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Associazione per delinquere: prova della partecipazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro una misura cautelare per associazione per delinquere e riciclaggio. La Corte ha stabilito che, per dimostrare la partecipazione al sodalizio criminale, non è necessario un ruolo centrale o un coinvolgimento in numerosi episodi. Anche un ruolo marginale, se basato su un elevato grado di fiducia e sull’uso di sistemi di riconoscimento interni al gruppo, costituisce un grave indizio di colpevolezza. La valutazione del pericolo di recidiva, inoltre, deve basarsi sulla personalità dell’indagato e non solo sul tempo trascorso dai fatti.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: la prova della partecipazione anche con un ruolo marginale

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di reati associativi, chiarendo quali elementi siano sufficienti a dimostrare la partecipazione di un soggetto a un’ associazione per delinquere. La decisione sottolinea come anche un ruolo apparentemente marginale e un coinvolgimento limitato a pochi episodi possano costituire gravi indizi di colpevolezza, a condizione che emerga un inserimento stabile e fiduciario nel sodalizio criminale. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

Il caso: una misura cautelare per reati associativi e riciclaggio

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un indagato avverso un’ordinanza del Tribunale della Libertà che confermava nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. Le accuse erano estremamente gravi: partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e due distinti episodi di riciclaggio di denaro proveniente da tale attività illecita.

Secondo l’impostazione accusatoria, l’indagato avrebbe agito come ‘trait d’union’, materialmente consegnando ingenti somme di denaro, provento dello spaccio, agli emissari dell’organizzazione.

I motivi del ricorso: dubbi sul ruolo nell’associazione per delinquere

La difesa dell’indagato ha contestato la decisione del Tribunale della Libertà su tre fronti principali:

1. Sul reato associativo: Si lamentava l’assenza di prove concrete riguardo al ruolo specifico ricoperto dall’indagato all’interno del presunto gruppo criminale. La difesa sosteneva che la partecipazione all’associazione fosse stata desunta in modo automatico dai due soli episodi di riciclaggio contestati, senza un’adeguata dimostrazione del suo inserimento stabile nel sodalizio.
2. Sul riciclaggio: Veniva eccepita la mancanza di motivazione sulla consapevolezza, da parte dell’indagato, dell’origine illecita del denaro che aveva maneggiato.
3. Sulle esigenze cautelari: La difesa evidenziava come fosse trascorso un lungo periodo dai fatti (due anni e mezzo) senza che l’indagato avesse tenuto altre condotte illecite, elemento che, a suo dire, avrebbe dovuto far venir meno la presunzione di pericolosità sociale.

La decisione della Corte di Cassazione e il concetto di associazione per delinquere

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le censure difensive e fornendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione della prova in materia di associazione per delinquere.

La struttura dell’organizzazione e il ruolo dell’indagato

I giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato come il Tribunale del riesame avesse adeguatamente descritto la complessa struttura, operante su tre livelli, dell’organizzazione criminale: un vertice in contatto con i cartelli colombiani, un livello intermedio per la gestione nazionale e una base operativa locale, incaricata di raccogliere il denaro per consegnarlo agli intermediari.

In questo contesto, la Corte ha specificato che anche per svolgere una funzione inferiore come quella attribuita all’indagato (consegna di denaro), erano necessari non solo un elevatissimo grado di fiducia da parte dei vertici, ma anche l’utilizzo di specifici sistemi di riconoscimento. Questi elementi, di per sé, dimostrano l’appartenenza a un gruppo strutturato e la piena consapevolezza di farne parte. Pertanto, la Corte ha concluso che la ricorrenza di due soli episodi non inficia la prova della partecipazione (l’an), essendo una questione che attiene al quantum del contributo, rilevante in altre fasi del procedimento.

La valutazione delle esigenze cautelari

Anche riguardo al terzo motivo, la Corte ha ritenuto infondata la doglianza. Il Tribunale aveva correttamente valutato le caratteristiche personologiche dell’indagato, sottolineando la sua disponibilità ad aggregarsi a compagini criminali complesse e pericolose per ottenere ‘denaro facile’. Questa attitudine, secondo la Corte, dimostra un profondo disprezzo per la legalità e costituisce la premessa per future condotte recidivanti. Il ‘tempo silente’ trascorso dai fatti non è stato ritenuto sufficiente a neutralizzare tale pericolo, poiché la valutazione deve concentrarsi sulla pericolosità intrinseca del soggetto.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su un principio consolidato: il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Il controllo della Corte è limitato alla violazione di legge e alla manifesta illogicità della motivazione, non potendo rimettere in discussione la ricostruzione dei fatti operata dai giudici precedenti. Nel caso di specie, il Tribunale della Libertà aveva fornito una giustificazione logica e coerente sia sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione per delinquere, sia sulla pericolosità sociale dell’indagato. La Corte ha ribadito che la prova dell’appartenenza a un sodalizio non deriva da un ‘automatismo probatorio’, ma da elementi concreti come il rapporto fiduciario e le modalità operative, che nel caso in esame erano state ampiamente illustrate.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un importante principio: per integrare il delitto di associazione per delinquere, non è necessario rivestire un ruolo apicale o essere coinvolti in innumerevoli attività criminali. L’inserimento stabile e consapevole nella struttura organizzativa, dimostrato anche da un rapporto di fiducia con i vertici e dall’adesione alle regole interne del gruppo, è sufficiente a configurare la partecipazione. Inoltre, la valutazione del pericolo di recidiva ai fini delle misure cautelari deve essere ancorata alle caratteristiche personali e alla propensione a delinquere dell’individuo, piuttosto che al mero decorso del tempo.

Per provare la partecipazione a un’associazione per delinquere, è necessario dimostrare un ruolo centrale o un coinvolgimento in numerosi episodi?
No. Secondo la sentenza, anche un ruolo marginale e il coinvolgimento in soli due episodi sono sufficienti a dimostrare la partecipazione al vincolo associativo, a condizione che emergano elementi come un elevato grado di fiducia da parte dell’organizzazione e l’uso di sistemi di riconoscimento interni al gruppo, che provano l’inserimento stabile del soggetto nel sodalizio.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione una nuova valutazione degli indizi in un procedimento cautelare?
No. Il ricorso per cassazione avverso misure cautelari è ammissibile solo se si denuncia la violazione di specifiche norme di legge o una manifesta illogicità della motivazione. Non è possibile chiedere alla Corte di procedere a una diversa valutazione delle circostanze di fatto o degli elementi indiziari già esaminati dal giudice di merito.

Il semplice passare del tempo dalla commissione di un reato è sufficiente a escludere le esigenze cautelari?
No. La sentenza chiarisce che il ‘tempo silente’, ovvero il periodo trascorso senza commettere altri reati, non è di per sé sufficiente a far venir meno il pericolo di recidiva. La valutazione deve essere incentrata sulle caratteristiche personologiche dell’indagato e sulla sua capacità e propensione a commettere nuovamente reati, elementi che possono permanere nonostante il tempo trascorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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