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Associazione per delinquere: prova e custodia cautelare

Un imprenditore, accusato di far parte di un’organizzazione criminale dedita a favorire l’immigrazione clandestina tramite assunzioni fittizie, ha presentato ricorso contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che le intercettazioni e i comportamenti concludenti sono sufficienti a dimostrare la partecipazione stabile a un’associazione per delinquere. La Corte ha inoltre ritenuto la misura del carcere proporzionata alla gravità dei fatti e al concreto pericolo di recidiva, nonostante la sostanziale incensuratezza dell’indagato.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: come si prova la partecipazione al gruppo?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44498 del 2024, ha fornito importanti chiarimenti sui criteri per dimostrare la partecipazione a un’associazione per delinquere e sulla legittimità della custodia cautelare in carcere. Il caso riguarda un imprenditore coinvolto in un vasto schema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina attraverso la creazione di contratti di lavoro fittizi. La decisione sottolinea come le conversazioni intercettate e la consapevolezza della struttura criminale possano costituire gravi indizi di colpevolezza, sufficienti a giustificare la più grave delle misure cautelari.

I fatti del processo

Un imprenditore è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di far parte di un’organizzazione criminale finalizzata a favorire l’ingresso illegale di cittadini extracomunitari in Italia. Secondo l’accusa, l’organizzazione, guidata da un altro soggetto, reclutava stranieri disposti a pagare per ottenere un visto d’ingresso. Lo schema prevedeva l’utilizzo di società compiacenti, tra cui quelle dell’imprenditore, per inoltrare false domande di assunzione e ottenere i nulla-osta necessari. Le indagini, basate principalmente su intercettazioni telefoniche, hanno rivelato il ruolo attivo dell’indagato, che avrebbe messo a disposizione le sue aziende per le operazioni illecite in cambio di un compenso.

I motivi del ricorso: concorso semplice o associazione per delinquere?

La difesa dell’imprenditore ha contestato l’ordinanza cautelare davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due questioni principali:

1. Carenza di prova sul delitto associativo: Secondo il ricorrente, gli elementi raccolti non provavano la sua partecipazione stabile e consapevole all’associazione, ma al massimo un concorso nel singolo reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La difesa lamentava una motivazione carente sulla distinzione tra il semplice concorso di persone e la consumazione di un reato associativo.
2. Mancata valutazione delle esigenze cautelari: L’imprenditore contestava l’applicazione della custodia in carcere, ritenendola sproporzionata. La difesa sosteneva che il Tribunale si fosse basato su una presunzione di legge, senza valutare l’attualità del pericolo di recidiva e la sua sostanziale incensuratezza. A suo avviso, una misura meno afflittiva, come il divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale, sarebbe stata sufficiente.

La prova dell’associazione per delinquere secondo la Cassazione

La Corte ha respinto il primo motivo, ritenendo la motivazione del Tribunale del Riesame logica e sufficiente. I giudici hanno valorizzato il contenuto delle intercettazioni, da cui emergeva la piena consapevolezza dell’imprenditore di operare all’interno di un gruppo criminale strutturato e vasto. In una conversazione, l’indagato si rivolgeva al capo dell’organizzazione dicendo “non chiudere solo agli altri, chiudi anche a me”, una frase interpretata come prova della sua volontà di far parte stabilmente del sodalizio e di condividerne le sorti.
La Corte ha ribadito un principio consolidato: la prova dell’esistenza dell’affectio societatis (la volontà di far parte del gruppo) non richiede una manifestazione esplicita, ma può essere desunta da comportamenti significativi che dimostrino la consapevolezza di contribuire a un programma criminale comune e duraturo.

La valutazione sulla custodia in carcere

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Cassazione ha confermato che la decisione di applicare la custodia in carcere era correttamente motivata. Il Tribunale aveva considerato la gravità dei reati, la lunga durata della partecipazione dell’indagato all’associazione, la sistematicità delle condotte illecite (attestata dall’alto numero di domande fittizie) e l’assenza di segni di resipiscenza.
Questi elementi, secondo la Corte, dimostravano un concreto e attuale pericolo di recidiva, reso ancora più forte dalla persistenza del contesto associativo. La sostanziale incensuratezza dell’indagato, sebbene presa in esame, non è stata ritenuta un elemento sufficiente a superare la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere prevista per questo tipo di reati.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la distinzione tra concorso di persone e partecipazione ad un’associazione criminale risiede nella stabilità del vincolo. Le intercettazioni, nel caso di specie, non rivelavano un accordo occasionale, ma un inserimento consapevole e continuativo in una struttura organizzata, con una chiara consapevolezza della sua estensione e operatività. In secondo luogo, la valutazione del pericolo di recidiva non può essere astratta. La gravità dei fatti, la loro protrazione nel tempo e l’intensità del dolo sono indicatori concreti della pericolosità sociale dell’indagato, che giustificano la misura cautelare più severa per impedire la continuazione dell’attività criminosa.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce che la prova della partecipazione a un’associazione per delinquere può essere fornita attraverso elementi logici e indiretti, come le conversazioni intercettate, che rivelino la coscienza e volontà dell’individuo di far parte di un patto criminale stabile. Inoltre, conferma che, di fronte a reati di grave allarme sociale e inseriti in un contesto organizzato, la custodia cautelare in carcere può essere considerata una misura necessaria e proporzionata, anche in presenza di un profilo di incensuratezza del soggetto, quando il rischio di reiterazione del reato risulti concreto e attuale.

Come si prova la partecipazione a un’associazione per delinquere?
La partecipazione si può provare anche attraverso comportamenti significativi e conversazioni intercettate che dimostrino la consapevolezza dell’individuo di far parte di un gruppo criminale strutturato e la sua volontà di contribuire stabilmente al programma delittuoso, senza che sia necessaria la conoscenza di tutti i membri dell’organizzazione.

Quando è giustificata la custodia cautelare in carcere per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina?
È giustificata quando esiste un pericolo concreto e attuale che l’indagato commetta altri reati. Tale pericolo è desunto dalla gravità dei fatti, dalla sistematicità delle condotte, dalla lunga durata della partecipazione al gruppo criminale e dall’intensità dell’intento criminoso, elementi che possono rendere la custodia in carcere l’unica misura adeguata.

La mancanza di precedenti penali è sufficiente a evitare la custodia in carcere?
No. Secondo la sentenza, la sostanziale incensuratezza dell’indagato è un elemento che viene valutato, ma non è di per sé sufficiente a escludere la custodia in carcere se altri elementi, come la gravità del reato associativo e il concreto pericolo di recidiva, indicano una pericolosità sociale elevata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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