Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31660 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31660 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a VIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/10/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo
Il Proc. AVV_NOTAIO. conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME, del foro di BOLOGNA, in difesa di COGNOME NOME. Il difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 ottobre 2023 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforme della pronuncia emessa, in esito a giudizio abbreviato, dal locale Tribunale il 9 gennaio 2023, ha ridotto la pena inflitta a COGNOME NOME nella misura di anni cinque, mesi due di reclusione in ordine ai delitti di cui agli artt. 110, 648-bis cod. pen. (capo 1) e 74, comma 2,,D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 2).
1.1. L’imputato è stato, in particolare, ritenuto responsabile di avere effettuato, in concorso con altri imputati – e soprattutto con COGNOME NOME e COGNOME NOME -, su piattaforme allocate sul dark web, ed in particolare sulla piattaforma e-commerce denominata RAGIONE_SOCIALE, su 95osizione di altri soggetti, . transazioni exchange, mediante la gestione, esercitata professionalmente, di wallet on-line nella sua disponibilità, trasferendo e sostituendo i valori (cripto valuta) provento della gestione del predetto e di altri market (Cyberoot) e comunque derivanti dalla vendita di prodotti illegali, altresì effettuando operazioni di exchange di cripto valuta con conversione in moneta avente corso legale (fiat), in modo tale da ostacolare la provenienza delittuosa di ingenti valori, pari ad almeno euro 200.000,00 o 300.000,00.
Il COGNOME è stato, altresì, ritenuto responsabile di avere, provvedendo all’amministrazione (disponendo delle credenziali di admin), successivamente alla gestione del servizio pro vider di 500 server collocati in diversi Paesi europei ed extraeuropei (cloud server Vultr e Digital Ocean), del market denomiNOME Deep-Sea allocato nel dark web, organizzato per la vendita on-line di sostanze stupefacenti, provveduto ad associarsi con altri amministratori e promotori del suddetto market (COGNOME NOME e Gessa Stefano) al fine di consumare, mediante la predisposizione di una piattaforma e-commerce operativa a livello internazionale ed attiva nella vendita di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, marijuana e hashish, un indetermiNOME numero di reati fine di rilievo ai sensi dell’art. 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo cinque motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito inosservanza degli artt. 417, comma 1, lett. b) e 178 lett. c) cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, ritenendo del tutto illegittime e prive di pregio le motivazioni con cui la Corte di appello ha ritenuto di rigettare la proposta sua eccezione di indeterminatezza, per genericità e mancata precisazione dei fatti oggetto di contestazione, del capo 2 di
imputazione, relativamente alla presunta inammissibilità della dedotta questione per essere stato trattato il giudizio di primo grado mediante il ricorso al rito abbreviato.
I riferimenti giurisprudenziali resi dalla Corte di merito si porrebbero, infatti, in aperto contrasto con il regime delle nullità assolute – quale è quella relativa all’assenza di determinatezza dell’imputazione – che prevede l’insanabilità e rilevabilità di esse, anche di ufficio, in ogni stato e grado de giudizio.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea applicazione di legge con riferimento agli artt. 8 e 10 cod. proc. pen., lamentando l’erroneità della decisione con cui la Corte territoriale ha ritenuto l’infondatezza del già eccepito difetto di giurisdizione, per essere competente l’autorità giudiziaria thailandese, atteso che la piattaforma Deep -Sea sarebbe stata creata nel territorio di tale Paese, ove pure si sarebbe svolta la fase costitutiva dell’associazione, nonché la realizzazione delle operazioni necessarie all’avvio dell’attività criminosa.
Risulterebbe, pertanto, erroneo il riferimento effettuato dai giudici di merito al luogo di residenza del COGNOME e del COGNOME, essendosi radicata, quindi, la competenza dei giudici italiani pur in assenza di sicuri indici concreti ed in mancanza di adeguate argomentazioni a supporto. Sarebbe, altresì, erroneo l’effettuato riferimento ai canoni normativi previsti dall’art. 6 cod. pen. laddove, nel caso di specie, sarebbero state corrette norme di riferimento l’art. 7 cod. pen., che tra le ipotesi in cui è possibile derogare al principio di territorialità non · indica anche il reato associativo, e l’art. 8 cod. pen., che àncora, nei reati permanenti, la competenza per territorio al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del crimine.
Con il terzo motivo il COGNOME ha eccepito i vizi di inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, nonché di inosservanza o erronea applicazione di legge con riferimento agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., assumendo che, nella fattispecie, le acquisizioni probatorie presenti in atti non consentirebbero di far ritenere comprovata, oltre ogni ragionevole dubbio, la ricorrenza della sua colpevolezza.
Tale ultima, infatti, risulterebbe, in particolar modo, insussistente per essere stata fondata sulle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME i senza che, invero, sia stato in alcun modo effettuato alcun giudizio in ordine alla sua credibilità e alla sussistenza di una sua effettiva attendibilità intrinseca.
Con la quarta doglianza il COGNOME ha dedotto inosservanza o erronea applicazione dell’art. 74, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990, lamentando che, nel
caso di specie, la condotta a lui riferibile non avrebbe integrato, né sotto il profilo obiettivo né sotto quello soggettivo, gli elementi costitutivi del delitto associativo, non risultando provata né la sua partecipazione al sodalizio, né la sua presenza al momento della relativa effettiva costituzione.
Con l’ultima censura, infine, il ricorrente ha lamentato vizio di motivazione con riferimento all’art. 81 cod. pen., per non avere esplicitato la Corte di appello i motivi giustificativi del disposto aumento di pena per il reato posto in continuazione con quello ritenuto più grave.
Il difensore ha depositato successivi motivi nuovi, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.
In primo luogo non fondata è l’introduttiva censura, con cui il COGNOME ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al disposto rigetto della sua eccezione di indeterminatezza del capo 2 di imputazione, a suo dire ravvisabile nel caso di specie.
In proposito, infatti, assume troncante rilievo il principio, consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, per cui, in tema di nullità del capo di imputazione per genericità ed indeterminatezza dell’accusa, ai fini della completezza dell’imputazione, è sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa, sicché è legittimo il ricorso al rinvio agli atti del fascicolo processuale, purché si tratti di atti intellegibili, equivoci e conoscibili dall’imputato (così, tra le tante, Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ioghè, Rv. 269455-01). Il fatto, quindi, deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d’imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale (cfr. Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, P., Rv. 286023-01).
La contestazione, inoltre, non deve essere riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (così, ex multis, Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Ferrante, Rv. 265825-01).
In ragione dei superiori principi, allora, l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, prevista dall’art. 417 e dall’art. 429 cod. proc. pen., non esige una descrizione fenomenica minuziosa e connotata da ogni dettaglio della condotta oggetto dell’imputazione, ma una esplicitazione ragionevolmente circoscritta e concretamente funzionale a far comprendere all’imputato il rimprovero che gli viene attribuito.
Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, essendo state diffusamente esplicate al COGNOME le ragioni per cui è stato ritenuto responsabile di aver venduto sostanza stupefacente on -line del tipo cocaina, marijuana e hashish attraverso una piattaforma e -commerce operante a livello internazionale.
In ogni modo, per come logicamente e congruamente argomentato dalla Corte di merito, il ricorrente ha avuto, comunque, la possibilità di interloquire ampiamente su tale contestazione in entrambi i gradi del giudizio, esercitando in modo pieno il suo diritto di difesa in ordine a fatti di accusa a lui diffusamente rappresentati.
Risulta corretto, inoltre, anche l’effettuato richiamo in sentenza alla natura ostativa che la scelta del giudizio abbreviato determina rispetto alla formulazione dell’eccezione di indeterminatezza del capo di imputazione, avendo questa Suprema Corte già avuto modo di precisare come la richiesta di giudizio abbreviato determini una cristallizzazione dell’imputazione da cui l’imputato ha scelto di difendersi, per cui ne consegue l’impossibilità per quest’ultimo di eccepirne l’indeterminatezza salvo che dimostri che la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione gli abbia impedito di esercitare la sua difesa (così, Sez.5, n. 33870 del 07/04/2017, Crescenzo, Rv. 270475-01) come, invero, non è dato ravvisare nel caso di specie -.
Allo stesso modo priva di pregio è la doglianza con cui il COGNOME, nel secondo motivo di ricorso, ha reiterato l’eccezione del difetto di giurisdizione, ritenendo la competenza dell’autorità giudiziaria thailandese per essere stata creata la piattaforma Deep -Sea nel territorio di tale Paese, ove pure si sarebbe svolta la fase costitutiva dell’associazione, nonché la realizzazione delle operazioni necessarie all’avvio dell’attività criminosa.
Contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, infatti, risulta giuridicamente corretta, oltre che supportata da adeguato conforto argomentativo, la motivazione con cui i giudici di merito hanno affermato la competenza dell’autorità giudiziaria italiana.
Nella specie trattavasi, infatti, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante solo on -line, su una piattaforma occulta destinata alla realizzazione delle transazioni illecite. In tale contesto
allora, è del tutto preclusa la possibilità di procedere all’esatta individuazione sia del luogo di ubicazione della sede operativa del sodalizio criminoso, che di quello di consumazione dei singoli reati fine.
A fronte di ciò, l’invocato riferimento al principio stabilito dall’art. 8 cod proc. pen., per cui ai fini della determinazione della competenza territoriale di un reato permanente, quale è quello associativo, si dovrebbe guardare al luogo di inizio di consumazione del crimine – con ciò invitandosi a radicare la giurisdizione in Thailandia, ove sarebbe sorta e avrebbe iniziato ad operare l’associazione criminosa -, deve essere ritenuto recessivo rispetto a quello previsto dalla norma dell’art. 6, comma 2, cod. pen., che regola l’ipotesi, conforme al caso di specie, in cui, accertatosi il certo compimento di una parte della condotta all’interno del territorio del nostro Paese, il reato si considera commesso in Italia.
Tale esegesi si conforma, dandone piena applicazione, al principio espresso da questa Corte di legittimità per cui, in piena aderenza alla fattispecie oggetto di esame, in forza dell’art. 6, secondo comma, cod. pen., secondo cui il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, sussiste la giurisdizione dello Stato italiano a conoscere di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, operante sia all’estero sia in Italia (così, espressamente, Sez. 3, n. 27989 del 15/04/2021, NOME COGNOME, Rv. 282327-01).
Parimenti non accoglibili sono le doglianze dedotte con il terzo e il quarto motivo di ricorso, con cui sono state riproposte censure identiche a quelle già eccepite nel giudizio di appello, rispetto alle quali non può che essere ribadito quanto già, più volte, chiarito da questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugNOME ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 24383801).
4.1. In ogni modo, a prescindere dalla decisività della superiore argomentazione, il Collegio rileva come, nel lamentare la mancata ricorrenza della sua responsabilità penale, il COGNOME abbia inteso, nella sostanza, ottenere una non consentita rivalutazione in fatto del compendio probatorio in atti, con
prospettazione, quindi, di questioni non passibili di valutazione nella presente sede.
In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello stabilire se questi ultimi abbiano esamiNOME tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i moltepli arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
4.2. Ebbene, nel caso di specie può senz’altro ritenersi che la Corte territoriale abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, esplicando le ragioni per cui, all’esito di una congrua e analitica motivazione, ha ritenuto comprovata, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza della colpevolezza del COGNOME in ordine al delitto di cui all’art. 74, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990, altresì rappresentando i motivi di credibilità delle propalazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
I rilievi critici espressi dall’imputato, infatti, sono stati ritenuti convincenti dalla Corte di appello che, in modo opposto, ha adeguatamente e logicamente valorizzato i plurimi elementi di significativa rilevanza e attendibilità, sia intrinseca che estrinseca, ravvisabili nelle dichiarazioni rese dal COGNOME, sin da
subito rivelatosi particolarmente attento e dettagliato nel descrivere le condotte partecipative dei suoi complici, e del COGNOME in particolare – definito come suo amico e socio cui aveva ceduto l’attività di exchanger, dopo averlo affiancato ed avergli insegNOME il “mestiere” -.
A fronte della chiarezza argomentativa espressa, le contrarie doglianze eccepite dal COGNOME sono state ritenute del tutto generiche e assertive dai giudici di appello, nonché, comunque, in contrasto con plurime risultanze attestanti la veridicità dei racconti resi dal COGNOME, costantemente puntuale nell’indicare circostanze spazio-temporali particolarmente precise.
In maniera inequivoca, pertanto, è stata accertata l’avvenuta partecipazione del COGNOME al sodalizio criminoso, individuandone, in modo chiaro, il ruolo ricoperto per alcuni mesi, precisando come, seppur estraneo alla fase costitutiva della piattaforma ed in un ruolo subalterno rispetto a quello del COGNOME, fosse stato certamente adibito alla gestione dei rapporti con i provider dei servizi che fornivano i server su cui operava il market denomiNOME Deep -Sea, nella comprovata – e logicamente desumibile – piena consapevolezza della natura illecita delle numerosissime transazioni ivi effettuate, riguardanti il commercio di sostanze stupefacenti.
In ragione della rappresentata motivazione, allora, non appare esservi dubbio di sorta in ordine al fatto che le censure mosse dall’imputato si appalesino, nella sostanza, come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicità della motivazione resa, appare del tutto infondato.
Da ultimo priva di pregio è anche la conclusiva censura, con cui l’imputato ha lamentato vizio di mOtivazione per non essere state esplicate in sentenza le ragioni del disposto aumento della pena per la ritenuta continuazione tra i reati.
Deve essere osservato, infatti, come, in tema di continuazione, trova applicazione il principio, reiteratamente affermato da parte di questa Suprema Corte, per cui l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (cfr. in questi termini: Sez. 1, n. 12936 del 03/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275222-01; Sez. 6, n. 49969 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254006-01; Sez. 4, n. 25094 del 13/06/2007, COGNOME, Rv. 237014-01).
Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale ha esplicato, con motivazione logica e congrua, le specifiche ragioni per cui ha ritenuto di ravvisare la ricorrenza di un’identità del disegno criminoso tra le condotte
criminose perpetrate dal prevenuto, in quanto commesse in un univoco contesto spazio temporale.
La doglianza del ricorrente è, pertanto, solo finalizzata ad ottenere una rivalutazione del materiale probatorio in atti, il che, a fronte della coerenza ed alla logicità della motivazione espressa, fa ritenere la stessa infondata.
Ne deriva, in conclusione, la pronuncia del rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2024
Il Consigliere estensore