Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14878 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14878 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Salerno il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/10/2023 del Tribunale di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte di Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di COGNOME NOME, che ha concluso chiedendo che l’ordinanza impugnata venga annullata in accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale di Salerno, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, ha disposto la misura degli arresti domiciliari anche per il reato di cui all’art. 416 cod. pen., ascritto al capo 1 riformando la ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Salerno che in data 11 settembre 2023 aveva disposto la stessa misura degli arresti domiciliari ma
unicamente per i delitti di corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e falso, contestati ai capi 11),12), e 39).
Detta ordinanza, confermata in sede di riesame dal Tribunale con ordinanza del 5 ottobre 2023, è stata appellata dal Pubblico Ministero per il mancato riconoscimento dei gravi indizi in relazione al reato associativo di cui al capo 1).
Il procedimento ha ad oggetto una serie di reati di corruzione, per i quali non sono stati ravvisati i gravi indizi dal G.i.p., nel contesto di una indagine svolt nell’ambito delle assegnazioni di alloggi di edilizia popolare in favore di soggetti privi dei necessari requisiti che in cambio di somme di denaro si sarebbero fatti intestare fittiziamente delle procedure di sanatoria di occupazioni abusive grazie alla falsa documentazione predisposta da NOME COGNOMECOGNOME funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE di Salerno, che agiva in concorso con gli altri indagati, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Nell’atto a firma del difensore di fiducia, COGNOME chiede l’annullamento del provvedimento per le censure di seguito sintetizzate ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con un unico motivo deduce vizio di motivazione in relazione sia alla gravità indiziaria che all’esigenze cautelari rispetto al reato associativo evidenziando come il Tribunale abbia ritenuto lo COGNOME estraneo al sodalizio, sebbene fosse l’unico referente interno all’ufficio pubblico in grado di rendere possibili le falsificazioni necessarie alle indebite assegnazioni degli alloggi popolari.
Si evidenzia, inoltre, la singolare attribuzione del ruolo associativo a NOME COGNOME, benchè nei suoi confronti siano stato esclusi i gravi indizi per l’unico reato -fine al medesimo ascritto al capo 22).
Inoltre, nella memoria depositata dal difensore in sede di conclusioni scritte è stata allegata la richiesta di rinvio a giudizio a dimostrazione di come al predetto coimputato non siano ascritti reati-fine.
Infine, si osserva che essendo stati ritenuti insussistenti i gravi indizi per l gran parte dei reati-fine contestati, ciò rende incoerente la ravvisata sussistenza dell’associazione.
Si censurano anche le valutazioni del Tribunale in merito alla frequentazione quotidiana di COGNOME con COGNOME e la circostanza che COGNOME, COGNOME e COGNOME si spartirebbero tra loro i proventi delle illecite condotte, atteso che conversazione richiamata attesta che la spartizione sarebbe avvenuta solo tra COGNOME, COGNOME e COGNOME.
In ordine alle esigenze cautelari, si osserva che essendo i reati stati consumati fino al novembre del 2021, dopo l’arresto di COGNOME è venuto a mancare l’apporto
necessario per gestire le pratiche di assegnazione degli alloggi, poiché non è neppure vero che COGNOME disporrebbe delle chiavi che sono invece nella disponibilità del correo COGNOME.
Si deve dare atto che il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, commi 8 e 9, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come prorogato dall’art. 94 del d.lgs. n. 150 del 2022, modificato dall’art. 17 del d.l. 2 giugno 2023, n. 75.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità del motivo che investe tanto il profilo della gravità indiziaria che quello delle esigenze cautalari con censure del tutto aspecifiche.
Secondo l’incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Non vi è dubbio che nel caso di specie le difformi valutazioni in tema di gravità indiziaria con riferimento al reato associativo, espresse dal Tribunale in sede di appello cautelare, non possono ritenersi viziate sul piano logico solo perché è stata esclusa da parte del G.i.p. la partecipazione al sodalizio anche del coindagato, NOME COGNOME, funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE Salerno, che agiva in concorso con gli altri indagati, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La valutazione in ordine all’assenza di consapevolezza da parte del predetto coindagato dell’esistenza di un sodalizio, essendo stato ritenuto in costante collegamento solo con uno degli altri associati, non può essere considerata incongrua sul piano della tenuta logica della ricostruzione della stabilità dei rapporti intrattenuti invece dagli altri coindagati, che concorrendo alla consumazione dei reati costituenti l’oggetto del programma indeterminato dell’associazione, sono stati ritenuti al contrario consapevoli di fornire un proprio apporto continuativo alla realizzazione dei fini dell’associazione stessa.
In tema di associazione per delinquere, la condotta di partecipazione si distingue da quella del concorrente ex art. 110 cod. pen. perché, a differenza di questa, implica l’esistenza del “pactum sceleris”, con riferimento alla consorteria criminale, e della “affectio societatis”, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata.
Conseguentemente, risponde a titolo di partecipazione e non di concorso, colui che presta la sua adesione ed il suo contributo all’attività associativa, perché
animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo e del programma delittuoso in modo stabile e permanente.
Diversamente, sarebbe stato incompatibile con la sussistenza del reato associativo la esclusione di uno dei concorrenti qualora per effetto di tale esclusione fosse venuto meno il numero minimo dei tre associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato.
Ma anche sotto tale profilo, le censure volte ad escludere la partecipazione di COGNOME NOME sono assolutamente generiche, in quanto incentrate unicamente sul dato processuale della mancata contestazione di reati-fine.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto sussistente la pluralità di soggetti mediante l’analisi delle condotte e delle attività svolte, emerse dalle intercettazioni, che implicano il coinvolgimento in modo stabile dei tre indagati, indipendentemente dalla prova della partecipazione ai singoli reati-fine.
È noto che in materia di reati associativi, il ruolo di partecipe rivestito d taluno nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sè solo sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all’organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso, giacchè dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato (Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, COGNOME, Rv. 262305), essendo teoricamente possibile che un partecipe dell’associazione possa non rispondere dei reati-fine in assenza di prova del suo specifico contributo alla loro consumazione.
Peraltro, nel caso di specie si deve rilevare che in mancanza di censure rispetto alla posizione del predetto coindagato e considerato che l’impugnazione del pubblico ministero ha riguardato unicamente il capo riferito al reato associativo, non è possibile in questa sede valutare se possano esservi state delle incongruenze rispetto all’apprezzamento della rilevanza indiziaria degli elementi a suo carico, rispetto alla loro ravvisata conducenza per la prova della partecipazione all’associazione e non anche rispetto al concorso nella consumazione dei reati fine.
La scompaginazione delle imputazioni è la conseguenza dei giudicati cautelari differenti condizionati dai limiti della cognizione derivanti dal principio devolutiv dell’appello del Pubblico Ministero, che ha evidentemente non consentito al Tribunale di rivalutare la gravità indiziaria rispetto ai reati-fine per il quali no è stata impugnazione.
Non si tratta perciò di incongruenze ma di valutazioni parziali, condizionate dai diversi ambiti della cognizione del Giudice dell’appello cautelare delimitati dal cd. devolutum.
Sul piano sistematico l’associazione a delinquere prescinde dalla prova di una consumazione di molteplici reati-fine se le valutazioni probatorie sono rapportate al programma indeterminato di compierle, come ritenuto nella specie.
Si tratta di asimmetrie di per sé non illogiche, che dipendono solo dalla mancata impugnazione da parte del Pubblico Ministero di decisioni assunte rispetto ad altri capi di imputazione e altri coindagati.
Ciò che rileva in questa sede è solo la verifica della tenuta logica delle valutazioni contenute nell’ordinanza impugnata, basate sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali poste a supporto della ravvisata sussistenza di una associazione strutturata e funzionante (definita come “una agenzia immobiliare”) per assegnare alloggi di edilizia pubblica residenziale senza i requisiti richiesti.
Per quanto riguarda tale profilo, le doglianze sono del tutto prive della necessaria specificità, in difetto del compiuto riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato.
Le medesime considerazioni devono ripetersi per le censure in merito all’esigenze cautelari, avendo il Tribunale fornito esauriente giustificazione delle ragioni della decisione, basata sulla permanenza e lunga durata nel tempo delle condotte di reato.
Inoltre, le esigenze cautelari sono anche coperte dal giudicato interno, avendo Tribunale per il riesame già confermato la necessità degli arresti domiciliari per i reati-fine ritenuti sorretti dai gravi indizi a carico del DdGiontp, e non risu che tale decisione sia stata impugnata.
Quindi, la decisione sul separato appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero ha solamente aggiunto un nuovo titolo cautelare rispetto a quelli già confermati in sede di riesame, per i quali è stata applicata ed è tuttora in corso la misura degli arresti domiciliari.
In conclusione, la motivazione del provvedimento impugnato non presenta profili di illogicità o contraddittorietà, ma fornisce una ricostruzione dei fatti coerente sia con le risultanze delle intercettazioni e gli esiti delle attivi indagine per la ricerca dei riscontri, eseguite dalla polizia giudiziaria, e sia con qualificazione giuridica ascritta nell’incolpazione cautelare.
Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso c:onsegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. Esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. Esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 27 febbraio 2024