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Associazione per delinquere: la prova della partecipazione

Due soggetti ricorrono in Cassazione contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione ad una associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Sostengono che il loro contributo fosse solo sporadico e non una vera e propria partecipazione. La Corte Suprema dichiara i ricorsi inammissibili, chiarendo che un contributo funzionale e consapevole all’esistenza e al rafforzamento del gruppo criminale è sufficiente per configurare la partecipazione. Viene inoltre confermata la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per reati di tale gravità.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: quando il contributo al gruppo diventa reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 7253 del 2024, offre importanti chiarimenti sui confini tra un aiuto sporadico a un familiare e la piena partecipazione a una associazione per delinquere. Il caso analizzato riguarda due persone accusate di far parte di un sodalizio criminale a conduzione familiare, dedito al traffico di stupefacenti. La Corte ha stabilito criteri precisi per distinguere la condotta penalmente rilevante da quella che potrebbe essere considerata una mera connivenza, confermando la linea dura del legislatore in materia di criminalità organizzata.

I fatti del caso: un’attività familiare illecita

Il Tribunale di Potenza aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere per due individui, legati da vincoli di parentela con il capo di un’organizzazione criminale operante nel settore del narcotraffico. Secondo l’accusa, i due avrebbero fornito un contributo attivo e consapevole al gruppo, assumendo ruoli di rilievo, seppur in momenti diversi. Uno dei due, il padre del capo, avrebbe agito come organizzatore e sostituto del figlio durante la sua assenza, gestendo la contabilità e impartendo ordini agli altri membri. L’altro, fratello del capo, si sarebbe occupato del recupero crediti con metodi intimidatori e avrebbe fornito assistenza economica ai sodali arrestati.

La difesa: connivenza o partecipazione all’associazione per delinquere?

La difesa dei due indagati ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il loro coinvolgimento fosse stato meramente estemporaneo e limitato nel tempo. A loro dire, le azioni contestate non dimostravano un inserimento stabile nell’organizzazione, ma andavano piuttosto qualificate come semplici episodi di favoreggiamento personale o, al più, di connivenza non punibile. Si contestava, in sostanza, che il Tribunale avesse confuso la consapevolezza degli affari illeciti del parente con la volontà di far parte stabilmente di una struttura criminale organizzata.
Inoltre, la difesa ha criticato la decisione di applicare la massima misura cautelare, la custodia in carcere, ritenendola sproporzionata e non adeguatamente motivata, soprattutto in relazione all’assenza di un pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato.

La decisione della Corte di Cassazione sulla associazione per delinquere

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando in toto la decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito alcuni principi fondamentali in materia di misure cautelari e di reati associativi.

I gravi indizi di colpevolezza

La Corte ha specificato che, in fase cautelare, non è richiesta la prova piena della colpevolezza, ma un quadro di “gravi indizi” che renda altamente probabile la responsabilità penale. Nel caso di specie, le attività svolte dai ricorrenti non potevano essere liquidate come semplici aiuti occasionali. Al contrario, sono state valutate come contributi “effettivi ed operativi” all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione. Il ruolo di organizzatore, la gestione degli ordini e della contabilità, il recupero crediti e il sostegno ai membri arrestati sono tutti elementi che dimostrano un inserimento funzionale nel sodalizio, incompatibile con la mera connivenza.

La presunzione di pericolosità e la scelta della misura cautelare

Per quanto riguarda la misura applicata, la Cassazione ha ricordato che per reati di particolare gravità, come l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (art. 74 d.P.R. 309/1990), la legge prevede una presunzione relativa sia sulla sussistenza delle esigenze cautelari (il pericolo di reiterazione del reato) sia sull’adeguatezza della custodia in carcere. Spetta all’indagato fornire elementi concreti per vincere tale presunzione. Nel caso in esame, i ricorrenti non hanno fornito prove sufficienti a dimostrare l’assenza di pericolosità, e il Tribunale ha correttamente motivato la necessità di isolarli dall’ambiente criminale in cui operavano, ritenendo inadeguata qualsiasi misura meno afflittiva.

Le motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano su una netta distinzione tra il ruolo del giudice del riesame e quello della Corte di legittimità. Quest’ultima non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato. Nel caso specifico, la valutazione del Tribunale è stata ritenuta congrua, articolata e priva di vizi logici. La Corte ha sottolineato come le risultanze probatorie (intercettazioni, dichiarazioni, etc.) delineassero un quadro in cui i ricorrenti non erano semplici spettatori, ma attori consapevoli e funzionali agli scopi dell’organizzazione criminale. Il loro contributo, anche se non continuativo, era strutturale e necessario per il mantenimento in vita e il rafforzamento del sodalizio. La sentenza ha ribadito che per la partecipazione ad un’associazione non è richiesto un atto formale di affiliazione, ma la realizzazione concreta di attività che contribuiscano alla vita del gruppo.

Le conclusioni

Questa pronuncia consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, per integrare il reato di partecipazione ad una associazione per delinquere, è sufficiente un contributo consapevole, effettivo e operativo, anche se limitato a specifiche funzioni o periodi di tempo. La sentenza chiarisce che la linea di demarcazione con il favoreggiamento o la connivenza risiede nella funzionalità del contributo rispetto agli scopi dell’associazione: se l’azione aiuta l’organizzazione a perseguire i suoi obiettivi criminali, si configura la partecipazione. Inoltre, viene confermata la severità del sistema cautelare per i reati di criminalità organizzata, basato su una presunzione di pericolosità che impone all’indagato un onere probatorio aggravato per ottenere misure meno restrittive del carcere.

Quando un aiuto occasionale a un parente che delinque diventa partecipazione a un’associazione per delinquere?
Secondo la sentenza, l’aiuto diventa partecipazione quando non è un mero gesto estemporaneo, ma si traduce in un contributo consapevole, effettivo e operativo che rafforza l’esistenza stessa dell’associazione. Azioni come impartire ordini, gestire la contabilità o recuperare crediti per conto del gruppo sono considerate funzionali al sodalizio e quindi integrano il reato di partecipazione.

Per il reato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, la custodia in carcere è sempre obbligatoria?
Non è tecnicamente obbligatoria, ma la legge stabilisce una presunzione di adeguatezza della custodia in carcere. Ciò significa che il giudice deve applicare questa misura a meno che l’indagato non fornisca elementi di prova concreti che dimostrino l’assenza di esigenze cautelari o la sufficienza di una misura meno afflittiva, come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. L’onere di superare questa presunzione è a carico della difesa.

Cosa distingue la partecipazione a un’associazione criminale dalla semplice connivenza o dal favoreggiamento?
La connivenza è un atteggiamento puramente passivo di chi assiste alla commissione di un reato senza intervenire, e non è punibile. Il favoreggiamento consiste nell’aiutare qualcuno a eludere le indagini dopo che il reato è stato commesso. La partecipazione, invece, implica un contributo attivo che si inserisce nella struttura organizzativa e ne agevola la prosecuzione dell’attività criminale, traducendosi in un sostegno diretto al gruppo e ai suoi scopi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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