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Associazione per delinquere: prova da intercettazioni

La Corte di Cassazione conferma la condanna per un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, stabilendo che le intercettazioni telefoniche, se interpretate con rigore, costituiscono prova sufficiente. Viene rigettata la tesi della difesa sulla cosiddetta “droga parlata”. La sentenza chiarisce anche il ruolo del fornitore stabile, considerato partecipe a pieno titolo dell’associazione quando il suo apporto è continuo e consapevole, anche se per un periodo limitato.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: quando bastano le intercettazioni

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto penale: il valore probatorio delle intercettazioni telefoniche per dimostrare l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La pronuncia chiarisce fino a che punto le conversazioni captate possano, da sole, fondare una condanna, anche in assenza di cospicui sequestri di droga, e definisce con precisione il ruolo del fornitore stabile all’interno del sodalizio criminale.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un’indagine che ha portato alla condanna di diversi soggetti per aver costituito e partecipato a un’organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti di vario tipo, tra cui cocaina, eroina e marijuana. La Corte di Appello aveva confermato la struttura accusatoria, riconoscendo la figura di un organizzatore e quella di un fornitore stabile, rideterminando le pene rispettivamente a venti e diciassette anni di reclusione.

Il compendio probatorio si basava principalmente sui risultati di attività di intercettazione, osservazione e pedinamento, oltre che su alcune perquisizioni e prove dichiarative. Gli imputati, tuttavia, hanno proposto ricorso in Cassazione, contestando la valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Le difese hanno articolato diversi motivi di ricorso, incentrati su presunte violazioni di legge e vizi di motivazione. I punti principali sollevati erano:

1. Valutazione delle intercettazioni: Si contestava che le conversazioni, la cosiddetta “droga parlata”, non fossero state supportate da sufficienti riscontri reali, come sequestri di sostanze, e che l’interpretazione data dai giudici fosse errata.
2. Qualificazione dell’associazione: Secondo uno degli imputati, il gruppo non aveva le caratteristiche di una vera e propria associazione criminale strutturata, ma si trattava piuttosto di un gruppo dedito a episodi di piccolo spaccio, che avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie attenuata prevista dalla legge.
3. Ruolo del fornitore: La difesa del fornitore sosteneva che il suo apporto fosse stato meramente occasionale e limitato nel tempo, e non un contributo stabile e consapevole al programma criminoso dell’associazione.
4. Violazione del principio del ne bis in idem: Si lamentava che uno degli episodi di spaccio contestati fosse già stato oggetto di un precedente giudizio definitivo.

Associazione per delinquere e la prova della “droga parlata”

Uno degli aspetti più interessanti della sentenza riguarda la questione della “droga parlata”. La Corte di Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato (ius receptum): l’esistenza di un reato in materia di stupefacenti può essere provata anche solo sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate. Questo è possibile a condizione che il tenore dei dialoghi sia sintomatico dell’organizzazione di un’attività illecita e che il giudice motivi la sua decisione con particolare attenzione e rigore, escludendo ogni ragionevole dubbio su interpretazioni alternative. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente applicato tale principio, valorizzando la chiarezza delle conversazioni e i riscontri ottenuti tramite servizi di osservazione, pedinamento e l’analisi delle celle telefoniche, che confermavano gli incontri per le cessioni.

Il Ruolo del Fornitore Stabile nell’Associazione per delinquere

La Corte ha affrontato anche il tema della partecipazione del fornitore all’associazione per delinquere. È stato chiarito che integra la condotta di partecipazione la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico, tale da determinare un rapporto durevole tra fornitore e spacciatori. Non è necessario che il fornitore condivida lo stesso identico scopo degli altri membri (ad esempio, lo spaccio al minuto), ma è sufficiente che abbia la coscienza e la volontà di far parte dell’associazione, contribuendo al suo mantenimento e alla realizzazione del fine comune, ovvero trarre profitto dal commercio di droga. La cessione di droga a credito, come avvenuto nel caso in esame, è stata considerata un forte indizio della sussistenza dell’ affectio societatis e di un rapporto stabile, non di una mera vendita occasionale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato infondati tutti i ricorsi. L’interpretazione delle conversazioni intercettate, ha ricordato la Corte, è una questione di fatto la cui valutazione spetta esclusivamente al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se non in caso di manifesta illogicità della motivazione, vizio non riscontrato nel caso in esame.

Sulla natura dell’associazione, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito, che avevano escluso la fattispecie di lieve entità sulla base di elementi concreti come l’ampiezza dell’organizzazione (con oltre dieci membri), il livello strutturale (con l’affitto di locali di copertura e di deposito), la varietà delle droghe trattate e la notevole capacità finanziaria dimostrata. Questi elementi delineavano un’operatività incompatibile con la nozione di piccolo spaccio.

Infine, per quanto riguarda la posizione del fornitore, la Corte ha sottolineato che la durata limitata del periodo di osservazione della sua attività (pochi mesi) non è di per sé decisiva, se da essa emerge un contributo stabile e funzionale alla vita dell’associazione. L’ininterrotto rifornimento a credito era la prova di un legame solido e di una piena integrazione nel programma criminale. Le altre censure, relative al trattamento sanzionatorio, sono state ritenute generiche o inammissibili.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida importanti principi in materia di reati associativi legati al traffico di droga. In primo luogo, riafferma la piena validità probatoria delle intercettazioni, anche senza sequestri, a patto che il giudice adotti una motivazione rigorosa e logicamente ineccepibile. In secondo luogo, offre un chiaro criterio per distinguere il fornitore-partecipe dal venditore occasionale: è la stabilità e la funzionalità del rapporto con il sodalizio a determinare l’integrazione nell’associazione, manifestando quella affectio societatis che costituisce il dolo specifico del reato.

Le sole intercettazioni telefoniche possono bastare a provare l’esistenza di un’associazione per delinquere e dei reati di spaccio?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, l’esistenza del reato può essere desunta anche dal solo contenuto delle conversazioni intercettate, qualora il loro tenore sia chiaramente sintomatico dell’organizzazione di un’attività illecita. È tuttavia necessario che il giudice fornisca una motivazione particolarmente rigorosa che dimostri la correttezza di tale interpretazione al di là di ogni ragionevole dubbio.

Come si distingue un fornitore di droga occasionale da un partecipe all’associazione criminale?
Un fornitore è considerato partecipe dell’associazione quando garantisce una costante disponibilità a fornire le sostanze, instaurando un rapporto durevole e stabile con il gruppo. Ciò che rileva è la coscienza e la volontà di contribuire al mantenimento e agli scopi dell’associazione. La fornitura a credito e continuativa, ad esempio, è un forte indicatore di partecipazione e non di un rapporto occasionale.

Cosa si intende per “droga parlata” e quale valore probatorio ha?
Con “droga parlata” si fa riferimento alle conversazioni intercettate in cui si parla di cessioni di stupefacenti, senza che vi sia un sequestro fisico della sostanza. La Corte di Cassazione ha stabilito che queste conversazioni hanno pieno valore probatorio, a condizione che la loro interpretazione sia logica, rigorosa e supportata da altri elementi di contesto che confermino l’effettività dell’attività illecita descritta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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