LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Associazione per delinquere: prova e misura cautelare

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di associazione per delinquere finalizzata a furti in abitazione. La Corte ha stabilito che la prova del vincolo associativo può essere desunta dalla commissione seriale e organizzata dei reati-fine. Inoltre, ha ritenuto la custodia in carcere una misura proporzionata, data la gravità dei fatti, i precedenti specifici dell’indagato e l’elevato rischio di reiterazione, escludendo misure meno afflittive come gli arresti domiciliari.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: la prova dai reati-fine e i limiti alle misure alternative

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta due temi cruciali nel diritto penale: come si prova l’esistenza di un’associazione per delinquere e quali sono i criteri per applicare la misura cautelare più severa, la custodia in carcere. La pronuncia chiarisce che la sistematicità e le modalità esecutive di una serie di reati possono costituire prova solida del vincolo associativo, e che i precedenti penali specifici dell’indagato sono determinanti nella scelta della misura cautelare.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di aver partecipato a un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di numerosi furti in abitazione. Secondo l’accusa, l’indagato era un ‘esecutore materiale’ di un gruppo criminale ben organizzato, responsabile di almeno ventiquattro episodi di furto, di cui tre tentati. L’ordinanza cautelare, emessa dal Giudice per le indagini preliminari, era stata confermata anche dal Tribunale del Riesame. L’indagato ha quindi proposto ricorso in Cassazione per contestare sia la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia la proporzionalità della misura detentiva.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su tre punti principali:

1. Violazione del principio di proporzionalità: Si sosteneva che la custodia in carcere fosse una misura sproporzionata e che il tribunale non avesse adeguatamente motivato l’impossibilità di applicare misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
2. Carenza di gravità indiziaria per i furti: Secondo il ricorrente, gli indizi a suo carico si basavano quasi esclusivamente sul posizionamento della sua utenza cellulare in prossimità dei luoghi dei furti, un elemento ritenuto un semplice sospetto e non un indizio grave, preciso e concordante.
3. Insussistenza dell’associazione per delinquere: La difesa contestava la stessa esistenza del sodalizio criminale, lamentando la mancanza di prova sulla stabilità del gruppo, sulla ripartizione dei compiti e sulla divisione dei proventi illeciti.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Le motivazioni della decisione offrono importanti spunti di riflessione.

La prova dell’associazione per delinquere e la gravità indiziaria

La Corte ha chiarito, in primo luogo, la differenza tra la ‘gravità indiziaria’ richiesta per le misure cautelari e la ‘prova piena’ necessaria per una condanna. Per la custodia cautelare è sufficiente una ‘qualificata probabilità di colpevolezza’.

Nel caso specifico, i giudici hanno sottolineato come la tesi difensiva fosse fallace perché tentava di isolare un singolo elemento indiziario (il dato delle celle telefoniche), mentre la valutazione del Tribunale si basava su una pluralità di elementi convergenti:

Riprese video: Le telecamere avevano filmato le autovetture usate dal gruppo nei pressi dei luoghi dei furti.
Controlli di polizia: Gli occupanti delle auto erano stati identificati in diverse occasioni.
Analisi dei tabulati: Era emersa una sincronia di spostamenti dal Lazio verso le zone dei colpi e contatti telefonici costanti tra i membri.
Riconoscimenti fotografici: Il personale di alcune strutture ricettive aveva riconosciuto gli indagati, che si ‘appoggiavano’ in quelle zone prima di agire.

In questo contesto, la Corte ha affermato un principio fondamentale: l’esistenza di un’associazione per delinquere ‘semplice’ può essere logicamente desunta dalla commissione ripetuta e coordinata dei cosiddetti ‘reati-fine’. Il metodo operativo costante (partenza in gruppo, pernottamento, furto e rientro) e la partecipazione dell’indagato a ben ventiquattro episodi sono stati considerati elementi sufficienti a dimostrare, a livello di gravità indiziaria, l’esistenza di una struttura organizzata e stabile e il ruolo attivo del ricorrente al suo interno.

L’adeguatezza della custodia in carcere come extrema ratio

Sul secondo punto, relativo alla proporzionalità della misura, la Cassazione ha ritenuto la decisione del Tribunale del Riesame corretta e ben motivata. La scelta di applicare la custodia in carcere non era stata arbitraria, ma fondata su una valutazione concreta del pericolo di reiterazione del reato.

Il Tribunale aveva evidenziato due fattori decisivi:

1. I precedenti penali specifici: L’indagato aveva precedenti per reati contro il patrimonio, inclusa la rapina, e lesioni personali. Questo indicava una spiccata professionalità nel delinquere e una propensione alla violenza.
2. La natura del legame criminale: Trattandosi di un gruppo a forte connotazione familiare, la misura degli arresti domiciliari non sarebbe stata sufficiente a interrompere i legami criminali e a prevenire la pianificazione di nuovi reati.

Pertanto, la custodia in carcere è stata considerata l’unica misura idonea a fronteggiare un pericolo di reiterazione così intenso e radicato.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce due principi cardine. In primo luogo, la prova di un’associazione per delinquere può essere validamente ricavata non solo da prove dirette (come intercettazioni che rivelano il ‘pactum sceleris’), ma anche da un’analisi logica delle modalità di esecuzione dei reati-scopo, quando questi rivelano un’organizzazione stabile e un programma criminoso indeterminato. In secondo luogo, la valutazione sull’adeguatezza della misura cautelare non può essere astratta, ma deve tenere conto della storia criminale specifica dell’indagato e del contesto in cui opera, giustificando il ricorso alla detenzione in carcere come extrema ratio solo quando ogni altra misura si riveli palesemente inefficace a neutralizzare il rischio di recidiva.

Come può essere provata l’esistenza di un’associazione per delinquere ai fini di una misura cautelare?
L’esistenza di un’associazione per delinquere può essere provata non solo da elementi diretti, ma anche dedotta logicamente dalla commissione seriale e organizzata dei reati-fine. Se le modalità esecutive dei delitti (es. furti) rivelano una pianificazione comune, una divisione dei compiti e una stabilità operativa, questi elementi possono costituire gravi indizi dell’esistenza del vincolo associativo.

Il solo dato della localizzazione di un’utenza telefonica è sufficiente per giustificare la custodia cautelare?
No, da solo non è sufficiente. Tuttavia, se inserito in un quadro probatorio più ampio che comprende altri elementi convergenti (come riprese di telecamere, controlli di polizia, tabulati telefonici che mostrano contatti con altri co-indagati, riconoscimenti), può contribuire a formare i gravi indizi di colpevolezza necessari per applicare una misura cautelare.

Quando è giustificata la custodia cautelare in carcere anziché misure meno severe?
La custodia in carcere è giustificata quando, sulla base di elementi concreti, ogni altra misura meno afflittiva (come gli arresti domiciliari) risulta inadeguata a fronteggiare le esigenze cautelari. Nel caso specifico, la scelta è stata motivata dall’elevato pericolo di reiterazione del reato, desunto dai gravi precedenti penali dell’indagato e dalla natura sistematica e professionale della sua attività criminale, nonché dal fatto che il legame associativo (anche di tipo familiare) non sarebbe stato interrotto da una misura domiciliare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati