LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Associazione per delinquere: la presunzione di custodia

Un giovane, accusato di spaccio e partecipazione a un’organizzazione criminale, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Sosteneva che non vi fossero prove del suo stabile inserimento nell’associazione per delinquere. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che un’attività continuativa e organizzata, anche senza un ruolo direttivo, è sufficiente a dimostrare la partecipazione. Inoltre, ha ribadito che per reati di tale gravità opera una presunzione legale di pericolosità che giustifica il carcere, salvo che l’indagato fornisca prove concrete per superarla.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: la custodia in carcere è quasi automatica?

La partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti è uno dei reati più gravi previsti dal nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi per valutare la partecipazione a un sodalizio criminale e le condizioni che giustificano l’applicazione della misura cautelare più afflittiva: la custodia in carcere. Analizziamo insieme la decisione per comprendere quando un’attività di spaccio continuato si trasforma in appartenenza a un’organizzazione e quali sono le conseguenze sul piano della libertà personale.

I fatti del caso

Un giovane indagato veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti e, soprattutto, per partecipazione a un’associazione criminale dedita al narcotraffico. Secondo le indagini, l’indagato era un membro attivo di una ‘piazza di spaccio’ a Catania, gestita e rifornita da una nota famiglia mafiosa. Il suo ruolo non era marginale: agiva come spacciatore, cassiere e rifornitore delle scorte, operando secondo turni prestabiliti all’interno di un’organizzazione strutturata.

Contro l’ordinanza del Tribunale della Libertà che confermava il carcere, la difesa proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che non vi fossero prove sufficienti del suo stabile inserimento nell’associazione.

Le doglianze del ricorrente

La difesa basava il ricorso su tre motivi principali:
1. Mancanza di prova sull’associazione: Si sosteneva che la partecipazione al sodalizio fosse stata dedotta automaticamente dalla sola attività di spaccio, senza elementi concreti che dimostrassero una vera e propria adesione al gruppo criminale. L’indagato sarebbe stato un semplice spacciatore, privo di potere decisionale.
2. Violazione delle norme sulle misure cautelari: Secondo la difesa, il Tribunale non aveva motivato autonomamente la sussistenza delle esigenze cautelari, basandosi unicamente sulla presunzione di legge prevista per questo tipo di reato.
3. Scelta sproporzionata della misura: Si contestava la mancata valutazione di misure meno gravi del carcere, tenuto conto che l’indagato era incensurato e che gli altri presunti membri del gruppo erano stati tutti arrestati.

La valutazione dell’associazione per delinquere secondo la Cassazione

La Corte ha respinto il primo motivo, definendolo generico. Ha ricordato che per configurare un’associazione per delinquere non è necessario un patto esplicito tra i membri. La prova del vincolo associativo può essere desunta dalle modalità esecutive dei reati, dalla loro ripetitività, dalla ripartizione di compiti e ruoli e dalla stabilità dei rapporti.

Nel caso specifico, l’inserimento dell’indagato era tutt’altro che occasionale. Elementi come:
* La cooperazione costante con altri membri;
* Lo svolgimento dell’attività secondo turni programmati;
* L’utilizzo di risorse comuni, come ricetrasmittenti sintonizzate su un canale condiviso per comunicare con le vedette;
* L’arresto in flagranza con droga, denaro, un bilancino di precisione e gli apparati radio.

…dimostravano pienamente il suo ruolo funzionale e stabile all’interno del sistema operativo del gruppo. La mancanza di un ruolo apicale o decisionale, ha sottolineato la Corte, è del tutto irrilevante ai fini della configurabilità della partecipazione.

La ‘doppia presunzione’ di pericolosità e la scelta della misura

Anche i motivi relativi alle esigenze cautelari sono stati dichiarati inammissibili. La Cassazione ha chiarito la portata dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per reati di eccezionale gravità, come l’associazione mafiosa o finalizzata al narcotraffico, la legge introduce una doppia presunzione relativa:
1. Si presume che esistano le esigenze cautelari (in particolare, il pericolo di reiterazione del reato).
2. Si presume che solo la custodia in carcere sia la misura adeguata a fronteggiare tale pericolo.

Questa presunzione non è assoluta, ma ‘relativa’: può essere superata, ma spetta all’indagato fornire elementi specifici e concreti che dimostrino l’assenza di tali esigenze o la possibilità di soddisfarle con misure meno afflittive. Nel caso di specie, l’incensuratezza formale e l’arresto degli altri membri sono stati giudicati insufficienti a vincere tale presunzione, data la gravità dei fatti, il contesto di criminalità mafiosa armata e la dimostrata capacità dell’organizzazione di sostituire immediatamente uomini e mezzi.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri giuridici. In primo luogo, ha stabilito che la partecipazione a un’associazione criminale può essere provata non solo tramite un accordo formale, ma anche attraverso comportamenti concludenti. La condotta continuativa, organizzata e funzionale agli scopi del gruppo, come quella tenuta dall’indagato, manifesta la volontà di fare parte dell’organizzazione stessa, rendendo implausibile la tesi di un coinvolgimento meramente occasionale. In secondo luogo, la Corte ha riaffermato la forza della presunzione legale di pericolosità prevista dall’articolo 275, comma 3, c.p.p. per i reati di criminalità organizzata. Questa norma speciale prevale sulle disposizioni generali e impone all’indagato l’onere di fornire una ‘prova contraria’ particolarmente robusta per evitare la custodia in carcere. Gli elementi addotti dalla difesa sono stati ritenuti inidonei a scalfire la gravità del quadro indiziario e la persistente operatività del sodalizio, che rendeva concreto e attuale il pericolo di recidiva.

le conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito: di fronte ad accuse di partecipazione ad un’associazione per delinquere, la strategia difensiva non può limitarsi a contestazioni generiche. È necessario fornire elementi specifici e fattuali in grado di superare la forte presunzione di pericolosità che la legge collega a questi reati. La semplice assenza di precedenti penali o l’arresto di altri complici non basta. La decisione evidenzia come il sistema giudiziario adotti una linea di particolare rigore per contrastare la criminalità organizzata, considerando la custodia cautelare in carcere come lo strumento prioritario per neutralizzare la minaccia sociale che tali gruppi rappresentano, anche durante la fase delle indagini.

La semplice attività di spaccio continuato è sufficiente per essere considerati parte di un’associazione per delinquere?
Sì, secondo la Corte, quando la condotta è inserita in modo stabile e continuativo in un sistema operativo di gruppo, con ruoli definiti (spacciatore, cassiere), turni programmati e strumenti comuni (come ricetrasmittenti), può essere un chiaro indicatore di partecipazione all’associazione, anche senza un ruolo di comando.

Per i reati di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio, la custodia in carcere è automatica?
Non è automatica, ma esiste una ‘doppia presunzione relativa’. La legge presume sia la sussistenza delle esigenze cautelari (il pericolo di reiterazione del reato) sia l’adeguatezza della sola custodia in carcere. Spetta all’indagato fornire prove specifiche e concrete per dimostrare il contrario.

L’assenza di precedenti penali è sufficiente per evitare il carcere in questi casi?
No. La sentenza chiarisce che la formale incensuratezza (assenza di precedenti) non è, da sola, un elemento sufficiente a superare la presunzione di pericolosità, specialmente in un contesto di criminalità organizzata, radicata e persistente, dove i membri arrestati vengono immediatamente sostituiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati