Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 29529 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 29529 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1)NOME nato a Durazzo il DATA_NASCITA
2)NOME nato a Durazzo il DATA_NASCITA
3)NOME nato a Durazzo il DATA_NASCITA
4) NOME nato a Durazzo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 13 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO le richieste del AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALE
udite COGNOME e COGNOME e per l’inammissibilità degli altri ricorsi;
udite le richieste dei difensori, AVV_NOTAIO, quale difensore di NOME e, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per COGNOME; AVV_NOTAIO, anche in
sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME, per COGNOME, e AVV_NOTAIO NOME COGNOME COGNOME per NOME, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Biella, ha così provveduto:
ha assolto NOME COGNOME dal reato ascrittogli, nonché NOME COGNOME dal reato ascritto al capo 14 e NOME COGNOME dal reato ascritto al capo 12 sub a) per non aver commesso il fatto;
-esclusa la circostanza aggravante della disponibilità di armi di cui al capo A, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di NOME in anni sette di reclusione nei confronti di NOME in anni sette e mesi sei di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Propongono separati ricorsi per cassazione NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME.
NOME COGNOME ha dedotto tre motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo deduce l’omessa motivazione sulla responsabilità del ricorrente per i fatti di cui al capo di imputazione.
2.2. Con il secondo motivo deduce l’omessa motivazione sulla sussistenza della prova della responsabilità in ordine alla partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo A, stante la sua posizione marginale e la confusione della sua posizione con quella del fratello NOME.
2.3. Con il terzo motivo deduce l’omessa motivazione sulla eccezione, dedotta nel corso della discussione dinanzi alla Corte di appello, relativa alla violazione del principio del ne bis in idem, attesa la emissione per gli stessi fatti della sentenza di assoluzione del Tribunale di Fermo n. 203 del 4/3/2020, divenuta irrevocabile il 23/9/2020.
COGNOME NOME ha dedotto due motivi che, in quanto logicamente connessi, possono essere esposti congiuntamente. Il ricorrente lamenta vizi della motivazione e la violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. nel a valutazione degli elementi probatori posti a fondamento del giudizio di responsabilità sia in merito alla partecipazione all’associazione, in relazione alla quale si deduce che la sentenza
impugnata non ha specificato quale ruolo abbia svolto l’imputato (che non è mai stato trovato in possesso di droga e, peraltro, risiede in luogo diverso dagli altri imputati), sia in ordine alla detenzione a fine di spaccio di circa 8 kg di eroina. Quanto a tale ultima condotta si rileva che l’unico elemento a carico del ricorrente attiene ad un contatto avuto con NOME, trovato in possesso della sostanza rinvenuta a bordo della sua vettura, nel tragitto dall’Albania all’Italia.
NOME COGNOME ha dedotto due motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
4.1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. Nel corpo del motivo, illustrata la giurisprudenza di questa Corte sul tema, si sottolinea che: a) nella fattispecie in esame la stessa Corte territoriale dà atto che non vi era una cassa comune; b) non si conosce l’esito degli altri procedimenti, valorizzati dall’accusa, relativi alle altre “basi” operative del sodalizio; c) sussistenza dell’organizzazione è stata desunta dall’esistenza di armi da sparo, di abitazioni, di carte telefoniche e di auto utilizzate dagli associati per commettere i reati scopo, nonché dall’impiego di un linguaggio criptato, tuttavia, quanto alle armi, si tratta di un unico episodio di cui non vi è traccia nelle intercettazioni telefoniche e, quanto alle abitazioni, si trattava di due abitazioni situate a COGNOME che sono state utilizzate per un tempo limitato; d) dalle testimonianze è emerso che non vi erano autovetture attribuibili agli imputati.
4.2. Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per non esservi prova in ordine alla data di presentazione dell’appello da parte del AVV_NOTAIO ministero avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino nei confronti di COGNOME. Si afferma, inoltre, che, non essendovi prova della tempestività dell’appello, la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare è passata in giudicato con conseguente nullità degli atti successivi, a nulla rilevando la tardività della relativa eccezione in sede di appello, trattandosi di una nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado de procedimento.
NOME COGNOME ha dedotto cinque motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
5.1. Il primo motivo di ricorso deduce una questione analoga a quella dedotta da COGNOME nel terap motivo di ricorso. Si deduce, infatti, il vizio di violazione di norm processuale in relazione alla mancanza di prova della effettiva e tempestiva
presentazione dell’appello da parte del AVV_NOTAIO ministero avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino.
Deduce il ricorrente che: a) sulla questione, dedotta nel corso del giudizio di primo grado, il Tribunale si era riservato di decidere, invitando il AVV_NOTAIO ministero a fornire prova del deposito dell’atto di impugnazione; b) dal controllo del fascicolo processuale emerge che sulla sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. è stata annotata l’avvenuta impugnazione da parte del AVV_NOTAIO ministero in data 4/12/2023, ma di tale atto di impugnazione esiste solo una copia fotostatica recante il timbro cronologico del Tribunale di Fermo, l’attestazione di conformità all’originale e la delega al deposito.
In ogni caso si insite sulla intempestività di tale impugnazione in quanto, poiché la sentenza è stata emessa con motivazione non contestuale all’udienza del 20/10/23 e, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, non risulta agli atti alcuna comunicazione dell’avvenuto deposito del 30/10/20232 il termine per l’impugnazione scadeva il 19/11/2023.
5.2 Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., in relazione alla registrazione delle intercettazioni a mezzo di impianti diversi da quelli installati presso la Procura, mancando, al riguardo, adeguata motivazione nel decreto del AVV_NOTAIO ministero, in tesi difensiva, arbitrariamente integrata dai Giudici di merito. In via conseguenziale, si eccepisce l’inutilizzabilità patologica di tutte le intercettazioni, come ritenuto dal Giudice dell’udienza preliminare con la sentenza di non luogo a procedere. Nel caso di specie, infatti, il decreto autorizzativo non menzionava la sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza, nè argomentava in ordina alla apodittica affermazione di indisponibilità degli impianti. Tali lacune motivazionali sono state illegittimamente integrate dalla sentenza impugnata che, a distanza di ben diciotto anni dai fatti, ha fatto riferimento, quanto alle eccezionali ragioni di urgenza, alla complessità dell’indagine, al fatto che, in un caso, non riguardante il ricorrente, l’intercettazione era stata disposta dal AVV_NOTAIO ministero ai sensi dell’art. 267 cod. proc. pen., con successiva convalida del Giudice per le indagini preliminari, nonché alla contiguità temporale tra la richiesta e l’autorizzazione.
5.3. Con il terzo motivo deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 7 d.P.R. n. 309 del 1990.
In primo luogo, si censura la sussistenza del sodalizio non essendovi prova dell’esistenza dell’accordo tra gli imputati – i quali hanno agito nel proprio interesse economico e non per la realizzazione di un obiettivo comune – e del requisito
organizzativo, mancando, peraltro, come evidenziato dalla sentenza, anche una cassa comune. Aggiunge, inoltre, il ricorrente che l’argomento relativo alla presunte basi operative in altre Regioni è fallace, posto che i soggetti presenti nelle varie località agivano per propri interessi correlati allo spaccio al dettaglio e, a tal riguardo, appare significativa l’assoluzione del presunto capo-promotore COGNOME. Parimenti irrilevante è l’argomento relativo alla prassi di importare la droga dall’Albania, in quanto ognuno reperiva nel Paese di origine quanto necessario, senza alcuna organizzazione. Anche le “operazioni di raccolta del denaro”, prosegue ancora il ricorrente, consistevano in mere attività di recupero dei crediti. A sostegno della tesi difensiva si richiama, infine, la sentenza di annullamento con rinvio emessa da questa Corte in altro procedimento definito con rito abbreviato nei confronti di altri coimputati.
Quanto alla partecipazione del ricorrente, il motivo in esame sottolinea, in primo luogo, che questo non ha fornito alcun contributo economico ed è stato condannato per soli tre reati fine, avvenuti nell’arco di tre settimane, consumati in concorso con il cugino e relativi a quantità imprecisata di sostanza stupefacente, (essendo stato, invece, assolto, dalle vicende più rilevanti concernenti l’importazione di 77 kg di marijuana, di cui al capo 9, e di 8 kg di eroina, di cui al capo 10). Aggiunge, inoltre, che la sua condanna è fondata su un mero sospetto correlato ai numerosi contatti telefonici con i coimputati. Deduce, al riguardo, il ricorrente che anche l’impiego del linguaggio criptico è inidoneo a provare la sussistenza del vincolo associativo, poiché questo connota ogni operazione illecita. In ogni caso, la perizia ha dimostrato maggiori contatti con gli “amici di COGNOME” e contatti meno frequenti con NOME, al quale non è stata contestata la partecipazione al sodalizio.
Manca, inoltre, qualunque prova relativa all’elemento psicologico del reato.
5.4. Con il quarto motivo deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla responsabilità per i reati ascritti ai capi 12, sub d), e 20.
Quanto al reato di cui al capo 12, sub. d), si deduce il carattere congetturale ed illogico della motivazione in quanto: a) è certo che dopo la telefonata intercorsa tra il ricorrente e NOME non vi è stato alcun incontro ; b) il contenuto delle espressioni usate in detta conversazione («non si può fare per quanto c’era in quella carta? quindici minuti o quanto?») può intendersi non solo in relazione ad una transazione illecita passata (come sostenuto dalla sentenza), ma anche in relazione ad una vicenda riguardante terzi di cui i due erano a conoscenza o ad un pregresso accordo illegale tra i due.
Quanto al capo 20, si deduce l’inadeguatezza della motivazione che, pur accogliendo l’eccezione formulata con il settimo motivo di appello, ha confermato il giudizio di responsabilità dell’imputato sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate, nonostante il loro contenuto criptico e la mancanza di alcun riferimento a prezzi, qualità o quantità di sostanza stupefacente.
5.5 Con il quinto motivo deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione incongrua, illogica ed apparente in ordine alla mancata riqualificazione dei tre reati fine ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
A tal fine, rileva il ricorrente che, quanto al capo 12 d), il termine «quindici» utilizzato nella conversazione intercettata, non poteva che riferirsi a quindici grammi di sostanza stupefacente; lo stesso è stato indicato come spacciatore «da strada» dal teste COGNOME; in altro procedimento a carico del ricorrente e di COGNOME, il Tribunale di Fermo ha qualificato la cessione ascritta ai sensi dell’art. 73, comma 5, dpr 309/1990; quanto ai capi 20 e 22, manca qualunque elemento in merito al quantitativo di sostanza stupefacente, ritenuto «non modesto» dalla Corte territoriale sulla base di mere congetture.
Il processo, inizialmente fissato per l’udienza del 16 gennaio 2024, è stato rinviato all’odierna udienza a seguito dell’accoglimento dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’AVV_NOTAIO.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, devono essere esaminate le questioni processuali poste da alcuni ricorrenti in quanto fondate su motivi non esclusivamente personali che, ove accolti, potrebbero avere effetti favorevoli anche nei confronti degli altri.
La prima questione processuale attiene alla intempestività dell’appello presentato dal AVV_NOTAIO ministero avverso la sentenza di non luogo a procedere, dedotta da NOME con il COGNOME motivo e da COGNOME con il primo motivo. Il solo COGNOME ha, inoltre, dedotto una sotto questione relativa alla mancanza di prova della presentazione di tale impugnazione.
Muovendo da tale ultima questione, rileva il Collegio che si tratta di una censura inammissibile in quanto formulata genericamente dal ricorrente, senza confrontarsi criticamente con la specifica ricostruzione della cronologia proc:essuale contenuta nella sentenza impugnata, ed in termini meramente ipotetici, non avendo il ricorrente
allegato alcuna attestazione della Cancelleria in ordine alla mancata proposizione dell’appello.
Dalla sentenza impugnata risulta, infatti, che: i) il AVV_NOTAIO ministero ha presentato l’atto di impugnazione il 4 dicembre 2003 e ciò risulta dal timbro di deposito del Cancelliere (p. 18); ii) al deposito dell’impugnazione è seguita la fissazione dell’udienza, con decreto del 12/10/2012, dinanzi alla Corte di appello di Torino; iii) secondo quanto dichiarato dal AVV_NOTAIO ministero all’udienza del 17 ottobre 2017, nulla eccependo le difese, tale atto di appello risultava inserito nel fascicolo per il dibattimento.
A fronte di tale specifica ricostruzione, il COGNOME si limita a prospettar genericamente ed in termini, peraltro, meramente esplorativi, una ipotetica mancanza dell’atto di impugnazione, nonostante il rinvenimento, ammesso dallo stesso ricorrente, della copia fotostatica di tale atto, recante il timbro cronologico del Tribunale di Fermo.
2.1 Ciò premesso, anche la questione della intempestività dell’appello è inammissibile in quanto, oltre a non essere stata dedotta nel corso del primo giudizio di appello, è manifestamente infondata.
I ricorrenti omettono, infatti, di considerare che, trattandosi di sentenza con motivazione non contestuale, ai fini del computo del termine per l’impugnazione di quindici giorni, andava considerato integralmente il termine legale di trenta giorni previsto per il deposito della motivazione (art. 424, comma 4, cod. proc. pen.).
Va, al riguardo, ribadito che il termine di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, pronunciata all’esito dell’udienza preliminare, è quello di quindici giorni previsto dall’art. 585, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e lo stesso decorre, per le parti presenti, dalla lettura in udienza della sentenza contestualmente motivata ovvero dalla scadenza del termine legale di trenta giorni, in caso di motivazione differita e depositata entro tale termine, rimanendo irrilevante l’eventualità che il giudice abbia irritualmente stabilito un termine più ampio per il deposito della suddetta motivazione (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249670).
L’eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, dedotta da RAGIONE_SOCIALE con il secondo motivo, è inammissibile in quanto formulata in termini generici e aspecifici, senza l’allegazione dei decreti autorizzativi cui si riferisce la questione.
Come più volte affermato dalle Sezioni Unite, grava sulla parte interessata a far valere l’inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazi
comunicazioni per violazione degli artt. 267 e 268, commi 1 e 3, cod. proc. pen., l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende l’eccepita inutilizzabilità, no essendo tenuto il giudice a ricercarne d’ufficio la prova (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245). Si è, infatti, chiarito che, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti n rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME Iorio, Rv. 244329).
In ogni caso, anche a prescindere dal mancato assolvimento di tale onere della prova da parte del ricorrente, la questione pare manifestamente infondata alla luce della motivazione, immune da vizi logici o giuridici, fornita dalla Corte territoriale che, in primo luogo, ha precisato che in tutti i decreti autorizzativi si è dato atto del indisponibilità degli impianti in uso alla Procura. Si tratta ci una motivazione sufficiente dovendosi ribadire che la valutazione relativa alla indisponibilità degli impianti appartiene alla competenza del pubblico ministero e non richiede alcuna certificazione ulteriore, ove ne sia stato dato atto nel decreto reso ai sensi dell’art 268, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 15718 del 23/02/2016, COGNOME, Rv. 266815; Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME, Rv. 255540).
Inoltre, quanto alla sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza, la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione facendo corretta applicazione del consolidato principio di diritto, da ultimo affermato da Sez. 6, n. 30994 del 05/04/2018, COGNOME, Rv. 273594, qui condiviso e ribadito, secondo il quale in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza, richieste dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., per l’esecuzione delle operazioni mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici della procura può desumersi anche implicitamente dal riferimento all’attività criminosa in corso indicata non solo nel provvedimento del pubblico ministero, ma anche complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento, nonché dallo stesso contesto del processo e dalla natura delle imputazioni (Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, dep. 2008, Sitzia, Rv. 239633).
Passando all’esame delle singole posizioni, il ricorso proposto da COGNOME è inammissibile per le seguenti ragioni.
(L
4.1. Il primo motivo è privo del necessario requisito della specificità in quanto omette di indicare a quale capo o punto della decisione si riferisca e di enunciare le ragioni di diritto che lo giustificano.
4.2. Il secondo motivo ha un contenuto meramente confutativo e si limita a insistere sulla rilevanza di elementi fattuali senza evidenziare alcun vizio di legittimità della sentenza impugnata.
4.3. Il terzo motivo deduce una questione generica e priva del necessario requisito dell’autosufficienza.
Invero, la sentenza impugnata ha omesso di esaminare la questione che, come ammesso dallo stesso ricorrente, è stata dedotta solo nel corso della discussione dinanzi alla Corte di appello.
Osserva, tuttavia, il Collegio che la mancata allegazione ella sentenza che, in tesi difensiva, avrebbe già assolto il ricorrente dagli stessi fatti per cui si procede impedisce di valutare se detta eccezione avesse una sua consistenza o fosse invece, manifestamente infondata, tanto da ritenere insussistente l’interesse del ricorrente. Va, infatti, rammentato che, secondo al giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, il mancato esame di un motivo manifestamente infondato da parte della Corte di appello non può comportare l’annullamento della sentenza, trattandosi di una censura insuscettibile di accoglimento (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263980); da ciò consegue, inoltre, l’inammissibilità per difetto di interesse del ricorso per cassazione in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745).
Va, inoltre, considerato, che la sentenza impugnata ha preso in considerazione la sentenza emessa dal Tribunale di Fermo, cui si riferisce il motivo in esame, e dalla ricostruzione contenuta alle pagine 41 e ss. sembra emergere che detta sentenza si riferisce a fatti diversi da quelli per cui è stato condannato COGNOME, ovvero ad episodi di spaccio al minuto ed al tentato omicidio accaduto al Lido Tre Archi.
In ogni caso, ove così non fosse, il ricorrente non è privo di tutela, potendo far valere la relativa questione in sede esecutiva (art. 669 cod. proc. pen.).
Il ricorso proposto da COGNOME è inammissibile in quanto i due motivi dedotti, tra loro logicamente connessi, sono generici e, quanto al giudizio di responsabilità in ordine al reato di cui al capo 10, versati in fatto.
Va, innanzitutto, premesso che, quanto alla ritenuta partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche mediante l’accertamento di “facta concludentia”, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornimenti della droga, le basi logistiche, i be necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610; Sez. 5, n. 8033 del 15/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255207; Sez. 4, n. 25471 del 07/02/2007, COGNOME, Rv. 237002).
Inoltre, quanto alla valenza “sintomatica” dei reati che costituiscono lo scopo del sodalizio, va ribadito che, sebbene l’accertamento della loro commissione non è necessario ai fini della configurabilità e della prova della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 9459/2016 del 06/11/2015, Venere, Rv. 266710), tuttavia, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione (Sez. 6, n. 1343/2016 del 04/11/2015, COGNOME, Rv. 265890) ovvero laddove si tratti di un episodio comunque sintomatico dell’appartenenza al sodalizio (Sez. 1, n. 43850 del 03/07/2013, Durand, Rv. 257800, relativa al coinvolgimento in un unico episodio di programmato trasporto di un apprezzabile quantitativo di droga).
La sentenza impugnata, facendo corretta applicazione di tali coordinate ermeneutiche, COGNOME con motivazione ancorata, in particolare, alle risultanze delle conversazioni intercettate e delle dichiarazioni rese dai testi, ha desunto COGNOME la partecipazione del ricorrente al sodalizio sulla base di una attenta lettura degli elementi indiziari, valorizzando l’intensità dei suoi contatti con gli altri sodali soprattutto, la valenza altamente sintomatica, in quanto strettamente correlata all’ambito di operatività del sodalizio, del suo accertato contributo alla commissione del reato di cui al capo 10 (l’importazione di 8 kg. di eroina dall’Albania) rispetto al quale, la Corte ha posto l’accento anche sulla sua richiesta di denaro contante al coimputato NOME e a NOME.
Inoltre, quanto al giudizio di responsabilità in ordine a tale ultima condotta, la sentenza impugnata, con motivazione fondata su una lettura complessiva e non illogica degli elementi indiziari, coerente con le indicazioni ermeneutiche della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678), ha valorizzato il contenuto delle conversazioni intercettate, sintomatiche dei continui contatti durante il viaggio dall’Albania verso l’Italia’ tra il ricorrent fratello e NOME, nonché le risultanze dell’arresto in flagranza di quest’ultimo, alla guida di un’autovettura al cui interno sono stati rinvenuti quattordici panetti di eroina. Nel par. 1.1.12., richiamandosi la sentenza di primo grado, si oà, inoltre, atto che poco prima di procedere a tale arresto, gli operanti avevano notato l’NOME presso un’area di servizio in compagnia del ricorrente e di COGNOME.
Il primo motivo del ricorso proposto da COGNOME è infondato. Il secondo è stato già esaminato nel par. 1 cui si rimanda.
Oggetto della censura è il COGNOME punto della motivazione relativo alla ritenuta sussistenza del sodalizio di cui al capo A.
Giova, al riguardo, rammentare il consolidato principio di diritto secondo il quale, al fine della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita (Sez. 4, n. 44183 del 02/10/201:3, COGNOME, Rv. 257582; Sez. 1, n. 10758 del 18.02.2009, Rv. 242897).
Tra tali elementi costitutivi, la cui coesistenza è imprescindibile ai fini dell configurabilità del sodalizio in questione, assume una particolare valenza il profilo organizzativo, che pur potendo assumere una connotazione rudimentale, costituisce un elemento indispensabile non solo quale indice di stabilità dell’accordo tra i sodali, ma soprattutto al fine di conferirgli quella perdurante offensività in cui risiede la ragione della punizione della condotta in esame. Va, infatti, ribadito che la costituzione dell’associazione non coincide con l’accordo dei compartecipi, ma con quello della nascita di un’organizzazione permanente, frutto del concerto di intenti e di azione tra gli associati, ravvisandosi in COGNOME elemento il discrimine tra l’ipotes
associativa ex art. 74 d.P.R. n.309 del 1990 e quella del concorso nel reato continuato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 del citato d.P.R. (Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avellino, Rv. 270396).
La sentenza impugnata, uniformandosi a tali coordinate ermeneutiche, ha desunto l’esistenza dell’associazione sulla base di una valutazione complessiva delle risultanze delle deposizioni dei testi di polizia giudiziaria, delle intercettazioni e d sequestri. In particolare, quanto al profilo organizzativo, sono stati valorizzati seguenti elementi sintomatici: a) la capacità di importare dall’estero considerevoli quantità di droga (si citano, ad esempio, i capi 9 e 10); b) l’intensità e la costanza dei contatti tra i sodali; c) la presenza di un’organizzazione duttile in cui vi erano referenti stabili in diversi luoghi, come i fratelli COGNOME a Fermo; d) la disponibilità due appartamenti a COGNOME, utilizzati per il deposito ed il commercio al dettaglio; e) l’utilizzo di un linguaggio criptico nelle conversazioni intercettate.
La sentenza di primo grado, la cui motivazione si salda logicamente con quella della sentenza impugnata, ha, inoltre, considerato che, nonostante l’esistenza di più basi operative, i sodali erano in collegamento tra loro, come emerso dai servizi di osservazione relativi al capo 12. Ha, inoltre, evidenziato che il gruppo disponeva, oltre che di basi operative, anche di auto, una delle quali (si fa riferimento al capo 10) appositamente modificata per il trasporto di droga, e di telefoni cellulari. Si è anche valorizzato il dato della presenza di fornitori abituali (tra cui NOME) e acquirenti abituali, nonché la prassi di importare la droga dall’Albania (come emerso nelle due occasioni in cui sono stati sequestrati 77 kg di marijuana e 8 kg di eroina).
Venendo, infine, ai residui motivi del ricorso proposto da COGNOME – i primi due sono stati esaminati ai par. 1 e 2 – ritiene il Collegio che il terzo motivo è infondato.
Si richiamano, al riguardo, le considerazioni già espresse nel precedente paragrafo, quanto alla sussistenza del sodalizio, e nel par. 5, quanto alla partecipazione al sodalizio ed alla rilevanza sintomatica della commissione dei reatiscopo. In particolare, quanto al ruolo del ricorrente, le sentenze impugnate, con motivazione immune da vizi logici o giuridici e coerente con la giurisprudenza di questa Corte riportata nel par. 5., ha desunto la partecipazione del ricorrente, ponendo l’accento, oltre che sulle condotte criminose ascritte, sull’ampiezza dell’arco temporale in cui queste sono avvenute, sulla intensità dei suoi rapporti con un numero particolarmente elevato di componenti del sodalizio (cfr. par. 7.6.9.) nonchè sui suoi rapporti con RAGIONE_SOCIALE dal quale riceveva direttive (cfr. par. 5.1.14.e, in particolare, la conversazione n. 1233 del 23 novembre 2011). Dalla ricostruzione
dell’istruttoria dibattimentale contenuta nella sentenza impugnata risulta, inoltre, che il teste di polizia giudiziaria COGNOME ha collocato NOME nella “cellula” operante Fermo, in cui vi erano anche COGNOME e NOME COGNOME, ed ha chiarito che il ricorrente praticava lo spaccio al minuto e svolgeva anche il ruolo di corriere che approvvigionava la cellula prendendo la sostanza stupefacente in Emilia e a COGNOME (Piemonte).
7.1. Il quarto motivo di ricorso è parzialmente fondato con riferimento al reato di cui al capo 12, lett. d) relativo alla cessione di cocaina, in quantità imprecisata, a NOME.
Rileva, infatti, il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata in relazione a tale capo appare poco persuasiva. La Corte territoriale, infatti, senza alcun esame effettivo delle doglianze difensive, si è limitata a condividere la ricostruzione del Tribunale che ha desunto la responsabilità del ricorrente dalla parte finale della conversazione del 6 dicembre 2021, nonché dal tenore delle conversazioni intercorse tra il ricorrente e NOME.
Tale motivazione appare di difficile comprensione atteso che la prima conversazione, secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, si riferiva ad un precedente scambio di cocaina per un quantitativo che, in termini assolutamente apodittici, viene ritenuto «non modesto». Da tale dato, di per sè non rilevante ai fini della responsabilità per il reato in questione, si aggiunge il riferimento al tenore «circospetto» delle conversazioni tra il ricorrente e NOME.
Ad avviso del Collegio tale percorso argomentativo risulta poco comprensibile, essendovi un evidente salto logico nel sillogismo adottato dalla Corte territoriale allorché desume da un precedente scambio di droga e dal contenuto criptico delle conversazioni intercettate, che non si premura di interpretare, la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della responsabilità del ricorrente anche per la cessione contesta’ al capo 12, sub. d.
7.2 A diverse conclusioni può, invece, pervenirsi con riferimento alla analoga censura formulata dal ricorrente in relazione al capo 20.
Tale doglianza è infondata.
Ad avviso del Collegio, infatti, la sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi ed ancorata al contenuto delle conversazioni intercettate, ha desunto la partecipazione del ricorrente alla condotta criminosa ponendo l’accento sul viaggio di andata e ritorno del ricorrente a Gussola, sull’assenza di un fine esplicito dello spostamento, sulla sua rapidità e, soprattutto, sul linguaggio criptico impiegato nelle comunicazioni nonché sul loro contenuto. Sono state, in particolare, valorizzate le
conversazioni in cui il COGNOME avvisava del proprio arrivo a Fermo, dando immediati appuntamenti ai suoi interlocutori e facendo riferimento a qualcosa che doveva essere conservata in modo adeguato (cfr. par. 7.1.2.). Con motivazione non manifestamente illogica, la Corte ha, pertanto, ritenuto che dalla lettura globale di tali elementi indiziari può desumersi che tali conversazioni si riferivano all’acquisto e al trasporto di una partita di cocaina «di entità adeguata a giustificare l’impresa medesima».
7.3 II quinto motivo di ricorso deve ritenersi assorbito nell’accoglimento del quarto motivo con riferimento al capo 12, lett. d, mentre è inammissibile, in quanto versato in fatto e di carattere confutativo, con riferimento al diniego dell’applicabilit del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione ai capi 20 e 22, limitandosi il ricorrente a manifestare un mero dissenso rispetto alla decisione impugnata senza, tuttavia, evidenziare alcun vizio rilevante in sede di legittimità.
Alla luce di quanto sopra esposto, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di NOME, limitatamente al reato di cui al capo 1:2, lett. d, con rinvi per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino. Il ricorso di NOME va rigettato nel resto con conseguente dichiarazione di irrevocabilità dell’accertamento della penale responsabilità per gli altri reati.
Va, invece, rigettato il ricorso proposto da NOME con conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
Vanno, infine, dichiarati inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME e RAGIONE_SOCIALE con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto i rispettivi ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente al reato di cui al capo 12 lett. d) e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso di NOME, dichiarando l’irrevocabilità dell’accertamento di penale responsabilità per gli altri reati.
Rigetta il ricorso di NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME e di NOME che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 maggio 2024
Il AVV_NOTAIO estens
Il Pres ent