Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31864 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31864 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 26/12/1958
avverso l’ordinanza del 29/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Roma avverso l’ordinanza del 29/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza del 29 gennaio 2025, ha rigettato l’istanza proposta dalla difesa di COGNOME Maurizio avverso l’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma il 19 dicembre 2024, con la quale era stata applicata all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere.
L’indagato risulta sottoposto a procedimento penale per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e di cessione di stupefacenti ex art. 73 d.P.R. 309/90, con l’attribuzione del ruolo di pusher all’interno del sodalizio promosso, costituito, diretto e organizzato da COGNOME NOME e dalla moglie COGNOME NOME.
Secondo l’impostazione accusatoria, l’associazione gestiva una piazza di spaccio nel quartiere INDIRIZZO, INDIRIZZO, attraverso un’organizzazione caratterizzata da specifici ruoli assegnati ai singoli partecipanti. L’indagato avrebbe operato quale pusher e, talvolta, corriere, collaborando stabilmente con COGNOME NOME nella gestione dell’illecita attività di narcotraffico dal 21 gennaio 2021 al 28 marzo 2021, con condotta permanente.
Il Gip aveva ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza fondati sulle conversazioni intercorse tra i sodali e tra questi e gli acquirenti della sostanza stupefacente, oltre che sugli esiti dei servizi di osservazione e delle altre attività svolte dalla Polizia Giudiziaria a riscontro di quanto appreso dai dialoghi intercettati, compresi perquisizioni, sequestri, arresti in flagranza e controlli degli acquirenti dopo gli incontri concordati per le cessioni.
Quanto alle esigenze cautelari, il Gip aveva ravvisato la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 274, lett. c), cod.proc.pen., applicando la doppia presunzione relativa prevista dall’art.275, co. 3, cod.proc.pen. per il delitto di cui all’art. 74 d.P .R. 309/90, in ragione del forte radicamento territoriale del gruppo associato, della capacità dello stesso di movimentare rilevanti quantitativi di stupefacente, dell’organizzazione capillare dell’attività di spaccio con coinvolgimento di una vasta platea di clienti. L’inadeguatezza degli arresti domiciliari era stata motivata dalla circostanza che l’indagato aveva assiduamente collaborato con COGNOME Giovanni, aveva posto in essere numerosi reati-fine ed era gravato da un precedente specifico.
La difesa articolava l’impugnazione su due motivi principali: l’assenza di gravi indizi dell’esistenza di un’associazione riconducibile all’art. 74 DPR 309/90 e il difetto di elementi idonei a supportare la partecipazione dell’indagato al sodalizio con il ruolo di pusher ; l’insussistenza delle esigenze cautelari attuali e concrete.
Sul primo motivo, la difesa rilevava che i gravi indizi della partecipazione al sodalizio erano stati tratti da intercettazioni relative ad un ristrettissimo arco temporale (9 febbraio 2021 – 25 marzo 2021) e che, anche qualora fossero dimostrate le cessioni di stupefacente, rimaneva indimostrato che tali cessioni fossero state effettuate nell’interesse di COGNOME NOME, desumendosi al contrario dal tenore delle intercettazioni che l’indagato aveva agito in proprio, senza avere rapporti con strutture organizzate, effettuando in autonomia un’attività di piccolo spaccio. L’autonomia gestoria dell’indagato sarebbe comprovata dall’assenza di conversazioni con gli altri sodali e di dialoghi dai quali risulti che egli rendeva conto a terzi dell’esito delle cessioni effettuate.
Sul secondo motivo, si eccepiva che l’ordinanza impugnata non dava conto degli elementi in base ai quali erano state ritenute sussistenti e attuali le esigenze cautelari, dovendo il giudice giustificare la continuità del periculum libertatis, indicando gli elementi recenti idonei a dar conto dell’effettività del pericolo.
Il Tribunale del riesame ha respinto integralmente le doglianze difensive.
Nel merito, ha ritenuto che la disamina delle risultanze investigative fornisse plurimi e concordanti elementi indiziari circa l’esistenza di una struttura organizzata promossa e costituita da COGNOME NOME e dalla moglie COGNOME NOME, diretta dal primo, che gestiva l’illecita attività di narcotraffico con il contributo partecipativo stabile degli altri sodali, tra cui l’odierno indagato.
Il Collegio ha ritenuto che i dialoghi intercettati sulle utenze in uso agli indagati restituissero un quadro indiziario univoco e grave circa una frenetica attività di spaccio diretta da COGNOME NOME e da COGNOME NOME, svolta con modalità collaudate, strutturata sullo stabile contributo fornito nell’ambito di specifici ruoli dagli altri componenti del nucleo familiare e da soggetti estranei allo stesso, uno dei quali era proprio COGNOME.
In particolare, l’organizzazione approntata per lo smercio dello stupefacente prevedeva una turnazione tra gli addetti alle vendite, un sistema di vedette per avvertire i pusher dell’eventuale arrivo delle forze dell’ordine, la custodia dello stupefacente nell’abitazione familiare degli COGNOME dotata di telecamere per il controllo esterno, l’utilizzo di utenze dedicate per i contatti con i clienti e di termini in codice per indicare l’interesse ad acquistare lo stupefacente. Quanto alla partecipazione di Lentini, il Tribunale ha rilevato che dalle intercettazioni emergeva che questi collaborava stabilmente con COGNOME NOME nel ruolo di pusher e, talvolta, di corriere. Numerose conversazioni dimostravano il rapporto di stabile collaborazione intercorrente tra l’indagato e COGNOME NOME, smentendo la tesi difensiva dell’autonomia gestoria. In particolare, le cessioni materialmente effettuate da COGNOME erano spesso precedute da contatti tra gli
acquirenti e COGNOME GiovanniCOGNOME che li informava di aver delegato proprio a Lentini la consegna dello stupefacente.
Il Tribunale ha inoltre evidenziato come l’indagato, prima di effettuare le consegne, dovesse ritirare lo stupefacente presso l’abitazione degli COGNOME in INDIRIZZO e come, a fronte di contestazioni dei clienti relative alla quantità e qualità della sostanza, facesse intendere agli stessi che dovevano rivolgersi a COGNOME NOME, dimostrando di operare quale delegato di quest’ultimo.
Significative risultavano anche le conversazioni nelle quali COGNOME Giovanni si allarmava per i controlli effettuati nei confronti di Lentini, al punto da chiedere ai familiari di mettere in sicurezza lo stupefacente detenuto in casa, o quelle in cui richiamava l’indagato ad una maggiore attenzione sulla presenza delle forze dell’ordine nei luoghi di spaccio.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha confermato la sussistenza del pericolo di reiterazione, evidenziando come Lentini svolgesse ‘professionalmente’ l’attività di pusher e avesse tessuto una rete estesa di rapporti in plurimi contesti delinquenziali dediti al narcotraffico. Secondo il Tribunale, il precedente specifico (condanna definitiva del 19 maggio 1993 per reato ex art. 73, co. 4, DPR 309/90), l’arresto del 9 ottobre 2002 per cessione di stupefacenti, e la commissione di ulteriore reato ex art. 73 d.P.R. 309/90 il 24 ottobre 2023 depongono nel senso della ricorrenza di un elevato e concreto pericolo di recidivanza.
Avverso tale pronuncia, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, articolato su un motivo complesso, denunciando l’illogicità della motivazione in relazione alla partecipazione al reato di cui all’art. 74 DPR 309/90 e l’illogicità della provvista indiziaria indicata.
La censura muove dalla considerazione che, nella fattispecie associativa di cui all’art. 74 DPR 309/90, l’accordo associativo deve creare un vincolo permanente e ciascun associato deve essere consapevole di far parte del sodalizio e di fornire un contributo causale alla realizzazione di un duraturo programma criminale.
Si evidenzia come elemento costitutivo del reato sia l’esistenza di un vincolo permanente tra almeno tre persone che si caratterizzi per un minimo di organizzazione, per il suo carattere stabile e dunque non rapportabile esclusivamente alla commissione di singoli reati, e che la prova della consapevolezza del singolo di aderire all’associazione non può che essere data attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione.
La difesa richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la prova del vincolo permanente può essere data anche per mezzo di facta concludentia , quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della
droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive. Osserva, però, che nel caso di specie tali facta concludentia non sarebbero stati accertati.
In tesi difensiva, nell’ordinanza impugnata sarebbero state inserite solo alcune telefonate intercorse tra COGNOME e COGNOME Giovanni che nulla possono provare in ordine al reato in oggetto, trattandosi di incontri telefonici sporadici e diradati nel tempo che non dimostrano contatti assidui e ai quali non si aggiungono elementi di riscontro.
Al più, dalle intercettazioni emerge che COGNOME è un soggetto che attua un suo programma delinquenziale di spaccio e non disdegna di rifornirsi da COGNOME Giovanni. L’ordinanza cautelare non farebbe un buon uso dei principi in tema di prova indiziaria perché assegna un ruolo di pusher e di corriere al COGNOME, in assenza di contatti frequenti tali da dimostrare la quotidianità o anche solo l’assiduità nello svolgimento di un tale ruolo.
Le telefonate elencate sono diradate nel tempo, forse una o due al mese, e dimostrano soltanto che in tali occasioni COGNOME avrebbe acquistato sostanza stupefacente da COGNOME senza che questi gli abbia affidato incarichi precisi o gli abbia chiesto di tenere una contabilità e rendere conto del ricavato delle vendite.
Il limite dell’ordinanza impugnata starebbe nell’aver solo in via congetturale ipotizzato l’esistenza di un vincolo permanente di COGNOME con COGNOME NOME, non avendo considerato neppure che COGNOME non risulta avere contatti espliciti con altri componenti del gruppo. Non sarebbe stata dunque fornita la prova che il ricorrente abbia consapevolmente aderito alla associazione che, in tesi accusatoria, COGNOME avrebbe promosso, diretto e organizzato.
La difesa si duole che l’ordinanza assegni a Lentini ruoli intercambiabili di corriere e di pusher, senza valutare la consapevolezza dell’asserito partecipe di fornire un contributo all’attività associativa. Osserva, in particolare, che COGNOME si limitava a ad acquistare sostanza stupefacente per rifornire i propri clienti e dalle indagini non sono emersi comportamenti significativi di una sua attiva e stabile partecipazione all’ipotizzato sodalizio.
La difesa evidenzia: che i giudici di merito hanno attribuito al COGNOME più pseudonimi (“il medico” e “l’idraulico’) senza spiegare le ragioni di questa conclusione, essendo più plausibile che pseudonimi differenti siano attribuiti a soggetti diversi; che il contenuto delle intercettazioni non è esplicito, le conversazioni sono diradate nel tempo e, in mancanza di contatti con altri sodali, non consentono di ipotizzare la partecipazione di COGNOME al sodalizio. Osserva inoltre, con specifico riferimento alla conversazione del 15 aprile 2021 (richiamata
dai giudici di merito), che è singolare che un corriere non sappia dove recarsi a prendere lo stupefacente e copra il percorso in soli 33 minuti, nulla emergendo dai dialoghi in ordine all’effettivo scopo del viaggio.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va premesso che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884-01; Sez. 6, n. 11194 del 8/03/2012, COGNOME, Rv. 252178-01; Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, COGNOME, Rv. 241997-01).
Allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Con riguardo alla determinazione dei parametri che devono orientare l’interprete nella materia regolata dall’art. 273 cod. proc. pen. ai fini dell’emissione di ordinanze che dispongono misure coercitive, l’orientamento consolidato di questa Corte (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683-01; Sez. 6, n. 7793 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255053-01; Sez. 4, n. 37878 del 6/07/2007, COGNOME, Rv. 237475-01; Sez. 5, n. 36079 del 5/06/2012, COGNOME, Rv. 25351101) ritiene che, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001, sia sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273, comma 1bis , cod. proc. pen. richiama espressamente il terzo ed il quarto comma dell’art. 192, ma non anche il secondo comma (che prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità, degli indizi): ne consegue che, in sede di giudizio de libertate , la
valutazione degli indizi non va operata secondo i parametri richiesti ai fini dell’affermazione di responsabilità all’esito del giudizio di cognizione.
Il diverso regime trova evidente giustificazione nella diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata ad un giudizio prognostico in termini di ragionevole ed alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (in tema di chiamata di correo, Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598-01; Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269683-01).
2. Alla luce dei suddetti principi, il motivo è manifestamente infondato.
Si denuncia l’illogicità della motivazione in relazione alla partecipazione dell’indagato al reato associativo ex art. 74 d.P .R. 309/90 e l’illogicità della provvista indiziaria. La censura si articola in una serie di rilievi critici volti a contestare la ricostruzione operata dal Tribunale del riesame circa l’inserimento dell’indagato nella struttura associativa e il ruolo da questi rivestito all’interno del sodalizio.
La doglianza difensiva si risolve, nella sostanza, in una inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito della vicenda cautelare, preclusa in sede di legittimità. Le censure inerenti alla valutazione degli elementi indiziari e alla presunta mancata considerazione di circostanze a discarico attengono alla ricostruzione dei fatti e si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, ambito sottratto al sindacato di questa Corte.
Il Tribunale del riesame ha fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, sviluppando un ragionamento logico e giuridicamente corretto. Il Collegio ha specificamente analizzato le risultanze delle intercettazioni telefoniche, evidenziando come dalle conversazioni captate emerga un rapporto di stabile collaborazione tra l’indagato e COGNOME NOME, caratterizzato dalla continuità temporale e dalla consapevole partecipazione alle attività del sodalizio.
2.1 Sui profili di integrazione del reato associativo, il Tribunale ha correttamente richiamato i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. In particolare, ha evidenziato che l’elemento aggiuntivo e distintivo del reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e cessione di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione
che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550-01).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il Tribunale non si è limitato a tenere conto di sporadici contatti tra COGNOME e COGNOME Giovanni, ma ha esaminato un articolato quadro probatorio dal quale ha tratto elementi convergenti circa la partecipazione dell’indagato al sodalizio.
È stato specificamente evidenziato come le cessioni materialmente effettuate da COGNOME fossero spesso precedute da contatti tra gli acquirenti e COGNOME NOME, che informava espressamente di aver delegato la consegna dello stupefacente all’indagato. A titolo esemplificativo, il Tribunale ha richiamato la conversazione del 26.2.2021 in cui NOME COGNOME chiede a COGNOME di rifornirlo di cocaina, sollecitandolo ad inviargli l’idraulico e dicendogli di averlo visto passare; subito dopo COGNOME chiama COGNOME e gli dice: «mi ha detto se stai andando? Quanto ci metti? – COGNOME: sto andando? sto a San Giovanni! … sto finendo altre due sai, ma senza che mi fai parlare, Mi aspettasse la, lo chiamo! »(pag. 13 dell’ordinanza).
2.2 Quanto ai rapporti di subordinazione e dipendenza funzionale, il Tribunale ha evidenziato che l’indagato, a fronte di contestazioni dei clienti relative alla quantità e qualità della sostanza da lui materialmente ceduta, faceva intendere agli stessi che dovevano rivolgersi a ‘NOME‘, dimostrando di operare non in autonomia gestoria come sostenuto dalla difesa, ma quale “delegato” di NOME COGNOME (conversazioni del 16.2.2021, richiamate a pag. 14 dell’ordinanza).
2.3 In relazione al coinvolgimento di Lentini nelle attività di trasporto, il Tribunale ha specificamente analizzato il ruolo di corriere dell’indagato, evidenziando episodi significativi in tal senso.
In particolare, con riferimento al trasporto del 15 aprile 2021, ha rilevato che, secondo le emergenze investigative, COGNOME NOME e NOME NOME ricevevano da COGNOME NOME la fornitura di stupefacente che veniva trasportato da Lentini Maurizio a bordo della Mercedes classe A, targata TARGA_VEICOLO, intestata a COGNOME NOME, mentre COGNOME NOME e NOME NOME, per ragioni di prudenza, lo seguivano a bordo dell’autovettura di quest’ultimo (pag. 15 dell’ordinanza).
L’ordinanza impugnata ha richiamato, inoltre, l’analogo episodio del 7 luglio 2021, quando COGNOME Giovanni aveva fornito a Lentini Maurizio le indicazioni stradali per raggiungere il luogo in cui avrebbe dovuto ritirare lo stupefacente, con dettagliate conversazioni (riportate integralmente nell’ordinanza) che dimostrano la pianificazione del trasporto e la conoscenza da parte dell’indagato delle modalità operative del sodalizio (pag. 9 dell’ordinanza).
2.4 Riguardo alla continuità temporale del rapporto, il Tribunale ha evidenziato che, al di là delle contestazioni, la collaborazione tra COGNOME e COGNOME Giovanni
si è protratta nel tempo. Nell’ordinanza impugnata si legge, infatti (e l’atto di ricorso non contesta questo dato), che tale rapporto era già emerso nelle prime conversazioni risalenti al gennaio 2021, ed era ancora in corso il 7 luglio, allorquando il COGNOME su incarico di COGNOME NOME, ritirava da COGNOME NOME lo stupefacente, lo trasportava e consegnava COGNOME Giovanni e a COGNOME NOME presso l’abitazione di INDIRIZZO.
2.5 In ordine alla conoscenza delle modalità operative, il Collegio del riesame ha rilevato come l’indagato fosse ben a conoscenza del modus operandi del gruppo, evidenziando conversazioni significative come quella del 15 marzo 2021, allorquando, in maniera criptica, COGNOME NOME informava COGNOME NOME della presenza delle forze dell’ordine al INDIRIZZO, invitandolo a fare il ‘bravo’, e quella del 31 marzo 2021, quando lo stesso COGNOME rimproverava a COGNOME NOME e COGNOME NOME, intenti a spacciare, di non essersi accorti della presenza delle forze dell’ordine e li invitava ad ‘avvertire gli altri’ (pag.14 dell’ordinanza).
Alla luce delle richiamate argomentazioni, la ricostruzione operata dal Tribunale appare completa, coerente e logicamente fondata.
Il rilievo difensivo circa la presunta mancanza di assiduità dei contatti non coglie nel segno, posto che il Tribunale ha evidenziato non solo la continuità temporale del rapporto di collaborazione, ma anche la natura qualificata degli incarichi affidati all’indagato, che fungeva sia da pusher che da corriere per il trasporto di stupefacente, così dimostrando un inserimento stabile nella struttura organizzativa.
Non è valida l’obiezione sulla incertezza della identificazione ricavata dai vari pseudonimi riferiti all’indagato. Il Tribunale ha dimostrato che l’identificazione del soggetto era supportata da ulteriori elementi concreti e specifici, non limitandosi ai generici pseudonimi impiegati per mascherare l’identità (ad esempio, la sequenza delle telefonate intercettate, riportata a pagina 13, capoverso 7: COGNOME riceve una richiesta di cocaina da consegnare tramite l”idraulico’, quindi chiama immediatamente COGNOME riferendogli la richiesta e sollecitandolo a recarsi dal cliente).
La doglianza circa la presunta inintelligibilità delle conversazioni relative ai trasporti di stupefacente si risolve in una diversa interpretazione delle risultanze probatorie, ambito precluso al sindacato di legittimità. Il Tribunale ha fornito una ricostruzione logica e motivata degli episodi, correlando le conversazioni con gli spostamenti documentati attraverso il positioning delle celle telefoniche e con i controlli effettuati dalla Polizia Giudiziaria.
In proposito è utile ricordare che, come chiarito da questa Corte a Sezioni Unite, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Anche in successivi arresti si è puntualizzato che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558).
Per contro, il ricorso si rivela generico perché non attacca specificamente la puntuale motivazione fornita dal Tribunale.
Per le ragioni esposte, il ricorso risulta manifestamente infondato.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Deve essere disposto, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1ter disp. att. cod.proc.pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 luglio 2025
Il consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME