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Associazione per delinquere: la conferma della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per diversi imputati per associazione per delinquere finalizzata all’usura e all’estorsione. La sentenza chiarisce che per configurare tale reato è sufficiente un’organizzazione anche rudimentale, purché stabile. È stata inoltre confermata l’aggravante del metodo mafioso, basata sulla forza intimidatrice derivante dalla fama criminale del capo del sodalizio e dalle modalità delle minacce, senza che sia necessaria l’appartenenza a un clan mafioso strutturato.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: basta una struttura semplice se il patto è stabile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce i principi fondamentali per la configurazione del reato di associazione per delinquere, specificando che non è necessaria un’organizzazione complessa o gerarchica, ma è sufficiente un nucleo stabile con un programma criminale condiviso. Il caso in esame ha riguardato un sodalizio familiare dedito a usura ed estorsione, aggravato dall’uso del metodo mafioso.

I Fatti del Processo

Le indagini hanno preso avvio da un omicidio avvenuto in un contesto di criminalità organizzata. Sebbene gli autori del delitto non siano stati individuati, le attività investigative hanno fatto luce su un gruppo criminale distinto, guidato da un soggetto con legami familiari in noti ambienti malavitosi. Questo gruppo, che includeva la madre del capo e altri uomini di fiducia, era specializzato in prestiti a tassi usurari e nel recupero dei crediti attraverso minacce ed estorsioni.

La Corte d’Appello aveva già confermato la responsabilità penale degli imputati, riconoscendo l’esistenza di un’associazione per delinquere e, per alcuni reati, l’aggravante del metodo mafioso. Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza stessa del vincolo associativo, la loro partecipazione individuale, la valutazione delle prove e l’applicazione dell’aggravante mafiosa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i ricorsi, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto che i motivi di ricorso non mirassero a contestare vizi di legge, ma a proporre una rilettura dei fatti già adeguatamente valutati nei precedenti gradi di giudizio, un’operazione non consentita in sede di Cassazione.

Le Motivazioni: Requisiti dell’Associazione per Delinquere e Metodo Mafioso

La sentenza offre spunti di riflessione cruciali su due aspetti del diritto penale:

La Struttura dell’Associazione per Delinquere

La difesa sosteneva che mancassero gli elementi costitutivi del reato associativo, come una struttura organizzata e un vero e proprio patto sociale (affectio societatis). La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che per l’associazione per delinquere è sufficiente un’organizzazione anche rudimentale. Nel caso specifico, la stabilità del gruppo era dimostrata dalla costanza dei contatti tra i membri, dalla chiara divisione dei ruoli (un capo, una confidente e mediatrice, e degli esecutori), e dalla disponibilità di mezzi funzionali allo scopo (denaro, basi logistiche come un caseificio e un ufficio, e numerosi telefoni cellulari). La Corte ha sottolineato che la reiterazione di condotte criminose uniformi e pianificate dimostra l’esistenza di un programma criminale stabile, che va oltre la semplice commissione occasionale di reati in concorso.

L’Aggravante del Metodo Mafioso

Un altro punto centrale era la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.). Gli imputati sostenevano che non vi fosse prova di un collegamento con un clan mafioso operativo. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’aggravante non richiede l’appartenenza a un’associazione mafiosa, ma l’utilizzo di modalità che evochino la forza intimidatrice tipica di tali organizzazioni. Nel caso di specie, sono stati ritenuti decisivi diversi elementi: la nota fama criminale del capo del sodalizio, già condannato per reati aggravati, la sua parentela con una figura di spicco della malavita locale, e le specifiche minacce rivolte alle vittime (come quella di incendiare la casa o di presentarsi in forze presso le loro proprietà). Queste condotte erano idonee a generare un clima di assoggettamento e omertà, integrando pienamente l’aggravante contestata.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il reato di associazione per delinquere può sussistere anche in presenza di strutture criminali snelle e a conduzione familiare, purché vi sia un vincolo stabile e un programma condiviso. Inoltre, riafferma che il ‘metodo mafioso’ è una qualifica legata alla modalità dell’azione criminale e alla sua capacità intimidatoria, a prescindere dall’esistenza di un legame formale con le mafie storiche. Questa decisione rappresenta un importante monito sulla pervasività di modelli criminali che, pur senza la struttura di un clan, ne mutuano le più pericolose logiche di sopraffazione.

Quando si configura un’associazione per delinquere anche in assenza di una struttura complessa?
Secondo la sentenza, si configura quando esiste un vincolo stabile tra i membri, una ripartizione dei compiti (anche se elementare) e un programma criminale comune. Un’organizzazione rudimentale è sufficiente se questi elementi sono provati.

Cosa si intende per ‘metodo mafioso’ e quando si applica la relativa aggravante?
Il ‘metodo mafioso’ non richiede l’appartenenza a un’associazione mafiosa. L’aggravante si applica quando la condotta criminale utilizza una forza intimidatrice tale da generare un clima di assoggettamento e omertà, ad esempio sfruttando la fama criminale di un soggetto o ricorrendo a minacce particolarmente gravi che evocano il potere delle organizzazioni mafiose.

Le testimonianze per sentito dire (‘de relato’) sono valide in un processo?
Sì, la sentenza conferma che una testimonianza ‘de relato’ è utilizzabile quando il testimone riferisce circostanze apprese da persone determinate, anche se non formalmente identificate. Il divieto riguarda solo le voci correnti e indeterminate diffuse nel pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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