Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29479 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29479 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME UgoCOGNOME nato a Oria il 15/04/1952 NOMECOGNOME nato in Albania il 20/02/1968 COGNOME NOME nato, a Brindisi il 18/07/1990 COGNOME NOME nato a Francavilla Fontana il 20/06/1988 NOME COGNOME nato in Albania il 28/09/1997 COGNOME NOME nato a Francavilla Fontana il 31/03/1979 COGNOME NOME nata a Taranto il 23/07/1970 COGNOME NOMECOGNOME nato a Manduria il 23/11/1975 COGNOME NOME nato a Taranto il 12/12/1978
avverso la sentenza del 02/07/2024 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME nonché per la inammissibilità dei ricorsi
presentati nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME Walter, NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Brindisi, per delega dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME il quale espone í motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Roma, in difesa di NOME COGNOME la quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME, del foro di Roma, in difesa di NOME COGNOME il quale illustra i motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Brindisi, in difesa di NOME COGNOME il quale espone i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Roma, in difesa di NOME COGNOME il quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Taranto, in difesa di NOME COGNOME, il quale illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Santa Maria Capua Vetere, in difesa di NOME COGNOME il quale espone i motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 luglio 2024 la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa in data 18 gennaio 2023, in esito al giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, ha così statuito:
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 37, 46, 47, 48, 52, 54, e 58, ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen., ritenuta la continuazione tra i reati, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva ed alle altre aggravanti, e subvalenti rispetto all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è stato condannato alla pena finale di anni 16 di reclusione;
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui al capo 26, e ritenutane la continuazione, esclusa la recidiva, è stato condannato alla pena finale di anni 4 e mesi 2 di reclusione ed C 18.000 di multa;
NOME COGNOME è stata ritenuta responsabile dei reati di cui ai capi 1, 2, 4, 7, 10, 13, 14, 29, 35, 37, 58, ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen., concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione tra i reati, è stata condannata alla pena finale di anni 10 e mesi 8 di reclusione;
COGNOME NOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 8 e 9 e, ritenuto il vincolo della continuazione, esclusa la recidiva, è stato condannato alla pena finale di anni 4 di reclusione ed C 18.000 di multa;
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 1 e 2, tra loro in continuazione e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen., concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva ed alle ulteriori aggravanti, è stato condannato alla pena finale di anni 14 di reclusione;
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 30, 31, 32, 33 e 54, tra loro in continuazione e, riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è stato condannato alla pena finale di anni 4 di reclusione ed C 12.000,00 di multa;
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati contestati al capo 34 e, ritenutane la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche, esclusa la recidiva, è stato condannato alla pena finale di anni 4 di reclusione ed C 18.000 di multa;
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 35 e 49, e previo riconoscimento della continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche, è stato condannato alla pena finale di anni 3 di reclusione ed C 14.000 di multa;
9) NOME è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 1 e 11 e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 -bis cod. pen., riconosciute le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati, nonché con quelli di cui alla sentenza di condanna emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ancona (irrevocabile il 7 maggio 2021), è stato condannato alla pena finale di anni 8 di reclusione.
1.1. Più in particolare, i giudici di merito hanno ritenuto provata l’esistenza e l’operatività di una associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed eroina (capo 1), promossa ed organizzata da NOME COGNOME (che dopo la sentenza di primo grado ha intrapreso un percorso collaborativo), dalla compagna NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
Associazione operante nel periodo compreso tra luglio 2018 e luglio 2019.
L’esistenza e l’operatività del sodalizio sono state desunte essenzialmente dall’analisi di una serie di conversazioni intercettate, ritenute utili sia a fornire prova della consumazione dei c.d. reati – fine (capi da 2 ad 48, la cui prova è stata tratta anche dai servizi di osservazione e da alcuni sequestri), sia dell’esistenza di una struttura organizzativa funzionale al perseguimento di un programma delittuoso aperto, consistente nella commissione di reati in materia di stupefacenti.
La coppia COGNOME – COGNOME, con base operativa nella provincia di Brindisi, si riforniva stabilmente all’ingrosso di ingenti partite di stupefacente da due distinti canali, rappresentati dagli albanesi NOME COGNOME e NOME COGNOME ciascuno dei quali a capo di sottogruppi in grado di finanziare gli acquisti ed importare in Italia lo stupefacente da paesi esteri come l’Olanda, l’Albania e la Turchia, nonché di organizzare le spedizioni in Puglia, avvalendosi di corrieri come NOME COGNOME, e di mezzi di trasporto dedicati (rispettivamente, gli autobus della compagnia RAGIONE_SOCIALE ed alcuni camion appositamente modificati per il trasporto dello stupefacente).
Importato in Italia, lo stupefacente venivano lavorato presso l’abitazione della coppia COGNOME – COGNOME, e poi immesso nel mercato pugliese (particolarmente le provincie di Brindisi e Taranto) ed in quello calabrese.
I lucrosi proventi di tali traffici venivano poi reimpiegati in attività speculative e segnatamente nel gioco d’azzardo (da cui la contestazione di autoriciclaggio: capo 58).
Come emerso nel corso delle investigazioni, e confermato dalle dichiarazioni rese dal COGNOME ex art. 603 cod. proc. pen. (dopo l’avvio della sua collaborazione), i rapporti con i canali di fornitura venivano tenuti attraverso sofisticati sistemi di comunicazione (Sky, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), oltre che con schede “dedicate” (pp. 1 e 53 sentenza del Tribunale); particolari accortezze veniva0sate anche nelle fasi successive alla consegna da parte dei fornitori albanesi, in quanto la coppia utilizzava
un disturbatore di frequenze (c.d. jammer) per ostacolare le attività tecniche, ed aveva installato un sistema di videosorveglianza nei pressi della propria abitazione.
I pagamenti erano anticipati, e le consegne avevano frequenza settimanale, con analoghe modalità.
La posizione di rilievo raggiunta dalla coppia nel mercato degli stupefacenti aveva quindi attratto l’attenzione della criminalità organizzata, che avanzò pretese estorsive in danno del COGNOME (capo 49, di cui è stato ritenuto responsabile NOME COGNOME il quale, a sua volta, per sottrarsene, chiese aiuto al gruppo facente capo a NOME COGNOME che intervenne compiendo una serie di azioni intimidatorie (capi 51 e ss.), anche con l’uso di armi da fuoco.
In favore del COGNOME – condannato anche per la dete l iione di armi da guerra (capo 54) – sono state altresì documentate ripetute cessioni, da parte del COGNOME, di cospicue partite di stupefacente (capi 30, 31, 32, 33).
Analoghe cessioni avvennero, per quanto di interesse, in favore di NOME COGNOME (capo 26), di NOME COGNOME (capi 8 e 9), di NOME COGNOME (capo 34) e di NOME COGNOME (capo 35).
Dai dialoghi captati, e dagli elementi di conferma (tra cui i servizi di osservazione e gli intenti sequestri) è stato innanzitutto possibile delineare la distribuzione dei ruoli di ciascun associato (pp. 53 e ss. sentenza di primo grado).
La posizione apicale, quali promotori ed organizzatori, è stata riconosciuta al COGNOME ed alla Di COGNOME, stabilmente coinvolti nelle operazioni di pesatura e confezionamento, oltre che di fornitura ai clienti pugliesi e calabresi.
La Di Summa, inoltre, ha ripetutamente finanziato gli acquisti di stupefacente.
Il ruolo di promotore ed organizzatore è stato riconosciuto anche ad NOME COGNOME soggetto in grado di reperire all’estero i canali di fornitura e di organizzare il trasporto verso l’Italia, già risultato in contatto con la coppia COGNOME nell’ambito di altro procedimento penale.
In quel procedimento il COGNOME fu raggiunto dalle dichiarazioni del connazionale NOME COGNOMErelative al suo inserimento nel traffico di cocaina), e furono documentati i contatti con il Chionna e la Di Summa (p. 70 sentenza di primo grado); si accertava altresì la stabile destinazione al trasporto della droga degli autobus della società RAGIONE_SOCIALE, secondo modalità analoghe a quelle documentate nel presente giudizio.
Venivano altresì valorizzati una serie di dialoghi in cui NOME, identificato nel COGNOME, era indicato come in costante contatto – attraverso un canale comunicativo sicuro – con il Chionna, deputato all’invio della cocaina per il tramite degli autobus di cui poteva disporre.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione: la Corte di appello non ha in alcun modo motivato la richiesta, contenuta nell’atto di appello, di procedere ad un diverso e più favorevole bilanciamento delle circostanze, una volta maturata la scelta collaborativa del ricorrente.
In ogni caso tale scelta avrebbe potuto essere valutata, si osserva, ai fini di cui all’art. 133 cod. pen.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
3.1. Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza di primo grado per non avere il Tribunale valutato la memoria difensiva depositata il 20 dicembre 2022.
3.2. Con il secondo motivo lamenta vizio della motivazione con riguardo alla affermazione della responsabilità penale: dall’analisi delle conversazioni intercettate, infatti, non può trarsi la prova certa della consegna dello stupefacente, anche per la assenza, nel periodo successivo al 22 gennaio 2019, di ulteriori servizi di osservazione.
Responsabilità che non può essere affermata neppure sulla scorta delle generiche dichiarazioni rese dal COGNOME.
3.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309: la Corte di appello ha motivato il diniego solo in relazione al dato ponderale, mancando quella valutazione complessiva degli indicatori rilevanti, che è richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.
D’altra parte, il fatto di lieve entità non è escluso dall’esistenza di un’attività organizzata e ripetuta nel tempo, né dal fatto che per il medesimo reato il coimputato COGNOME è stato condannato in relazione alla fattispecie di cui al comma 1.
3.4. Con il quarto ed ultimo motivo / deduce vizio della motivazione con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, poiché sorretta dal solo riferimento alla biografia penale e senza alcuna considerazione della scelta di procedere con le forme del rito abbreviato nonché della condizione di assuntore di sostanze stupefacenti.
Propone ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore, anche NOME COGNOME lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
4.1. Con il primo complesso motivo lamenta violazione della legge penale sostanziale, in relazione a ciascuno dei reati per cui è intervenuta condanna.
Quanto al reato associativo (pp. 1 – 9), osserva che la sentenza impugnata non valuta adeguatamente la circostanza per cui il COGNOME e la COGNOME, conviventi legati da relazione sentimentale, si rivolsero a due distinti canali di approvvigionamento, facenti capo a COGNOME e COGNOME, senza che ciò possa rilevare in chiave associativa.
Dall’analisi delle conversazioni intercettate, tra cui quelle indicate dalla difesa, non emerge certo il ruolo di finanziatrice della COGNOME, che nulla sapeva degli accantonamenti del Chionna, avendo al più fatto un prestito di cui pretendeva anche la restituzione.
Tali considerazioni avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a ritenere provate delle condotte estemporanee ed isolate, in nulla indicative della cosiddetta a ffectio societatis.
Più in particolare, gli indici valutati dalla Corte territoriale per dimostrare l’esistenza di una struttura organizzativa, nulla dicono in ordine alla consapevolezza di ciascun affiliato di operare nell’ambito della associazione e di contribuire all’attuazione di un programma delittuoso a carattere aperto.
La ricorrente osserva, infine, come un analogo deficit motivazionale riguardi la prova dell’a ffectio societatis, e dunque del superamento di un accordo che non sia limitato alla sola consumazione dei singoli reati – scopo.
Né la Corte territoriale ha valutato l’ipotesi che, escluso il ruolo apicale, la COGNOME potesse essere considerata quale mero partecipe: si consideri, ad esempio, che dopo l’arresto suo e del COGNOME nessun altro sodale si è interessato alla loro sorte, ed anzi la COGNOME aveva esortato il compagno a cambiare vita.
La Corte, inoltre, si è limitata ad elencare gli elementi ritenuti sintomatici dell’esistenza della associazione senza verificarne in concreto l’effettiva capacità dimostrativa; verifica ancor più necessaria ove si consideri che quegli elementi ben possono caratterizzare il semplice concorso di persone nelle singole condotte di cui all’art. 73 yd.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La Corte avrebbe dovuto spiegare perché la (mera) presenza della Di COGNOME nella abitazione non potesse essere valutata alla stregua di una ipotesi di connivenza non punibile.
Passando ai singoli reati scopo, quanto a quello contestato al capo 2, l’analisi dei dialoghi restituisce, si osserva, una condotta meramente passiva della Di COGNOME, che neppure conduceva il veicolo utilizzato dal Chionna, fungendo da semplice trasportata.
Quanto al reato di cui al capo 4, la Corte territoriale ha valorizzato un s dialogo, da cui si evince semplicemente che la ricorrente chiedeva indicazioni su u pagamento, senza in alcun modo concorrere nell’attività di spaccio.
Quanto al reato di cui al capo 7, il concorso della ricorrente è stato fond soltanto sul fatto di aver partecipato ad un dialogo in cui si limitava a raccoglier sfogo del compagno.
Quanto al reato di cui al capo 10, le ambientali intercettate non documentano alcun coinvolgimento della ricorrente, né nella detenzione, né nella gestio successiva alla perdita del carico conseguente all’arresto del Chionna.
Quanto ai reati di cui ai capi 13 e 14, il concorso della Di COGNOME è stat erroneamente fondato sulla sola circostanza che la ricorrente accompagnò il Chionna nella trasferta calabrese / in vista dell’incontro con i COGNOME; del resto, l’estraneità del donna è dimostrata dal fatto che nel successivo incontro, avvenuto presso l’abitazion del Chionna, le lamentele dei COGNOME erano rivolte solo nei confronti di quest’ultimo
Quanto al reato di cui al capo 29, anche in questo caso la Corte territoriale n si è avveduta del fatto che la COGNOME non assunse alcun ruolo attivo, non presenziò a tutti gli incontri, e si limitò ad accompagnare il Chionna (solo) in alcune circosta
Quanto al reato di cui al capo 37, i giudici territoriali si sono limitati a va la sola presenza della COGNOME in alcuni degli incontri funzionali alla cession ricavando la prova del concorso nel singolo reato – fine dal ruolo di finanziatrice gruppo.
Infine, con riferimento al reato di autoriciclaggio di cui al capo 58, la ricorr richiama, innanzitutto, il decisum di Sez. 2 n. 9751 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276499 – 01, per sostenere che il reinvestimento nel gioco d’azzardo e nelle scommesse dei proventi illeciti, non è assimilabile alle “attività speculativ cui al comma 1 dell’art. 648-ter cod. pen.
Trattandosi poi di condotta volta a destinare il denaro al mero godimento personale, avrebbe dovuto trovare applicazione la causa di non punibilità di cui comma 5 dello stesso articolo.
Rileva inoltre la ricorrente che se da un lato il COGNOME, per sua ste ammissione, era ludopatico (circostanza da cui la Corte avrebbe dovuto trarre la conseguenza di escludere il dolo in capo alla Di COGNOME), dall’altro gli importi indica nella imputazione rappresentano solo il valore delle vincite, non dei singoli impor giocati, che potrebbero essere stati sensibilmente più bassi.
4.2. Con il secondo motivo si lamenta violazioni di legge ed omessa motivazione quanto alla confisca dei veicoli, dei preziosi e della somma di euro 2.000, trattand di beni il cui valore è compatibile con i redditi percepiti dalla ricorrente a parti 2019, o comunque di provenienza della famiglia di origine o del figlio, e quindi leci (pp. 13 e 14 ricorso).
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
5.1. Con un unico motivo deduce vizio della motivazione, poiché mancante o manifestamente illogica, quanto alla mancata derubricazione delle condotte di cui ai capi 8 e 9 nella ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
6.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione, con riguardo al reato di cui al capo 1 (pp. 1 – 23).
Si osserva, innanzitutto, che nessun vaglio sulla attendibilità delle dichiarazioni rese dal COGNOME è stato effettuato dalla Corte di appello, che anzi non ha riconosciuto allo stesso la diminuente di cui al comma 7 dell’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
D’altra parte, è piuttosto evidente come, con quelle dichiarazioni / il COGNOME si sia limitato a confermare quanto già emergeva dagli elementi di prova in atti, essendo volte unicamente “ad alleggerire la posizione” della Di Summa (p. 6 ricorso).
Prova ne è il non aver saputo riferire alcunché quanto alla posizione dell’altro fornitore albanese, COGNOME
Quanto, invece, alla stessa struttura del preteso sodalizio, mentre il Tribunale ha ritenuto che il Licaj ed il Metaj fossero espressione di gruppo organizzato operante in Albania, la Corte di appello ha individuato due distinti canali di approvvigionamento, ciascuno con una propria autonoma organizzazione, senza però individuarne i tratti descrittivi.
Un ulteriore conseguenza avrebbe dovuto essere quella di non poter trarre la prova dell’esistenza del sodalizio di cui al capo 1 dai fatti relativi alle importazioni riferibili al solo Metaj.
Deduce poi il ricorrente che la Corte territoriale non ha in alcun modo tenuto in considerazione i principi giurisprudenziali in forza dei quali il fornitore può essere considerato parte della associazione soltanto ove risulti dimostrato un contributo continuativo e rilevante per il raggiungimento degli scopi del sodalizio con il necessario coefficiente psicologico.
D’altra parte, il processo ha restituito la prova dei ripetuti viaggi del Chionna in Albania a dimostrazione del fatto che costui poteva contare su diversi canali di fornitura.
Più in generale, la motivazione è carente anche in relazione alla stessa esistenza degli elementi identificativi dell’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309, ovvero la stabilità dell’accordot disponibilità di mezzi e risorse perseguimento di un fine illecito comune, secondo un programma aperto.
6.2. Con il secondo motivo lamenta violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione, con riguardo al reato di cui al capo 2 (pp. 23 – 26).
Il ricorrente evidenzia che rispetto alle prove valutate dal Tribunale, insuffici per sostenere l’addebito, nessun elemento ulteriore è rinvenibile nelle dichiarazio rese dal Chionna nel corso del giudizio di appello.
Ciò posto, si sottolinea che l’estraneità di coloro i quali sono stati individuat Tribunale come gli autisti della Ruci Tours, a bordo dei cui mezzi sarebbe stato spedito lo stupefacente destinato alla coppia Chionna – Di Summa, è emersa già in sede cautelare.
Un simile vuoto dimostrativo non può essere colmato, come invece ha ritenuto di fare la Corte territoriale, attraverso il riferimento alle dichiarazioni di NOME o ad ulteriori vicende o conversazioni che si collocano in diverso segmento temporale.
6.3. Con il terzo motivo lamenta violazione della legge penale sostanziale e vizi della motivazione, con riguardo al riconoscimento del ruolo apicale di cui all’art. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Si deduce al riguardo l’insufficienza della motivazione, che non è riuscita tratteggiare i caratteri della posizione apicale.
Posizione che inevitabilmente risente dell’assoluzione dagli ulteriori capi imputazione (capi 5, 6,7, 11 e 12), a riprova della non centralità della sua figura traffico di stupefacenti.
D’altra parte, quando si recò in Albania, il COGNOME non intrattenne rapporti co il COGNOME, segno che poteva contare su altri canali di fornitura.
Né i giudici di merito hanno sostenuto la decisione attraverso il riferimento a indicatori dell’avvenuto esercizio, in concreto, di un potere direttivo all’intern sodalizio, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.
6.4. Con il quarto motivo deduce violazione della penale sostanziale e vizio della motivazione, con riguardo al giudizio di bilanciamento tra le circostanze.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha disatteso la richiesta riconoscere la prevalenza delle attenuanti, valorizzando solo i precedenti penali d ricorrente, senza invece considerare le precarie condizioni di salute e soprattutto condotta processuale, consentendo la definizione del processo pur a fronte di alcune difficoltà nel procedimento notificatorio.
È stata inoltre depositata una memoria, a firma dell’avv. COGNOME in cui sviluppa, con ampi riferimenti giurisprudenziali, il motivo riguardante il ruolo apica attribuito al ricorrente.
Propone ricorso per cassazione anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
7.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale, in relazione al riconoscimento della recidiva.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale, scrutinando il motivo di appello, si è limitata a richiamare i precedenti penali, ritenendoli, senza alcuna reale motivazione, indicativi di una maggiore pericolosità sociale, solo affermata.
Così facendo i giudici territoriali non hanno rispettato il consolidato principio, costantemente affermato da questa Corte anche nella sua massima composizione, secondorTa- ricaduta nel reato che consente di riconoscere la recidiva richiede “specifica ed adeguata motivazione” circa la sua attitudine ad esprimere una maggiore pericolosità sociale.
Motivazione che avrebbe dovuto tenere in debita considerazione anche l’atteggiamento collaborativo assunto dal ricorrente (che ha trovato riscontro nel riconoscimento della attenuante speciale di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).
7.2. Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale, in relazione all’art. 133 cod. pen.
Lamenta il ricorrente che lo scostamento dal minimo edittale, in relazione alla pena base del reato di cui al capo 32, ritenuto il più grave, non è sostenuto da alcuno sforzo motivazionale, al punto da rendere inaccessibile il criterio seguito dai giudici di merito.
7.3. Con il terzo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale, in relazione all’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
4 ír , 1 ‘: ( 1 ti Lamenta il ricorrente che, sebbene il suo contributo ic~b di sequestrare 20 ——- kg di eroina, immotivatamente la Corte territoriale ha applicato l’attenuante nella misura minima della metà.
7.4. Con il quarto ed ultimo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale, in relazione all’art. 81 cod. pen.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha determinato l’aumento ex art. 81 cod. pen. nella misura minima di un terzo per la sola pena pecuniaria, non anche per la detentiva, senza inoltre motivare né la determinazione dell’aumento complessivo, né quella relativa ai singoli reati – satellite.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
8.1. Con il primo motivo deduce vizio della motivazione, poiché mancante o manifestamente illogica, quanto al mancato riconoscimento della ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relazione alle condotte di cui al capo 34.
Lamenta il ricorrente che, in presenza di conversazioni il cui contenuto non è univocamente interpretabile, i giudici di merito hanno erroneamente valorizzato soltanto il dato ponderale, così venendo meno all’onere di procedere all’apprezzamento complessivo di tutti gli elementi della fattispecie concreta per come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite.
8.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Più in particolare, osserva che i giudici di merito non hanno specificato gli aumenti di pena per ciascun reato satellite (in aperto contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità), ed inoltre hanno determinato l’aumento negli stessi termini assoluti individuati dal Tribunale; così facendo, tenuto conto della riduzione operata in appello, l’aumento ex art. 81 cod. pen. della pena, che prima era pari ad un terzo di quella individuata per il reato base, è diventato pari alla metà; tutto ciò attraverso il solo riferimento “alle quantità di stupefacente acquistate”.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
9.1. Con un unico motivo deduce violazione di legge ed omessa motivazione con riguardo alla individuazione dell’aumento applicato ai sensi dell’art. 81 cod. pen. per il reato di tentata estorsione aggravata, di cui al capo 49: con motivazione apparente, infatti, i giudici hanno fatto esclusivo riferimento alle “modalità e circostanze del fatto”.
Infine, propone personalmente ricorso per cassazione anche NOMECOGNOME lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
10.1. Con un unico motivo deduce vizio della motivazione, poiché mancante e manifestamente illogica, in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento alla individuazione del reato più grave ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale, e le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
I motivi riguardanti la configurabilità del delitto associativo (capo 1), poiché in parte comuni ai ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME per ragioni di linearità espositiva, possono essere trattati congiuntamente.
2.1. Osserva innanzitutto il Collegio che né il codice penale (artt. 416 e 416bis) né il d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 contengono una definizione dell’associazione per delinquere, che è venuta delineandosi, nei suoi elementi costitutivi, per effetto dell’attività interpretativa.
Con specifico riferimento al citato art. 74, gli elementi costitutivi del delitto di associazione sono stati quindi individuati: a) in un accordo criminoso (c. d. pactum sceleris), che crei un vincolo di natura permanente fra tre o più persone; b) nel perseguimento di un programma criminoso volto al compimento di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti; c) nell’esistenza di un minimo di organizzazione avente carattere stabile e, quindi, destinata a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti scopo.
In ordine all’accordo criminoso, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso la necessità di un accordo formalizzato, cioè di “un accordo consacrato in atti di costituzione, statuto, regolamento, iniziazione od in altre manifestazioni di formale adesione”, ritenendo, per contro, sufficiente “l’esistenza di fatto della struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contribut consapevolmente apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune” (Sez. 4, n. 37291 del 31/05/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 43327 del 08/10/2013, COGNOME, Rv. 256969 – 01; Sez. 6, n. 8046 del 08/05/1995, COGNOME, Rv. 202031 – 01).
L’accordo illecito, quindi, può costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune.
Attuazione che, peraltro, non è richiesta, nel senso che si può rispondere del reato associativo anche senza aver commesso alcuno dei reati scopo, seppur tale ultimo aspetto possa agevolare l’identificazione del profilo partecipativo.
Una delle regole di giudizio e d’inferenza logica dell’esistenza di un sodalizio finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti è, infatti, costituita dalla valorizzazione di indici quali le comuni modalità esecutive e la ripetitività delle condotte integranti i reati scopo oggetto del programma criminoso.
Nella stessa prospettiva, la ripetuta e non occasionale commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell’associazione, seppur non necessaria, può offrire
la prova della condotta del partecipe, posto che, attraverso essi, si manifesta in concreto l’operatività della compagine criminale (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505 – 02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346 01; cfr., anche Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 282838 – 01, con la precisazione che tali condotte debbono essere espressive di forme di interazione nell’ambito del gruppo organizzato).
Se ne è dedotto, coerentemente, che la prova della partecipazione può essere data anche con mezzi e modi diversi dalla prova del concorso nei singoli traffici (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 40749 del 05/03/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 264826 – 01); trattandosi, infatti, di reato a forma libera, rileva qualsiasi comportamento che apporti contributo, ancorché minimo ma non insignificante alla vita della struttura, consapevolmente funzionale al programma delittuoso, a nulla rilevando che questo non integri, di per sé, alcun reato – fine.
In ordine, poi, all’elemento organizzativo, non è richiesta la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture sia pure rudimentali, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune: una struttura che, quindi, fornisca un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose, per la necessità che il sodalizio si protragga per un apprezzabile periodo di tempo idoneo a consentire ad esso di operare validamente (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583 – 01; Sez. 5, n. 11899 del 05/11/1997, COGNOME, Rv. 209646 – 01; Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 202038 – 01).
Quanto, poi, all’elemento psicologico, va detto che il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e, quindi, del programma delinquenziale in modo stabile e permanente.
Poiché, infatti, per la costituzione del sodalizio non è necessaria la esplicita manifestazione di una volontà associativa, la consapevolezza dell’associato può essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 1, n. 45297 del 05/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 10076 del 24/09/1998, COGNOME, Rv. 213978 – 01)
2.2. Nel caso in esame i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, ritenendo provata l’esistenza e l’operatività, tra il 2018 ed 2019, di una associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed eroina, promossa ed organizzata da NOME COGNOME, dalla compagna NOME COGNOMEquale finanziatrice) e da NOME COGNOME ed a cui
presero parte, oltre ad altri soggetti a cui carico si è proceduto separatamente, a NOME COGNOME e NOME COGNOME nella veste di corrieri.
Dall’analisi di una serie di conversazioni intercettate è stato innanzit possibile delineare una precisa distribuzione dei ruoli tra ali associati (pp. 13 sentenza impugnata), oltre che trarre la prova della consumazione di numerosi reati – scopo (capi 2 e ss.).
L’associazione poteva contare su un “nucleo centrale e comune” (p. 13 sentenza impugnata), individuato appunto nella coppia COGNOME COGNOME, terminale pugliese delle spedizioni di stupefacente dall’estero; coppia impegnata altresì taglio e nel confezionamento della droga, e nella successiva, e sistematica, attivit cessione, in favore di acquirenti pugliesi, calabresi e sardi.
Il sistematico rifornimento di stupefacente – anche due volte a settimana avveniva grazie all’iniziativa di NOME COGNOME e NOME COGNOME (significativamente indica come “il capo” nelle conversazioni intercettate), in grado di individuare i canali es e di organizzare le spedizioni delle partite in Italia, con modalità diverse, pot ciascuno di essi contare su corrieri alle proprie dipendenze e sulla disponibilit mezzi con cui effettuare il trasporto.
Oltre che nella distribuzione di tali specifici compiti, indici univoci dell’esist di una struttura deputata al perseguimento del programma, sono stati individuati: a nell’esistenza di luoghi destinati alla realizzazione delle attività delittuose, laboratorio per il confezionamento presso l’abitazione della coppia pugliese; b) nel disponibilità di risorse materiali idonee allo scopo, come le ingenti somme richies per le transazioni, i telefoni cellulari criptati con cui garantire le comunicazioni COGNOME (attraverso l’uso delle piattaforme RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), le sched “dedicate”, i disturbatori di frequenze, sempre per ostacolare le attivit intercettazione (c.d. jammer), ed i veicoli, peraltro appositamente modificati, co quali lo stupefacente veniva trasportato in Italia; c) nell’adozione di un collau modus operandi, praticato con sistematicità, in relazione all’esistenza di un “procedura” per la importazione delle singole partite e la corresponsione del prezzo d) nella esistenza di una vera e propria contabilità, nonché di forme di ripartiz degli utili; e) nella capacità del gruppo di procedere oltre nel programma delittuo nonostante le operazioni di polizia, ad esempio sostituendo i corrieri arrestati (p sentenza impugnata), così dando prova di una significativa disponibilità di risors funzionali all’attuazione di un programma indefinito.
Dall’analisi di tali indicatori è stata desunta anche la c.d. affectio societatis.
2.3. Osserva il Collegio che un simile percorso motivazionale resiste ampiamente alle critiche difensive, da ritenersi in parte aspecifiche ed in p manifestamente infondate.
2.3.1. Quanto alle dichiarazioni rese dal COGNOME dopo l’avvio della collaborazione, sono state richiamate ad ulteriore conferma dell’esistenza del sodalizio e della sua composizione, già desumibili attraverso l’esame delle conversazioni intercettate e delle ulteriori fonti di prova – tra cui attività d osservazione, perquisizioni e sequestri.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso proposto dal COGNOME (pp. 5 e ss.), la Corte ha formulato un giudizio di attendibilità (argomentandolo in relazione alle posizioni di ciascun appellante), con la sola eccezione delle dichiarazioni relative al ruolo avuto dalla COGNOME, e spiegandone le ragioni.
Il diniego dell’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, del resto, è stato fondato sulla circostanza per cui la collaborazione è intervenuta dopo la sentenza di primo grado ed ha riguardato, nella sua essenza, circostanze già acquisite agli atti (p. 39 sentenza ricorsa), fermo restando che il COGNOME ha comunque riferito su alcuni specifici profili come la genesi dell’accordo, le forme di ripartizione degli utili e la periodicità delle forniture.
Ora, il rendere dichiarazioni su circostanze già documentate, come evidenzia il ricorrente, non è certo un argomento da cui trarre indicazioni di un mendacio, o comunque di forme di risentimento o di astio, peraltro in alcun modo delineate in ricorso; d’altra parte, osserva il Collegio, le statuizioni in punto di attendibilità non appaiono affatto in contrasto con il diniego dell’attenuante, e dunque sul punto la motivazione è esente dal vizio denunciato.
Né può ritenersi che l’assenza, nell’ampio materiale probatorio, di conversazioni in cui il COGNOME è conversante diretto integri un “riscontro negativo” alle dichiarazioni del COGNOME (pp. 6, 7 e 14 ricorso COGNOME): i giudici di merito hanno infatti sottolineato che le comunicazioni tra i due – e, si noti, solo tra i due – sono state mantenute con sistemi criptati, ed avvenivano quotidianamente, a qualsiasi ora del giorno e della notte (pp. 116 e 177 sentenza ricorsa; cfr., prog. 4847).
Nella stessa prospettiva, il ricorrente non considera affatto le diverse conversazioni, intercorse tra il Chionna e la Di Summa, in cui il COGNOME viene menzionato come colui il quale li riforniva di stupefacente, secondo l’incontestata lettura offertane dai giudici di merito (ad es., prog. 1986, 1987 e 2034).
Il ricorrente propone, piuttosto, una valutazione parcellizzata degli elementi di prova, affermando che la conversazione di cui al prog. 4847 non contiene in sé alcun indicatore di illiceità (p. 14 ricorso COGNOME), senza quindi considerare le diffuse argomentazioni dei giudici di merito, secondo i quali COGNOME teneva i contatti con il COGNOME attraverso sistemi criptati e, conversando con la COGNOME, come anticipato, indicava nel COGNOME il loro fornitore di stupefacente (ad es., prog. 1986, “con il pullman… NOME.. questo qua, mi sta mandando la roba”).
2.3.2. Con riguardo al vizio di motivazione che si pretende di far discendere, quanto all’esistenza ed alla composizione del sodalizio, dall’assoluzione del COGNOME dai reati di cui ai capi 5, 6, 7, 11 e 12 (pp. 15 e ss. ricorso COGNOME), il motivo è manifestamente infondato.
Si sostiene inoltre in ricorso che l’ipotizzata presenza di due distinti fornitori (COGNOME e COGNOME), tra loro risultati non in contatto, sarebbe un indice della loro estraneità rispetto al contesto associativo.
In realtà, la Corte di appello ha espressamente spiegato le ragioni per le quali l’assoluzione del Licaj da (alcuni) reati scopo, ovvero le importazioni commesse con l’ausilio dei mezzi e dei correi facenti capo al Metaj, non è certo argomento per escludere l’esistenza della associazione, e neppure per censurarne la ritenuta intraneità.
Al riguardo si osserva che è affermazione costante in giurisprudenza quella per cui ai fini della configurabilità della condotta del partecipe non è richiesta la prova della conoscenza reciproca di tutti gli associati, ma è sufficiente la consapevolezza e volontà di partecipare ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287482 – 01; Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, COGNOME, Rv. 252232 – 01); sicché, è stata correttamente ritenuta priva di rilievo l’assenza di contatti tra COGNOME e COGNOME.
Del resto, la prova dell’esistenza di uno stabile accordo non è di certo incompatibile con la partecipazione ai singoli reati scopo, quali quelli per cui vi è stata assoluzione (non di tutti ma) solo di alcuni associati: da un lato, infatti, il dato riflet una caratteristica comune dei fenomeni associativi, che discende dalla distribuzione dei compiti tra i sodali; dall’altro, come già anticipato, le condotte di rilievo associativo ben possono essere svincolate dal concorso nei singoli reati fine.
Conseguentemente, non può condividersi l’argomento difensivo secondo il quale le transazioni gestite dal Metaj non possono essere valutate a fini associativi, poiché ciò che conta è la riferibilità del reato al programma delittuoso e non, come detto, la partecipazione di questo o quell’associato nella sua realizzazione.
Così come la fattispecie associativa non è certo incompatibile con la possibilità che un sodale svolga attività illecite anche in un diverso contesto, come ipotizza il COGNOME nel sottolineare i contatti del COGNOME con altri albanesi inseriti nel narcotraffico (p. 20 ricorso COGNOME): ciò che infatti rileva è il consapevole contributo al programma delittuoso, che non si pone in contrasto, e che può anche coesistere, con il compimento di ulteriori attività illecite ma al di fuori di quel contesto organizzativo e relazionale (cfr., nel senso che il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è configurabile anche in caso di stabile collaborazione tra soggetti che partecipano, anche in posizione apicale, ad altri sodalizi impegnati nel
medesimo settore criminoso o siano attivi, anche in forma non associata, in quel settore, Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 01).
2.3.3. La decisione impugnata si pone in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità anche in relazione al discrimine con il concorso di persone nel reato continuato (il tema è affrontato nel primo motivo del ricorso del Licaj e della Di Summa).
Invero, il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato deve incentrarsi essenzialmente nel carattere dell’accordo criminoso, che, nelle seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati (eventualmente ispirati da un medesimo disegno criminoso, che, tutti, comprenda e preveda), con la realizzazione dei quali, si esaurisce l’accordo dei correi – con cessazione di ogni motivo di pericolo di allarme sociale – mentre nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, che, come detto, non è richiesta per la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, COGNOME, Rv. 284724 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Debbiche, Rv. 258009 – 01).
Se da un lato la stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, dall’altro è necessario che, nel loro divenire, siano evocativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi.
Può perciò dirsi, in sintesi, che, diversamente dal fenomeno associativo, nel concorso di persone nel reato continuato l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno (così, Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 260292 – 01).
Sicché l’associazione, a differenza del concorso, rappresenta essa stessa una struttura idonea a costituire un supporto stabile all’attività criminale, per la permanenza del vincolo, per la stessa consapevolezza, da parte degli associati, della sua protrazione oltre la consumazione dei singoli reati scopo (c.d. affectio societatis scelerum).
Come anticipato, i giudici di merito hanno ritenuto accertata la disponibilità di mezzi di trasporto appositamente modificati e risorse (finanziarie ed umane) per l’esecuzione delle azioni delittuose, la suddivisione dei compiti tra gli associati, nonché l’adozione di un collaudato modus operandi.
In tale contesto, le frequenti transazioni illecite, portate a termine secondo una tecnica condivisa in uso ai sodali, ed avvalendosi delle risorse destinate al
perseguimento del programma delittuoso, sono state ritenute indicative di una pur rudimentale struttura, all’interno della quale vi erano regole ben precise anche per quanto riguarda la distribuzione degli utili futuri, come riferito dal COGNOME dopo l’avvio della sua collaborazione.
Il profilo organizzativo è stato ulteriormente argomentato in ragione della presenza di forme di gestione della contabilità degli affari del sodalizio da parte di esponenti apicali, nonché del tempestivo reclutamento di nuovi associati a seguito di alcuni arresti.
Infine, un segno dell’esistenza di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, è stato rinvenuto nella sempre maggiore entità delle forniture, al punto che la coppia COGNOME – COGNOME discuteva, come osservato dai giudici di merito, della necessità di trovare un camion per il trasporto dello stupefacente giunto in Italia.
Correttamente, quindi, i giudici di merito, con motivazione esente dai vizi rilevabili con ricorso per cassazione, hanno tratto da tali indicatori la prova del carattere non occasionale dell’accordo, e della comune consapevolezza di contribuire al perseguimento di un programma delittuoso aperto (solo genericamente contestata in ricorso), poiché teso a realizzare di una serie non preventivamente determinata di delitti.
Né si è in presenza del mero rapporto sinallagmatico tra fornitore – nella specie il COGNOME – ed acquirenti – ovvero la coppia COGNOME – COGNOME (pp. 18 e ss. ricorso COGNOME; memoria datata 12 maggio 2025).
Costituisce ius receptum il principio secondo cui integra la partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (Sez. 4, n. 34543 del 18/05/2023, Pelle, non mass.; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 257798 – 01; cfr., anche Sez. 5, n. 33139 del 28/09/2020, COGNOME, Rv, 280450 – 01, che attribuisce specifico rilievo al contenuto economico delle transazioni e alla rilevanza obiettiva del ruolo assunto nel sodalizio criminale per il rapporto sistematico con elementi di spicco dello stesso).
I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali consolidati insegnamenti, affermando che la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti può concretizzarsi nella costante disponibilità a rifornire il sodalizio della sostanza; a tal fine hanno correttamente preso in considerazione il tipo di relazione intrattenuta dal COGNOME proprio con un esponente di
vertice dell’associazione come il Chionna, culminata nella creazione di un costante canale di approvvigionamento a cui si è fatto ripetutamente ricorso per acquisire rilevanti partite di cocaina ed eroina, con cadenza settimanale.
Che si sia trattato di uno stabile canale di fornitura lo si è logicamente tratto anche dalle ingenti somme di denaro movimentate (p. 16 sentenza impugnata), dall’esistenza di par(ite di credito e debito, dalla previsione di regole predeterminate di suddivisione degli utili (su cui si è intrattenuto il COGNOME, precisando che fu il COGNOME, di cui era “socio” a rappresentagli la necessità di un referente in Italia).
Elementi, questi, da cui, con motivazione non manifestamente illogica, è stata desunta anche la prova della coscienza e volontà di far parte dell’associazione, contribuendo alla realizzazione del fine comune, solo genericamente contestata in ricorso.
Vanno ora esaminati i restanti motivi di ricorso proposti nell’interesse di NOME COGNOME
3.1. Con il terzo motivo, che per linearità espositiva va scrutinato prima di quello relativo al reato scopo, il ricorrente lamenta vizio della motivazione (poiché mancante e manifestamente illogica) con riguardo al riconoscimento del ruolo apicale.
Il motivo è inammissibile.
Coerentemente con la imputazione, NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in qualità di promotore ed organizzatore del sodalizio.
Sul punto è utile premettere che, nell’ambito dei fenomeni associativi, l’organizzatore è colui che si occupa della gestione complessiva del gruppo (o di uno specifico settore di operatività), mediante un contributo teso a garantirne stabilità ed efficienza.
Che l’assunzione e l’esercizio concreto del potere gestorio – su cui pure si appuntano le doglianze del ricorrente – rappresenti il dato fondante del ruolo dell’organizzatore è dato pressoché pacifico in giurisprudenza, affermato in relazione alle diverse fattispecie associative (Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 03; Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262487 01; Sez. 5, n. 39378 del 22/06/2012, COGNOME, Rv. 254317 – 01; Sez. 6, n. 25698 del 15/06/2011, COGNOME, Rv. 250515 – 01).
Dunque, alla nozione di organizzatore deve essere rapportato ogni contributo sistematicamente rivolto, in autonomia, all’esistenza, alla stabilità ed all’efficienza dell’azione del gruppo, sul piano delle risorse umane (coordinando gli altri consociati – o strumentali) / occupandosi della gestione di settori nevralgici.
Anche sul piano squisitamente semantico, organizzare vuol dire imprimere un ordine ad una struttura più o meno complessa, mettendo gli elementi che la compongono in connessione tra loro, in vista del raggiungimento di una fine comune.
Ciò posto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, evidenziando, in più punti della decisione, una serie di indicatori fattuali ritenuti espressivi del concreto esercizio del potere direttivo (pp. 13 e ss., p. 120 sentenza impugnata), rispetto ai quali il ricorso assume una connotazione meramente avversativa (p. 29).
Il RAGIONE_SOCIALE (così come anche il Metaj) individuava i canali di fornitura estera, in Albania o in Olanda, e potendo disporre di ingenti risorse finanziarie, non solo acquistava le partite di stupefacente (cocaina, e talvolta eroina), ma ne curava anche il trasporto in Italia, potendo disporre delle risorse del gruppo, ovvero gli autobus della società RAGIONE_SOCIALE, con i relativi corrieri.
Non si tratta di mere “illazioni”, come afferma il ricorrente (p. 27), ma di elementi di fatto desunti dalla serie di numerose intercettazioni, e confermate dalle stesse ammissioni del COGNOME, oltre che, seppur indirettamente, da quelle di NOME COGNOME di cui pure si è detto.
A fronte di tale congrua motivazione, tutt’altro che manifestamente illogica, il tentativo del ricorrente di svalutare il significato probatorio di tali risultanze si risol nella prospettazione di una lettura alternativa a quella effettuata dalla Corte territoriale, in tal modo sollecitando una attività che è preclusa alla Corte di cassazione.
Né osta a tale conclusione la circostanza, già esaminata a proposito del primo motivo, che il Licaj sia stato assolto da alcuni reati scopo (p. 27 ricorso): ciò sia perché, come visto, si può rispondere di associazione anche senza la commissione dei singoli reati scopo, sia perché i giudici di merito hanno evidenziato che il suo contributo, consistente nel mettere a disposizione del sodalizio plurimi canali esteri di approvvigionamento e le risorse per le successive attività di importazione, è stato senza dubbio contrassegnato dalla stabilità necessaria per delineare la condotta associativa (per la rilevanza, ai fini di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, della messa a disposizione del sodalizio dei canali esteri di approvvigionamento, Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199 – 01)
3.2. Anche il secondo motivo, che ripropone temi già ampiamente scrutinati dalla Corte territoriale (pp. 110 – 117), è inammissibile, poiché aspecifico.
Il ricorrente è stata ritenuto responsabile, in concorso con il Chionna e la Di Summa – oltre che con soggetti non identificati – dell’acquisto di numerose partite di stupefacente (reati di cui al capo 2), arrivate in Italia dall’Albania per il tramite d corrieri che impiegavano gli autobus della Ruci Tours.
A parte il generico riferimento alla violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il ricorso prospetta il carattere illogico della motivazione, nella misura in cui non avrebbe individuato gli elementi di fatto idonei a collegare, sul piano concorsuale, le singole operazioni illecite al Licaj.
Così facendo, il ricorso manca il confronto con il percorso argomentativo svolto dalla Corte territoriale, che in risposta alla analoga doglianza contenuta nell’appello, ha sottolineato, in maniera tutt’altro che manifestamente illogica, che la mancata identificazione dei corrieri – rilevata già in sede di riesame – non esclude affatto il coinvolgimento del Licaj nelle transazioni.
Coinvolgimento la cui prova, invero, i giudici hanno tratto innanzitutto dall’esame di diverse conversazioni (e non solo di una, come si osserva in ricorso: p. 25) in cui la figura del ricorrente è ripetutamente evocata proprio in relazione all’invio dello stupefacente in Italia, avvalendosi del trasporto con degli autobus, secondo un modus operandi che ha trovato ulteriore conferma anche nelle dichiarazioni confessorie del Chionna (pp. 14 e 15 sentenza ricorsa).
La Corte ha quindi rilevato che il rapporto tra la coppia COGNOME ed il COGNOME, che era stato pure loro ospite, risaliva al 2017 (mentre le condotte in contestazione iniziano nel 2018), epoca in cui il COGNOME era risultato già coinvolto in altre importazioni di cocaina, significativamente commesse con le medesime modalità, ovvero sempre con l’ausilio degli autobus della Ruci Tours, come riferito dal correo NOME COGNOME che poi aveva iniziato a collaborare con la giustizia.
Infine, i dubbi (solo) genericamente evocati sulla identificazione nel ricorrente dell’COGNOME indicato nelle conversazioni (p. 25 ricorso) sono stati ampiamente superati dai giudici di merito non solo con riguardo al predetto contesto relazionale, ma dal rinvenimento, nel telefono che il Chionna usava per contattare riservatamente COGNOME, di due fotogrammi che ritraevano proprio il ricorrente (p. 116 sentenza ricorsa).
3.3. Il quarto motivo è inammissibile.
Il giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto.
Nel caso di specie, i giudici di merito (pp. 120 – 122 sentenza ricorsa) hanno giustificato la decisione di ritenere equivalenti le circostanze attenuanti generiche e le aggravanti motivandola con riguardo non solo alla pessima biografia penale, costellata da precedenti specifici (come invece afferma il ricorrente), ma anche alle modalità del fatto, evidenziando la capacità del ricorrente di reperire con continuità
lo stupefacente in diversi paesi europei, e di essere in grado di organizzarne la spedizione avvalendosi di collaudate tecniche di trasporto, replicate pur dopo la prima operazione di polizia del 2017.
Così facendo, i giudici hanno dimostrato di aver preso in considerazione e valutato gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., ed in particolare sia le caratteristiche della condotta, sia l’intensità del dolo, sia quello della capacità a delinquere, pervenendo alla conclusione, senz’altro motivata e argomentata in modo del tutto privo di incoerenze e di illogicità, tanto meno manifeste, che la soluzione dell’equivalenza IMi? fa più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena da irrogare nel caso concreto (cfr., per il tipo di apprezzamento richiesto, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279181 – 02).
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, sono inammissibili anche gli ulteriori motivi.
4.1. La ricorrente lamenta l’immotivato riconoscimento della posizione apicale, nella veste di finanziatrice, e più in generale della sua partecipazione al sodalizio (pp. 3 – 8 ricorso), sottolineando l’assenza di guadagni e di una cassa comune, in quanto le somme venivano gestite unicamente dal Chionna.
Il Collegio intende innanzitutto richiamare il pacifico insegnamento di legittimità secondo il quale, nel caso della associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, assume la qualifica di finanziatore il soggetto che, mediante la fornitura di mezzi economici e finanziari, tiene in vita ed alimenta il traffico di stupefacenti posto in essere dagli altri partecipi, contribuendo così alla realizzazione dei singoli reati-fine (Sez. 3, n. 32704 del 27/02/2015, COGNOME, Rv. 264450 – 01; Sez. 6, n. 36351 del 21/05/2003, Dimraj, Rv. 227365 – 01, Sez. 6, n. 403 del 16/06/1990, dep. 1991, Marin, Rv. 186226 – 01).
Facendo corretta applicazione di tali principi, i giudici di merito hanno ritenuto provato il ruolo associativo della RAGIONE_SOCIALE, nella veste di finanziatrice dell’acquisto di cospicui quantitativi di sostanza stupefacente, in tal modo consapevolmente arrecando un significativo e stabile contributo all’operatività del sodalizio, consentendo la perpetuazione del programma delittuoso.
Tale convincimento è stato tratto dall’esame%na serie di conversazioni, prevalentemente (ma non esclusivamente) intercorse con il COGNOME, nel corso delle quali i due discutevano delle forniture ma anche delle somme vantate dalla Di COGNOME, che le aveva messe a disposizione del gruppo, in modo non occasionale, per il finanziamento dell’acquisto di consistenti quantitativi di droga.
D’altra parte, come hanno rilevato i giudici di merito, in occasione dell’arresto della coppia – che in più occasioni fu intercettata mentre discuteva della tenuta della contabilità – fu rinvenuta una agenda in cui era annotato l’importo di spettanza della
Di COGNOME, pari ad euro 87.500, che il ricorso non mostra di tenere in alcuna considerazione.
Nei successivi colloqui in carcere, ha osservato la Corte di appello, la Di COGNOME, dopo aver discusso degli ingenti crediti ancora da riscuotere, giungeva a minacciare il COGNOME, pretendendo di tenere la contabilità e di appropriarsi delle somme disponibili (pp. 89 – 90 sentenza impugnata: “Quando usciamo dobbiamo fare certi conti altrimenti ti spacco la testa… devo tenere io tutto… i soldi sono tutti miei e comando io e li voglio, devono rientrare tutti”).
La descrizione del profilo associativo della COGNOME, che in ricorso è indicata come mera connivente o comunque come persona che si era limitata a fare “solo un prestito” (p. 6), è stata inoltre completata attraverso il riferimento al concorso nei numerosi reati scopo (le singole transazioni ma anche la condotta di autoriciclaggio) e più in generale al contributo offerto nella preparazione delle partite di stupefacente (pp. 93 e 94 sentenza impugnata).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, con un motivo che assume anche una connotazione meramente avversativa, la Corte territoriale, con una motivazione non manifestamente illogica, ha tratto da tali indicatori concreti anche la prova del dolo, ovvero della coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo, e quindi del programma delittuoso, in modo stabile e permanente (Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, Aguì, Rv. 283351 – 04; Sez. 1, n. 30463 del 07/07/2011, Calì, Rv. 251012 – 01).
Manifestamente infondata è la considerazione per cui la Di Summa non fosse a conoscenza del rapporto del COGNOME con i fornitori stranieri.
I giudici di merito hanno osservato, in fatto, che le prove acquisite documentano la risalenza del rapporto della coppia pugliese con il COGNOME, che era stato anche loro ospite, e la consapevolezza della donna circa il ruolo di quest’ultimo quale fornitore del gruppo (“NOME.. questo qua, mio sta mandando la roba”); inoltre, fu la stessa COGNOME che sottolineò, nel corso di una conversazione intrattenuta con la di lei sorella, i continui contatti intrattenuti dal compagno proprio con il COGNOME (pp. 113 e ss. sentenza ricorsa).
4.2. Le doglianze relativa al concorso della Di Summa nei c.d. reati scopo (capi 2, 4, 7, 10, 13, 14, 29 e 37), che possono essere trattate congiuntamente, sono in 4, parte aspecifiche)!Pnaffi’ réstamente infondate.
La ricorrente lamenta che la sua sola presenza, ora in casa, ora nel veicolo condotto dal Chionna – peraltro in occasione di non tutte le condotte contestate – non consente di ipotizzare il concorso, morale o materiale, nella detenzione e nel trasporto dello stupefacente, venendo in rilievo, al più, una ipotesi di connivenza non punibile (pp. 8 e ss. ricorso).
Osserva il Collegio che esiste una chiara distinzione tra la connivenza non punibile ed il contributo concorsuale, rilevante ex art. 110 cod. pen.
La connivenza, traducendosi in una condotta meramente passiva ed inerte dinanzi ad un reato di cui pur si conosca la sussistenza, finisce infatti per essere, puramente e semplicemente, la scienza che altri sta per commettere o commetta un reato.
In casi del genere, ove non si provi il preventivo concerto delittuoso, il soggetto è (al più) consapevole della perpetrazione del reato, astenendosi da qualsivoglia forma di opposizione, a cui non è giuridicamente obbligato (cfr., Sez. 1, n. 8193 del 06/07/1987, dep. 1988, COGNOME, Rv. 178884 – 01; Sez. 2, n. 3274 del 20/11/1973, dep. 1974, COGNOME Rv. 126801 – 01).
Il concorso, invece, si concretizza in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti; in tal modo, infatti, il partecipe aumenta la possibilità di realizzazione del reato, quantomeno facilitandone l’esecuzione.
Il consapevole apporto all’altrui proposito criminoso, può manifestarsi, come detto, anche in forma agevolatrice, nella misura in cui garantisce al correo una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione su cui poter contare (Sez. 3, n. 544 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287403 – 01; Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280244 – 02; Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265167 – 01).
In via esemplificativa, ed in applicazione di tali principi, la giurisprudenza di legittimità ha escluso il concorso nel reato: 1) del soggetto che, consapevole dell’altrui detenzione illecita, si pone alla guida dell’autovettura a bordo della quale viaggino due persone che nascondono indosso la droga (Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258185 – 01); 2) del passeggero che viaggia su una vettura, appartenente ad altri, nella quale viene rinvenuta sostanza stupefacente occultata all’interno del cruscotto (Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268972 – 01).
Nella specie, diversamente da quanto denunciato con il ricorso, il provvedimento impugnato non incorre in alcuna violazione di legge avendo individuato una serie di indici significativi del pieno e consapevole coinvolgimento della ricorrente nelle singole ipotesi delittuose, sia in termini di preventivo concerto, sia attraverso un contributo anche solo in forma agevolatrice.
Tra questi indici i giudici di merito (pp. 96 e ss. sentenza impugnata) hanno evidenziato il ruolo di finanziatrice delle transazioni, ed il connesso interesse, più volte manifestato, al buon esito delle singole operazioni (ad es., in relazione al capo 7), oltre che i ripetuti riferimenti – talvolta intercettati poco prima delle singol
trasferte (ad es., capi 4 e 29), o subito dopo il perfezionamento delle cessioni – ai rapporti di dare o avere, ai debiti da saldare con i fornitori, ed al modo in cui veniva tenuta la contabilità.
Ancora, è stato valorizzato l’attivo contributo offerto della donna nella preparazione (attraverso il taglio ed il confezionamento), all’interno del laboratorio allestito nell’abitazione, delle partite di cocaina che venivano poi cedute (per questi profili, pp. 93 e 94 sentenza impugnata).
Contributo che non è mancato neppure nelle varie trasferte, allorquando la ricorrente, su richiesta del Chionna, attivava ripetutamente il jammer per ostacolare le attività di intercettazione (ad es., capi 13, 14 e 29).
Con tale motivazione, che fa corretta applicazione dei ricordati principi di diritto, la ricorrente omette ogni reale confronto, nella misura in cui si limita, con argomentazioni nella quasi totalità versate in fatto, a sottolineare l’accertata presenza della ricorrente, quale passeggero del veicolo, solo in alcune delle trasferte funzionali alla cessione della cocaina, o la semplice partecipazione ad alcuni dei dialoghi intercettati.
4.3. Con riferimento al reato di autoriciclaggio, contestato al capo 58, il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte aspecifico.
I giudici di merito hanno ritenuto che la Di Summa, insieme al Chionna, 4e -7 TI 7 l 7 re attraverso il ricorso sistematico al gioco d’azzardo, GLYPH il denaro proveniente dal traffico di sostanze stupefacenti, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa.
Nel sostenere che il gioco d’azzardo non è assimilabile ad una attività speculativa, richiamata dal comma 1 dell’art. 648-ter.1 cod. pen., la ricorrente richiama una isolata e risalente decisione (Sez. 2 n. 9751 del 13/12/2018, deo. 2019, COGNOME, Rv. 276499 – 01), che limita tale nozione alle attività che si caratterizzano per la gestione del rischio secondo criteri razionali ed economici.
Ma la giurisprudenza successiva, anche di questa Sezione, ha invece ripetutamente affermato che rientrano nel novero delle attività speculative anche il gioco d’azzardo e le scommesse, in quanto attività idonee a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto e, dunque, tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 4, n. 21044 del 10/04/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 30642 del 27/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 28272 del 31/05/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 11325 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284290 – 01; Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, COGNOME, Rv. 275528 – 01).
Si è infatti precisato che l’espressione “attività speculativa”, intesa quale investimento ad alto rischio, deve essere estesa anche alle predette attività, considerato che il concetto di alea, caratteristico del gioco o della scommessa, non risulta ontologicamente diverso o inconciliabile con quello di rischio calcolabile.
Una diversa interpretazione, quale quella caldeggiata dalla ricorrente (e fatta propria dalla sentenza COGNOME), finirebbe per avere l’effetto di una sostanziale abrogazione della norma in tale parte, ove si consideri che lo stesso comma già incrimina, attraverso espressioni assai più ampie, le “attività economiche, finanziarie o imprenditoriali” con cui si effettua la sostituzione o il trasferimento.
Non è certamente ipotizzabile la causa di non punibilità di cui al comma 5 dell’art. 648-ter.1 cod. pen., che si applica, per espressa previsione normativa, “fuori dei casi di cui ai commi precedenti”, quindi non nel caso in esame, in cui come visto trova applicazione il comma 1.
Del resto, la causa di non punibilità è ipotizzabile solo nel caso, non ricorrente nella specie, in cui l’agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 2, Sanna, cit., Rv. 275528 – 02).
Il ricorso è aspecifico anche in relazione all’elemento psicologico del reato, che i giudici di merito hanno argomentato – senza che al riguardo vi siano puntuali deduzioni della ricorrente – dall’analisi di alcune conversazioni intercettate in ambientale (p. 49 sentenza di primo grado), da cui è stata tratta la prova della strumentalità delle giocate rispetto alla necessità di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.
Osserva il Collegio, infine, che è priva di ogni rilevanza concreta la deduzione difensiva circa gli importi incassati dalla Di COGNOME – risultato finale di più vincite, si osserva – da cui non sarebbe quindi possibile trarre indicazioni sulla effettiva consistenza delle somme inizialmente giocate.
Non rileva, infatti, in ordine alla consumazione del reato, che dipende dal compimento dell’attività di sostituzione o trasformazione; ma nemmeno rileva in ordine alla identificazione – a fini ablatori – del prodotto, del profitto o del prezzo del reato, che non coincide, come sembra sostenere la ricorrente, con il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal reato presupposto, ma piuttosto con i proventi conseguiti dall’impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative (Sez. 2, n. 27228 del 15/09/2020, Lolaico, Rv. 279650 – 02; Sez. 6, n. 4953 del 20/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278204 – 01; Sez. 2, n. 30401 del 07/06/2018, Ceoldo, Rv. 272970 – 01).
4.4. Anche il secondo motivo di ricorso difetta della necessaria specificità.
La ricorrente lamenta da un lato il mancato esame, da parte della sentenza impugnata, dei motivi di appello, e dall’altro l’insussistenza dei presupposti per procedere alla confisca.
In tal modo il ricorso non si confronta affatto con la specifica motivazione offerta dalla Corte territoriale, secondo la quale i beni oggetto di confisca – veicoli, somme
di denaro e preziosi – erano di valore assolutamente non proporzionato rispetto ai modesti redditi dichiarati, nell’ordine di qualche migliaio di euro annui (pp. 105 e 106).
Nel negare, infine, la “legittimità della confisca”, semplicemente affermando l’insussistenza del requisito della sproporzione di cui all’art. 240-bis cod. pen., il ricorso finisce per assumere una connotazione meramente avversativa, e dunque anche intrinsecamente aspecifica.
Va ritenuta, infatti, la inammissibilità per aspecificità sia quando i motivi non sono affatto argomentati, sia quando non affrontano la motivazione della sentenza impugnata – e pecchino pertanto di genericità interna all’atto o esterna al medesimo (cfr., Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME che ha rinunciato ai motivi di appello in punto di responsabilità (p. 8 sentenza ricorsa), è inammissibile.
Il ricorrente è stato ritenuto responsabile di una serie di reati in materia di stupefacenti, consistenti in ripetute cessioni di cospicui quantitativi di cocaina ed eroina (capi 30, 31, 32, 33), e della detenzione illegale di armi da fuoco, tra cui un kalashnikov (capo 54); è stata altresì riconosciuta, per quest’ultimo reato, l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
I giudic0 di merito hanno invece ritenuto il giudicato in relazione al danneggiamento, commesso con armi da fuoco e con metodo mafioso, di cui al capo 53.
5.1. Il primo motivo è inammissibile.
Come rileva il ricorrente, la Corte di cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha statuito che, in presenza di contestazione della circostanza aggravante della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen, è compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di una più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, e ciò al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35838 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247838 – 01; già in precedenza Corte cost., sent. n. 192 del 5/06/2007; Corte cost., sent. n. 185 del 08/07/2015).
Lo specifico dovere di motivazione è stato ribadito dalle Sezioni unite anche in successivi interventi (da ultimo, Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01, secondo cui è richiesta una specifica e adeguata motivazione; Sez. U,
n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251690 – 01, secondo cui è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa; Sez. U, n. 20798 del 24/2/2011, Indelicato, Rv. 249664 – 01, secondo cui la recidiva richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale).
In altre parole, la recidiva non può essere considerata unicamente come espressione di uno status soggettivo del reo, delineato dai suoi precedenti penali.
Si è perciò affermato che il giudizio sulla recidiva deve essere compiuto alla luce non già di un astratto canone di pericolosità sociale, né tanto meno guardando alla recidiva in guisa di un mero «status soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona» (Sez. 5, n. 46804, del 4/10/2021, COGNOME, Rv. 282383-01), bensì sulla falsariga del concreto rapporto tra il fatto-reato per cui si procede e le pregresse condotte criminose dell’imputato.
Contrariamente a quanto indicato in ricorso (p. 2), nella specie la Corte territoriale, rispondendo allo specifico motivo di appello, non si è limitata a fare generico riferimento ai (peraltro) numerosi precedenti penali, anche specifici, dell’imputato (già condannato per reati in materia di stupefacenti e per reati contro il patrimonio), ma ha formulato un giudizio di maggiore lesività e di accresciuta pericolosità criminale rispetto ai fatti già giudicati, così da ritenere che le condotte per cui è processo siano indicative di una incrementata propensione a delinquere, sottolineando l’esistenza tra i fatti di una “relazione qualificata”.
D’altra parte, i fatti per cui si procede (non oggetto, nella loro rilevanza penale, di specifico motivo), sono espressamente richiamati dai giudici territoriali, per delineare l’allarmante personalità del ricorrente e l’accresciuta pericolosità sociale, e comunque per escludere il carattere occasionale ed estemporaneo della ricaduta nel reato.
Il COGNOME infatti, è indicato come esponente di rilievo dei clan manduriani (già p. 2 sentenza del Tribunale), cui si rivolse il COGNOME per contrastare la pretesa estorsiva di clan rivali, ed il cui interessamento esitò nella consumazione di una serie di azioni ritorsive (pp. 41 e ss. sentenza del Tribunale).
Il motivo, inoltre, è intrinsecamente aspecifico nella parte in cui evoca, in maniera del tutto generica, il dato dell’atteggiamento “collaborativo” del ricorrente, per dedurne una incidenza quanto alla (attuale) pericolosità (p. 7).
5.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen., non è consentito in sede di legittimità, in quanto mira ad una nuova valutazione della
congruità della pena, la cui determinazione non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; conf., Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 – 01).
D’altra parte, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Ciò posto, il Collegio, nel ribadire il principio di diritto secondo cui l’obbligo di una motivazione rafforzata in tema di trattamento sanzionatorio sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01, anche per indicazioni sul modo in cui determinare il medio edittale; conf., Sez. 2, COGNOME, cit.), osserva che i giudici di merito, hanno richiamato l’attenzione sugli indicatori di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero i quantitativi di stupefacente trattati ed il ruolo avuto dal Modeo nella criminalità locale (p. 59 sentenza ricorsa; p. 86 sentenza del Tribunale).
Lo scostamento dal minimo edittale si fonda quindi su una congrua motivazione, avendo i giudici di merito individuato indici di disvalore di tipo oggettivo (attinenti alla gravità del fatto) e di valenza soggettiva (inerenti alla capacità a delinquere).
5.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Premesso che, come anticipato, la misura della diminuzione della pena per ciascuna delle circostanze attenuanti applicate costituisce l’oggetto di una tipica facoltà discrezionale del giudice di merito, nella specie il ricorrente lamenta M i’applicazione della riduzione nella misura minima della metà, anziché in quella massima dei due terzi, senza considerare che con la sua condotta collaborativa era stato possibile sottrarre “risorse rilevanti” al traffico di stupefacenti.
Sicché, richiamando puramente e semplicemente quello che è il presupposto per l’applicazione dell’aggravante, il ricorrente propone una doglianza aspecifica, non avendo in alcun modo indicato le ragioni concrete che avrebbero invece dovuto orientare verso un più favorevole trattamento sanzionatorio.
5.4. Anche il quarto motivo è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 81 cod. pen., i giudici del merito hanno individuato il reato più grave nella cessione di cui al capo 32, sia in ragione dei limiti edittali, sia in ragione del fatto che, rispetto alle altre analoghe condotte, ha riguardato una cospicua partita di eroina, per circa 2 kg (oltre alla sostanza da taglio).
Sulla pena determinata per tale reato (anni 4 di reclusione ed euro 13.500,00 di multa), la Corte territoriale ha applicato un aumento complessivo, per i reati in continuazione, pari ad anni 2 di reclusione ed euro 4.500,00 di multa; tanto, in accoglimento dell’appello del COGNOME.
Il ricorrente lamenta, quindi, che la Corte GLYPH determinato l’aumento minimo nella misura del terzo per la sola pena pecuniaria, non anche per la detentiva, senza inoltre motivare né la determinazione dell’aumento complessivo, né quella relativa ai singoli reati – satellite.
Va intanto ricordato che, in caso di più reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave commesso da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata, il limite minimo di aumento della pena di cui al comma 4 dell’art. 81 cod. pen. va riferito – come correttamente fatto nella sentenza impugnata all’aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo (Sez. 2, n. 18092 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266850 – 01; Sez. 1, n. 5478 del 13/01/2010, COGNOME, Rv. 246116 – 01).
Ora, se la pena è determinata in misura prossima ai minimi edittali, il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949 – 01).
In tali casi la determinazione della pena è adeguatamente motivata già con il richiamo agli indici di cui all’art. 133 cod. pen.
Il principio è stato ribadito anche in relazione alla motivazione degli aumenti di cui all’art. 81 cod. pen.: il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto infatti a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 01).
Tali conclusioni non sono messe affatto in discussione dal recente intervento di questa Corte, nella sua più autorevole composizione (che il ricorrente pure richiama: p. 11), con cui si è affermato che in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 01).
Nella stessa decisione, infatti, la Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi; inoltre, deve consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operat surrettiziamente un cumulo materiale di pene: profili che il ricorrente neppure deduce.
L’onere motivazionale è quindi variabile, e deve essere rapportato all’entità della pena e, soprattutto, dal discostamento rispetto al minimo edittale (cfr., anche Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., non mass. sul punto, ha affermato che «se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato).
Nella specie la Corte territoriale – peraltro a fronte di un generico motivo di appello (p. 12) – ha determinato l’aumento per la pena pecuniaria nella misura minima prevista dalla legge, e dunque su tale profilo il ricorrente non vanta neppure un interesse a proporre la doglianza.
Invece, in relazione alla pena detentiva si tratta di un modesto scostamento rispetto alla misura minima della terza parte (e considerato che l’aumento massimo è nella misura del triplo), preceduto dalla valorizzazione in fatto dei quantitativi di droga trattati e dalla collocazione dei fatti nello scontro tra contrapposti gruppi criminali, che è valso anche il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. (pp. 57 e 58 sentenza impugnata).
I modesti aumenti, di gran lunga inferiori ai minimi edittale di ciascuna ipotesi, applicati su una pena base anch’essa notevolmente inferiore al medio edittale, appaiono quindi insindacabili in questa sede.
Dal fatto poi che la pena detentiva e la pecuniaria siano state determinate seguendo un diverso criterio, non è possibile far discendere alcun vizio della sentenza impugnata: nell’affine problematica della applicazione della diminuzione per le attenuanti generiche, la giurisprudenza di legittimità insegna che; non sussiste l’obbligo del giudice di merito, nel caso di reato punito con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, di seguire il medesimo criterio nella determinazione della pena base detentiva e di quella pecuniaria (Sez. 2, n. 18716 del 02/04/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 37849 del 19/05/2015, D., Rv. 265184 – 01; Sez. 4, n. 20228 del 15/03/2012, COGNOME, Rv. 252682 – 01), a meno che solo per una delle due componenti abbia applicato una pena apprezzabilmente superiore al cd. medio edittale ì e tenuto ad esporre diffusamente le ragioni di tale seconda determinazione (Sez. 5, n. 10866 del 01/02/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 19118 del 22/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 25556 del 05/04/2019, NOME, Rv. 276010 – 01).
Solo in tale ultima ipotesi – che non ricorre nella specie – la giustificazione della scelta compiuta dev’essere tanto più esaustiva, quanto più ampia è la “forbice” tra le due specie di sanzioni applicate congiuntamente.
Il principio è stato declinato da questa Sezione anche con riguardo all’aumento di pena ex art. 81 cod. pen.: si è infatti affermato che nel caso di reati puniti con
pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, l’aumento di pena per l’applicazione della continuazione deve riferirsi ad entrambe le sanzioni, ma il giudice non è obbligato a seguire il medesimo criterio nella determinazione della sanzione detentiva e di quella pecuniaria (Sez. 4, n. 42144 del 14/10/2021, Vitanza, Rv. 282069 – 02; conf., sempre in tema di aumenti per la continuazione, Sez. 3, n. 30657 del 19/06/2024, Pianosi, non mass.).
L’unico ricorso proposto da NOME COGNOME non risulta tra gli atti trasmessi traccia alcuna di un secondo ricorso cui ha fatto riferimento il difensore nel corso della discussione – che ha rinunciato a tutti i motivi di appello tranne quelli relativi al trattamento sanzionatorio (p. 70 sentenza impugnata), è inammissibile.
6.1. Il primo motivo, riguardante la qualificazione giuridica delle condotte, deve ritenersi rinunciato.
Il Collegio condivide il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per cui la rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto d quelli riguardanti la misura della pena, la concessione delle attenuanti generiche ed il bilanciamento delle circostanze, comprende anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle aggravanti (Sez. 4, n. 3398 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285702 – 03; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01).
Principio espresso, per analoghe ragioni, anche in relazione alla sentenza emessa in esito al concordato (Sez. 4, n. 40683 del 03/10/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277196 – 01).
In ogni caso, la Corte territoriale ha comunque scrutinato il motivo, procedendo alla valutazione complessiva richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.
Invero, la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 – 01; Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 – 01).
Il principio è stato ripreso, anche dopo la trasformazione in autonoma ipotesi di reato, dalla giurisprudenza di questa Corte, sempre a Sezioni unite (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01, pp. 14 e ss.).
La sentenza impugnata, pertanto, fa buon governo del principio secondo il quale la valutazione deve sì essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente: la Corte di appello ha
infatti ritenuto assorbente il significativo dato ponderale testimoniato non solo dai quantitativi trattati – ad es., la cessione contestuale di 550 grammi di cocaina e 500 grammi di eroina – ma anche dal controvalore dei singoli scambi (p. 71 sentenza impugnata).
6.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, avendo ridotto la pena per il reato più grave per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche per motivi soggettivi, non riduca, in maniera corrispondente, gli aumenti sanzionatori praticati, per i reati satellite, ex art. 81, comma secondo, cod. pen., sussistendo il solo obbligo di valutare globalmente gli elementi favorevoli, ai fini dell’individuazione del congruo aumento di pena conseguente alla riconosciuta continuazione (Sez. 3, n. 22091 del 09/03/2023, Albergo, Rv. 284663 – 01).
Il principio è stato ribadito da questa Sezione anche con riguardo all’ipotesi, sovrapponibile a quella per cui si procede, in cui il giudice di appello abbia escluso una aggravante o la recidiva: si è affermato, infatti, che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, ritenendo le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti e non più equivalenti rispetto alle circostanze aggravanti e/o alla recidiva, operi la relativa riduzione solo sulla pena base, confermando gli aumenti per la continuazione effettuati dal giudice di primo grado (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 01, nonché, in motivazione, pp. 51 e 52 anche per la analisi della giurisprudenza successiva).
Né a diverse conclusioni conduce l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. Un., n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066), per cui nel giudizio di appello il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, fra cui vanno ricompresi sia gli aumenti e le diminuzioni apportati alla pena-base per le circostanze sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno affermato che il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma 4, cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado: il caso, quindi, è oggettivamente diverso da quello per cui si procede.
Nella specie la Corte di appello, rispondendo ad una doglianza generica in punto di aumento a titolo di continuazione (p. 9 appello), pur riducendo la pena per effetto della esclusione della recidiva, ha inteso mantenere l’aumento ai sensi dell’art. 81 cod. pen. in ragione delle quantità di stupefacente trattate (cfr., anche p. 87 sentenza
d
di primo grado, in cui le caratteristiche di gravità dei fatti sono ripetutamente sottolineate).
Né il ricorrente ha evidenziato una sproporzione dell’aumento in continuazione oggetto di decisione, con ciò venendo meno al proprio onere di articolare specificamente il motivo sul punto del trattamento sanzionatorio, non essendone stata evidenziata, se non genericamente, l’irragionevolezza (Sez. U, COGNOME, cit.; Sez. 2 n. 44818 del 06/10/2023, COGNOME, non mass.).
7. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
7.1. Il primo motivo è inammissibile.
Nella parte in cui si lamenta il mancato esame della memoria depositata, il motivo si appalesa come assolutamente generico, non essendo indicato né il contenuto della memoria, né le conseguenze della mancata valutazione sul percorso motivazionale.
Il motivo, inoltre, ipotizzando la nullità della sentenza (p. 1 ricorso), è anche manifestamente infondato, poiché non si confronta con un orientamento assolutamente consolidato di questa Corte, secondo il quale l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 3, n. 40552 del 12/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 8996 del 23/01/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, COGNOME, Rv. 279578 – 01; Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, COGNOME, Rv. 276199 – 03; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 – 01; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267561 – 01).
Osserva infatti il Collegio che l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata» (Sez. 5, n. 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766 – 01).
Sicché, il giudice di legittimità non deve arrestarsi al dato formale della mancanza dell’espressa menzione e considerazione della memoria nella sentenza di merito, ma deve operare un accertamento concreto in ordine alla capacità del dato esaltato nella memoria e trascurato nella sentenza di mettere in discussione la completezza logica o l’univocità del percorso argomentativo della sentenza impugnata, oltre che soppesare la consistenza intrinseca della memoria stessa, onde
neutralizzare la portata scardinante in presenza di enunciati difensivi ripetitivi ovvero estranei al thema decidendum.
Ma, per far ciò, la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa dalla pronuncia avversata – in ossequio al dovere di specificità del ricorso per cassazione ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823 – dev’essere oggetto di specifica rappresentazione da parte del ricorrente.
Non è dunque sufficiente – come è accaduto nella specie – che nel ricorso ci si dolga della circostanza che il giudice di merito abbia trascurato una memoria ritualmente prodottagli.
7.2. Il secondo motivo, con cui si lamenta un vizio di motivazione, è inammissibile.
Secondo il ricorrente l’affermazione di responsabilità è stata fondata su una serie di conversazioni e messaggi che non contengono alcun riferimento alla consegna di sostanza stupefacente; inoltre, anche la sua identificazione, compiuta attraverso il riferimento ad un dato relativo alla sua salute, deve ritenersi errata, o comunque insufficientemente motivata.
Osserva il collegio che i giudici di merito, scrutinando una analoga doglianza, hanno chiarito gli elementi in forza dei quali si è proceduto all’identificazione del ricorrente in colui il quale aveva in uso una utenza intestata fittiziamente a terzi, che era risultato in contatto con NOME COGNOME dal quale aveva ricevuto in più occasioni stupefacente del tipo cocaina (pp. 44 e ss. sentenza impugnata): identificazione compiuta anche attraverso un apposito servizio di osservazione, relativo all’incontro tra i due del 30 gennaio 2019 (il cui esito trovava conferma nell’esame del cartellino identificativo del ricorrente).
Inoltre, nel corso dell’incontro del 2 gennaio 2019 fu anche possibile verificare che l’utilizzatore dell’utenza impiegasse una stampella; elemento, questo, confermato dal contenuto di alcuni dialoghi, in cui l’utilizzatore dell’utenza accennava a tali problemi di salute (poi confermati anche per via documentale).
Infine, lo stesso COGNOME nel corso del suo esame, ha confermato di aver incontrato e ceduto al ricorrente, in 4 o 5 occasioni, stupefacente del tipo cocaina.
I giudici hanno poi illustrato le conversazioni contenenti riferimenti alle quantità, ai prezzi ed alla qualità dello stupefacente, oltre alla necessità o meno di utilizzare delle sostanze dktaglio (pp. 45 e ss.).
Un simile percorso motivazionale non può dirsi certo apparente o manifestamente illogico, come invece pretenderebbe il ricorrente / il quale, piuttosto, sollecita questa Corte ad una non consentita rivisitazione dell’attitudine dimostrativa delle prove esaminate.
Infatti, l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di operare una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle
prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Non è superfluo, al riguardo, ricordare, che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01).
Né può ascriversi alla Corte di cassazione il compito di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione.
Ed invero, ai fini della denuncia del vizio ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e che non è, invece, producente opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01; Sez. 1, n. 12496 del 21/9/1999, COGNOME ed altri, Rv. 214567).
Questo perché è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01; Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269217 – 01).
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Sono dunque inammissibili, nel giudizio di legittimità, tutte quelle censure che attengono a vizi diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo.
Da ciò consegue l’inammissibilità delle doglianze mosse dal ricorrente.
7.3. Il terzo motivo è inammissibile, poiché aspecifico, e riproduttivo di analoga censura già scrutinata nel giudizio di appello.
La Corte territoriale non si è limitata a prendere in considerazione il mero dato ponderale (come invece si lamenta in ricorso: p. 3), ma anche le ulteriori modalità dell’azione (come l’impiego di sostanze da taglio) ed il significativo controvalore delle partite di droga trattate.
Sicché, il giudice di merito, in ossequio al già richiamato orientamento delle Sezioni Unite (Sez. U, COGNOME, cit.), ha compiuto una valutazione «complessiva» del caso concreto per desumerne l’insussistenza degli indici della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
7.4. Deve ritenersi inammissibile anche il quarto ed ultimo motivo.
La Corte territoriale ha disatteso la richiesta di concessione delle attenuanti generiche in ragione dei plurimi precedenti penali, anche specifici, del ricorrente (p. 49).
Motivazione, quella dei giudici di merito, perfettamente in linea con il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (cfr., Sez. 2, n. 42 del 19/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610 – 01).
Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 – 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 4, n. 2997 del 19/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conf., Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 – 01).
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Né può rilevare, al fine di concedere le generiche, la scelta di procedere con il rito abbreviato – come sostiene il ricorrente – in quanto la valutazione premiale di tale scelta è già posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo (Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, COGNOME, Rv. 277271 – 01; Sez. 2, n. 24312 del 25/03/2014, Diana, Rv. 260012 – 01; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242861 – 01).
8. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
8.1. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in misura prevalente sulle aggravanti, a seguito dell’avvio del percorso collaborativo; per le stesse ragioni, deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto ridurre la pena anche ai sensi dell’art. 133, comma 2, n. 3, cod. pen.
Costituisce ius receptum il principio per cui, fermo il dovere del giudice di appello di motivare il mancato esercizio del suo potere di ufficio di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata applicazione del medesimo beneficio se non lo ha richiesto nel corso del giudizio di appello (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01; conf., Sez. 2, n. 4775 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass., in un caso in cui la richiesta era stata formulata in sede di conclusioni del giudizio di appello).
Tale principio può essere esteso anche al mancato esercizio del potere di procedere ad un diverso bilanciamento, in ragione del fatto che la disciplina è contenuta, anche in questo caso, nel comma 5 dell’art. 597 cod. proc. pen.
D’altra parte, proprio le Sezioni Unite, con la sentenza Salerno, hanno precisato (p. 10), di aver dato al quesito proposto una risposta articolata che necessariamente comprende tutti i casi previsti dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., chiarendo che il potere di procedere al giudizio di comparazione “quando occorre”, deve essere riferito all’applicazione di ufficio da parte del giudice di appello di nuove circostanze attenuanti.
In tal modo è stata data continuità all’insegnamento di Sez. U, n. 7346 del 16/03/1994, COGNOME, Rv. 197700 – 01, secondo il quale il potere di effettuare il giudizio di comparazione ai sensi di tale norma è subordinato all’applicazione di ufficio da parte del giudice di appello di circostanze attenuanti.
Nel caso in esame, quindi, deve escludersi la prospettata violazione di legge, o comunque qualsivoglia difetto di motivazione, in quanto l’imputato, con l’atto di appello, pur dando atto dell’avviata collaborazione, non ha fatto alcuna richiesta di procedere ad un nuovo bilanciamento (p. 38 sentenza impugnata), né la Corte
territoriale avrebbe potuto procedervi d’ufficio, non avendo applicato ulterio circostanze.
Osserva inoltre il Collegio che, in ogni caso, la Corte di appello espressamente valutato il contributo conoscitivo offerto dal ricorrente, ritenendolo incompleto poiché contrastante con altri elementi di prova (p. 39), con particolar riferimento alla posizione della Di Summa; ha quindi ritenuto ugualmente di mitigare il trattamento sanzionatorio, senza però modificare il giudizio di bilanciamento, ferm restando il divieto di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Sicché, la richiesta del ricorrente si traduce, in sostanza, in una inammissibi censura sulla congruità del trattamento sanzionatorio (nella parte in cui si denunc la violazione dell’art. 133 cod. pen.), peraltro determinato indicando la pena base minimo edittale (anni 20 di reclusione), pur a fronte della gravità dei fatti commes dal Chionna, ripetutamente evidenziata dalle conformi decisioni di merito.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME che ha rinunciato ai motivi di appello con l’eccezione di quelli relativcb al trattamento sanzionatorio (p. 73 senten impugnata), è inammissibile.
9.1. Vanno qui richiamati i principi espressi in occasione dello scrutinio de quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME in relazione al grado di impegno motivazionale richiesto in ordine alla determinazione, ai sensi dell’art. cod. pen., dei singoli aumenti, ed alla necessità che sia stato rispettato il rappor proporzione tra le pene, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
Facendo corretta applicazione di tali principi, la Corte territoriale – peralt fronte di un generico motivo di appello (p. 13) – ha determinato in mesi 6 di reclusion ed euro 3.000 di multa la pena ex art. 81 cod. pen. per la tentata estorsione pluriaggravata di cui al capo 49 (anche con l’utilizzo del metodo mafioso) richiamando le modalità e le circostanze del fatto (p. 77), maturato nell’ambito uno scontro tra contrapposti gruppi criminali, ed esitato in azioni ritorsive consuma con l’uso di armi da fuoco (capi 52 e 53).
Neppure è possibile dubitare, nel caso in esame, del rispetto del limite lega del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta dell’aumento di pena irrogato.
Il modestissimo aumento, di gran lunga inferiore al minimo edittale, applicato su una pena base notevolmente inferiore al medio edittale, appare quindi sorretto da congrua motivazione, ed è pertanto insindacabile in questa sede.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
10.1. Dal testo del provvedimento impugnato (p. 50) emerge che il ricorrente ha rinunciato a tutti i motivi, tranne quelli relativi al trattamento sanzionatorio, tra quali certamente non può annoverarsi quello, proposto con l’odierno ricorso, relativo alla qualificazione giuridica della condotta.
Richiamate le considerazioni già spese scrutinando il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME (par. 6.1.), è sufficiente evidenziare che la rinuncia circoscrive la cognizione del giudice ai soli capi o punti della decisione ai quali si riferiscono i residui motivi, e pertanto l’imputato non può poi dolersi, con il ricorso per cassazione, dell’eventuale omessa motivazione in ordine ai motivi rinunciati.
Inoltre, sempre dall’esame della sentenza impugnata, il motivo di ricorso non risulta neppure essere stato proposto in appello (nel senso che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, Sez. 3, n. 18136 del 27/03/2025, Deda, non mass.; Sez. 4, n. 40159 del 23/10/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259066 01).
11. Il ricorso proposto personalmente da NOME è inammissibile, ai sensi dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen.
Invero, il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compreso il ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., non può essere proposto dalla parte personalmente, ma, a seguito della modifica apportata all’art. 613 cod. proc. pen. dalla I. 23 giugno 2017, n. 103 (in vigore dal 3 agosto 2017), deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010 – 01; Sez. 6, ord. n. 18010 del 09/04/2018, COGNOME, Rv. 272885 – 01; Sez. 4, n. 31662 del 04/04/2018, P., Rv. 273177 – 01), e ciò anche quando vi sia l’autenticazione, ad opera di un legale, della sottoscrizione del ricorso, o la sottoscrizione del difensore “per accettazione” del mandato difensivo e della delega al deposito dell’atto, la quale non attribuisce al difensore la titolarità dell’atto stesso (Sez. 3, n. 11126 del 25/01/2021, COGNOME, Rv. 281475 – 01; Sez. 6, ord. n. 54681 del 03/12/2018, COGNOME, Rv. 274636 – 01).
12. Stante l’inammissibilità dei ricorsi e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 7 giugno 2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali consegue
f)
quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025
Il consigl
. e estensore