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Associazione per delinquere: prova e concorso nel reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di arresti domiciliari per associazione per delinquere. La sentenza chiarisce che la prova della partecipazione a un’associazione criminale non richiede necessariamente la prova del concorso dell’associato in tutti i reati-fine. Viene ribadita l’autonomia del reato associativo rispetto ai singoli delitti commessi dal gruppo, sottolineando come la stabilità del patto criminale (pactum sceleris) sia l’elemento centrale per configurare la partecipazione.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per Delinquere: Come si Prova la Partecipazione?

La distinzione tra essere un membro di un’associazione per delinquere e il semplice concorso in un singolo reato è una questione centrale nel diritto penale. Con la recente sentenza n. 14878 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema, offrendo chiarimenti fondamentali sulla prova della partecipazione associativa e sui limiti del sindacato di legittimità. Il caso analizzato riguarda un sistema illecito per l’assegnazione di alloggi popolari, ma i principi espressi dalla Corte hanno una valenza generale e di grande interesse pratico.

I Fatti del Caso: L’Appello contro la Misura Cautelare

Il procedimento nasce da un’indagine su una serie di reati di corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e falso, legati all’assegnazione illecita di alloggi di edilizia popolare a Salerno. Inizialmente, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) aveva disposto gli arresti domiciliari per un indagato, escludendo però la sussistenza di gravi indizi per il reato di associazione per delinquere.

Il Pubblico Ministero, non condividendo questa valutazione, ha proposto appello e il Tribunale del Riesame ha riformato la decisione, riconoscendo la gravità indiziaria anche per il delitto associativo e confermando la misura cautelare per tale titolo. L’indagato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la decisione del Tribunale era illogica, soprattutto perché aveva escluso dal sodalizio criminale il funzionario pubblico ritenuto fulcro del sistema illecito e, al contempo, aveva attribuito un ruolo associativo a un altro coindagato per il quale erano venuti meno i gravi indizi per i reati-fine.

La Prova dell’Associazione per Delinquere secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per genericità, cogliendo l’occasione per ribadire alcuni principi cardine in materia di associazione per delinquere. Il punto centrale della motivazione risiede nella netta distinzione tra la condotta di partecipazione all’associazione e quella di concorso nei singoli reati-fine.

La partecipazione a un’associazione, ai sensi dell’art. 416 c.p., richiede l’esistenza del cosiddetto “pactum sceleris” e dell’“affectio societatis”. Ciò significa che il partecipe deve avere la consapevolezza e la volontà di inserirsi in una struttura stabile e permanente, destinata alla commissione di un numero indeterminato di delitti. Non è un semplice accordo per commettere uno o più reati, ma un vincolo duraturo che lega i membri tra loro.

Per questo motivo, la Corte ha ritenuto non illogica la valutazione del Tribunale. L’esclusione di un soggetto dal vincolo associativo (in questo caso, il funzionario pubblico) non fa venir meno l’esistenza dell’associazione per gli altri, a patto che rimanga il numero minimo di tre persone previsto dalla legge. Quel soggetto potrebbe essere semplicemente un concorrente esterno nei singoli reati, senza aver aderito al patto associativo.

La Distinzione tra Partecipazione Associativa e Concorso nei Reati-Fine

Il passaggio più significativo della sentenza riguarda l’autonomia del reato associativo rispetto ai reati-fine. Citando un proprio precedente (sent. n. 24919/2014), la Corte ha affermato che è “teoricamente possibile che un partecipe dell’associazione possa non rispondere dei reati-fine in assenza di prova del suo specifico contributo alla loro consumazione”.

In altre parole, per provare l’appartenenza a un’associazione per delinquere, non è indispensabile dimostrare che l’imputato abbia materialmente partecipato a ogni singolo delitto commesso dal gruppo. Ciò che conta è la prova del suo inserimento stabile nella struttura, del suo contributo all’esistenza e al rafforzamento del sodalizio e della sua disponibilità a operare per il perseguimento degli scopi comuni.

Le “asimmetrie” e le “incongruenze” lamentate dalla difesa, come la mancata contestazione di reati-fine a un presunto associato, sono state ritenute dalla Corte una conseguenza dell’effetto devolutivo dell’appello. Il Tribunale, infatti, era stato chiamato a decidere solo sul punto dell’associazione, non potendo rivalutare la posizione degli indagati rispetto ad altri reati per i quali non vi era stata impugnazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principalmente perché le censure sollevate miravano a una “rilettura” degli elementi di fatto, attività preclusa in sede di legittimità. Il ricorso è stato giudicato generico e non specifico, in quanto non ha individuato un vizio logico manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, ma ha solo proposto una valutazione alternativa delle prove. Il Tribunale aveva adeguatamente motivato la sussistenza dell’associazione, descritta come una vera e propria “agenzia immobiliare” illegale, basandosi su intercettazioni e altre indagini che dimostravano la stabilità e la funzionalità del gruppo. Anche le esigenze cautelari erano state giustificate in base alla lunga durata delle condotte e alla loro permanenza nel tempo, oltre a essere coperte da un precedente giudicato cautelare formatosi per gli altri reati contestati.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale. L’accusa di associazione per delinquere può reggersi su prove che dimostrino l’esistenza di un patto stabile e di una struttura organizzata, a prescindere dalla capacità dell’accusa di provare il coinvolgimento di ciascun membro in ogni singola attività criminale del gruppo. Per la difesa, ciò significa che contestare un’accusa di questo tipo richiede di attaccare il cuore del reato associativo – la prova del pactum sceleris – piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulla mancanza di prove relative ai reati-fine. Infine, la decisione rammenta l’importanza di formulare ricorsi per cassazione specifici, che evidenzino vizi di legge o palesi illogicità nella motivazione, evitando di trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito.

Si può essere considerati parte di un’associazione per delinquere anche se non si è provato il coinvolgimento nei singoli reati commessi dal gruppo?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la partecipazione a un’associazione per delinquere è un reato autonomo. È possibile essere ritenuti membri dell’associazione anche in assenza di prove di un contributo specifico alla consumazione dei singoli reati-fine, purché sia dimostrata l’adesione stabile e consapevole al patto criminale.

L’esclusione di un indagato dall’accusa di associazione per delinquere invalida l’accusa per gli altri membri?
No, non necessariamente. La Corte ha specificato che l’esclusione di un presunto concorrente non rende incompatibile la sussistenza del reato associativo per gli altri, a condizione che rimanga il numero minimo di tre associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è ‘generico’ e perché viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso è considerato ‘generico’ quando, invece di denunciare vizi di legittimità (come violazioni di legge o motivazioni illogiche), si limita a proporre una diversa interpretazione degli elementi di fatto già valutati dal giudice di merito. Poiché la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove ma solo controllare la corretta applicazione della legge, tali ricorsi vengono dichiarati inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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