Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20807 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20807 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 15/08/1982 NOME nato il 04/11/1989 NOME nato i! 23/07/1986 NOME nato il 22/09/1987 NOME nato il 15/05/1947 NOME nato il 26/06/1963 NOME nato il 19/04/1983
avverso la sentenza del 06/04/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso di NOME COGNOME e per la declaratoria di inarnmissibilita di tutti gli altri ricorsi.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOMECOGNOME del foro di GENOVA, in difesa di COGNOME NOME COGNOME Il difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente, inoltre, l’avvocato COGNOME NOME, del foro di GENOVA, in difesa di COGNOME NOME COGNOME NOME, anche in sostituzione dell’avvocato COGNOME in difesa di NOME COGNOME Il difensore insiste per l’accoglimento dei ricorsi, esponendone i motivi e deposita nomina a sostituto processuale ex art. 102 cpp.
E’ presente, altresì, l’avvocato COGNOME, del foro di GENOVA, in difesa di NOME COGNOME NOME COGNOME. Il difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento. E’ presente, infine, l’avvocato COGNOME, del foro di GENOVA, in difesa di NOME COGNOME. Il difensore insiste per l’accoglimento del ricorso, esponendone i motivi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 6 aprile 2023, la Corte d’appello di GLYPH Genova, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Genova, ha riqualificato il fatto di cui al capo A) del imputazione nel reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. nei confronti d NOME COGNOME riducendo la pena allo stesso originariamente inflitta.
Ha confermato la pronuncia di condanna emessa a carico di NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ritenuti responsabili dei reati di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 (i primi due imputati) e d.P.R. 309/90, per essersi resi responsabili di plurimi episodi riguardanti l’illecita detenzione ed il commercio di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
Avverso la pronuncia della Corte d’appello hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati predetti a mezzo dei rispettivi difensori, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari pe la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
NOME
I) Manifesta illogicità o mancanza di motivazione relativamente alla contestazione associativa.
Dopo avere riepilogato la vicenda processuale, la difesa rappresenta che, all’udienza conclusiva, la Corte di appello aveva emesso ordinanza ex art. 507 cod. proc. pen., disponendo accertamenti reputati necessari ai fini della decisione circa l’esito dei procedimenti instauratisi a carico degli al coimputati nel delitto associativo.
L’esito di tale verifica si rivelò non proficuo perché il procedimento a carico del solo NOME COGNOME non era stato celebrato per assenza dell’imputato; si apprendeva inoltre che il coimputato NOME COGNOME era nelle more deceduto. Non si conoscono, perché non esplicitate, le ragioni dell’acquisizione di tali informazioni. Deve tuttavia desumersi che, avendo la Corte di appello ritenuto di effettuare accertamenti indispensabili ai fini del
decisione, l’esito negativo della ricerca influisca sulla correttezza completezza dell’esito del giudizio.
Dal tenore dell’indagine effettuata si evince che la Corte di merito abbia nutrito dubbi sulla ricorrenza del numero legale dei componenti dell’associazione. Si evidenzia in proposito che, essendo il COGNOME deceduto ed avendo la stessa Corte d’appello assolto dal reato sub capo A) il coimputato COGNOME, nell’ambito del presente giudizio residuino quali partecipi dell’associazione la sola ricorrente e Velez Isaza.
II) Mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente al fatto associativo.
III) Mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente alla partecipazione della ricorrente all’ipotizzato fatto associativo.
La difesa contesta l’esistenza stessa dell’associazione, evidenziando come la motivazione espressa sul punto dalla Corte territoriale, la quale si è riportata interamente al contenuto della pronuncia di primo grado, sia del tutto inadeguata ed insufficiente. Difetterebbe nel portato argomentativo ogni riferimento alla stabilità del gruppo, alla esistenza di una cassa comune, alla ripartizione degli utili, alla suddivisione di ruoli e ad ogni altro elem capace di rivelare la permanenza del vincolo tra gli aderenti al sodalizio e la programmazione di attività criminali nel campo degli stupefacenti destinate a durare oltre il singolo episodio delittuoso.
Difetterebbe, con riferimento alla posizione della imputata, ogni argomentazione suscettibile di rivelare la consapevolezza della donna di partecipare all’attività del sodalizio e di contribuire nell’attuazione programma criminoso.
NOME
Motivo unico: nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione ed interpretazione della norma di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90.
La Corte di merito ed il giudice di primo grado hanno fornito risposte inadeguate ai rilievi mossi dalla difesa. Sebbene il ricorrente fosse dedito ad attività di spaccio di sostanze stupefacenti acquistate dai coimputati COGNOME e COGNOME, suoi abituali fornitori, egli non aveva contezza di essere inserito in un gruppo criminale organizzato e di contribuire alla sua esistenza. Il ricorrente era alla mercè dei consociati, ai quali versava l’inte ricavato della vendita dello stupefacente, tanto da essere totalmente sprovvisto di mezzi di sostentamento.
NOME
Motivo unico: inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente, rappresenta la difesa, rispondeva del reato di cui all’a 74 d.P.R. 309/90; a suo carico, durante il giudizio, il P.M. elevava contestazione suppletiva per il reato di cui all’art. 648-bis cod.pen. All’esi del giudizio di primo grado, il Tribunale perveniva all’assoluzione di NOME COGNOME con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 648-bis cod. pen. perché il fatto non sussiste, condannando l’imputato per il delitto associativo. La pronuncia assolutoria è divenuta definitiva non essendo stata impugnata dalla pubblica accusa. La Corte d’appello, pertanto, non poteva riqualificare il fatto di cui al capo A della rubrica nella fattispecie di cui a 648-bis cod. pen.
La motivazione a sostegno della riqualificazione e della condanna, peraltro, è scarna e incoerente: inizialmente la Corte di merito sostiene che il ricorrente non avesse consapevolezza della provenienza del danaro dall’attività di spaccio di sostanze stupefacenti; poche righe più in basso sostiene il contrario, incorrendo in una grave contraddizione.
La difesa ha depositato memoria scritta nella quale, riportandosi alle ragioni di doglianza, ha insistito nel richiedere l’accoglimento del ricorso.
NOME COGNOME NOME
GLYPH Mancanza, GLYPH contraddittorietà GLYPH o GLYPH manifesta GLYPH illogicità GLYPH della motivazione; motivazione della sentenza di appello soltanto apparente; violazione dell’art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
La difesa lamenta che la motivazione della sentenza di appello si è limitata a ricalcare le argomentazioni sostenute dal giudice di primo grado, trascurando di considerare i rilievi difensivi. In tal modo la Corte d’appello espresso una motivazione soltanto apparente. Nel rigettare il primo motivo di appello, con il quale la difesa aveva invocato l’assoluzione dell’imputato o la derubricazione delle condotte nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R. 309/90, la decisione riproduce la sentenza di primo grado, affermando, in termini del tutto apodittici, di aderire alla ricostruzione de prima sentenza, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione e senza argomentare sulla loro pertinenza ed eventuale accoglibilità.
Non si comprende come i giudici di merito siano riusciti a determinare i quantitativi della sostanza stupefacente oggetto di contestazione sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate e dei termini adoperati dai colloquianti.
La difesa aveva evidenziato come, nel corso delle copiose intercettazioni, venissero utilizzati gli stessi termini per indicare un dive quantitativo di stupefacente o diversi termini per indicare uno stesso
quantitativo, rendendo inaffidabile l’associazione parola-quantitativo.
Nello specifico, con riferimento agli episodi del 29 e 30 dicembre 2012, la determinazione del quantitativo di stupefacente contestato all’imputato si basa su congetture e supposizioni in contrasto con gli stessi elementi addotti dall’accusa con riferimento ad altri episodi contestati ai coimputati.
In relazione al fatto occorso in data 31/12/2012, l’accertamento circa il quantitativo acquisito dall’imputato si basa esclusivamente su ipotesi formulate dalla Polizia giudiziaria, le quali si prestano a plausib interpretazioni alternative.
II) GLYPH Mancanza, GLYPH contraddittorietà GLYPH o GLYPH manifesta GLYPH illogicità GLYPH della motivazione; travisamento del contenuto delle intercettazioni; assenza di reale motivazione della decisione di secondo grado.
Già il giudice di prime cure, osserva la difesa, si è limitato a riporta lo stralcio delle intercettazioni contestate all’imputato, senza giustific l’interpretazione del linguaggio criptico utilizzato, ritenendo provata la pena responsabilità del ricorrente senza dar conto dell’iter logico seguito, ovvero delle ragioni su cui aveva fondato il suo convincimento.
La stringatissima motivazione della sentenza oggi impugnata si limita ad affermare che: “La prova dell’attività illecita dell’imputato è fornita da numerose conversazioni telefoniche, menzionate in sentenza, intercettate nel periodo in contestazione” (pagina 29 sentenza Corte di appello di Genova n. 1125/2023 oggi impugnata).
La Corte territoriale non si preoccupa di esporre le ragioni del suo convincimento: il contenuto delle conversazioni genericamente citate non viene in alcun modo richiamato e illustrato in sentenza.
Premesso che NOME COGNOME NOME non è stato interessato da alcun sequestro di sostanza stupefacente, la Corte d’appello avrebbe dovuto illustrare in modo puntuale il significato dei colloqui registr riguardanti la sua persona, i quali, considerati alla lettera, non hanno alcu significato di senso compiuto. Le “traduzioni”, non specificamente giustificate dai giudici di merito, non contribuiscono alla formazione di un apparato motivazionale sufficiente a supportare la pronuncia di condanna.
I fatti smentiscono la ricostruzione offerta dai giudici di merito giudici non hanno considerato la mancanza di sequestri a carico dell’imputato ed il fatto che si sia accertato l’invio di soli 300 euro da pa sua in Colombia, circostanza che attesta la mancanza della capacità finanziaria di sostenere i costi dell’acquisto dei rilevanti quantitativ sostanza stupefacente che gli vengono addebitati.
III) Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
IV) Mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
NOME
I) Inosservanza dell’art. 111, comma 3, Cost.
La Corte d’appello ed il giudice di primo grado, lamenta la difesa, hanno omesso di considerare gli elementi a favore dell’imputato, così incorrendo nella violazione della norma citata.
In un caso (episodio del 14/8/2012), il Tribunale ha escluso la responsabilità dell’imputato con riferimento all’acquisto effettuato da NOME di 100-200 grammi di sostanza di tipo cocaina.
Le conversazioni intercettate a carico dell’imputato, dove compaiono numerosi riferimenti ad un computer, devono essere interpretate alla luce dell’attività professionale del ricorrente, il quale è un tecnico informatico giudici di secondo grado, investiti della doglianza, hanno omesso ogni motivazione sul punto, mancando di offrire risposta ai rilievi difensivi.
La mancata considerazione degli elementi a favore dell’imputato rappresenta una evidente violazione del diritto di difesa, dei princip costituzionali dettati dall’art. 111 Cost. e di quelli convenzionali stab dall’art. 6 CEDU.
II) Omessa motivazione sull’inattendibilità delle prove contrarie.
La sentenza del Tribunale è viziata da carenza di motivazione con riferimento alle prove a discarico del condannato; essa viola l’art. 546 cod. proc. pen. nella parte in cui prevede che la sentenza debba contenere l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibil prove contrarie. Il Tribunale e la Corte d’appello non hanno considerato come dall’incarto processuale non si rinvenga alcuna prova a carico di COGNOME; il ricorrente, infatti, non ha subito sequestri e non è stat attinto da chiamate in correità, dichiarazioni testimoniali, intercettazi ambientali (come si evince dalla testimonianza resa in sede di controesame dal Mar. Capo COGNOME NOME COGNOME).
Nelle sentenze di merito non si è tenuto conto del precipuo valore che l’indizio deve assumere in materia di c.d. droga parlata per assurgere al rango di prova.
III) Violazione di legge, non avendo la Corte d’appello, previa
riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
IV) Travisamento della prova: il Tribunale ha attribuito valenza probatoria al nominativo “Compu”, che compare nella lista dei debitori sequestrata al COGNOME. Tale affermazione non è corroborata da alcun riscontro. Quanto al soprannome “zio”, esso ricorre nelle indagini anche per indicare altri imputati.
V) Errata applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Le sentenze di merito non hanno fatto buon governo della prova indiziaria, difettando nelle emergenze esaminate i requisiti della precisione e della concordanza.
VI) Violazione dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., non avendo i giudici di merito fatto applicazione della norma che impone la condanna solo quando sia stata raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
VII) Errata applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. in relazione all’art. 133 cod. pen. La difesa si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche, lamentando la mancata considerazione di positivi elementi di valutazione in favore dell’imputato.
VIII) Errata applicazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. in ragione del mancato contenimento della pena nel minimo edittale.
NOME
Nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione all’art. 546, comma 1, lett e) cod. proc. pen.
Si duole la difesa dell’assoluta mancanza di motivazione che connota la pronuncia della Corte di appello. La Corte territoriale ha solo pedissequamente ricalcato le argomentazioni illustrate nella sentenza di primo grado, senza pronunciarsi sui motivi di appello.
La sentenza impugnata, priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, difetta di un apparato argomentativo idoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito.
II) Nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, assenza di motivazione ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. in ordine alla valutazione delle prove acquisite; travisamento del contenuto delle intercettazioni.
La Corte d’appello ed il Tribunale non hanno considerato come, nel corso di tutta l’attività processuale, non sia stata raccolta alcuna prova idonea a sostenere, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità
dell’imputato in ordine all’attività di spaccio contestata.
Il Tribunale ha affermato la penale responsabilità dell’imputato fondando il proprio convincimento esclusivamente sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate (del tutto prive di consistenza probatoria) e delle dichiarazioni rese in interrogatorio da NOME COGNOME e NOME COGNOME (anch’esse mai adeguatamente vagliate sotto il profilo dell’attendibilità dei dichiaranti). Tutto ciò risulta dalla lettur pagine 83, 84, 85 e 88 della sentenza di primo grado, in cui vengono riportate alcune intercettazioni relative a supposti incontri tra il COGNOME e ta associati. Da tali elementi non emerge alcuna prova certa a supporto della ritenuta responsabilità dell’imputato. Dalle conversazioni richiamate non emergono riferimenti allo stupefacente.
III) Nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla mancata qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
IV) Nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
NOME COGNOME NOME
La difesa, con motivo unico, lamenta vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. comma 5, d.P.R. 309/90.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Prima di passare all’esame delle singole censure, è opportuno rammentare che, in caso di “doppia conforme” affermazione di responsabilità, la sentenza di primo grado e quella di appello, per giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare dell congruità e della completezza della motivazione (Sez. 1, 22/11/1993, dep. 4/2/1994, n. 1309, COGNOME, Riv. 197250; Sez. 3, 14/2/1994, n. 4700, COGNOME, Riv. 197497; Sez. 2, 2/3/1994, n. 5112, COGNOME, Riv. 198487; Sez. 2 del 13/11/1997, n. 11220, COGNOME, Riv. 209145; Sez. 6, 20/11/2003, n. 224079).
Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima, sia nella ricostruzione del fatto, sia nelle parti non oggetto di specifiche censur
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difensive, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall’appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimità si estende alla verifica circa la congruità e logicità delle risp fornite alle predette censure.
Inoltre, sempre secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo ai fini delle soluzioni adottate Pertanto, in tal caso, devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e la ricostruzione fornita dal giudice nella sentenza impugnata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, COGNOME ed altri, Rv.254107, Sez 3, n.7406 del 15/01/2015, Rv.262423).
Sempre in via preliminare, è d’uopo rammentare come in questa sede non possano essere prospettate questioni in fatto o differenti valutazioni delle risultanze processuali, in quanto simili indagini esulano dai poteri attribuiti al giudice di legittimità.
In tema di controllo sulla motivazione, infatti, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo d provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della intima coerenza strutturale de sentenza, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (così Sez. U, n. 12 del 31/05/2000 lakani, Rv. 216260).
Ne consegue che, una volta che il giudice abbia offerto una logica motivazione, coordinando gli elementi sottoposti al suo esame in modo coerente e non contraddittorio, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione.
Pertanto, la corretta deduzione del vizio di motivazione deve palesare
che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e gravemente difettoso sul piano logico, senza alcuna possibilità di introduzione di diverse ricostruzioni altrettanto logiche.
E’ il caso di aggiungere, con riferimento ai più generali poteri di controllo esperibili in questa sede, come alla Corte di Cassazione non spetti il compito di procedere ad una rinnovata valutazione degli elementi probatori posti a base del giudizio di responsabilità. Invero, l’articolo 606, comma 1, lettera e), cod.proc.pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza d motivazione in rapporto ai dati processuali. Inoltre, è principio non controverso che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non sia tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né a condividerne la giustificazion dovendosi limitare a verificare se questa giustificazione sia logica (ossia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità d apprezzamento) e giuridicamente corretta (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944, così massimata: «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzont circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di u logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui i giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Cort di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mer prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Occorre infine rammentare come, in caso di cd. “doppia conforme, il vizio di travisamento della prova possa essere validamente dedotto ove il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438).
Quanto alla posizione di NOMECOGNOME i motivi di ricorso sono tutti inammissibili.
La difesa trae spunto dall’ordinanza emessa nel corso del giudizio di
appello, con cui la Corte di merito disponeva l’acquisizione d’informazioni in merito all’esito dei procedimenti a carico dei coimputati nel reato associativo, per sostenere l’esistenza di un vulnus nella motivazione e ventilare la mancanza del numero minimo legale dell’associazione.
La prospettazione è generica e perplessa: la difesa non indica come gli esiti degli accertamenti disposti abbiano inciso sulla correttezza dell decisione assunta e non affronta in modo diretto e specifico la questione del numero legale dei partecipanti all’associazione, muovendo critiche non specifiche, insuscettibili di rivelare il lamentato errore nel quale sarebber incorsi i giudici di merito.
Trascura in proposito di considerare che, in tema di associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo. Ne consegue che vale ad integrare la fattispecie in esame la partecipazione degli individui rimasti ignoti o giudicati separatamente ed anche di quelli deceduti (cfr. Sez. 6, n. 12845 del 24/02/2005, COGNOME, Rv. 231237).
Il rilievo riportato in nota (nota n. 13 di pagina 7 del ricorso) non pu essere validamente posto a sostegno della prospettazione difensiva: non rileva il fatto che, nell’ambito del presente giudizio, residuino soltanto du posizioni (Velez e COGNOME) tra i partecipanti all’associazione; invero, ai fini della determinazione del numero legale, certamente ricorrente nel presente caso, devono annoverarsi, oltre agli imputati per i quali si è proceduto separatamente – quali COGNOME e COGNOME COGNOME anche il NOME COGNOME marito di NOME, deceduto nelle more della celebrazione dei giudizi di merito, ritenuto a capo della organizzazione durante il periodo in cui era attivo il sodalizio.
2.1 Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, hanno ritenuto dimostrata l’esistenza di un’associazione dedita al commercio di stupefacenti, operante in Genova e zone limitrofe, al cui vertice si poneva NOME COGNOME e che vedeva coinvolti in posizione subordinata NOME COGNOME NOME e la odierna imputata NOME COGNOME
Il giudice di primo grado, alle cui argomentazioni la Corte d’appello ha fatto rinvio, ha offerto una ricostruzione esauriente dei fatti, provvedendo ad una disamina congrua e logica delle prove acquisite nel corso della istruttoria e della loro significativa valenza ai fini del riconoscimento de fattispecie associativa.
In proposito il giudice di primo grado si è lungamente soffermato,
nella parte iniziale della sentenza, sul contesto nel quale operavano sinergicamente gli imputati chiamati a rispondere del reato associativo, individuando nel modus operandi e nei rapporti instaurati tra loro i caratteri tipici del fenomeno di cui si discute.
Dal compendio probatorio risultante dagli atti, fondato sul contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, sugli esiti dei sequest effettuati nel corso delle indagini e sui servizi di osservazione operati da personale di polizia nel corso delle investigazioni, si è pervenuti ad una ricostruzione esauriente e completa della vicenda fattuale esaminata, che ha rivelato, come si legge in motivazione, l’esistenza di stabili legami tra g imputati, i quali erano dediti, in modo continuativo ed organizzato, all’acquisizione di partite di sostanze stupefacenti del tipo cocaina dal Sud America, destinate ad essere smerciate in Italia.
Il giudice di primo grado, nella lunga disamina dei fatti (pag. 11 e seguenti della sentenza di primo grado), ha evidenziato come gli associati, nelle conversazioni intercettate, le quali avvenivano utilizzando apparecchiature Blackberry con sistema operativo Pin to Pin, adoperavano un comune linguaggio convenzionale, si scambiavano informazioni sul modus operandi e sull’affinamento di tecniche volte ad eludere controlli di polizia, organizzavano e programmavano l’attività illecita (in un episodio risalente al gennaio 2013, COGNOME riferiva a COGNOME di essere stato controllato dalle Forze dell’ordine e di essere riuscito ad evitare che COGNOME il qual aveva con sé un “gamberon”, ossia 100 grammi di sostanza, venisse scoperto in possesso dello stupefacente; l’organizzazione era dotata di propri nascondigli ed il capo del sodalizio teneva una precisa contabilità delle movimentazioni di danaro e droga).
Dal contenuto delle conversazioni si evinceva come gli imputati si rifornissero periodicamente in Colombia. Tale compito era svolto dal COGNOME, il quale, in una occasione, comunicando al telefono con i sodali dalla Colombia, li informò che stava entrando in possesso di “venti cosos”.
La sostanza entrava nel territorio nazionale attraverso la Spagna. Il volume dei traffici è stato ricostruito con puntualità attraverso il sequestro una contabilità rinvenuta nel corso di una perquisizione effettuata nell’abitazione del Moreno, contenente indicazioni dettagliate sulle somme ricavate dal traffico di stupefacenti e sui quantitativi di cocaina commerciati.
I rilievi difensivi volti a contestare l’esistenza stessa dell’associazio sono privi di pregio.
I giudici di merito hanno offerto ampia e pertinente motivazione in ordine alla sussistenza dell’associazione contestata al capo A) della rubrica,
mettendo in rilievo, come già detto in precedenza, gli elementi dai quali è dato desumere la stabile preordinazione del gruppo al perseguimento dello scopo comune di realizzare una serie indefinita di illecite attività concernenti il traffico di sostanze stupefacenti, mediante importazioni di rilevanti carich di cocaina dal Sudamerica.
Occorre rammentare in proposito che la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di “facta concludentia”, quali i contatti continui tra gli aderenti, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le b logistiche, le forme di copertura, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (cfr.. Sez. 6, n. 10781 del 13/12/2000, dep. 16/03/2001, Rv. 218731). Si è anche precisato che, ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sost stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori dei singoli episodi, dalla riparti dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento del comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, Rv. 245282).
2.2 Quanto all’appartenenza della ricorrente alla organizzazione (motivo terzo del ricorso), la Corte di appello, nel richiamare le argomentazioni illustrate alle pagine 195 e 196 della sentenza di primo grado, ha osservato come le conversazioni intercettate rivelassero la piena intraneità della donna nel sodalizio criminoso di cui al capo A) della rubrica.
L’imputata partecipava attivamente all’attività illecita gestita da marito, specie quando il COGNOME si recava all’estero, mantenendo i contatti con i clienti, disponendo che il COGNOME incontrasse un acquirente, ricevendo somme di danaro da COGNOME, trasportando una ingente somma di danaro in Colombia per l’acquisto di stupefacenti (circa 69.000 euro).
Il percorso argomentativo così sviluppato non è meritevole di essere censurato. Secondo costante orientamento di questa Corte, l’appartenenza ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti può essere desunta anche dal coinvolgimento in un singolo reato fine, purchè le connotazioni della condotta dell’agente rivelino, come in questo caso, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale (Sez. 3, n. 36381 del 09/05/2019, Rv. 276701 – 06).
La ricorrente, alla stregua di quanto argomentato dai giudici di merito, oltre ad essere consapevole dell’attività illecita (come dalla stessa ammesso in interrogatorio), era perfettamente inserita nelle dinamiche associative, prestando sostegno materiale e morale all’organizzazione (in relazione all’affectio societatis, significativa è la conversazione nella quale la ricorrente mostra rammarico alla notizia fornitale dal marito dell’arresto di NOME COGNOME che trasportava lo stupefacente in una vettura).
3. Inammissibile è il motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME
Il discorso giustificativo espresso in sentenza rende conto in maniera compiuta della dimostrata responsabilità dell’imputato in ordine alla sua intraneità nel sodalizio oggetto di contestazione.
La Corte di appello richiama, sia pure succintamente, il contenuto delle conversazioni intercettate dalle quali emerge il ruolo di COGNOME nella vicenda associativa: l’imputato, in rapporto di subordinazione rispetto a NOME e COGNOME, si occupava dello smercio delle sostanze al minuto secondo le direttive impartite dai primi. La sentenza di primo grado y, richiama una serie di conversazioni significative ai fini della dimostrazione del ruolo svolto nell’ambito dell’organizzazione dall’imputato (cfr. pag. 27 e 28 della sentenza di primo grado).
La difesa offre un’alternativa ricostruzione della vicenda, sostenendo che il ricorrente fosse un semplice acquirente, che operava autonomamente.
Occorre rammentare, come già detto in precedenza, che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura deg elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601; conformi: n. 22256 del 2006 Rv. 234148, n. 12634 del 2006 Rv. 233780, n. 47204 del 2015 Rv. 265482, n. 17905 del 2006 Rv. 234109, n. 31978 del 2006 Rv. 234910, n. 42369 del 2006 Rv. 235507).
4. Inammissibili sono i motivi di ricorso proposti nell’interesse di NOME COGNOME NOME
Il primo motivo di doglianza è palesemente declinato in fatto. La valenza probatoria delle numerose conversazioni intercettate che hanno riguardato l’imputato habWO formato oggetto di puntuale analisi nella
sentenza di primo grado, al cui contenuto la Corte di appello ha fatto integrale richiamo.
Ebbene, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la motivazione per relationem non si traduce per ciò solo in una motivazione apparente.
Quest’ultima presenta una struttura argomentativa connotata da asserzioni apodittiche o da mere formule di stile, prive di concreti riferimenti alla realtà processuale ed alle emergenze probatorie.
Si ha, invece, motivazione “per relationem” quando la sentenza impugnata richiami il contenuto della sentenza di primo grado. Detta tecnica argomentativa, come già accennato in premessa, è ammessa e non è meritevole di essere censurata allorquando il giudice di secondo grado, come avvenuto nel presente caso, dimostri di avere fatto proprio il contenuto della prima decisione e, nella ricostruzione del fatto, oppure, nelle parti non oggetto di specifiche censure difensive, abbia richiamato il testo del primo provvedimento.
Deve, pertanto, escludersi che si abbia motivazione apparente allorquando la sentenza di appello, sia pure ricorrendo alla tecnica redazionale del richiamo alla sentenza impugnata, dimostri di avere tenuto conto dei motivi addotti dalle parti con i rispettivi gravami e riconosciut l’esattezza delle risposte date dai primi giudici, palesando di aver preso in considerazione gli elementi necessari ai fini del decidere,
Venendo alle doglianze attinenti al merito delle contestazioni, dietro la prospettazione di una motivazione soltanto apparente, la difesa investe la Corte di legittimità del compito d’interpretare diversamente il significat delle conversazioni intercettate ed il contenuto delle testimonianze assunte nel giudizio, sollecitando un vaglio che esula dal perimetro valutativo che le è proprio.
Il giudice di primo grado, in un apposito paragrafo della sentenza di primo grado (pagine 22 e 23), ha dato conto in modo puntuale del significato attribuito alle parole che gli imputati utilizzavano nel loro ger per indicare i quantitativi di stupefacente (in una conversazione tra COGNOME ed il fratello, il primo chiede di tenergli ciò che gli aveva dato usando il termine “quina”, e precisando, subito dopo, “cinque Iatas”). Il riferimento numerico a “cinque”, ha indotto gli investigatori (come si evince dalla testimonianza del M.NOME COGNOME riportata nel ricorso) a ritenere che si trattasse di cinque grammi di cocaina. L’interpretazione, condivisa dal Tribunale e dalla Corte d’appello, è avversata nel ricorso in modo del tutto generico e perplesso.
In relazione agli episodi risalenti al 29 e 30 dicembre 2012 (pag. 165 sent. primo grado), come si evince dalla testimonianza riportata nel ricorso e dalla spiegazione contenuta nella sentenza di primo grado dei termini criptici adoperati dagli imputati (cfr. pag. 23 della sentenza dove è illustrato significato della terminologia convenzionale impiegata dagli imputati), i giudici sono pervenuti alla conclusione che il quantitativo acquistato corrispondesse a 50 grammi di cocaina, perché nei colloqui compare il riferimento a “mezza gamba”. Ebbene, a pag. 23 della sentenza il giudice di primo grado ha spiegato che la “gamba” corrispondeva a cento grammi (la correttezza di tale interpretazione era stata verificata in occasion dell’arresto del coimputato COGNOME che aveva chiesto una “gamba” ed era stato trovato in possesso di 164 grammi lordi di cocaina).
Ulteriore conferma della validità della interpretazione fornita dai giudici di merito si trae dall’analisi dell’episodio contestato al capo C4 del rubrica, esaminato con argomentare logico dal giudice di primo grado a pag. 166 della sentenza. Nelle conversazioni inerenti a tale episodio, spiega il giudice, NOME chiedeva a COGNOME “una gamba” e, dopo avere ottenuto lo stupefacente, protestava all’indirizzo del fornitore, dicendogli avere ricevuto “99”.
Alle doglianze sollevate dalla difesa su tali circostanze ha fornito compiuta risposta la sentenza d’appello, sia pure attraverso il richiamo alle risultanze esaminate in modo particolareggiato dal giudice di primo grado.
E’ d’uopo rilevare come il significato e Vinterpretazione delle conversazioni intercettate non possa formare oggetto di sindacato in sede di legittimità. E’ pacifico, invero, che il significato attribuito ai di intercettati costituisca valutazione di merito insindacabile in Cassazione, ove sia sorretta da adeguata motivazione, potendo la censura di diritto riguardare soltanto la correttezza logica dei criteri interpretativi. consegue che le valutazioni effettuate dal Giudice di merito sul contenuto delle conversazioni intercettate siano censurabili in sede di legittimit soltanto se ed in quanto si fondino su criteri interpretativi logicament eccentrici (si veda in argomento Sez. U, Sentenza n. 22471 del 26/02/2015 Rv. 263715 – 01, così massimata: “In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituis questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae sindacato di legittimità”).
Tutto ciò premesso, sulla base dell’analisi delle argomentazioni fornite dal giudice di primo grado, condivise dalla Corte di merito, deve ritenersi
come la spiegazione offerta del significato dei dialoghi intercettati risulti tutto immune dai vizi prospettati dalla difesa, essendo essa basata su criteri logici del tutto coerenti, non suscettibili di essere censurati in questa sede.
4.1 Le ulteriori doglianze sono parimenti inammissibili.
Il secondo motivo di ricorso ripercorre le medesime argomentazioni illustrate nel primo motivo. Si adduce, in modo generico, un travisamento del contenuto delle conversazioni intercettate che non trova riscontro nella lettura della sentenza di primo grado, dove, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il significato dei colloqui intercettati ha forma oggetto di analisi puntuale e coerente.
Il terzo motivo, afferente alla mancata riqualificazione del fatto nell fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, è privo di pregio. Il diniego è fond su una motivazione congrua, non censurabile in questa sede: la Corte di merito ha ritenuto che la condotta, in ragione dei quantitativi commerciati, dell’assiduità degli acquisti e delle cessioni, fosse espressione di una capacità offensiva non minimale.
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato: la Corte di appello, soffermandosi sullo specifico motivo di doglianza, ha espressamente ritenuto che al prevenuto non potessero essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche in ragione della entità dei fatti e della negativ personalità dell’imputato, gravato da un precedente specifico.
La motivazione risponde ai criteri ermeneutici stabiliti in sede di legittimità (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv 279549 – 02:”Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed all modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente”).
5. Inammissibili sono i motivi di ricorso proposti nell’interesse d NOME COGNOME NOME.
Il primo ed il secondo motivo di doglianza sono genericamente posti.
Le ragioni fondanti l’affermazione di responsabilità, richiamate integralmente dalla Corte d’appello, sono state illustrate alle pagine 202 e 203 della sentenza di primo grado. Il Tribunale ha spiegato che sono state intercettate numerose conversazioni in cui NOME COGNOME riferiva a NOME delle cessioni effettuate nei confronti dell’imputato, circa una quindicina, che si aggiravano intorno a 100-200 grammi alla volta. Sono
state registrate conversazioni in cui COGNOME reclamava, con linguaggio allusivo, il prezzo della vendita. Nella lista contenente l contabilità del sodalizio, l’imputato, il cui soprannome era “NOME“, aveva un debito pari ad euro 3.400.
La difesa non espone una critica specifica, sostenendo come i giudici di merito abbiano omesso di valutare le prove a favore dell’imputato esistenti in atti.
Il fatto che l’imputato svolgesse l’attività di riparazione dei compute è stato valutato dal Tribunale, che, alle pagine 202 e 203 della sentenza di primo grado, si è adeguatamente soffermato sull’alternativa tesi difensiva. Con argomentare logico, a cui si è riportata la Corte d’appello, il giudice ha spiegato, attraverso puntuale analisi dei dialoghi registrati, come i riferiment al “computer” ivi contenuti non potessero essere interpretati alla lettera, essendo accostati ad altri riferimenti suscettibili di rivelare allusion commercio di stupefacenti ed allo scambio di danaro.
5.1 Inammissibile è il terzo motivo di ricorso.
Occorre rilevare come la questione riguardante la riqualificazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. :309/90 non sia sta sottoposta alla cognizione della Corte d’appello con l’atto d’impugnazione.
E’ noto come, in base a consolidato orientamento di questa Corte, non possano essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (ex multis Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
Non rileva il fatto che la difesa, associandosi in sede di conclusioni alla richiesta del P.M., abbia implicitamente fatto propria l’istanza d riqualificazione del fatto proveniente dall’Accusa.
Si tratta di motivi nuovi di impugnazione tardivi e privi di connessione con i motivi che avevano formato oggetto della originaria impugnazione. I motivi nuovi di impugnazione, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., possono essere presentati fino a quindici giorni prima dell’udienza innanzi al giudice dell’impugnazione e devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazion principale già presentata (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013, Vatavu, Rv. 254485).
5.2 La critica riguardante il travisamento della prova (motivo quarto del ricorso) è stata formulata in termini generici e non appropriati. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far
valere il vizio di «travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Sez. 6 n. 45036 del 2 dicembre 2010, Rv. n. 249035): a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti n fascicolo del dibattimento; d) indicare le ragioni per cui l’atto invoca asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Tutto ciò risulta assente nella prospettazione difensiva ed il vizio lamentato dal ricorrente non è asseverato da alcuna documentazione a sostegno.
Il fatto che le prove utilizzate e poste a fondamento della decisione di condanna consistano unicamente nel contenuto delle conversazioni intercettate non costituisce ex se un vulnus della sentenza impugnata. La ‘orte d’appello ha fatto integrale rinvio alla sentenza di primo grado, in c sono state analizzate in modo puntuale le conversazioni registrate riguardanti le condotte ascritte al ricorrente. Le motivazioni delle du sentenze si integrano reciprocamente, formando un unico contesto argomentativo idoneo a rendere conto delle ragioni della decisione assunta.
5.3 I rilievi in merito al cattivo governo dell’art. 192 cod. proc. pe ed alla violazione del principio del ragionevole dubbio sono del tutto generici, privi di riferimenti concreti e specifici al caso che occupa (motivo quinto sesto del ricorso).
5.4 Del pari inammissibili sono le doglianze in tema di trattamento sanzionatorio (motivi settimo e ottavo del ricorso).
La quantificazione della pena nell’ambito della cornice edittale rientra nella discrezionalità del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimi ove sorretta da congrua motivazione. Nel caso che occupa la Corte di appello ha osservato che la pena irrogata in primo grado deve ritenersi adeguata ai fatti. E’ pacifico che, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non discosti eccessivamente dal minimo edittale, sia sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cu all’art. 133 cod. pen. (cfr. Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Rv. 256464; Sez. 3, Sentenza n. 33773 del 29/05/2007, Rv. 237402).
Infine, il ricorrente si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche. Anche sul punto la Corte di merito ha fornito conferente risposta, affermando che il ricorrente, gravato da un precedente specifico, per l’entità dei fatti e la negativa personalità non appa meritevole di alcun beneficio. E’ sufficiente rammentare come, in tema di concessione delle attenuanti generiche, il giudice di merito non sia tenuto ad esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione del beneficio (Sez. 2, n.3896 de 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 26582601).
6. Quanto alla posizione di NOME COGNOME si osserva quanto segue.
Nei primi due motivi di ricorso la difesa contesta genericamente il fatto che il ricorrente fosse dedito al commercio di stupefacenti e si duole della carenza della motivazione offerta dalla Corte di appello in sentenza, da reputarsi meramente reiterativa di quella di primo grado.
Lamenta come il compendio probatorio in atti non fornisca certezza in ordine ai quantitativi della sostanza stupefacente acquistati dall’imputato, con la conseguenza che la Corte di merito avrebbe dovuto ricondurre le condotte nell’ambito della previsione del cui all’art. 73, comma 5, dpr 309/90.
Le doglianze devono reputarsi inammissibili.
Come già evidenziato in precedenza, la motivazione offerta dalla Corte di appello, sebbene stringata, richiama il contenuto della sentenza di primo grado, condividendo pienamente le argomentazioni ivi illustrate.
Trattandosi di doppia conforme pronuncia di responsabilità, ai fini della valutazione della completezza e della esaustività delle ragioni poste a fondamento della decisione, la Corte di Cassazione è tenuta a valutare l’apparato argomentativo non solo della decisione di appello, ma anche di quella di primo grado, formando esse un unico elaborato motivazionale.
Ciò premesso, è d’uopo rilevare come la sentenza di primo grado contenga un’ampia e dettagliata indicazione delle ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato.
Sono infatti ivi richiamate, con dovizia di particolari, le conversazion conducenti ai fini della dimostrazione degli episodi addebitati al ricorrente gli ulteriori riscontri individuati a suo carico (nella contabilità portat capo dell’organizzazione, NOME COGNOME al nominativo dell’imputato sono associate somme a debito di rilevante entità).
La critica secondo la quale i giudici di merito non avrebbero determinato i quantitativi di sostanza stupefacente acquistati dall’imputato per essere avviati allo smercio è circostanza chiaramente smentita dal contenuto delle sentenze, specie quella di primo grado, dove si rinvengono precisi riferimenti ai pagamenti dovuti dal ricorrente e ai debiti accumulati per migliaia di euro (cfr. pag. 201 della sentenza di primo grado). Tali circostanze, alla stregua di quanto logicamente argomentato dai giudici di merito, denotano come l’imputato fosse dedito al commercio di rilevanti quantitativi di cocaina.
6.1 Parimenti inammissibile è il terzo motivo di ricorso, riguardante la mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. La richiesta non aveva formato oggetto d’impugnazione innanzi alla Corte d’appello, pertanto, come già detto con riferimento alla posizione di COGNOME (paragrafo 5.1), la questione non poteva essere devoluta per la prima volta in Cassazione.
In ogni caso, si rinvengono in motivazione elementi di valutazione idonei a sostenere l’implicito rigetto della richiesta, avendo la Corte d’appell posto in evidenza i quantitativi rilevanti di sostanza stupefacente acquistati dall’imputato, la pluralità e l’assiduità delle condotte illecite da qu realizzate, aspetti incompatibili con l’ipotesi della lieve entità.
6.2 Le doglianze in tema di trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondate.
Il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche riposa su una motivazione del tutto congrua, avendo la Corte d’appello rimarcato la negativa personalità dell’imputato, il quale annovera un precedente specifico, e la gravità dei fatti di cui si è reso responsabile.
La motivazione è conforme ai criteri ermeneutici stabiliti in questa sede (cfr. ex multis Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826:«In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la “ratio” della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudic di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità»; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269: «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia no
contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quell indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini de concessione o dell’esclusione»).
I rilievi difensivi contrastano con l’esegesi della norma di cui all’a 62-bis cod. pen. sostenuta dalla giurisprudenza unanime di questa Corte, in base alla quale «Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., ch presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260054).
7. Solis COGNOME NOME
Il motivo unico di ricorso proposto nell’interesse dell’imputato è inammissibile.
La GLYPH Corte d’appello, GLYPH nella GLYPH sentenza GLYPH impugnata, GLYPH attingendo correttamente a tutti i dati probatori disponibili ed effettuando un valutazione complessiva della condotta del ricorrente, ha negato la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/9 ponendo in rilievo una serie di elementi (quantità rilevanti della sostanza stupefacente detenuta, frequenza degli acquisti evincibili dal contenuto delle conversazioni intercettate) indicativi della capacità di diffusione del sostanza stupefacente sul mercato che non può dirsi caratterizzata da minima offensività.
Si tratta di motivazione non censurabile in questa sede, coinvolgendo aspetti valutativi di merito improntati a criteri non manifestamente illogici incoerenti.
Il motivo di ricorso non risulta scandito dalla necessaria analisi critic delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, la quale, nel fare corretta applicazione del principio secondo cui l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintoma previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076), ha correttamente escluso l’invocata derubricazione.
8. Il ricorso proposto da NOME COGNOME Hans NOME è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio nei termini di cui infra.
L’imputato era tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art 74 d.P.R. 309/90 con il ruolo di partecipe (capo A della imputazione).
Era contestato al ricorrente di avere effettuato operazioni finanziarie per conto dell’organizzazione, provvedendo, in qualità di gestore dell’attività commerciale denominata “Globo”, che forniva servizi di money transfert, accreditato in Colombia ingenti somme di danaro provenienti dall’attività illecita del commercio di stupefacenti a cui era dedito il sodalizio.
Nel corso della complessa istruttoria dibattimentale, all’udienza del 18/2/2020, il P.M. procedeva ad elevare contestazione suppletiva riguardante la fattispecie di cui agli artt. 81 cpv., 648-bis cod. pen formulando la seguente imputazione: «per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al di fuori dei casi di concorso nel reato, nell’ambito dell’attività svolta all’interno del Cali Center denominato ” Globo”, sito a Genova in INDIRIZZO, di cui era gestore, trasferito somme di denaro provenienti da delitto non c:olposo e compiuto in relazione ad esse operazioni in modo da ostacolare la identificazione della loro provenienza delittuosa: effettuava transazioni monetarie di denaro proveniente dall’attività di vendita di sostanze stupefacenti (capi da Al a A26) e comunque dai delitti scopo dell’associazione descritta al capo A) o che agivano su sua indicazione, inviando tali somme in Colombia, Spagna, Ecuador, facendo risultare quali autori delle transazioni persone i cui nomi gli venivano anche indicati dai soggetti partecipanti all’organizzazione descritta al capo a) e che non erano titolari delle somme di denaro inviate, curando che l’importo delle somme inviate fosse inferiore a 1.000 euro (compreso l’importo della commissione per l’operatore), quindi suddividendo le somme da inviare, in modo da evitare segnalazioni alle Autorità preposte al contrasto al riciclaggio, occupandosi, tramite contatti con persone dimoranti all’estero, del buon fine dell’operazione e della consegna del denaro. Con l’aggravante di avere commesso il fatto nell’esercizio di un’attività professionale, essendo gestore del Cali center denominato II Globo, presso il quale era attivo un servizio di money transfering. In Genova, dal novembre 2012 al marzo 2013». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
All’esito del giudizio di primo grado, COGNOME il Tribunale perveniva all’assoluzione di COGNOME con riferimento al reato di cui all’art. 648-bi cod. pen. – come contestato dal P.M. – perché il fatto non sussiste, condannando l’imputato per il solo delitto associativo. La pronuncia assolutoria è divenuta definitiva, non essendo stata impugnata dalla pubblica accusa.
La Corte d’appello, all’esito del giudizio, ha ritenuto di riqualificare fatto di cui al capo A) della rubrica nella fattispecie di cui all’art. 648-bis
pen., condannando l’imputato per tale reato.
A sostegno dell’affermazione di responsabilità ha richiamato – in modo del tutto generico – le modalità delle condotte illustrate nella sentenza di primo grado, trascurando di considerare che il Tribunale aveva ritenuto tali modalità inidonee a configurare la fattispecie in questione.
Viene qui in rilievo il limite rappresentato dall’impossibilità sottoporre l’imputato ad un altro giudizio per il medesimo fatto, siccome disposto dall’art. 649 cod. proc. pen.
Invero, essendo la pronuncia assolutoria per il reato di cui all’art 648-bis cod. pen. divenuta irrevocabile, alla Corte d’appello era inibita l’emissione di una pronuncia di condanna per il medesimo fatto.
Le condotte serbate dall’imputato, rispetto alle quali la Corte d’appello ha frettolosamente sostenuto che fossero inidonee a configurare la fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 nella totale assenza di un compiuta analisi, devono essere riconsiderate ai fini di un esatto loro inquadramento, palesandosi del tutto inidonea ed insufficiente la motivazione offerta in sentenza.
Dovranno, in sede di rinvio, essere analizzati in modo approfondito i rapporti intrattenuti dal ricorrente con NOME COGNOME il quale si collocava al vertice dell’organizzazione all’epoca dei fatti. Dovranno parimenti essere chiarite le modalità attraverso le quali NOME COGNOME dava indicazioni al COGNOME sul trasferimento delle somme in Colombia, appena accennate nel breve passaggio motivazionale riportato a pag. 29 della sentenza.
O AI Ciò al fine di verificare la possibilità di sussumererctette – Cbtrdot e sotto la fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 o, eventualmente, ai fini di inquadramento dei comportamenti serbati dal ricorrente nell’ambito di un concorso nella fattispecie associativa. Tale ultima evenienza è ipotizzabile nel caso in cui si dimostri che il soggetto agente, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell'”affectio societati fornisca un concreto, specifico, consapevole, contributo per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione.
Per tali motivi la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, pphe NigilMalg iliat~~~2~.1·
9. Sulla base di quanto precede la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti del solo NOME COGNOME NOME con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.
Si dichiarano inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME
NOME COGNOME NOME
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME con condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della
Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME
NOME COGNOME e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra 4zione della Corte d’appello di Genova. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME
NOME COGNOME NOMECOGNOME
NOME COGNOME NOME COGNOME Mauro, NOME COGNOME
NOME COGNOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 22 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente