Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10670 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10670 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CERCOLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a POLLENA TROCCHIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, la COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso, con le conseguenti statuizioni ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen.
lette le note in replica dell’AVV_NOTAIO NOME, per COGNOME NOME e COGNOME NOME, con le quali si è insistito per l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale dì quella città, con la COGNOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME erano stati condannati per il reato di associazione per delinquere, finalizzata alla commissione un numero indeterminato di delitti in materia di stupefacenti, aventi a ogge sostanze del tipo cocaina e crack, nella qualità di meri partecipi, oltre che per più reati fine ai sensi dell’art. 73, comma 1, d. P.R. n. 309/1’390, aventi a ogg sostanze dei medesimi tipi (fatti accertati in Napoli nel 2019).
Nella sentenza impugnata si è dato conto, per quanto d’interesse, in relazione ai motivi di ricorso, della sollevata eccezione di inutilizzabilità delle interce formulata in relazione all’allegata carenza dei presupposti di cui all’art. 267, proc. pen., riguardo al decreto autorizzativo primigenio, nonché della richiesta riqualificazione dei reati ai sensi, rispettivamente, dell’art. 74, comma 6 e 73, co 5, d. P.R. n. 309/1990.
Quanto al primo tema, la Corte ha rigettato il motivo di gravame, ripercorrendo la genesi dell’indagine, riportata nella informativa richiamata nel decr autorizzativo censurato. In particolare, dopo l’arresto di tale COGNOME NOME 13/3/2019), gli investigatori avevano appreso da fonte confidenziale che nel quartier “Barra” di Napoli operava una “piazza di spaccio itinerante” di cocaina e crack, capeggiata da COGNOME NOME, il COGNOME si avvaleva per la consegna di due coniugi che agivano a bordo di un’autovettura per effettuare le singole consegne delle sostanze stupefacenti. In seguito a tale notizia, gli inquirenti avevano organizzato servizio di osservazione e il 29/3/2019 avevano controllato i due coniugi a bord dell’autovettura segnalata, rinvenendo alla COGNOME due involucri di sostanza del tipo cocaina, sigillate con modalità simili a quelle utilizzate per confezionare le rinvenute al COGNOME qualche settimana prima, nonché la somma di euro 500,00 e un block notes con annotati nominativi e cifre. Durante il controllo, sull’uten cellulare in uso al COGNOME era stato constatato l’arrivo di moltissime chiamate. All’esito, gli investigatori avevano denunciato la COGNOME per la violazione amministrativa di cui all’art. 75, d.P.R. n. 309/1990, ma l’episodio era s valorizzato in sede di autorizzazione delle intercettazioni COGNOME elemento util fondare la sussistenza di gravi indizi di un reato per il COGNOME era consentito l’ut di quel mezzo di ricerca della prova.
Quanto, poi, alla qualificazione giuridica delle singole condotte, la Corte ritenuto corretta quella operata dal primo giudice, muovendo dalla verifica d momento genetico associativo, rispetto al COGNOME ha ritenuto pregnante l’accertamento
della programmazione dell’attività delittuosa svolta in torma associata, p esaminare, dunque, la possibilità di iscrivere i singoli episodi contestati condotte rilevanti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Sul punto, operato un rinvio ai principi fissati in materia dalla giurisprudenza, ritenendo nella specie, le prove dimostrassero la capacità del gruppo di movimentare significativi quantitativi di droga e di soddisfare le esigenze di una discreta clie assicurandosi buoni guadagni, cosicché nessuno dei singoli episodi poteva ascriversi al paradigma delineato nell’art. 73, comma 5, d.P.R. 30971990. Il sodalizio, inoltr era riuscito a gestire un fiorente mercato di riferimento nella zona orientale capoluogo partenopeo, ponendo in essere cessioni quotidiane di più tipi di stupefacente (cocaina e crack), movimentato in notevoli quantità, come emerso anche dal rendiconto dei vari pushers al COGNOME, così da restituire “plasticamente”, come affermato dalla Corte territoriale, l’immagine di un vero proprio mercato della droga, pronto a soddisfare le esigenze di un’articolata rete consumatori e spacciatori.
La difesa degli imputati ha proposto ricorso avverso la sentenza, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione co riferimento alla ritenuta utilizzabilità delle disposte intercettazioni. La di rilevato che il decreto di autorizzazione genetico, adottato in via d’urgenza, no fondava su alcuna ipotesi astratta inerente ai reati in contestazione, ribadendo ch nell’occorso, la COGNOME era stata solo amministrativamente denunciata, laddove l’informativa si era basata su una fonte confidenziale che avrebbe indicato COGNOME COGNOME promotore dell’associazione.
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla mancata riqualificazione delle condotte in ipotesi rilevanti ai sensi degli artt. 74, comma 6 e 73, comma d.P.R. n.309/1990. La Corte, secondo il deducente, avrebbe omesso di confrontarsi con le censure veicolate con il gravame, alla stregua delle quali poteva riteners minor disvalore delle condotte contestate. In particolare, quanl:o al quantitativo de singole cessioni, la difesa ha contestato, richiamando le censure veicolate co l’appello, che per tutto il periodo di osservazione era emerso un ricavo complessivo d gran lunga inferiore a quello indicato dal giudice, ritrascrivendo il calcolo effe per ogni episodio contestato nei diversi capi d’imputazione, per arrivare alla somma finale di euro 7.625,00, inconciliabile con la ritenuta enormità dei quantitat droga smerciati. Ha, inoltre, affermato che lo spaccio era condotto all’interno di circuito ristretto di persone sulla scorta di un rapporto di conoscenza.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso c conseguenti statuizioni ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
È vero che il tema introdotto ripropone una questione di diritto, sub specie di violazione di legge processuale e che, pertanto, essendo incontroverso il fatto, il requisito della specif risulta soddisfatto in caso di riproposizione della medesima questione interpretativa – anc senza elementi di novità – sempre che risulti pertinente ai contenuti della decisione impugna e miri a una rivalutazione della “quaestio iuris” da parte del giudice di grado superiore (sez. 1, n. 20272 del 16/6/2020, COGNOME, Rv. 279369, con riferimento al giudizio di appello). Nella specie, tuttavia, deve considerarsi che i giudici del merito hanno puntualmente disatteso doglianze in termini perfettamente coerenti con i principi più volte ribaditi in sede di legi offrendo giustificazioni ben più ampie di quelle fatte oggetto di critica. E, sul punto, no che rilevarsi l’inammissibilità di un ricorso fondato su motivi che si risolvono nella pedis reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di m dovendosi gli stessi considerare non specifici e soltanto apparenti, in quanto omettono assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricors (sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, COGNOME, Rv., 277710). In tal caso, infatti, difetta la necessaria correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109-01; sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521-01, in cui si è ribadito il principio, precisandosi che, a tal fi insufficiente l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntual provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella specie, ad ogni buon conto, la risposta dei giudici di merito all’eccep inutilizzabilità delle intercettazioni è corretta, siccome coerente con i principi più volte a in sede di legittimità, la difesa non avendo considerato, nel reiterare la doglianza, da un che – in tema di autorizzazione all’effettuazione di intercettazioni telefoniche – le inform confidenziali acquisite dagli organi di polizia giudiziaria determinano l’inutilizzabili intercettazioni, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 1-bis e 203, comma 1-bis, cod. proc. pen., soltanto quando abbiano costituito l’unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità, il divieto di utilizzo della fonte confidenziale no esteso anche ai dati utili per individuare i soggetti da intercettare, sempre che r l’elemento obiettivo dell’esistenza del reato e sia indicato il collegamento tra l’indagine in e la persona da sottoporre a captazione (sez. 6, n. 39766 del 15/4/2014, COGNOME‘COGNOME, Rv. 26045601; n. 42845 del 26/6/2013, COGNOME, Rv. 257295-01; sez. 1, n. 11640 del 14/5/2019, dep. 2020, Moceo, Rv. 279322-01).
Principio nella specie osservato dai giudici del merito che hanno, infatti, dato conto de ulteriori elementi riportati nella informativa e, specificamente, anche del controllo che a condotto alla contestazione della violazione amministrativa ai sensi dell’art. 75, d.P.R 309/1990 proprio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
Sotto altro, connesso profilo, poi, la difesa ha omesso di considerare che, proprio co riferimento alla gravità indiziaria presupposta dall’art. 267 cod. proc, pen., la giurisprud in linea con la chiara lettera della norma richiamata, ha ormai defiritivamente chiarito c gravi “indizi di reato”, presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazio comunicazioni, attengono solo all’esistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza di determinato soggetto, sicché per procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debba essere captate a fine di indagine (sez. 4, n. 8076 del 12/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258613-01; n. 42017 del 17/10/2006, Capitano’ Rv. 235536-01; sez. 1, n. 2568 del 18/9/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280354-01). Pertanto, l’argomento valorizzato a difesa per contestare il ragionamento svolto dalla Corte territoriale, ispirato proprio a tali prin scontra con l’evidenza rappresentata dal fatto che la gravità indiziaria non aveva riguardato la COGNOME e il titolo della detenzione contestatale, bensì l’attività illecita che quella detenzi presupponeva.
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La decisione della Corte territoriale, nella specie, si salda con quella appellata, stan conformità dei giudizi. Ciò ha evidenti ricadute sulla natura del sindacato di legittimità per q riguarda la verifica dell’adeguatezza e congruità del ragionamento giustificativo in ordine doglianze formulate anche in punto qualificazione giuridica delle condotte.
3.1 I giudici del merito non sono incorsi, intanto, nella denunciata violazione di legge.
Premesso che il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacen costituita al fine di commettere fatti di lieve entità ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. del 1990 costituisce fattispecie autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata del reato di c all’art. 74, comma 1 (Sez. U., n. 34475 del 23/6/2011, Va/astro, RV. 250352; sez. 3, n. 44837 del 6/272018, COGNOME NOME, Rv. 274696), la stessa è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in conc l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti iiella previsione 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (sez. 6, n. 1642 del 9/10/2019, COGNOME, Rv. 278098, in cui la Corte ha confermato la condanna per l’associazione minore, eviclenziando che il sodalizio si riforniva di eroina, sempre presso gli stessi fornitori, per quantitativi non eccedenti grammi per volta, in quanto non aveva capacità finanziaria per acquisti maggiori, che non spacciava sostanze di tipo diverso, che non aveva, sul territorio di riferimento, una posizione controllo del mercato, che presentava un organigramma estremamente ridotto e che gli associati erano già stati condannati in primo grado per fatti di droga di lieve entità). In altri termin
d’interesse, non è sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accerta concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell’associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e le potenzi dell’organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grad procurarsi (sez. 3, n. 44837 del 6/2/2018, COGNOME, RV. 274696).
Nella specie, il Tribunale (vedi pagg. 216-217) aveva già dato atto delle dimension modeste del sodalizio delinquenziale, composto da otto persone, dirette dal COGNOME, ma anche del fatto che una simile, ridotta organizzazione era stata capace di generare un profit illecito di assoluto rilievo, quantificato tra i 2500/3000 euro al giorno, per un ricavo m oscillante tra gli 80.000 e i 90.000 euro, altresì stigmatizzando le modalità attraverso le qu soggetto apicale era solito distribuire la sostanza stupefacente (mediante cessioni a “credito così fidelizzando i clienti e inducendoli a rifornirsi di continuo dall’associazione. Di qui l’es di fatti sussumibili nella ipotesi lieve, valutata l’entità e pervasività dell’attività illecit dalla COGNOME gli aderenti traevano ragguardevoli fonti di guadagno.
A fronte della doglianza difensiva, la Corte territoriale ha valorizzato la circostanza sodalizio trattava sostanze di diversa natura; aveva dimostrato capacità di smaltimento d quantitativi non modesti in poco tempo; gestiva una vera e propria “piazza di spaccio” in un precisa zona del capoluogo partenopeo; movimentava notevoli quantità di droga, ricavando tale informazione proprio dalla rendicontazione che gli spacciatori facevano al capo. A fronte di t dati fattuali, ha ribadito la non lievità dei singoli episodi, i quali si andavano a inserire del così ricostruito mercato della droga, senza che l’entità delle singole cessioni pote svalorizzare il dato rappresentato da quel contesto di riferimento. Tale argomentare offre idone giustificazione della conclusione per la COGNOME le singole condotte si sono poste in termin evidente, intrinseca incompatibilità con una volontà dei sodali, al momento genetic dell’associazione, di commettere solo un numero indeterminato di fatti di minore offensività.
3.2. Ma non si rinviene neppure il denunciato vizio motivazionale.
In ipotesi di doppia sentenza conforme nel merito, la denuncia ,di tale vizio non pu tradursi nella reiterazione della tesi difensiva esaminata dai giudici d’appello (sez. 3 n. 1392 1/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; sez. 3 n. 44418 del 16(7/2013, COGNOME, Rv, 257595; sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, Rv. 277218): il che avviene esattamente quando le sentenze di primo e di secondo grado, saldandosi, formino un unico complesso motivazionale (se i giudici di appello, cioè, abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con crit omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi p ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione), come accaduto nella specie, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata, come è accaduto nella specie. Non pare ultroneo ricordare, poi, stante la natura delle censure, che son del tutto estranei al giudizio di legittimità la valutazione e l’apprezzamento del significat elementi probatori che attengono interamente al merito. Se ne inferisce, pertanto, l’inammissibilità di doglianze sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risul
probatorio, secondo diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adotta giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; sez. 6 n. 5465 del 4711/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; sez. 3 n. 18521 del 11/1/2018, COGNOME, Rv. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099-01).
Infine, deve precisarsi – stante il tenore dei motivi con i quali si è anche lamentat asserito “silenzio” motivazionale in ordine a specifiche osservazioni difensive – che in sed legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzion prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione de sentenza complessivamente considerata (sez. 1 n. 27825 del 22/05/2013, aniello e altri, Rv. 256340; sez. 5 n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò NOME, Rv. 275500).
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spe processuali e al versamento della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e de somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 20 febbraio 2024