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Associazione per delinquere: prova e custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro un’ordinanza di custodia in carcere per associazione per delinquere e numerosi reati connessi. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la prova dell’associazione può essere desunta dalla ripetizione e dal coordinamento sistematico dei reati-fine, anche in assenza di una struttura piramidale. Il ricorso è stato giudicato generico e infondato su tutti i motivi presentati, inclusi quelli procedurali relativi a presunte duplicazioni di misure cautelari.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per Delinquere: Quando i Reati-Fine Diventano la Prova Chiave

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7994/2024) offre importanti chiarimenti sulla prova dell’associazione per delinquere e sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi contro le misure di custodia cautelare. La Corte ha ribadito che l’esistenza di un sodalizio criminale può essere provata anche senza una struttura gerarchica definita, basandosi sulla sistematicità e il coordinamento dei reati commessi.

Il Caso in Esame: Custodia Cautelare e Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo, indagato per il reato di associazione per delinquere e per ben 15 episodi di reati-fine. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando diverse violazioni di legge e vizi di motivazione. In particolare, si contestava la sussistenza stessa dell’associazione, la violazione di principi procedurali e l’adeguatezza della misura cautelare applicata.

La Questione dell’Associazione per Delinquere: Struttura o Stabile Disegno?

Il motivo principale del ricorso si concentrava sull’articolo 416 del Codice Penale. Secondo la difesa, il Tribunale del Riesame avrebbe erroneamente ricostruito l’esistenza del gruppo criminale basandosi unicamente sugli altri reati contestati, senza riuscire a delineare una vera e propria struttura organizzativa autonoma. Si sosteneva, in pratica, che mancasse la prova di un patto associativo stabile e organizzato, elemento essenziale del reato.

Altri Motivi di Impugnazione

Oltre alla questione principale, il ricorso sollevava altri punti critici:

1. Violazione del ne bis in idem cautelare: Si lamentava una presunta duplicazione di misure cautelari a causa di un procedimento parallelo in un’altra Procura, sostenendo che si trattasse di fatti connessi.
2. Carenza di motivazione: La difesa eccepiva una mancanza di motivazione specifica sia su alcuni reati-fine contestati, sia sulla sussistenza delle esigenze cautelari che giustificavano la detenzione in carcere.
3. Contraddittorietà: Si evidenziava un presunto ‘doppio standard’ tra la misura più lieve concessa nel procedimento parallelo e il mantenimento della custodia in carcere in quello in esame.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo generico, aspecifico e, in alcuni punti, una mera riproposizione di censure già respinte. La sentenza affronta ogni motivo con argomentazioni precise.

Prova dell’Associazione dai Reati-Fine

Questo è il cuore della decisione. La Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui la sussistenza di una compagine associativa può essere legittimamente indotta dalla ripetizione e dalle modalità delle condotte illecite. Nel caso di specie, gli oltre ottanta episodi delittuosi contestati nel complesso dell’indagine, caratterizzati da un intreccio di rapporti, ruoli definiti e un agire finalizzato all’interesse comune del gruppo, superavano ampiamente la soglia del mero concorso di persone nel reato. Elementi come la stabile organizzazione, la ripartizione territoriale e i collegamenti stabili con ricettatori hanno contribuito a comporre il mosaico di un’attività ‘necessariamente’ associativa, anche in assenza di una struttura piramidale.

Inammissibilità delle Altre Censure

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi:

Sul ne bis in idem: Non vi era alcun overlapping* tra le indagini, dato che riguardavano vicende, soggetti e misure diverse. Il rischio di superamento dei termini di custodia era inesistente, poiché la precedente misura era stata annullata.
* Sulla motivazione dei reati-fine: Per la maggior parte dei capi d’accusa contestati, la difesa non aveva sollevato contestazioni specifiche nel precedente atto di riesame. Per l’unico capo motivato, la Corte ha ritenuto la motivazione sufficiente (‘doppia conforme’), in quanto si richiamava in modo puntuale all’ordinanza genetica.
* Sulle esigenze cautelari: L’argomento del ‘doppio standard’ è stato respinto perché i due procedimenti erano distinti e non paragonabili, soprattutto perché nel procedimento parallelo la misura era stata inizialmente annullata per vizi formali.

Conclusioni

La sentenza n. 7994/2024 consolida un approccio pragmatico e sostanziale alla prova dell’associazione per delinquere. La giurisprudenza non richiede necessariamente la prova di una struttura formale e gerarchica, ma considera sufficiente l’esistenza di un disegno criminoso stabile e indeterminato, la cui prova può essere logicamente ricavata dalla serialità, dalle modalità esecutive e dalla convergenza di interessi dimostrata nella commissione dei reati-fine. La decisione rappresenta anche un monito sull’importanza di formulare ricorsi specifici e puntuali, evitando censure generiche che si limitano a reiterare argomenti già vagliati e respinti.

È necessaria una struttura gerarchica e piramidale per provare un’associazione per delinquere?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che la prova di un’associazione per delinquere può essere desunta dalla ripetizione sistematica e coordinata dei reati-fine, che dimostrano l’esistenza di un disegno criminoso stabile e di un interesse comune del gruppo, anche in assenza di una struttura formale.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è “generico” e “aspecifico”?
Significa che il ricorso non contesta in modo puntuale e critico le argomentazioni della decisione impugnata, ma si limita a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte nei gradi di giudizio precedenti, senza un reale confronto con le motivazioni del provvedimento.

Quando si applica il principio del “ne bis in idem cautelare”?
Il principio si applica per evitare che una persona sia soggetta a più misure cautelari per lo stesso identico fatto. In questo caso, la Corte lo ha escluso perché le indagini parallele riguardavano vicende e soggetti diversi, e inoltre la precedente misura cautelare era stata annullata, eliminando alla radice ogni rischio di duplicazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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