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Associazione per delinquere: legami familiari e custodia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo accusato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, gestita dai suoi suoceri. La Corte ha stabilito che i legami familiari, anziché attenuare, rafforzano il vincolo criminale. Ha inoltre confermato la legittimità della custodia cautelare in carcere, ritenendo non sufficiente un periodo di inattività dell’indagato per superare la presunzione di pericolosità sociale legata a questo tipo di reato.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per Delinquere Familiare: La Cassazione sulla Custodia Cautelare

Quando un’associazione per delinquere opera all’interno di una famiglia, i legami di parentela possono rafforzare o attenuare la gravità del vincolo criminale? Con la sentenza n. 7013 del 2024, la Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su questo punto, confermando la custodia cautelare in carcere per un individuo partecipe di un sodalizio criminoso a conduzione familiare dedito al narcotraffico. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere perché ritenuto partecipe di un’associazione criminale finalizzata al traffico di cocaina e marijuana. L’organizzazione era capeggiata dal suocero e dalla suocera dell’indagato, il quale svolgeva ruoli operativi cruciali, come trasporto, spaccio e attività di vedetta.

L’indagato presentava ricorso in Cassazione, basandosi su tre motivi principali:
1. Insufficienza degli indizi: Sosteneva che il suo coinvolgimento fosse stato solo sporadico e non tale da configurare una partecipazione stabile al sodalizio.
2. Mancanza di esigenze cautelari: Evidenziava il tempo trascorso dagli ultimi fatti contestati (un “tempo silente”) e la sua condizione di incensurato, ritenendo sproporzionata la misura carceraria.
3. Disparità di trattamento: Lamentava che alla moglie, co-indagata per gli stessi reati, fossero stati concessi gli arresti domiciliari.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. La Corte ha confermato la validità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, fornendo una motivazione dettagliata su ciascuno dei punti sollevati dalla difesa.

Le Motivazioni: Analisi dell’Associazione per Delinquere e dei Legami Familiari

La Corte ha smontato le argomentazioni difensive con un’analisi rigorosa. Per quanto riguarda la partecipazione all’associazione per delinquere, i giudici hanno sottolineato che il numero elevato di episodi di spaccio (ben trentanove) e la loro frequenza dimostravano un ruolo operativo stabile e non un “reclutamento estemporaneo”.

Il punto più significativo della sentenza riguarda la natura familiare del sodalizio. Contrariamente a quanto auspicato dalla difesa, la Corte ha affermato che i rapporti di parentela, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso. La fiducia e la coesione tipiche dei legami familiari creano una struttura criminale più solida e difficilmente penetrabile.

In merito alle esigenze cautelari, la Corte ha ricordato che per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/1990) opera una presunzione legale: si presume cioè che la custodia in carcere sia l’unica misura adeguata a prevenire la reiterazione del reato. Il “tempo silente” non è stato ritenuto sufficiente a vincere questa presunzione, dato che l’associazione era ancora operativa e l’indagato, pur incensurato, aveva dimostrato una notevole “proclività a delinquere”.

Infine, è stata respinta la censura sulla disparità di trattamento. La Corte ha chiarito che la concessione degli arresti domiciliari alla moglie non era dovuta a una minore gravità dei fatti, ma all’applicazione di una norma specifica (art. 275, comma 4, c.p.p.) che tutela le madri di prole di età inferiore a sei anni. Non si trattava quindi di un’ingiustificata disparità, ma di una corretta applicazione della legge.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di misure cautelari e associazione per delinquere:
1. I legami familiari non sono un’attenuante: In un contesto criminale, i rapporti di parentela possono essere considerati un fattore che aggrava la pericolosità del gruppo, aumentandone la coesione e l’affidabilità interna.
2. La presunzione di adeguatezza del carcere è robusta: Per i reati associativi di narcotraffico, superare la presunzione che il carcere sia l’unica misura idonea richiede prove concrete e forti che dimostrino l’assenza di pericolosità, non essendo sufficiente un periodo di apparente inattività.
3. Le differenze di trattamento devono essere motivate dalla legge: Misure cautelari diverse per co-indagati sono legittime solo se basate su specifiche e oggettive previsioni normative, come quelle a tutela della maternità.

I legami familiari possono attenuare la gravità di un’associazione per delinquere?
No, al contrario. Secondo la Corte di Cassazione, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo criminale, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso e coeso, anziché attenuarlo.

Un lungo periodo senza commettere reati è sufficiente per ottenere una misura cautelare meno grave del carcere?
Non necessariamente. Per reati come l’associazione finalizzata al narcotraffico, esiste una presunzione di pericolosità. Un periodo di “tempo silente” non basta a superarla se l’associazione è ancora attiva e se la personalità dell’indagato dimostra una forte inclinazione al crimine.

Se due persone accusate dello stesso reato ricevono misure cautelari diverse (carcere e domiciliari), è una violazione del principio di uguaglianza?
No, se la differenza si basa su specifiche disposizioni di legge. Nel caso esaminato, la moglie dell’indagato ha ottenuto gli arresti domiciliari perché madre di un figlio con meno di sei anni, una condizione tutelata dalla legge che giustifica un trattamento diverso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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