Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44498 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44498 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a POLICORO il 07/05/1967
avverso l’ordinanza del 30/07/2024 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 30 luglio 2024 il Tribunale del riesame di Salerno ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME contro l’ordinanza emessa in data 01/01/2024 ed eseguita in data 10/07/2024, con cui gli è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere quale indagato per i reati di cui agli artt. 416, commi 1, 2 e 5, cod. pen., 3 legge 146/2006, 12, comma 3-bis d.lgs. n. 286/1998 commessi tra il 2022 e il 2024.
L’ordinanza ripercorre lo svolgimento delle indagini, effettuate soprattutto attraverso intercettazioni a carico del coindagato NOME COGNOME, soggetto che, unitamente a persone legate ad un’associazione di tipo camorristico, organizzava e dirigeva l’intera attività, ricevendo da procacciatori stranieri i nomi di cittadin extracomunitari disposti ad emigrare in Italia, a pagamento, mediante contratti di lavoro fittizi, nonché reclutando i fittizi datori di lavoro e ottenendo, tramit costoro, i necessari nulla-osta per gli stranieri, e infine facendo arrivare i falsi lavoratori e ricevendo il denaro da loro versato per ottenere il visto di ingresso, che veniva riciclato attraverso la famiglia legata all’associazione camorristica. L’ordinanza riporta, alle pagine 23 e 24, alcune intercettazioni relative al NOMECOGNOME indagato quale datore di lavoro che ha inoltrato, con due sue società, molte false domande di assunzione, nonché, alle pagine 44 e 45, le spiegazioni da lui fornite nell’interrogatorio di garanzia, secondo cui le molte domande presentate a nome della sua ditta individuale erano state inviate a sua insaputa, esse non erano, comunque, mai andate a buon fine, e in definitiva egli ignorava la natura illecita dell’attività svolta tanto che, appena aveva sospettato che nascondesse qualche imbroglio, aveva dato disposizione di bloccare la sua PEC.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza di entrambi i delitti a lui ascritti, anche quanto alla sua consapevolezza circa Da natura illecita delle operazioni compiute e circa il fatto di partecipare ad un più ampio sodalizio, stante il numero delle domande fittizie inviate e il contenuto delle intercettazioni che lo riguardano, in cui egli stesso parla con l’organizzatore, in un caso chiedendogli conto dei soldi a lui promessi per l’attività svolta. Ha ritenuto altresì sussistenti le esigenze cautelari in relazion al pericolo di reiterazione dei reati, e la necessità di applicare la custodia in carcere per il loro soddisfacimento, stanti la gravità anche del delitto associativo, non interrotto dall’indagine stessa, la sua dimensione transnazionale, la sua protrazione nel tempo, e stante la mancanza nell’indagato, allo stato, di forme di resipiscenza e di altri elementi idonei per superare la doppia presunzione relativa stabilita dall’art. 12, comma 4-bis, d.lgs. n. 286/1998.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto associativo.
L’ordinanza omette del tutto di valutare il motivo di riesame relativo a tale delitto, in cui si eccepiva la nullità dell’ordinanza cautelare per non essersi il g.i.p. specificamente occupato di motivare la sua sussistenza e la responsabilità del ricorrente per esso. Anch’essa, come il provvedimento del g.i.p., si diffonde nel ricostruire gli elementi che dimostrano la sussistenza di un gruppo criminoso capeggiato dal coindagato COGNOME ma non espone le ragioni giuridicamente significative che provano la sua natura di associazione e la partecipazione ad essa del ricorrente, né valuta i singoli indizi e la loro gravità, in particolar quanto alla loro idoneità a dimostrare la consapevolezza e la volontà di far parte in modo stabile di una compagine criminosa e di contribuire al suo mantenimento, favorendo la realizzazione del fine comune. L’ordinanza, sul punto, è viziata da assoluta carenza motivazionale, non distinguendo tra il mero concorso del ricorrente nel commettere il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e la consumazione di un reato associativo.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per la violazione di legge e il vizio motivazionale in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari.
L’ordinanza afferma la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. senza una specifica motivazione, ma solo riportandosi alla presunzione prevista dalla legge, omettendo di valutare l’attualità e la concretezza delle esigenze stesse, ed anche di tenere conto della sostanziale incensuratezza del ricorrente.
L’ordinanza non motiva, poi, in merito alla proporzionalità e adeguatezza della misura applicata, mentre al fine di evitare la reiterazione del reato sarebbe stato sufficiente, stante l’attività concretamente svolta dal ricorrente, il diviet temporaneo di esercitare attività imprenditoriali. Il Tribunale non ha valutato l’idoneità e sufficienza di misure cautelari meno gravi, e non ha affatto indicato le ragioni della necessità di applicare la custodia in carcere.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha inviato una memoria di replica alla requisitoria con cui ribadisce, in relazione al secondo motivo di ricorso, l’insufficienza della motivazione in merito alle esigenze cautelari, in quanto omette di valutare gli elementi forniti dalla difesa, nella memoria depositata in udienza, idonei per superare la presunzione di legge, costituiti dalla sufficienza di una misura interdittiva, avendo egli agito nella qualità di imprenditore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, in entrambi i suoi motivi, e deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente contesta la motivazione dell’ordinanza con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi del solo reato associativo, è infondato.
L’ordinanza contiene, sul punto, una motivazione sufficiente, non illogica né contraddittoria, in quanto si fonda su indizi concreti, cioè le intercettazioni riportate alle pagine 23-24 e 46, e deduce da esse, in particolare da quella del 07/01/2024, in cui NOME dice al Viola “non chiudere solo agli altri, chiudi anche a me”, la consapevolezza del ricorrente della esistenza di un gruppo che partecipa alla commissione dei reati, e la sua volontà di partecipare a talie gruppo. Come spiegato dettagliatamente alla pag. 47 dell’ordinanza, dallle intercettazioni il Tribunale ha dedotto il pieno e consapevole inserimento del ricorrente nel sistema criminoso organizzato e gestito dal COGNOME, in quanto da esse emergerebbero la riconducibilità a quest’ultimo e ad un altro coindagato della gestione delle aziende intestate al ricorrente, la consapevolezza di questi delle molte domande inoltrate da costoro per suo conto, la sua ricezione di un compenso per tale attività, la sua consapevolezza della esistenza di una organizzazione vasta, che comprende molte aziende che partecipano alle operazioni criminose, e la sua piena volontà di aderire a tale contesto. La sussistenza di gravi indizi in merito alla configurabilità del delitto di cui all’a 416 cod. pen., poi, è adeguatamente motivata attraverso l’esame dei numerosi reati-fine, le cui modalità esecutive, richiedendo necessariamente la partecipazione di più soggetti consapevoli della illiceità delle proprie, singole condotte, e della loro finalizzazione ad un unico risultato, possono risultare sufficientemente indicative, quanto meno nella fase cautelare, della operatività di un gruppo criminale associato (vedi Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Rv. 285126; Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218376).
La valutazione in merito alla partecipazione del ricorrente a tale associazione criminosa è logica, in quanto conforme al contenuto delle intercettazioni riportate nell’ordinanza stessa. Correttamente il Tribunale ha ritenuto tali elementi sufficienti per affermare la sussistenza, a suo carico, dei gravi indizi di colpevolezza per la commissione del reato associativo, in quanto ha applicato i principi di questa Corte in merito ai criteri di valutazione della presenza della affectio societatis, che non richiede una esplicita manifestazione, e può essere provata attraverso comportamenti significativi che dimostrino la consapevolezza e volontà di partecipare ad un gruppo criminoso, senza che sia necessaria la conoscenza dei capi o degli altri sodali (Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, Rv. 279589; Sez. 2, n. 55141 del 16/07/2018, Rv. 274250; Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, Rv. 276740; Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284057). Le frasi pronunciate dal ricorrente, infatti, appaiono dimostrare la sua consapevolezza dell’attività delittuosa svolta dal Viola e della partecipazione ad essa di molti altri soggetti, che egli stesso si propone, in un caso, di individuare, nonché la piena voldntà di parteciparvi e di percepirne rapidamente i proventi, nella misura a lui spettante.
Il ricorso non smentisce la sussistenza di tali indizi né l’interpretazione delle singole conversazioni, e si limita a sostenere la loro inidoneità per dimostrare la sussistenza del reato associativo anziché di un mero concorso di persone, ai sensi dell’art. 110 cod. pen. La censura circa la mancanza, apparenza e illogicità della motivazione in ordine a tale punto è, però, infondata, avendo il Tribunale sottolineato la valenza indiziaria delle conversazioni da cui emerge la consapevolezza del ricorrente circa l’esistenza di un ampio numero di partecipi alla medesima attività, e la sua volontà di ampliarlo individuando almeno un’altra azienda da utilizzare per commettere i reati-fine, e avendo dedotto da queste, come detto, la sussistenza non di un occasionale concorso di persone, ma di un accordo stabile tra più soggetti.
3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
La sussistenza delle esigenze cautelari è valutata, alla pagina 50 dell’ordinanza impugnata, con esplicito riferimento alla possibilità di recidiva, dedotta dalla gravità dei reati commessi e dal grado di consapevolezza per la partecipazione ad essi, sia con riferimento al delitto associativo, sia con riferimento a quello di cui all’art. 12 d.lgs. n. 286/1998.
L’ordinanza valuta in concreto la pericolosità del ricorrente, per la lunga durata della partecipazione all’associazione criminosa, la sistematicità nella commissione dei reati fine, stante l’alto numero di domande fittizie presentate, e
quindi l’intensità del dolo, dimostrata anche dalla mancanza di segni resipiscenza, e per tali ragioni esclude la possibilità di ritenere superata la presunzione relativa stabilita dall’art. 12, comma 4 -bis, d.lgs. n. 286/1998.
Il ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine all’attualit concretezza delle esigenze cautelari, e alla proporzionalità e adeguatezza de più grave misura applicata, nonostante la propria sostanziale incensuratezza, m tali censure sono infondate. Il Tribunale, infatti, ha valutato in modo logi sufficiente, in relazione ad entrambi i delitti contestati ed anche alla luce sentenza della Corte costituzionale n. 331/2011, il concreto pericolo di recidi reso attuale dalla ritenuta persistenza del contesto associativo, non elimi dall’indagine, e la necessità di applicazione della misura della custodia in car ritenendo non acquisiti elementi idonei a superare la presunzione di legge merito alla sua adeguatezza, tale non essendo ritenuta la sostanzia incensuratezza, sebbene presa in esame dal Tribunale, e non avendo lo stesso ricorrente fornito altri elementi di tale pregnanza. Anche sotto tale profilo n pertanto, sussistente il vizio motivazionale dedotto.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve perci essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spe processuali.
Non comportando – la presente decisione – la rimessione in libertà de ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancel di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi de 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 25 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente