri più stretti collaboratori e accollandosi le spes legali nel caso del loro arresto e per il mantenimento dei relativi familiari (come in occasione dell’arresto del COGNOME).
Infine, il COGNOME (cfr. capi 5, 6 e 7) era un ulteriore sodale del gruppo messo in piedi dal COGNOME, con funzioni essenzialmente esecutive: era presente, non certo sporadicamente ed inconsapevolmente, alle varie operazioni dirette dal COGNOME e legate all’acquisto, al trasporto ed alla vendita dello stupefacente (come, ad esempio, nel caso delle vendite al COGNOME, presso il cui domicilio il COGNOME, insieme al COGNOME, era stato incaricato di recarsi ad intervalli regolari di tempo per le consegne dello stupefacente e per il ritiro del danaro). Le molteplici captazioni evidenziate circa i reati fine documentano dunque la piena intraneità del giovane al gruppo del NOME.
Appaiono oltremodo sintomatici della sussistenza del pactum sceleris tra i sopraccitati indagati l’uso da parte degli stessi di un gergo criptico comune (espressione di una metodica collaudata), e la sinergia da costoro dimostrata nell’espletamento delle varie attività illecite.
Trattasi, all’evidenza di indici rivelatori del carattere non occasionale delle condotte e dell’esistenza di una struttura votata al comune scopo dello spaccio, proprio perché ciascuno degli aderenti operava avendo ben presente il vincolo che lo legava agli altri cortei, con la consapevolezza (e la volontà) che le attività proprie e altru ricevessero vicendevole ausilio e contribuissero alla realizzazione del programma criminale.
Il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 273 cod. proc. pen.; travisamento della prova.
Si deduce che il Tribunale del riesame ha erroneamente riconosciuto l’esistenza e la conseguente operatività di una vera e propria struttura organizzativa dedita al narcotraffico e configurato un’ipotesi di condotta partecipativa al reato associativo, mentre in realtà si trattava di una mera attività di spaccio.
La motivazione del ruolo partecipativo del COGNOME si limita esclusivamente alla valutazione delle tre ipotesi di spaccio contestate all’indagato e al suo rapporto con il capo promotore dell’associazione Tamarico.
Non si è valutato che l’indagato era stabilmente residente in territorio calabrese. Stante la mancanza di sequestri o di rinvenimenti di stupefacente, i giudici della cautela hanno desunto i ruoli assegnati ai singoli partecipi dell’associazione di cui al capo 1) essenzialmente, se non esclusivamente, dal contenuto delle intercettazioni telefoniche. Gli indagati del reato associativo ex art. 74 cit. apparivano porsi sul medesimo piano e svolgere tutti la medesima funzione.
L’impegno del COGNOME nello spaccio al minuto non consentiva di configurare tra lui ed i presunti soggetti di vertice di prefigurare una sorta di ripartizionCdi ru
e funzioni e, dunque, l’organizzazione tipica – necessaria – del sodalizio ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. In assenza di risconti esterni (aspetto questo deficitario anche nell’ordinanza oggetto di impugnazione), concretamente ed oggettivamente individuabili, il solo contenuto delle intercettazioni non era sufficiente a sostanziare la suddivisione dei ruoli assegnata dal G.I.P. ai predetti indagati, e nello specifico al COGNOME.
Non è stato dimostrato che il COGNOME, quale uomo di fiducia di COGNOME NOME, avrebbe mantenuto ed assicurato i rapporti coi fornitori e con gli acquirenti e si sarebbe occupato del confezionamento e del trasporto dello stupefacente; né è provata la partecipazione consapevole del COGNOME alle cd. operazioni dirette dal COGNOME. I giudici della cautela indicavano quale elemento fondamentale – e dimostrativo della suddetta affermazione – l’incarico ricevuto dal COGNOME di recarsi ad intervalli regolari presso l’abitazione del Vicedomini, affermazione non riscontrata.
Il COGNOME, incensurato e privo di patente di guida, non era in grado di eseguire le direttive del promotore volte a farlo recare a cadenza periodica in territorio campano per eseguire le disposizioni ricevute.
L’ordinanza impugnata non contiene riferimenti ai guadagni dei singoli partecipispacciatori, ad una cassa comune e al cd. guadagno al netto (da parte dei partecipi/spacciatori) in ordine alle somme da destinare al promotore.
Ricorre l’ipotesi di associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, se si riceve dello stupefacente, si provvede alla successiva vendita e alla consegna del relativo ricavato (leggasi provento) all’organizzazione, il cui capo e/o altro soggetto a ciò deputato poi provvede a retribuire i singoli per l’attività di spaccio svolta, prelevando il danaro dalla cassa comune (ipotesi quest’ultima tipica di organizzazione strutturata nelle forme di cui all’art. 74 cit.); sussiste concorso di persone nel reato ex art. 7 d.P.R. n. 309 del 1990, quando i singoli soggetti dediti all’attività di spaccio acquistano (anche a credito) stupefacente per la successiva rivendita a terzi e, poi, consegnano all’inziale venditore il prezzo di acquisto, trattenendo per sé i relativi proventi. La differenza tra le ipotesi prospettate verte essenzialmente nel perseguimento del fine comune che, nel secondo caso, è del tutto assente, poiché, ciascuno opera in maniera individuale e autonoma. In detto caso, dunque, manca l’essenza dell’organizzazione, consistente nel concorrere a realizzare, previo accordo tra i sodali e attraverso una struttura organizzativa ed all’affectio societatis, un unitario programma criminoso destinato a spiegare collettivamente i propri effetti sull’intero gruppo.
Il COGNOME non operava secondo un’organizzazione strutturata in base a turnazioni ed orari di lavoro e non condivideva la disponibilità dei luoghi adibiti a custodia degli stupefacenti. Tra gli indagati del delitto di cui al capo 1) mancava qualsivoglia tipo di coordinamento finalizzato alla cessione di sostanze stupefacenti.
La dedotta assenza di gravità indiziaria in ordine ai presunti ruoli ricoperti, alla ripartizione dei proventi dell’attività di spaccio, all’assenza di una cassa comune, al pagamento in favore del NOME del prezzo di vendita e non dei proventi della comune attività delinquenziale, escludeva la sussistenza di un’organizzazione ex art. 74 cit..
L’ordinanza impugnata non contiene riferimenti ai mezzi messi in capo dal gruppo per il perseguimento del fine comune. A nulla vale la circostanza della (presunta) disponibilità di stupefacente. Non è stata dimostrata l’appartenenza del COGNOME in maniera cosciente e consapevole all’ipotetica organizzazione associativa dedita al narcotraffico.
La prova del reato associativo non può essere desunta unicamente dall’attuazione di una delle condotte incriminate dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, occorrendo invece la dimostrazione dell’accordo criminoso e dell’esistenza della struttura organizzativa. Al contrario, dal tenore delle intercettazioni si evinceva come il COGNOME operasse in maniera del tutto autonoma fuori dagli schemi del presunto sodalizio.
Inoltre, non sussistono elementi comprovanti la consapevolezza dello stesso circa le presunte attività degli altri partecipi volte alla realizzazione del comune programma nonché sulla coscienza di operare in seno all’organizzazione criminale e di contribuire, con il proprio apporto, alla realizzazione del fine comune. Il contenuto delle intercettazioni non dimostrava alcunché in merito alla presunta associazione, al suo programma e alla coscienza e volontà del COGNOME di prendervi parte.
Dal compendio investigativo emergevano solo contatti con taluni indagati (COGNOME, COGNOME, COGNOME), dai quali traspariva la conoscenza e la frequentazione interpersonale con gli stessi, ma anche la consapevolezza da parte del COGNOME dei traffici illeciti posti in essere dai propri conoscenti. Il COGNOME, tuttavia, non part cipava al programma criminale del gruppo o alla sua realizzazione, ponendo in essere specifiche attività funzioni al sostentamento dell’associazione.
La condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non è integrata dalla mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti di un singolo associato, quand’anche di livello apicale l né dalla condivisione ideale o di intenti, essendo, invece, indispensabile la volontaria, consapevole realizzazione di concrete attività funzionali, apprezzabili come effettivo ed operativo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione. Deve però trattarsi di con- . 1 GLYPH C tributo apprezzabile e concreto sul piano cat,le all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione, con la conseguenza che, per poter ritenere integrato il reato, è necessario concretamente individuare e specificare la parte svolta del compartecipe e cioè quel contributo, anche minimo ma non insignificante, da questi apportato consapevolmente alla vita della struttura e in vista del perseguimento del suo scopo.
Non erano ascrivibili ai COGNOME condotte che lo collocassero “a monte” del mercato della droga quali l’acquisto di grosse partite di stupefacente all’estero, contatti con finanziatori, corrieri, referenti oltreconfine, pianificazioni di attività plesse e/o costose (effettuare viaggi, scelta tra i diversi mezzi di trasporto, ricerca di modalità di aggiramento dei controlli doganali, etc. etc.), comportanti, di regola e salvo rarissime eccezioni, una stabile cooperazione delittuosa plurisoggettiva.
Quanto ai soggetti dediti alla vendita diretta ai consumatori finali, occorre distinguere il dato obbiettivo della provenienza della droga da una compagine criminale posta a monte e la generica consapevolezza della verosimile esistenza di una tale entità da parte del pusher e la reale adesione ad una simile consorteria, che potrà ritenersi dimostrata solo ove risulti una effettiva coscienza e volontà di operare in un simile contesto e di cooperare stabilmente con almeno altre due persone nella vendita della droga.
In tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la condotta di partecipazione non è integrata dalla mera disponibilità manifestata nei confronti di un singolo associato, anche se di livello apicale, né dalla mera condivisione di intenti, essendo indispensabile la volontaria e consapevole realizzazione di concrete attività funzionali, apprezzabili come effettivo e operativo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione. La partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice.
2.2. Violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e alla presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen..
Si deduce che l’ordinanza impugnata è caratterizzata da una motivazione meramente apparente, in quanto priva di un percorso logico argomentativo diretto ad evidenziare gli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo che giustificavano l’adozione della massima misura.
In altre parole, mancano nelle valutazioni del Tribunale del riesame i requisiti dell’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, non essendo sufficiente la semplice valutazione espressa dai giudici in ordine alle specifiche modalità e circostanze del fatto.
I principi generali di proporzionalità ed adeguatezza delle misure cautelari avrebbero imposto di prescegliere la misura più adatta a soddisfare le esigenze di cautela e nel contempo meno inutilmente invasiva della persona. Il principio del minor sacrificio necessario impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che, ai fini della configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali:
l’esistenza di un gruppo composto da almeno tre persone tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale), avente ad oggetto un programma criminoso di compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali;
la disponibilità da parte del sodalizio, con sufficiente stabilità, di risorse umane e materiali per una credibile attuazione del programma associativo;
un apporto individuale apprezzabile e non episodico degli associati, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita (Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258796; Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, COGNOME, Rv. 257582).
Non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Cicciari, Rv. 275583). Si è altresì sottolineato che l’elemento organizzativo assume un rilievo secondario, essendo sufficiente anche una struttura minima perché il reato si perfezioni (Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013, Piacentini, Rv. 255491; nella specie, la Cassazione ha ritenuto corretta la sentenza di merito che, ai fini dell’esclusione del reato, aveva giudicato irrilevante e, comunque, non provato il fatto che i correi non avessero stabile organizzazione e fossero sempre alla ricerca di mezzi per la commissione dei delitti scopo).
Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere finalizzata a traffico di stupefacenti, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune (Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, Chiorazzi, Rv. 283691 – 02); la prova del vincolo può essere desunta dalle modalità esecutive dei reati fine e dalla loro ripetitività, dalla natura de rapporti tra i loro autori, dalla ripartizione di compiti e ruoli fra i vari soggetti i del raggiungimento del comune obiettivo di effettuare attività di commercio di stupefacenti (Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012, dep. 2013, Cecconi, Rv. 255312).
L’assenza di una c.d. «cassa comune» non è ostativa al riconoscimento dell’associazione, essendo sufficiente, anche nell’ipotesi di una gestione degli utili non paritaria né condivisa con tra i vari sodali, che tra questi sussista un comune e durevole interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una sia pur minima organizzazione (Sez. 6, n. 2394 del 12/10/2021, dep. 2022, Napoli, Rv. 282677).
Ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, e in particolare dell’affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 02).
In tema di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, il dolo è costituito dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo, e quindi del programma delittuoso, in modo stabile e permanente (Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, Aguì, Rv. 283351 – 04).
Non è richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013, Casoria, Rv. 258645; Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi, Rv. 252232).
Quanto ai profili probatori, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche mediante l’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornime della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610).
La prova dello svolgimento di un’attività sistematica e continuativa di cessione di sostanze droganti per un apprezzabile periodo di tempo può essere raggiunta anche nel caso in cui risultino dimostrate o riscontrate da sequestri soltanto alcune delle cessioni, monitorate attraverso servizi di intercettazione di conversazioni, quando le stesse siano collegate probatoriamente alle altre condotte contestate, senza che sia necessario riscontrare tutti i singoli episodi, specie quando tali fatti coinvolgano le medesime persone, si presentino omogenei e risultino avvinti tra loro da continuità cronologica (Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, dep. 2021, Bruni, Rv. 281138).
Il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati fine, e dell’indeterminatezza del programma criminoso, che segna la distinzione con il concorso di persone, dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540), proprio perché attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670).
L’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550; in motivazione, la Corte ha precisato che il reato associativo richiede la predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo, poiché, solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa, si realizza la situazione antigiuridica che giustifica le gravi sanzioni previste per tale fattispecie; Sez. 6, n 28252 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270564, secondo cui il carattere stabile dell’accordo criminoso presuppone la presenza di un reciproco impegno alla commissione di una pluralità di reati e il reato associativo non può ritenersi integrato per la sol frequente commissione di reati da parte degli stessi soggetti nel diverso ruolo di acquirente e venditore, essendo invece necessario che tale reiterazione si collochi nell’ambito dell’esecuzione del programma associativo di commissione di una serie indeterminata di reati). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La commissione di ripetuti reati di “spaccio” ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, non può da sola costituire prova dell’integrazione del reato associativo, rappresentando al più indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione, che però va accertata con riferimento all’accordo tra i sodali, alla struttura organizzativa ed all’affectio societatis (Sez. 3, n. 25816 del 27/05/2022, Grillo, Rv. 283278). Occorre, pertanto, che i rapporti con tali soggetti costituiscano forme di interazione nell’ambito di un gruppo organizzato e non di relazioni di tipo diretto ed immediato, prive di riferimenti al ruolo esponenziale dei predetti per conto della consorteria (Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 282838). La ripetuta commissione, in concorso con altri partecipi, di reati fine dell’associazione, può integrare l’esistenza di indizi gravi, pre cisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell’assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta
prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505 – 02).
La prova dello svolgimento di un’attività sistematica e continuativa di cessione di sostanze droganti per un apprezzabile periodo temporale può essere raggiunta anche nel caso in cui risultino dimostrate soltanto alcune cessioni, monitorate attraverso servizi di intercettazione di conversazioni, quando le stesse sono collegate probatoriamente alle altre condotte contestate, non occorrendo riscontrare tutti i singoli episodi, specie quando tali fatti coinvolgano le medesime persone, si presentino omogenei e risultino avvinti tra loro da continuità cronologica (Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Carrara, Rv. 263043; Sez. 3, n. 42537 del 21/05/2014, COGNOME, Rv. 261146).
La prova dell’appartenenza al sodalizio criminoso può essere desunta anche dall’accertamento dell’assistenza legale fornita ad un partecipe e dell’aiuto economico assicurato ai suoi familiari, una volta che costui sia tratto in arresto, consistendo in condotte prestate a vantaggio dell’intera consorteria e non solo della persona assistita (Sez. 3, n. 12705 del 15/02/2019, Bilello, Rv. 275478; in motivazione, la Corte ha precisato che, al fine del consolidamento dell’organizzazione criminale assume una importanza vitale la circostanza che l’associato abbia consapevolezza di poter contare, in caso di arresto, sulla continuità del vincolo associativo e sul rapporto di soli darietà tra gli associati).
Con riferimento alla generica posizione di soggetto inserito nel sodalizio, va osservato che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, Rv. 282139, fattispecie in cui la Corte ha precisato che, ai fini della determinatezza dell’imputazione di condotta di partecipazione al sodalizio in oggetto, non è necessaria l’indicazione dello specifico ruolo eventualmente rivestito dal partecipante).
Ciò significa che, se è necessaria e sufficiente una qualsiasi azione, eseguita con qualsiasi modalità che arrechi un contributo causale rispetto all’evento tipico, non può, però, prescindersi da un contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione, con la conseguenza che, per affermare la sussistenza del reato, occorre concretamente individuare e specificare la parte svolta dal compartecipe e, cioè, quel contributo, anche minimo ma non insignificante, alla vita della struttura e in vista del perseguimento del suo scopo.
1.2. Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipe, è comunque sufficiente anche l’adesione e l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata
(Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276677, pronunzia emessa in fattispecie relativa alla gestione di una piazza di spaccio).
Infatti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al soda lizio ed in particolare dell’affectio di ciascun aderente, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 02). Per la configurabilità della condotta di partecipazione, peraltro, non è richiesto un atto di investitura formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257905; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, COGNOME, Rv. 263662).
1.3. Ciò posto sui principi operanti in materia, i giudici di merito hanno fornito un’ampia descrizione dell’organizzazione e delle modalità operative dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti.
La motivazione risulta adeguatamente articolata in ordine alle ragioni per cui il compendio probatorio risulta effettivamente in grado di dimostrare che i rapporti tra gli imputati e il gruppo fossero caratterizzati dal coefficiente di stabilità indispensabil per il riconoscimento della sussistenza del sodalizio e che la struttura associativa apparisse più che idonea al perseguimento delle finalità illecite.
La Corte distrettuale ha risposto esaurientemente a ciascun rilievo e ha illustrato adeguatamente l’organigramma ed i ruoli ricoperti dai vari soggetti, rappresentando l’esigenza di analizzare la struttura e il funzionamento dell’organizzazione, che riusciva a soddisfare quotidianamente le esigenze di tutti gli acquirenti ad ogni ora della giornata.
In linea coi suesposti principi la configurabilità del reato associativo è stata desunta in base ai seguenti elementi:
Il notevole giro di affari del gruppo (che chiaramente traspariva dai notevoli quantitativi di stupefacente cui si faceva riferimento nelle conversazioni oggetto di captazione).
I sistematici contatti attraverso i quali il COGNOME era riuscito ad organizzare e a dirigere i suoi più stretti collaboratori, in un vero e proprio rapporto di subordinazione gerarchica creato con gli stessi per l’esecuzione delle mansioni più varie, come anche per il trasporto dello stupefacente e del denaro necessario per la compravendita della sostanza.
3) La stabilità dei rapporti intercorrenti con gli acquirenti “all’ingrosso” (che dunque costituivano per il gruppo una sicura fonte di guadagno, oltre che un celere ca-
nale di smercio dello stupefacente), e coi fornitori del gruppo (attraverso i quali venivano assicurati al gruppo periodici e consistenti approvvigionamenti di stupefacenti, anche con acquisti a credito e messa a disposizione di ingenti stoccaggi di sostanza, fino addirittura a 200 kg. di cocaina, come documentato con l’accordo concluso coi calabresi della Provincia di Reggio Calabria).
L’ampia disponibilità di risorse finanziarie (che erano generalmente reinvestite per l’acquisto di nuove partite di stupefacente, ma anche per scopi solidaristici all’interno del gruppo, cioè per il mantenimento di familiari di sodali tratti in arresto o per il pagamento delle relative spese legali) e di comuni mezzi per la gestione in sicurezza delle comunicazioni (il gruppo disponeva di telefoni criptati – come ad esempio quello sequestrato in occasione dell’arresto del COGNOME – i quali, grazie a particolari software, consentivano di produrre messaggi codificati non intercettabili) e per il trasporto dello stupefacente (come di auto dotate di nascondigli idonei a nascondere lo stupefacente) nonché di luoghi per lo stoccaggio temporaneo dello stupefacente (nelle captazioni, ad esempio, si fa riferimento a nascondigli in Terzigno e in COGNOME: cfr. ad esempio sul punto il prog. 828 del 9 gennaio 2021 – rit 1427/2021, citato con riguardo al capo 10).
Il forte vincolo solidaristico all’interno del gruppo in esame. Invero, all’indomani dell’arresto del COGNOME, il COGNOME si faceva carico non solo delle spese legali del sodale arrestato, ma anche del sostentamento della compagna del COGNOME (cfr. sul punto il progr. 1314 del 15 gennaio 2022 ore 14:06 intercettato sul dispositivo cellulare in uso a COGNOME NOME – RIR 1427/21 nel torno 4, all. 171).
I precisi ruoli assunti dai sodali all’interno dell’organizzazione in parola. COGNOME NOME (cfr. capi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12) era capo promotore dell’organizzazione da lui messa in piedi e diretta per la florida attività di narcotraffi condotta nel territorio calabrese e campano.
I! COGNOME (cfr. capi 5, 6 e 7) era uno dei , GLYPH del gruppo messo in piedi dal COGNOME, con funzioni principalmente esecutive: era presente, non certo sporadicamente ed inconsapevolmente, alle varie operazioni dirette dal COGNOME e legate all’acquisto, al trasporto ed alla vendita dello stupefacente (come, ad esempio, nel caso delle vendite al COGNOME, presso il cui domicilio il COGNOME, insieme al COGNOME, era stato incaricato di recarsi ad intervalli regolari di tempo per le consegne dello stupefacente e per il ritiro del danaro). Le molteplici captazioni evidenziate circa i reati fine documentano dunque la piena intraneità del giovane al gruppo del NOME.
Egli risultava impegnato costantemente in attività di acquisto, vendita e approvvigionamento. La coesione dell’organizzazione, dunque, la convergenza dell’azione dell’indagato con quella del vertice e degli altri partecipi, il chiaro oggetto delle scussioni con riferimento allo smercio di droga ed altresì la rilevante convergenza di
interessi reciproci denotavano l’estrema adesione al programma del sodalizio da parte dell’indagato.
Il COGNOME intratteneva continui rapporti coi coindagati, si recava con loro presso i fornitori di cocaina e hashish a ritirare lo stupefacente, dove era più volte ripreso dalle telecamere, mentre entrava nello stabile dove il COGNOME ristretto agli arresti domiciliari; spesso si trovava in compagnia del capo COGNOME per conto del quale intratteneva conversazioni telefoniche. Le sue mansioni, peraltro, non erano meramente esecutive e il pieno coinvolgimento del COGNOME nel programma criminoso emergeva altresì dalla spiegazione fornitagli dal COGNOME circa l’utilizzo del telefono criptato messo a disposizione del gruppo, elemento peraltro valorizzato al fine di ritenere chiaramente dimostrato il pactum sceleris, dunque l’utilizzo di escamotage ben conosciuti da tutti i sodali.
La difesa non ha assolto l’onere del necessario confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata che, come nella specie, si censuri con il ricorso per Cassazione perché carente ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., impone al ricorrente di prendere in esame l’intero contenuto del provvedimento impugnato e non soltanto la parte di esso che specificamente si riferisce all’analisi della doglianza proposta con il gravame che viene fatta oggetto di critica in sede di legittimità; di modo che non è consentito, cioè, “parcellizzare” il provvedimento impugnato – sia pur seguendo l’ordine di trattazione delle specifiche questioni che in esso viene fatto – senza considerare argomentazioni spese in altra parte della sentenza e che sono rilevanti rispetto al giudizio sul tema devoluto in sede di legittimità (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep.2022, Berroa, Rv. 282949; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Occorre ricordare altresì che deve considerarsi inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per Cassazione che si limiti alla critica di una sola delle dive rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448).
Dall’ampio ed articolato quadro indiziario sopra sintetizzato, emerge l’impegno del COGNOME in plurime attività criminose di varia natura (e non di mero spaccio di stupefacenti come sostenuto dal ricorrente) nell’interesse dell’associazione, eseguite entro un ambito di un arco temporale sufficientemente lungo da ritenere integrato uno stabile inserimento in seno al sodalizio.
Va premesso che, in tema di misure cautelari personali, l’inadeguatezza degli t arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, lett. cod. proc. pen. può essere ritenuta quando, alla stregua di un giudizio prognostico fondato su elementi specifici inerenti ai fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità dell’indagato, sia possibile prevedere che lo stesso si sottrarrà all’osservanza
dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio (Sez. 6, n. 53026 del 06/11/2017, Crupi, Rv. 271686). L’adeguatezza della misura in concreto applicata, pertanto, va valutata anche con riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato (Sez. 3, n. 5121 del 04/12/2013, dep. 2014, Alija, Rv. 258832) ed assume particolare rilievo il dato della sua pericolosità (Sez. 6, n. 2852 del 02/10/1998, Lamsadeq, Rv. 211755).
L’inadeguatezza degli arresti domiciliari, in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., può, quindi, essere ritenuta quando elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto inducano a ritenere che quest’ultimo possa essere propenso a violare le prescrizioni della cautela impostagli.
Tale valutazione va eseguita soppesando, nella loro globalità, sia gli elementi inerenti alla gravità ed alle circostanze del fatto e sia quelli inerenti alla personali del prevenuto nel senso che la concessione degli arresti domiciliari è preclusa nella misura in cui – sulla base di dati fattuali concreti, anche desumibili da massime di esperienza, e dunque non meramente astratti o congetturali – sia possibile ritenere che l’imputato si sottragga all’osservanza delle prescrizioni attraverso il mancato assolvimento degli obblighi connessi all’esecuzione della misura cautelare domestica.
Pertanto, con specifico riferimento ai criteri di scelta delle misure coercitive custodiali, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari, in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. può essere ritenuta sia quando elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto inducano a ritenere che quest’ultimo possa essere propenso a disubbidire all’ordine di non allontanarsi dal domicilio, in violazione della cautela impostagli, sia quando la gravità del fatto, le motivazioni di esso e la pericolosità dell’indagato depongano nel medesimo senso, ossia per la propensione all’inosservanza delle prescrizioni.
Nella fattispecie, il Tribunale del riesame ha sottolineato l’impossibilità di formulare una prognosi di spontaneo adeguamento alle prescrizioni della gradata misura custodiale in ragione della presunzione relativa di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen, dell’ampia rete di rapporti personali ed economici intessuta coi sodali dell’associazione, dell’intensità del dolo di adesione criminosa alla stessa, dell’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo allontanamento dall’ambiente criminale in cui sono maturate le vicende illecite e dai fattori causali degli illeciti com portamenti del COGNOME.
Si è ritenuto, pertanto, che il presumibile collegamento con un contesto evidentemente organizzato e dedito alla movimentazione di grosse quantità di stupefacenti imponeva la misura di massimo rigore, dal momento che una misura meno restrittiva non poteva consentire di ostacolare adeguatamente il pericolo di ulteriori ricadute.
Orbene, le puntuali argomentazioni svolte dal giudice del merito per sottolineare, da un lato, la solidità e la gravità del quadro indiziario e, dall’altro, il pericolo concr e attuale di recidiva e l’esclusiva adeguatezza della custodia in carcere per fronteggiare lo stesso, non sono sindacabili in sede di controllo di legittimità del provvedimento impugnato, non essendo consentito alla Corte di Cassazione lo scrutinio fattuale della decisione impugnata, laddove correttamente e logicamente motivata.
Rispetto all’indicato percorso argomentativo le doglianze del ricorrente consistono in rilievi generici inerenti a principi giurisprudenziali in materia, del tutto p di riferimenti alla fattispecie de qua e di elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen..
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di rito ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2024.