Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28185 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28185 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a ROMA il 25/03/1965
avverso l’ordinanza del 25/02/2025 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 gennaio 2025, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Velletri ha applicato la misura degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME – siccome gravemente indiziato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di reati di falso in certificazioni amministrative, fatto commesso in Anzio, Nettuno e altri luoghi dal dicembre 2020, con condotta in corso al maggio 2024. A suo carico sono state ravvisate le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.
1.1. Con l’ordinanza impugnata , il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento del riesame proposto dall’indagato, ha sostituito la predetta misura con quella del divieto di dimora nei comuni di Anzio e Nettuno, sostituzione alla quale, nelle more del giudizio di
riesame, aveva già provveduto il giudice delle indagini preliminari con ordinanza del 17 febbraio 2025.
Con il ricorso in esame, il difensore dell’indagato, avvocat o NOME COGNOME chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata svolgendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la decisione, con il quale denuncia violazione degli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. e correlati vizi della motivazione.
Premesso che il titolo cautelare trova legittimazione nella ravvisata fattispecie associativa, si denuncia che l ‘ ordinanza impugnata non avrebbe individuato, se non attraverso un generico richiamo a cinque conversazioni intercettate (di cui solo tre riferibili al COGNOME), i tratti distintivi della associazione né quelli della partecipazione del ricorrente, mancando, ne ll’unica fonte di prova costituita dal compendio intercettivo, elementi da cui trarre la tendenziale stabilità del vincolo associativo, la indeterminatezza del programma criminoso, la prova del contributo stabile del ricorrente.
Il Tribunale, prescindendo da possibili interpretazioni alternative in bonam partem , si sarebbe fondato su tre conversazioni che non contengono alcun riferimento a finalità o interessi comuni ai colloquianti, peraltro, mentre sono in atto accertamenti in merito alla contestata retrodatazione dei certificati emergenti dalle conversazioni; inoltre avrebbe, immotivatamente, valutato negativamente il disconoscimento di firma da parte dell’indagato , sebbene in nessuna conversazione emerga traccia di precisi accordi telefonici con il Testa, giusta il contenuto del tutto generico dei colloqui, e comunque considerato il loro numero esiguo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato, al limite della inammissibilità.
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dal G.I.P., NOME COGNOME avrebbe fatto parte di una associazione per delinquere gravitante intorno a due società di consulenza per la sicurezza nei luoghi di lavoro e per la formazione professionale (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), facenti capo ai coniugi COGNOME e COGNOME (quest’ultima, coniuge divorziata di COGNOME), le quali, dal 2020, offrivano sistematicamente, dietro corrispettivo, agli imprenditori che lo richiedessero anche all’esito delle ispezioni della ASL, dei NAS, dell’Ispettorato del Lavoro – false certificazioni attestanti la partecipazione a corsi HACCP, lo svolgimento di corsi di formazione e delle visite mediche prescritte dalla normativa in materia di sicurezza del lavoro.
A tale consorteria il COGNOME partecipava quale medico del lavoro e l.r. della società RAGIONE_SOCIALE fornendo, a richiesta dei predetti, le false certificazioni di visita e di idoneità medica dei lavoratori alle mansioni affidate (in realtà mai effettuate o effettuate in date diverse, sistematicamente antecedenti a quelle del controllo ispettivo o a quello di scadenza del precedente, in caso di rinnovo), le quali venivano poi accluse alle false attestazioni destinate alla clientela dalle due società.
1.1. Il compendio indiziario fonda sugli accertamenti dei N.A.S., in seguito a un’ispezione amministrativa compiuta presso la casa di riposo ‘INDIRIZZO‘ di Marino, sul compendio intercettivo, sulle dichiarazioni ammissive della collaboratrice NOME COGNOME sulla documentazione acquisita, nonché sulle dichiarazioni di lavoratori.
1.2. Deve, in premessa, darsi atto che la motivazione adottata dal Tribunale del riesame è assolutamente congrua al fine di giustificare l’adozione della misura cautelare, rispondendo ai criteri interpretativi dettati dalla giurisprudenza, delineando un quadro indiziario ancorato a precisi elementi fattuali, puntualmente richiamati nella motivazione, la quale risulta logicamente supportata e corretta nell’analisi , in quanto aderente a consolidati canoni ermeneutici.
1.3. Sempre preliminarmente – poiché, nella sede cautelare, la pronuncia non è fondata su prove, ma su indizi e tende all’accertamento, non della responsabilità bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza – giova chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice della impugnazione dei provvedimenti sulla libertà personale.
Invero, in sede di controllo di legittimità, non è consentito il diretto apprezzamento del requisito dei gravi indizi di colpevolezza, avendo quel controllo sempre ad oggetto la motivazione del provvedimento impugnato e non immediatamente il complesso degli elementi indiziari valutati dal giudice del merito cautelare. Le Sezioni unite hanno affermato che «allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; in senso conforme, ex plurimis, più di recente, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01). In materia di provvedimenti de libertate la Corte di cassazione non ha, cioè, alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in
relazione alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza delle misure poiché sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito.
Il controllo di legittimità rimane, pertanto, circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti nelle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. Un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Rv 269885).
Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambe a censure in sede di legittimità se adeguatamente motivate ed immuni da errori logico giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale, se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, anche con riferimento alla corretta qualificazione giuridica attribuita ai fatti, o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l’indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l’indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito (cfr. Sez. 3, n. 40873 del 21.10.2010, Merja, Rv 248698).
Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere, dunque, volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv 251516; Sez. 4, n. 22500 del 3/5/2007, Terranova, Rv 237012).
In materia cautelare, pertanto, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma
non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, COGNOME, Rv 269885; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv 241997; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv 252178).
Calando tali principi nella fattispecie in scrutinio, si osserva che il Tribunale ha rinvenuto gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sussistenza della associazione da una pluralità di fonti -costituite in primo luogo dall’attività intercettiva, ma anche dalle fonti dichiarative e dalle acquisizioni documentali -che hanno preso l’abbrivio dagli accertamenti amministrativi dei N.A.S. presso una struttura residenziale di Marino, in seguito della denuncia della figlia di una degente, a cui è seguita l’attività captativa: è emerso che, nel corso dell’ispezione, era stato chiesto alla responsabile della struttura, NOME COGNOME, la consegna degli attestati di formazione del personale impiegato; dalle intercettazioni a cui era stata sottoposta la predetta COGNOME, emergeva che la stessa si era immediatamente rivolta al COGNOME chiedendogli il rilascio di certificazione recante data antecedente all’accesso ispettivo; seguiva la trasmissione ai militari da parte della COGNOME di sei attestati emessi dalla società RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Tale modus operandi -ha chiarito l’ordinanza impugnata, convalidando le valutazioni del G.I.P. – non costituiva un fatto episodico, dal momento che le ulteriori indagini, particolarmente focalizzate sull’attività captativa e sui riscontri acquisiti, sia documentali che dichiarativi, facevano emergere la ripetizione di analoghe condotte, sostanzialmente standardizzate, e consapevolmente introiettate dai sodali, nelle quali risultava coinvolto anche il COGNOME.
2.2. Piuttosto, quindi, come spiegato nell’ordinanza impugnata, è emersa la esistenza di uno stabile accordo criminoso tra gli associati, ‘ tutti consapevoli di essere inseriti e di apportare il proprio contributo ad una stabile e rodata organizzazione sistematicamente finalizzata al rilascio di falsi attestati e certificazioni al fine di permettere ai tanti datori di lavoro che si rivolgevano a COGNOME o a COGNOME di eludere gli obblighi a loro carico previsti dalla normativa in tema di sicurezza sul lavoro .’
La stabilità dell’accordo indeterminato – si legge ancora -trova fondamento nelle conversazioni intercettate, dalle quali emerge che lo scambio di poche battute tra gli interlocutori era sufficiente a dare attuazione alle condotte illecite, che risultano, quindi, espressive di ‘ predefinito e ben congegnato programma delittuoso che funzionava efficacemente proprio perché i correi erano tutti in grado di confidare preventivamente nell’apporto criminoso che ogniuno di loro sarebbe stato pronto a fornire non appena se ne fosse presentata l’esigenza, essendo stabilmente a disposizione del sodalizio’.
2.3. L’ordinanza impugnata ha , anche, fornito una illuminante chiave di lettura delle ragioni (affatto commendevoli) per cui tale illecito andazzo aveva fatto presa sugli imprenditori locali, tra i quali aveva registrato una rapida diffusione, laddove ha osservato che ‘ I datori di lavoro erano disposti a pagare profumatamente i servizi illeciti ricevuti, anche perché non volevano che i loro dipendenti saltassero ore di lavoro per seguire i corsi di formazione obbligatori e la voce si era sparsa rapidamente tra loro ‘ , che è quanto riferito dalla collaboratrice NOME COGNOME durante l’interrogatorio di garanzia.
2.4. Quanto alla composizione soggettiva, il Tribunale ha spiegato che ‘il fulcro della struttura era rappresentato dalle due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, facenti capo a Testa e COGNOME, in cui spiccava l’attività de i collaboratori, in particolare di NOME COGNOME che si interfacciava -per la predisposizione dei falsi certificati -con i datori di lavoro e con il dr. COGNOME (e con le sue segretarie) , quest’ultimo contattato per il rilascio dei falsi certificati di idoneità non preceduti da alcuna visita medica, come emergente chiaramente dalle conversazioni intercettate e confermato, in sede di s.i.t., dagli stessi lavoratori che, invece, risultavano averla effettuata (da ultimo, un dipendente del Caffè della Posta di Nettuno e della gelateria Mennella di Anzio).
2.5. La partecipazione del ricorrente all’associazione contestata è stata illustrata osservando che COGNOME e COGNOME interloquivano tra loro in maniera schietta e collaudata, come nella conversazione registrata il 20/01/2023, davvero emblematica del modus procedendi dei componenti del gruppo, che agivano mostrandosi del tutto privi di scrupoli: alla richiesta di COGNOME, che veicolava l’esigenza di un imprenditore di ottenere, a stretto giro, in vista di un’ispezione, la certificazione di idoneità al lavoro, il COGNOME si dichiarava pronto ad attestare lo svolgimento della visita in un giorno in cui -come egli stesso precisa al telefono al COGNOME -‘ le ragazze svolgeranno attività normale ‘, senza , dunque, assentarsi dal lavoro e senza sottoporsi ad alcuna visita, dal momento che i certificati venivano rilasciati dal ricorrente sulla base dei soli dati anagrafici ricevuti tramite l’applicativo whatsapp dal coindagato COGNOME. I certificati acquisiti dai NAS, consegnati dall’imprenditore, sottoscritti dal De Arcangelis, recano la data di due giorni antecedente a quelli della richiesta rivolta dal Testa al De Arcangelis.
Conversazioni di analogo tenore, tra COGNOME e COGNOME, riferite ad altre certificazioni richieste da imprenditori locali, sono state intercettate anche nei giorni successivi, il 27/01/2023 e il 30/01/2023 (pag. 9 e ss. dell’ordinanza impugnata), a riprova della disinvoltura con le quali l’indagato era disponibile al rilascio di false certificazioni, attività della quale erano consapevoli e coinvolte anche le sue dipendenti, tant’è che è lo stesso COGNOME a dire al COGNOME ‘ però fai na cosa fai…na cosa senza che me chiami e a me parla con NOME Adesso….gli dici guarda ho parlato or ora con NOME preparami questo giudizio così ‘. Anche in questo caso , il certificato a firma del De Arcangelis reca una data anteriore.
E’ dal tenore inequivocabile di tali conversazioni che il Tribunale ha tratto, del tutto congruamente e logicamente, il convincimento della piena intraneità del COGNOME al contestato sodalizio, osservando come egli sia ‘ consapevole che il suo apporto si inserisse in una più ampia ed articolata struttura organizzativa preordinata a garantire in tempi rapidissimi non soltanto falsi giudizi di idoneità al lavoro, ma qualsiasi tipologia di falsi attestati e certificazioni afferenti alla sicurezza sul lavoro ‘. Ancora, i giudici distrettuali hanno osservato -per stigmatizzare l’importanza decisiva , nella dinamica associativa, del ruolo del COGNOME -che egli ‘ entrava in gioco proprio nelle situazioni di urgenza in cui i clienti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE avevano già subito ispezioni e disponevano di un brevissimo arco temporale per procurarsi la documentazione loro richiesta al momento della verifica ‘, egli rappresentando una sicurezza per COGNOME e COGNOME, i quali sapevano di potere contare sempre su di lui, per ottenere in pochi minuti, con una semplice telefonata, i certificati di cui necessitavano i loro clienti, ‘ il che offriva un incredibile valore aggiunto ai servizi illeciti erogati dall’associazione ‘.
2.6. L’evidenza e la univocità di significato delle conversazion i intercettate, peraltro come detto riscontrate dagli ulteriori accertamenti, non risultano incise -come ha osservato il Tribunaledall’atteggiamento assunto dall’indagato in sede di interrogatorio, (in cui ha negato ogni addebito anche disconoscendo le firme presenti sui certificati che gli sono stati esibiti), stante, appunto, l’incontestabile contenuto dei dialoghi, attestanti la chiara partecipazione del ricorrente al progetto criminoso del gruppo, nel quale risulta inserito con ruolo decisivo e fondamentale, e considerato che, come si legge nell’ordinanza, dalle stesse captazioni , emerge che egli non esitava a delegare alle proprie collaboratrici anche la firma dei falsi certificati rilasciati a suo nome e con apparente sua sottoscrizione.
2.7. Va aggiunto che non si è sottratto il Tribunale distrettuale allo scrutinio dell’ affectio societatis, dimostrata, con evidenza, dalla circostanza che in alcune occasioni sia stato proprio il ricorrente a contattare COGNOME e COGNOME per sincerarsi che le sue segretarie avessero provveduto a inoltrare i certificati e in altre a proporre il rilascio di falsi certificati in favore di imprenditori particolarmente compulsanti (‘ così se li levamo dal cazzo ‘).
2.8. Quanto, poi, alla stabilità del vincolo, il Tribunale ha segnalato come, dalla stessa allegazione difensiva, emerga che l’operatività dell’associazione e i rapporti illeciti con COGNOME e COGNOME risalgano al 2020.
Dunque, l’ordinanza impugnata si sottrae senza meno alle censure difensive, che assumono una valenza sostanzialmente contestativa della lineare valutazione dei giudici di meriti, aderente alle evidenze investigative, nel tentativo di attribuire un
diverso significato al quadro indiziario delineato dal G.i.p. e confermato dal Tribunale del riesame.
3.1. Giova ribadire che il controllo di legittimità non riguarda né la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui in questa sede non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito o il diverso significato attribuito alle intercettazioni.
3.2. Secondo il consolidato orientamento della Corte di legittimità, infatti, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389). L’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Quando il provvedimento impugnato abbia interpretato fatti comunicativi, l’individuazione del contesto in cui si è svolto il colloquio e dei riferimenti personali in esso contenuti, onde ricostruire il significato di un’affermazione e identificare le persone alle quali abbiano fatto riferimento i colloquianti, costituisce attività censurabile in sede di legittimità solo quando si sia fondata su criteri inaccettabili o abbia applicato tali criteri in modo scorretto (Sez. 1, n. 25939 del 29/04/2024, L., Rv. 286599).
3.3. Vizi argomentativi che, all’ evidenza, non sono riscontrabili nell’ordinanza impugnata che, al contrario, si fa apprezzare per ampiezza e completezza dell’esame dei fatti e per la congruenza delle valutazioni in punto di gravità indiziaria che ne sono state tratte.
3.4. Non risponde al vero, dunque, che il Tribunale distrettuale abbia fornito una motivazione carente o insufficiente nella descrizione dei gravi indizi di colpevolezza, dal momento che il grave quadro indiziario a carico del ricorrente risulta, invece, puntualmente scrutinato e correttamente argomentato.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 26 giugno 2025