Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33740 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33740 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Latina il DATA_NASCITA 2. COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 05/03/2024 del Tribunale di Perugia visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Perugia ha confermato, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., l’ordinanza del 14 febbraio 2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Terni che – a seguito della emissione da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona di altra ordinanza che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di diversi soggetti gravemente indiziati del delitto partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di furti in abitazione in numerose Regioni del centro dell’Italia nonché dì numerosi reati-
fine e contestualmente aveva dichiarato la propria incompetenza territorial -ha nuovamente applicato la custodia cautelare in carcere ai predetti, ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen.
Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo del loro comune difensore con due distinti atti di impugnazione di contenuto sovrapponibile, chiedendone l’annullamento ed articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 110 e 624-bis cod. pen. e la illogicità della motivazione per omesso controllo delle regole inferenziali adottate dal Giudice per le indagini preliminari.
Sostengono che nel provvedimento coercitivo e nel provvedimento qui impugnato non sarebbe stato spiegato quale sarebbe stato il contributo fornito alla commissione dei singoli reati fine (capi da Z a KK).
La partecipazione ai delitti è stata desunta dalla circostanza che i furti erano stati commessi in aree coperte dalle celle telefoniche agganciate dalle utenze di telefonia mobile in uso agli indagati ed in orari sovrapponibili a quelli dei fur stessi, ma i giudici del merito non avrebbero chiarito perché le utenze ritenute riferibili alla COGNOME ed al COGNOME sarebbero riconducibili esclusivamente a loro cosicché la motivazione risulta illogica.
In particolare, sostengono che dalla circostanza sopra indicata non può desumersi la partecipazione della COGNOME o del COGNOME ai singoli furti, considerato che la loro presenza nei pressi dei luoghi ove i delitti erano stati eseguiti non valeva a dimostrare la loro partecipazione agli stessi e che i ricorrenti non erano mai stati trovati in possesso della refurtiva o colti durante l perpetrazione dei furti in appartamento e non era stato chiarito il contributo da loro offerto alla commissione dei singoli delitti. In sostanza, le prove offer forniscono elementi di sospetto, ma non consentono di ritenere dimostrata la partecipazione dei ricorrenti ai furti, che non sarebbe ricavabile da un unico indizio rappresentato dalla geolocalizzazione dell’utenza mobile (Sez. 5, n. 28559 del 14/09/2020, Tanase, non massimata). Anche l’utilizzo di modalità analoghe per la commissione dei vari furti costituisce solo un elemento di sospetto, una congettura, non un indizio.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al metodo di valutazione del compendio indiziario.
Le conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate sarebbero incomplete ed equivoche, sia in ordine alla loro attribuibilità ai ricorrenti, sia in relazio loro contenuto ed ad esse è stata attribuita una interpretazione forzata, in
quanto finalizzata esclusivamente a rafforzare l’ipotesi accusatoria.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 416 cod pen. e degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al reato associativo.
Sostengono che non è mai stata dimostrata l’adesione al sodalizio criminale, ma solo, al più, la loro partecipazione ai singoli reati di furto, poi mancherebbero uno stabile legame tra gli associati e la finalità degli stessi di commettere un numero indeterminato di delitti di furto in abitazione.
Nel caso di specie i giudici del merito non avrebbero distinto la struttura permanente che caratterizza il reato associativo dalla pianificazione delle singole condotte delittuose; la individuazione di due gruppi operanti in due distinte aree territoriali è un elemento che si pone in contrasto con l’ipotesi accusatoria.
Nel caso di specie, non è individuabile una sede dell’associazione criminale, non è stato indicato il momento della costituzione di questa, non è individuata la divisione dei compiti tra gli associati e la supremazia di un capo e neppure risultano accertate le modalità di riparto dei profitti illeciti.
2.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 275 commi 3 e 3-bis, cod. proc. pen. e la mera apparenza della motivazione in ordine alla inadeguatezza di misure cautelari diverse dalla custodia in carcere.
Evidenziano che il reato associativo non rientra tra quelli per i quali opera una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere e neppure tra quelli per i quali vi è una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari.
Inoltre, non sarebbero state specificate le ragioni dell’inidoneità a soddisfare dette esigenze della misura degli arresti donniciliari accompagnata dall’adozione del c.d. braccialetto elettronico.
A tale proposito, si afferma nel provvedimento impugnato che non può confidarsi nel rispetto delle prescrizioni inerenti alla misura degli arre domiciliari e che la capacità criminale della COGNOME e del COGNOME è strettamente connessa ai loro legami all’ambiente criminoso di appartenenza, che possono essere recisi solo allontanando gli indagati dal loro contesto familiare, ma tale motivazione, sostengono i ricorrenti, sarebbe meramente apparente, poiché alla COGNOME ed COGNOME non è mai stato chiesto se essi consentissero all’applicazione del braccialetto elettronico e comunque i loro legami con la loro famiglia avrebbero potuto essere recisi anche attraverso la loro sottoposizione alla misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico congiuntamente al divieto di dimora nel Comune di residenza. Né la circostanza che non possa essere applicata la sospensione condizionale della pena e che la pena applicata all’esito del giudizio sarà prevedibilmente superiore a tre anni di reclusione impone in ogni caso la loro sottoposizione alla custodia cautelare in carcere.
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Nel provvedimento impugnato non si chiariscono le ragioni per le quali dovrebbe essere applicata quest’ultima misura cautelare e la motivazione risulta meramente apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere trattati unitariamente, in quanto strettamente collegati e tutti inerenti al profilo dei gravi indizi colpevolezza, sono inammissibili, in quanto estremamente generici e comunque manifestamente infondati.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che la prova della partecipazione ai delitti di furto non è stata ricavata esclusivamente dalle risultanze dei tabulati telefonici, ma da una serie di elementi che comprendono le conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate e perfino, in un caso, dalle videoregistrazioni di un impianto di videosorveglianza posto a tutela di una delle abitazioni prese di mira dal sodalizio criminale, che ha ripreso il volto della COGNOME.
Il secondo motivo, con il quale si lamenta la incompletezza e la equivocità del contenuto delle conversazioni intercettate e la incertezza circa la loro riferibilità agli odierni ricorrenti, è inammissibile, in quanto con esso si invo una rivalutazione delle predette conversazioni non consentita in questa sede di legittimità.
Inoltre, nel provvedimento qui impugnato si specificano i ruoli assunti dai due ricorrenti nella esecuzione dei delitti di furto, in quanto si afferma che l COGNOME, una volta arrivata nei pressi delle abitazioni, doveva accertare se al loro interno vi fossero le vittime o queste si fossero allontanate, mentre il COGNOME, assieme ad altri, aveva il compito di penetrare al loro interno per asportare preziosi ed altri beni di valore.
Laddove i ricorrenti, invece, affermano che dal materiale raccolto non potrebbe desumersi la loro partecipazione ai delitti-fine, essi, anche su questo punto, invocano un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio.
Quanto al terzo motivo, deve osservarsi che, in tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, pur nell’autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dall commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Santagata, Rv. 285126).
Inoltre, la differenza tra il concorso di più persone nel reato ed il reato d associazione per delinquere consiste nel fatto che nel primo caso l’accordo criminoso è circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente
individuati e si esaurisce dopo la loro commissione, mentre nel secondo caso il pactum sceleris prescinde dalla commissione dei singoli reati ed è caratterizzato dalla esistenza di una struttura organizzata più o meno complessa e dalla predisposizione dei mezzi necessari all’attuazione del programma comune a tutti gli associati (Sez. 6, n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, Meocci, Rv. 203599).
Del tutto correttamente, quindi, i giudici del merito, per affermare la sussistenza del delitto associativo, hanno evidenziato che il sodalizio criminale era dotato di un’organizzazione di mezzi destinati esclusivamente alla commissione dei furti, come automobili intestate a prestanomi o utenze di telefonia mobile intestate ad altri soggetti, onde evitare che le indagini su ta veicoli od utenze potessero condurre gli inquirenti alla loro identificazione.
2. Il quarto motivo è infondato.
Il Tribunale del riesame ha segnalato la spiccata capacità criminale dei due ricorrenti per escludere la idoneità della misura degli arresti domiciliari scongiurare il pericolo della commissione di ulteriori delitti di furto in abitazion comunque contro il patrimonio.
Ha, sia pure implicitamente, escluso l’idoneità a tal fine della misura degli arresti domiciliari accompagnata dalla applicazione del braccialetto elettronico, evidenziando che i due indagati non svolgono alcuna attività lavorativa lecita e quindi non avrebbero i mezzi con i quali sostenersi.
Ha, inoltre, escluso che i due ricorrenti possano rispettare le prescrizioni inerenti alla misura degli arresti domiciliari, osservando che essi sono tornati a delinquere pur dopo che la loro attività aveva subito una battuta di arresto che li aveva costretti a dare fuoco ad una delle loro autovetture onde evitare la loro identificazione.
Ne deriva che il Tribunale ha fornito adeguata e giuridicamente corretta motivazione in ordine alla necessità di applicare la custodia cautelare in carcere ai ricorrenti.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp.
att. cod. proc. pen. Così deciso il 21/06/2024.