Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10452 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10452 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato il 28/09/1993
NOME nato il 27/05/1995
NOME nato il 25/09/1969
NOME nato il 06/08/1989
NOME COGNOME nato il 25/07/1976
NOME nato il 04/11/1981
COGNOME NOME nato il 07/02/1977
COGNOME nato il 10/03/1969
NOME COGNOME nato il 04/12/1983
avverso la sentenza del 19/12/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Preliminarmente si dà atto che è pervenuta in data odierna dichiarazione di
impossibilità a presenziare all’udienza da parte dell’avvocato COGNOME del foro di FIRENZE con richiesta di trattare comunque il ricorso nelle forme consuete.
Il Procuratore Generale conclude per l’annullamento senza rinvio limitatamente al capo 1) per intervenuta prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena da parte della Corte di Cassazione e rigetto nel resto relativamente alle posizioni di COGNOME e NOME COGNOME annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione per le posizioni di COGNOME e COGNOME annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione per il capo 1) e per il reato tentato di cui al capo 12) e rigetto nel resto per la posizione di NOME COGNOME
udito il difensore
E presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di FIRENZE in difesa di NOME COGNOME il quale si associa alle conclusioni del Procuratore Generale per quanto riguarda la richiesta di prescrizione; chiede l’accoglimento dei motivi di ricorso e si riporta alla memoria depositata per il resto.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di TREVISO in difesa di NOME COGNOME il quale insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso in particolare per i punti 1) 2) e 3); in subordine si associa alle richieste del Procuratore Generale.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 dicembre 2022 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 7 aprile 2016 del Tribunale di Firenze, in composizione collegiale: A) ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato di cui al capo 8), in quanto estinto per intervenuta prescrizione; B) conseguentemente, ha rideterminato la pena in anni 5 e mesi 4 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per NOME COGNOME, ed in anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa per NOME COGNOME
La Corte territoriale, per quanto di interesse, ha invece integralmente confermato la sentenza appellata relativamente alle posizioni di Genc COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME a mezzo del loro difensore (avv. NOME COGNOME, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge penale sostanziale, in quanto la Corte di appello non ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato associativo (capo 1), la cui permanenza deve ritenersi interrotta al più tardi nell’ottobre 2014 (p. 51 sentenza appellata); sicché, il termine di anni 7 e mesi 6 doveva ritenersi interamente decorso prima del 19 dicembre 2022 allorquando fu pronunciata la sentenza ricorsa.
A non diverse conclusioni si perviene anche a voler ritenere la permanenza del reato associativo interrotta con la sentenza di primo grado, nella specie pronunciata, a carico dei compartecipi che optarono per un rito alternativo, in data 14 maggio 2015.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, in relazione all’art. 416 cod. pen., di cui si censura una interpretazione estensiva, tale da ricomprendere anche le condotte poste in essere da chiunque abbia semplici contatti con soggetti implicati in vicende delittuose.
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione (poiché omessa), e violazione della legge penale sostanziale, in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale ha illegittimamente ignorato le loro condizioni personali, tra cui l’ottima biografia penale.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore (avv. NOME COGNOME detto COGNOME lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
3.1. Con un unico motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e processuale, nonché vizio della motivazione (poiché illogica incongrua ed apparente: p. 1 ricorso).
Con riguardo ad entrambe i reati (capi 1 e 7), il ricorrente osserva come già in fase cautelare l’elemento rappresentato dal rinvenimento del passaporto nella vettura in uso ai correi (e con la quale fu commessa la resistenza contestata al capo 8) fu ritenuto inidoneo a sostenere l’addebito, mancando la prescritta gravità indiziaria.
Indimostrato il suo coinvolgimento nel furto commesso nella vicina Pistoia (come già rilevato in fase cautelare), la Corte di appello avrebbe dovuto considerare: a) che nei confronti del ricorrente non vi fu attività di intercettazione; b) che il suo nome non fu rinvenuto nella rubrica telefonica smarrita dagli autori del furto consumato in Fiesole (capo 15); c) che il ricorrente non era tra coloro i quali si diedero alla fuga verso la Francia dopo lo speronamento del 31 ottobre 2013 (capo 8).
Sulla scorta di tali considerazioni il ricorrente lamenta quindi la violazione della regola di valutazione di cui all’art. 192 cod. proc. pen., in ragione dell’unico elemento indiziario raccolto nei suoi confronti (ovvero il riferimento del suo passaporto a bordo della Fiat Punto), e del carattere congetturale degli ulteriori argomenti utilizzati per corroborare la prova indiziaria (fuga all’estero; coinvolgimento nel furto commesso in Pistoia).
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore (avv. NOME COGNOME lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
4.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale, in quanto la Corte d’appello non ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato associativo: il motivo è comune a quello, di analogo tenore, proposto dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, ed NOME COGNOME.
4.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, in relazione all’art. 416 cod. pen., di cui si censura una interpretazione non conforme a diritto.
Le risultanze probatorie, infatti, testimoniano al più il concorso in una serie di furti in appartamento; concorso che giustifica sia i contatti tra i vari soggetti sia la loro simultanea presenza nelle autovetture di volta in volta utilizzate.
Si osserva, inoltre, che la professionalità dimostrata nella realizzazione dei furti non può ritenersi indicativa dell’esistenza del pactum sceleris, né della consapevolezza del ricorrente di contribuire all’attuazione del programma delittuoso.
4.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione della legge processuale e vizio della motivazione (poiché mancante) con riguardo ai c.d. reati fine dell’associazione per delinquere (furti di cui ai capi 3, 4, 5, 6 e 7; ricettazione di cui al capo 2 resistenza al pubblico ufficiale di cui al capo 8).
Quanto ai furti, si deduce l’inidoneità delle celle telefoniche analizzate dagli investigatori al fine di localizzare con esattezza la posizione del ricorrente.
Così come non vi è certezza in ordine ai reali occupanti delle autovetture in cui vennero intercettate le conversazioni utilizzate dai giudici di merito.
Anche il riconoscimento effettuato dalla polizia giudiziaria deve essere ritenuto del tutto inattendibile poiché eseguito di notte ed in condizioni precarie; considerazione, questa, che esclude il coinvolgimento del ricorrente nella ricettazione di cui al capo 2.
Si evidenzia, infine, che neppure gli accadimenti di cui al capo 8 hanno consentito di identificare il ricorrente in uno degli occupanti dell’autovettura con cui fu commessa la resistenza a pubblico ufficiale.
4.4. Con il quarto motivo lamenta vizio della motivazione (poiché mancante), e violazione della legge penale sostanziale, in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Anche in questo caso, il motivo è sviluppato con argomenti analoghi a quelli proposti dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME (omessa analisi delle condizioni personali dell’imputato).
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore (avv. NOME COGNOME lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
5.1. Con il primo motivo deduce vizio della motivazione (poiché contraddittoria e manifestamente illogica) con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 12.
Osserva il ricorrente che il riconoscimento effettuato dal teste di polizia giudiziaria risulta in aperto contrasto con il contenuto dell’annotazione di servizio del 26 novembre 2023, nel cui corpo non è inserita la descrizione dei soggetti visti a bordo della Fiat Punto, ma solo un riferimento alla presenza di due persone, i cui tratti somatici erano riconducibili a soggetti di nazionalità albanese.
Risulta viziato anche l’ulteriore passaggio della motivazione in cui si afferma che il ricorrente si era posto alla guida della Fiat Punto in altre occasioni: in realtà la
circostanza fu accertata soltanto nel corso del servizio di osservazione del 13 dicembre 2013.
5.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, in quanto la Corte d’appello non ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato associativo, la cui permanenza deve ritenersi interrotta al più tardi il giorno 19 novembre 2014, allorquando vi fu l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare.
Del resto, nel corso del dibattimento il pubblico ministero, pur essendone onerato, non ha offerto la prova del protrarsi della permanenza fino alla data della sentenza di primo grado.
5.3. NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone infine motivi nuovi, sviluppando la doglianza relativa alla intervenuta prescrizione del reato associativo, e segnalando inoltre che ad analoghe conclusioni si deve giungere per il tentato furto di cui al capo 12 della imputazione.
Infine, propone ricorso per cassazione anche NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore (avv. NOME COGNOME lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
6.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione (poiché illogica) sia con riferimento all’esistenza stessa dell’associazione per delinquere, sia con riferimento alla ritenuta condotta partecipativa della ricorrente.
Quanto alla sussistenza del reato associativo la ricorrente, dopo ampi riferimenti giurisprudenziali, sottolinea come gli argomenti utilizzati in sentenza (ambito territoriale di operatività; ripetuti contatti tra gli imputati; relazion parentela; esistenza di luoghi di incontro) siano tali da poter sostenere la diversa ipotesi nel concorso di persone nei singoli reati, eventualmente in continuazione.
Si deduce che non sono emersi indici certi dell’esistenza di una struttura organizzativa, ed anzi altri elementi di prova depongono in senso contrario (mancanza di disponibilità economica da parte del gruppo; ristretto segmento temporale di operatività; assenza di sistemi di comunicazione segreti o comunque caratterizzati dall’uso di un linguaggio convenzionale).
Allo stesso modo, l’esistenza di attriti tra gli imputati si pone in aperto contrasto con l’affectio societatis che deve caratterizzare i rapporti tra gli associati.
Quanto, invece, al profilo partecipativo tratteggiato dalla Corte di appello, si osserva che la ricorrente era arrivata in Italia solo nel dicembre 2013, allorquando il marito era già detenuto; non sono invece emersi elementi da cui trarre il convincimento che ella condividesse il programma associativo, e ciò in coerenza con il mancato coinvolgimento in alcuno dei cd. reati – fine.
Così come i giudici di merito non hanno individuato elementi di prova idonei a dimostrare l’organico inserimento nella struttura associativa e la rilevanza causale della condotta in ipotesi tenuta rispetto all’attuazione del programma delittuoso.
6.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio della motivazione per effetto di un travisamento probatorio da parte di entrambe le conformi sentenze di merito.
Osserva la ricorrente che la denunciata contraddittorietà processuale è consistita nella mancata valutazione, da parte della Corte d’appello di Firenze (così come del Tribunale), delle intercettazioni richiamate nell’atto di gravame in cui ella prendeva le distanze dai reati commessi dal marito.
6.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione della legge processuale penale e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale valutato le prove in violazione delle regole di cui all’art. 192 cod. proc. pen..
Osserva il ricorrente come la Corte territoriale abbia del tutto pretermesso di dar conto dei criteri di valutazione adoperati; ciò era tanto più necessario ove si consideri che un esame complessivo delle conversazioni intercettate pone in luce la presa di distanza della ricorrente dai reati fine commessi dal marito.
6.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione, con riguardo alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen..
Nell’esaminare il motivo di appello la Corte di merito non ha valutato (come avrebbe dovuto) l’entità dell’apporto causale offerto dalla ricorrente, esaurendo piuttosto lo sforzo motivazionale nell’erroneo riferimento alla gravità delle condotte.
6.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione della legge penale e vizio di motivazione (poiché omessa) in quanto né il Tribunale né la Corte d’appello hanno indicato le ragioni per le quali doveva essere disattesa la richiesta di concessione delle attenuanti generiche.
Richiesta motivata in relazione alla buona biografia penale e dal ruolo marginale assunto dalla ricorrente nell’intera vicenda.
6.6. Con il sesto motivo si lamenta violazione della legge penale e vizio di motivazione (poiché omessa), in quanto la Corte di appello ha immotivatamente disatteso anche la richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Beneficio che invece avrebbe dovuto essere concesso avuto riguardo non solo alla buona biografia penale ed al ruolo marginale assunto della vicenda, ma anche con riguardo alla decisa critica delle condotte tenute dal marito.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale, e le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. Allo scrutinio dei motivi è utile premettere che, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, a partire dall’ottobre 2013 era emerso un evidente incremento dei furti in abitazione commessi in Scandicci, con modalità tra loro similari: si trattava infatti di furti commessi tra le ore 17:00 e le ore 20:00, in genere da tre persone le quali forzavano gli infissi ed entravano nelle abitazioni per appropriarsi di beni di valore facilmente rivendibili (preziosi, orologi); inoltre si impossessavano delle autovetture dei proprietari delle abitazioni, al fine di poterle utilizzare nelle successive azioni predatorie.
Altra ulteriore ricorrenza era rappresentata dal fatto che alcune delle auto rubate furono custodite in zone limitrofe a INDIRIZZO nei cui pressi dimoravano alcuni degli odierni ricorrenti.
Nel protocollo operativo si registrava un’ulteriore particolarità: consumate le azioni predatorie, le auto rubate venivano lasciate in luoghi facilmente accessibili ai sodali, i quali invece vi si allontanavano attraverso delle auto “pulite”, ovvero una Fiat Punto rossa (questa acquistata con l’ausilio di NOME COGNOME) ed una Fiat Punto grigia.
Dall’analisi di tali indicatori, e dal rinvenimento di alcune delle vetture rubate (poi munite di localizzatore g.p.s.) era possibile individuare i furti commessi con l’ausilio di tali vetture (alcuni solo tentati), e quindi identificarne degli utilizzatori
Tra questi, alcuni correi venivano arrestati in flagranza; altri – tra cui NOME COGNOME e NOME COGNOME – sfuggivano alla cattura, dandosi alla fuga, per poi portarsi in Francia.
Proprio dall’estero continuavano a fornire direttive al gruppo, anche in relazione alle iniziative da assumere per recuperare i documenti che erano stati sequestrati dalla polizia giudiziaria, poiché rinvenuti a bordo di una delle auto “pulite”.
A bordo di una delle vetture rubate, la Bmw X5, era stata invece rinvenuto e sequestrato il telefono in uso ad NOME COGNOME
Dall’analisi del traffico telefonico, e della conseguente attività di intercettazione, era stato poi possibile individuare la nuova base operativa del sodalizio in una abitazione di INDIRIZZO
Il sodalizio la cui esistenza si è ritenuto di poter affermare sulla scorta di una serie di indicatori fattuali, tra loro convergenti: l’adozione di un consolidato modus operandi; l’unicità del contesto relazionale e di frequentazioni; la disponibilità di luoghi dove riparare e custodire la refurtiva; l’individuazione di soggetti deputati a rivendere presso i compro oro gli oggetti preziosi trafugati.
Era emerso, inoltre, l’interesse del gruppo, anche dopo la fuga all’estero di Petoku, per la gestione della cassa comune, utilizzata per affrontare le spese legali nascenti dell’intervento repressivo.
1.2. Va pure osservato, sempre in premessa, che la sentenza impugnata in relazione alla ricostruzione dei fatti ed alla affermazione di responsabilità costituisce una cd. doppia conforme della decisione di primo grado.
Pertanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa del sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze (Sez. 4, n. 26800 del 26/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, COGNOME, Rv. 216906 – 01).
1.3. Questione comune a più ricorrenti riguarda, inoltre, l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel non rilevare la prescrizione del reato contestato al capo 1.
Va intanto rilevato che, secondo un consolidato orientamento di legittimità, cui questo Collegio intende aderire, la prescrizione è un evento giuridico e non un mero fatto naturale, in quanto implicante la risoluzione di plurime questioni di diritto e di fatto, onde il suo accertamento non è frutto del mero computo aritmetico del relativo termine sul calendario.
Era onere dei ricorrenti, quindi, fornire una compiuta rappresentazione della sequela procedimentale, onde dimostrare l’intervenuta maturazione del termine di legge (Sez. 2, n. 35791 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 277495 – 01; Sez. 1, n. 12595 del 13/03/2015, COGNOME, Rv. 263206 – 01; conf., in relazione al ricorso straordinario, Sez. 5, n. 12093 del 20/01/2021, F., Rv. 280735 – 01).
Inoltre, avuto riguardo alla data di commissione del fatto, che può essere indicata al 1 ottobre 2014 (p. 51 sentenza del Tribunale) il termine massimo di prescrizione previsto dall’art. 157, comma 1, cod. pen., aumentato di un quarto ai sensi degli artt. 160, comma 3, e 161 cod. pen., deve ritenersi, per il partecipe, di sette anni e sei mesi.
Il termine, cui vanno aggiunti 311 giorni di sospensione (p. 20 sentenza ricorsa), risulta interamente decorso alla data del 6 febbraio 2023, quindi successivamente alla deliberazione della sentenza di appello.
I ricorsi proposti da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME sono inammissibili.
2.1. Del primo motivo, riguardante la prescrizione, si è già detto.
2.2. Il secondo motivo, riguardante l’affermazione di responsabilità per il reato associativo, è aspecifico.
La Corte di cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha da tempo evidenziato che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, le cui ragioni non possono essere ignorate da chi propone l’impugnazione.
Il motivo, quindi, è assistito dalla necessaria specificità quando risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o d diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui tali ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
L’impugnazione deve, in altri termini, esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto.
Nella specie, pur non avendo concorso nella commissione dei c.d. reati – fine, i coniugi COGNOME, i coniugi COGNOME e NOME COGNOME, oltre ad essere parte del sistema di relazioni emerso dalle investigazioni, hanno fornito il loro apporto sotto il profilo logistico (custodia della refurtiva e successiva immissione in commercio; sorveglianza delle auto rubate).
Inoltre, sono risultati impegnati nel sostegno fornito agli associati al momento della loro fuga all’estero.
Infine, NOME COGNOME ha offerto il suo contributo acquistando guanti ed attrezzi utilizzati dal gruppo, nonché la Fiat Punto di colore rosso (tg. CM060WM), ovvero l’autovettura “pulita” stabilmente destinata all’attuazione del programma delittuoso (cfr., sentenza del Tribunale, pp. 10, 11 e 53).
A fronte di ciò, i ricorrenti lamentano, puramente e semplicemente una interpretazione estensiva della fattispecie associativa, tale da condurre ad affermare l’intraneità al sodalizio in ragione di semplici contatti.
Pertanto, il motivo è venuto meno anche al dovere di confronto con le ragioni della sentenza impugnata (pp. 22 e ss.), e della conforme sentenza del Tribunale (pp. 51 e ss.).
2.3. Anche il terzo motivo, riguardante le attenuanti generiche, è aspecifico, e reiterativo di analoga censura già motivatamente disattesa dalla Corte d’appello (p. 25, par. 9), secondo la quale la gravità dei fatti ed il concreto contributo offerto al
sodalizio non consentono di mitigare la risposta sanzionatoria, pur a fronte della buona biografia penale, su cui solo si soffermano i ricorrenti.
Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 – 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conformi, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 01).
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., che attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici, gl elementi che possono condurre ad attenuare la pena, non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.
Ne consegue che anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione può legittimamente fondare il diniego.
3. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
3.1. Sono inammissibili le doglianze con cui si deduce la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. (pp. 1, 5 e 6 del ricorso), per censurare l’erronea o comunque inadeguata applicazione dei criteri di valutazione delle prove, anche di natura indiziaria (art. 192, comma 2, cod. proc. pen.): queste non hanno ad oggetto il vizio di “violazione di legge” né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.
Violazione che, pertanto, può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04; Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, Romeo Gestioni, dep. 2020, Rv. 278196- 02; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, deo.
15/09/2017, COGNOME Rv. 271294; Sez. 4, 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 02).
Nella specie il ricorrente, alla valutazione della prova compiuta dai giudici di merito, oppone innanzitutto, puramente e semplicemente, quella diversa operata in sede cautelare, senza specificare in che termini tutto ciò possa tradursi in uno dei vizi della motivazione denunciabili in sede di legittimità, che peraltro debbono emergere dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).
Ancora, lamenta il ricorrente che dalla semplice dimenticanza del passaporto nella Fiat Punto risultata in uso all’associazione, è stato erroneamente tratto un indizio (unico) sia del concorso nel furto di cui al capo 7, sia della partecipazione al sodalizio di cui al capo 1.
Sotto questo profilo, il motivo, oltre a sollecitare una non consentita rilettura degli elementi di prova, risulta anche aspecifico, poiché omette di confrontarsi con la più ampia motivazione offerta dalle conformi sentenze di merito.
Più in particolare, i giudici territoriali hanno valorizzato diversi dati cert apprezzandone l’attitudine dimostrativa, di rango indiziario, alla luce del più ampio contesto probatorio.
Il passaporto del ricorrente, infatti, fu rinvenuto nella vettura che, secondo il consolidato modus operandi dell’associazione, era destinata a consentire ai correi di allontanarsi subito dopo la commissione dei furti.
Documento rinvenuto, inoltre insieme a quelli di NOME COGNOMEesponente di vertice del sodalizio) e NOME COGNOME (a cui carico si procede separatamente).
Che quella fosse la ragione del rinvenimento i giudici territoriali lo hanno desunto dal fatto che una vettura rubata pochi giorni prima (BMW TARGA_VEICOLO, tg. TARGA_VEICOLO), con a bordo tre uomini, dopo aver commesso i furti di cui il capo 7 fece ritorno in Firenze alla INDIRIZZO e ciò proprio perché gli occupanti dovevano occultare la refurtiva e ripartire con la vettura “pulita” dove erano stati lasciati documenti.
Al ritorno in Firenze la polizia giudiziaria intimò l’alt alla vettura, identificand peraltro alla guida NOME COGNOME (qui apparteneva uno dei documenti rinvenuti); quindi i correi si diedero alla fuga speronando le auto in sosta e commettendo 11 reato di resistenza di cui al capo 8.
L’auto fu abbandonata, ed i 3 riuscirono a dileguarsi a piedi; la polizia giudiziaria, invece, rinvenne quanto sottratto per effetto delle azioni predatorie descritte al capo 7, un telefono cellulare riferibile ad NOME COGNOME (cui, come visto, apparteneva uno dei documenti custoditi nella Fiat Punto) oltre a guanti e cacciavite, strumenti solitamente usati dai correi.
Successivamente, NOME COGNOME prelevò NOME e COGNOME con una Ford Fiesta (poco prima rubata) portandoli al sicuro (pp. 23 e ss. sentenza del Tribunale), ed in particolare presso l’abitazione di INDIRIZZO risultata in uso ai sodali.
Fu proprio quella Ford Fiesta che, sempre con a bordo 3 persone, venne impiegata nei giorni successivi – a partire dal 1 novembre – per commettere dei furti in Montale (PT).
Questo fino a quando, per effetto delle attività tecniche e di pedinarnento, il giorno 8 novembre la vettura, con a bordo quattro persone, fu localizzata, nel corso di un servizio di perlustrazione: anche in questo caso la vettura, inseguita dai carabinieri, speronò l’auto di servizio, e gli occupanti ancora una volta si diedero alla fuga a piedi. Nel frangente il comandante che era alla guida della vettura, m.ilo COGNOME, ebbe modo di vedere in volto i correi e quindi, acquisiti i documenti che erano stati abbandonati nella Fiat Punto, di riconoscere sia NOME COGNOME che NOME COGNOME a dimostrazione del loro concorso nelle vicende predatorie.
Ancora, l’identificazione del COGNOME si fonda su ulteriori elementi di fatto, certi nella loro storicità, che i giudici di merito hanno ritenuto coerenti con il resto delle evidenze disponibili.
Fu infatti accertato che il ricorrente era tra i frequentatori della casa in INDIRIZZO (usata come riparo dopo gli arresti del 31 ottobre), risultata in uso ai correi (p. 29 sentenza del Tribunale).
Inoltre, dall’analisi di una serie di conversazioni era emerso che il COGNOME insieme a due correi era fuggito in Francia, dal dicembre 2013, e che dall’estero, con l’aiuto di altri sodali, dava indicazioni per il recupero dei documenti rinvenuti nella Fiat Punto, tra cui appunto quello di NOME COGNOME in effetti i 3, giunti poi in Albania, nominarono un difensore per ottenere la restituzione di quanto sequestrato (pp. 40 e ss. sentenza del Tribunale).
Per concludere, sempre dall’analisi di una serie di conversazioni intercettate era emersa la partecipazione del ricorrente alla cassa comune, alimentata con i proventi delle attività delittuose (p. 49 sentenza del Tribunale).
Sembra dunque evidente al Collegio che il ricorso è venuto meno all’onere di specifico confronto con la motivazione complessivamente desumibile dalle conformi decisioni di merito.
3.2. Il motivo è inammissibile anche nella parte (p. 1) in cui lamenta violazione della legge penale sostanziale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., peraltro in relazione agli artt. 187 e 192 cod. proc. pen..
La giurisprudenza, infatti, è ormai consolidata nel ritenere che il vizio di cui alla lettera b) riguarda le sole disposizioni di diritto sostanziale e non anche quelle di natura processuale (da ultimo, Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196 – 02).
Né, come anticipato, l’ipotizzata inosservanza delle norme richiamate è sanzionata con la nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (cfr., Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294 – 01).
In questo senso, il motivo è anche proposto al di fuori dei casi consentiti.
NOME COGNOME propone motivi di ricorso che non superano il vaglio di ammissibilità.
4.1. Del primo motivo, riguardante la prescrizione, si è già detto; va qui solo aggiunto che essendo stato riconosciuto al Petoku il ruolo di cui al comma 1 dell’art. 416 cod. pen., il termine massimo è di anni 8 e mesi 9; termine che, anche per effetto dei periodi di sospensione, deve ritenersi decorso alla data del 7 maggio 2024.
4.2. Quanto alle ulteriori doglianze, iniziando dalla fattispecie associativa, il motivo di ricorso (n. 2), con cui si prospetta un error in iudicando e la mancanza della motivazione, è aspecifico, poiché reiterativo di analoga (generica) censura già motivatamente disattesa dai giudici territoriali (pp. 22 e 23 sentenza ricorsa).
Più in particolare, il ricorrente lamenta l’insussistenza dell’associazione per delinquere, essendo al limite emersa la prova del concorso nei singoli reati di furto, quantunque commessi con professionalità.
Occorre premettere che, per potersi ritenere sussistente un’associazione per delinquere, è necessario un accordo, tra più persone, di carattere generale e continuativo, per l’attuazione di un programma delinquenziale, affidato ad una stabile organizzazione, con predisposizione, da parte del sodalizio, di attività e di mezzi.
Pertanto, il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato, deve incentrarsi essenzialmente nel carattere dell’accordo criminoso, che, nelle seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati (eventualmente ispirati da un medesimo disegno criminoso, che, tutti, comprenda e preveda), con la realizzazione dei quali, si esaurisce l’accordo dei correi – con cessazione di ogni motivo di pericolo di allarme sociale – mentre nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, che, come detto, non è richiesta per la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, COGNOME, Rv. 284724 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Debbiche, Rv. 258009 – 01).
Se da un lato la stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso possono (in astratto) essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, dall’altro è necessario che, nel loro divenire, siano
evocativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi.
Può perciò dirsi, in sintesi, che, diversamente dal fenomeno associativo, nel concorso di persone nel reato continuato l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno (così, Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 260292 – 01).
Sicché, l’associazione, a differenza del concorso, rappresenta essa stessa una struttura idonea a costituire un supporto stabile all’attività criminale, per la permanenza del vincolo, per la stessa consapevolezza, da parte degli associati, dell’insensibilità del vincolo associativo rispetto ai singoli reati (c.d. affectio societatis scelerum), ideati successivamente alla formazione del sodalizio.
Il ricorrente non solo non si confronta con tali consolidati principi, ma nemmeno con la motivazione posta a fondamento della affermazione di responsabilità.
I giudici di merito, assegnando al COGNOME posizione apicale nel sodalizio, hanno ritenuto accertata la disponibilità di mezzi e di basi logistiche per l’esecuzione delle azioni delittuose, la suddivisione dei compiti tra gli associati, nonché l’adozione di un collaudato modus operandi.
L’associazione era in grado di procurarsi i mezzi necessari a compiere le singole azioni delittuose (ad es., appropriandosi delle vetture usate per le sortite predatorie), e poteva disporre di uomini e mezzi per custodire gli oggetti trafugati, nonché per monetizzarli.
Era dunque possibile individuare anche una distribuzione tra ruoli ben definiti.
Il sodalizio, infine, attraverso la gestione della cassa comune, era in grado di prestare assistenza agli associati, di sostenerne le spese legali, e di reclutare nuovi adepti tra i cittadini albanese che venivano in Italia, da ciò traendone indicatori della stabilità del vincolo associativo – anche a fronte degli intervenuti arresti e dell’indeterminatezza del programma criminoso.
Si tratta di una motivazione che fa corretta applicazione di risalenti insegnamenti giurisprudenziali, con cui il ricorrente omette ogni confronto.
4.3. Deve ritenersi parimenti inammissibile, in quanto aspecifico, anche il terzo motivo, relativo al concorso del ricorrente nei reati di cui ai capi 2, 3, 4, 5, 6, 7 ed 8.
Anche in questo caso il motivo propone censure già scrutinate dai giudici territoriali (cfr., p. 17 sentenza ricorsa, per la sintesi dei motivi).
Deve infatti ritenersi inammissibile il ricorso che si risolve nella reiterazione di motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte d’appello, dal momento che un ricorso strutturato in questi termini omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza impugnata.
Né è sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente
assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (ex plurimis, Sez. 3, n. 23929 del 25/02/2021, COGNOME non mass. sul punto; Sez. 2 n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01).
Contrariamente a guanto affermato in ricorso, le conformi decisioni di merito, infatti, hanno motivatamente tratto la prova del concorso del ricorrente nei furti in abitazione (capi 3, 4, 5, 6 e 7) non solo dalla localizzazione dell’utenza a lui in uso, ma anche da ulteriori elementi ovvero: a) la localizzazione satellitare della vettura usata dai correi; b) i risultati dei servizi di osservazione e pedinamento; c) il rinvenimento della patente internazionale del Petoku nella vettura “pulita” usata dai correi per allontanarsi dopo la consumazione delle azioni predatorie; d) il riconoscimento operato da un ufficiale di polizia giudiziaria, che ebbe modo di notare il COGNOME alla guida della Ford Fiesta di provenienza furtiva (capo 6); e) il ritrovamento, sulla BMW abbandonata in INDIRIZZO la notte del 31 ottobre, di impronte dattiloscopiche riferibili al COGNOME (p. 25 sentenza del Tribunale); f) l’analisi di una serie di conversazioni intercettate (in alcune delle quali il COGNOME, inteso “NOME“, è conversante diretto), da cui è stato possibile dedurre la fuga all’estero del ricorrente dopo i fatti del 31 ottobre 2013 e il successivo interessamento per la gestione della cassa comune, anche in relazione alle spese legali da sostenere.
Quanto alla ricettazione contestata al capo 2, il ricorrente lamenta genericamente l’insufficienza del riconoscimento effettuato dalla polizia giudiziaria, con ciò sollecitando una inammissibile rivalutazione della prova: in tal modo, omette ogni confronto con la ben più articolata motivazione dei giudici di merito, i quali hanno desunto la disponibilità della vettura di provenienza furtiva anche da ulteriori elementi, tra cui la localizzazione dell’utenza in uso al ricorrente (p. 13 sentenza di primo grado) e l’analisi di alcune conversazioni intercettate in ambientale, dimostrative della sua presenza nell’abitacolo (cfr., p. 18 sentenza ricorsa).
Infine, quanto alla condotta di resistenza di cui al capo 8, a fronte della pronuncia di estinzione per intervenuta prescrizione il ricorrente, che non vi ha rinunciato, avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità, dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua, la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato o di un illecito penale, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, M., Rv. 274200 – 01, con riguardo all’atto di appello ma con argomenti estensibili al ricorso per cassazione).
In ogni caso, l’argomento secondo cui all’atto dello speronamento fu identificato soltanto il conducente della vettura (NOME COGNOME non si confronta con il complesso compendio probatorio valutato dai giudici di merito per affermare la presenza a bordo anche del ricorrente, poc’anzi illustrato.
4.4. Anche il quarto motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo all’art. 62-bis cod. pen. è in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
Il ricorrente non solo denuncia, in maniera promiscua e perplessa, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione; ma nemmeno si confronta con quella effettivamente offerta dalla Corte territoriale (p. 25), che già aveva evidenziato l’assoluta genericità della doglianza, ed ancor prima dal Tribunale (pp. 55 e 56, in cui si sottolinea la gravità delle condotte tenute dal COGNOME, protagonista anche dello speronamento di cui al capo 8).
Vanno inoltre qui richiamate le considerazioni spese a proposito degli omologhi motivi presentati da altri ricorrenti, essendo sufficiente, per motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, che il giudice faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
Deve ritenersi inammissibile anche il ricorso proposto da NOME COGNOME.
5.1. Difetta di specificità, e quindi deve ritenersi inammissibile, il primo motivo, con cui si lamenta, quanto al reato di cui al capo 12, vizio della motivazione (poiché manifestamente illogica e frutto di travisamento).
Deduce il ricorrente che il riconoscimento compiuto la sera del 26 novembre 2013 sarebbe del tutto inattendibile, come reso evidente dal fatto che nell’annotazione di servizio (redatta il giorno successivo) non viene descritta alcuna caratteristica delle persone notate a bordo della vettura.
Inoltre, a dispetto di quanto indicato nella sentenza ricorsa, egli venne visto a bordo della Fiat Punto soltanto in data 13 dicembre 2013.
Osserva il Collegio che l’identificazione nel ricorrente di colui il quale si trovava alla guida della Fiat Punto grigia poggia su un ben più ampio compendio probatorio, analiticamente illustrato nelle conformi decisioni di merito, ed in alcun modo preso in considerazione nel ricorso.
Invero, sottoposto ad intercettazione alla luce dei contatti avuti con altri imputati, NOME COGNOME aveva innanzitutto la disponibilità dell’abitazione in INDIRIZZO, luogo di incontro e riparo degli affiliati, oltre che di custodia di parte dell refurtiva (p. 54 sentenza di primo grado).
Il giorno 26 novembre 2013 fu poi notato alla guida della Fiat Punto di colore grigio (tg. TARGA_VEICOLO), veicolo fittiziamente intestato a NOME COGNOME, usato dai correi quale mezzo “pulito” per darsi alla fuga dopo la consumazione degli atti predatori.
Poco prima, era sceso, con uno zaino nero, dalla vettura mod. Audi A6, utilizzata per commettere i furti di cui al capo 12; d’altra parte, proprio a bordo di quella vettura, la polizia giudiziaria rinveniva poi dei guanti, una torcia, un coltello ed i passaporto rubato ad una delle vittime.
Sicché, sembra al Collegio francamente irrilevante che nella annotazione di servizio non vi fu una compiuta descrizione delle fattezze del ricorrente, che in quel frangente, si noti, non era stato ancora identificato.
Ancora, che NOME COGNOME avesse la disponibilità della Fiat Punto di colore grigio lo si è inoltre ricavato: a) dall’analisi di alcune delle conversazioni intercettate nei giorni 11 e 14 dicembre 2013 (pp. 33 e 34 sentenza di primo grado); b) dal pedinamento del 13 dicembre 2013.
Infine, fu tratto in arresto il 20 dicembre 2013, allorquando usciva dall’abitazione in INDIRIZZO (e dunque in quella sede fu riconosciuto), dove aveva portato, nello zaino nero, la refurtiva; d’altra parte, nel trolley a lui riferibile s stati trovati oggetti di provenienza furtiva e telefoni (pp. 40 e 54 sentenza del Tribunale).
La motivazione offerta dai giudici di merito è quindi esente dai vizi (peraltro) promiscuamente denunciati: il ricorrente avrebbe infatti dovuto dimostrare l’esistenza, nella motivazione, di una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105 – 01; Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010, COGNOME, Rv. 247229 – 01).
D’altra parte, ed in relazione al vizio di contraddittorietà processuale (ipotizzato a p. 3 del ricorso), la difesa sostiene non esser stati considerati dalla Corte territoriale alcuni elementi, ma non chiarisce le ragioni della asserita decisività delle prove che si ritengono pretermesse o mal valutate; onere di allegazione, questo, ancor più necessario alla luce dell’illustrato, ampio, compendio probatorio.
5.2. Quanto al secondo motivo, riguardante la prescrizione del reato di cui al capo 1, si è già detto poco sopra; anche in questo caso, non si prendono in considerazione alcuna i periodi di sospensione pure indicati dalla Corte territoriale.
5.3. Con i motivi nuovi, infine, il ricorrente sottolinea l’intervenuta prescrizione anche del delitto di furto aggravato contestato al capo 12).
Anche in questo caso il termine, pari ad anni 8 e mesi 4 (trattandosi di un tentativo di furto aggravato), incrementato dei periodi di sospensione, è decorso alla data del 31 gennaio 2023, dovendosi considerare, quale data del commesso reato il 26 novembre 2013.
E’ inammissibile anche il ricorso proposto da NOME COGNOME.
6.1. Il primo motivo è inammissibile.
Quanto all’esistenza dell’associazione per delinquere, il motivo è aspecifico, per ragioni analoghe a quelle viste esaminando l’analoga doglianza proposta nell’interesse di NOME COGNOME (par. 4.2).
Posti i principi di diritto poco sopra ricordati, il ricorrente, richiamando altr elementi di prova ritenuti in contrasto con l’esistenza dell’associazione, omette il dovuto confronto con la specifica motivazione offerta dai giudici di merito (se non in termini meramente avversativi: ad es., p. 6 ricorso), non offrendo alcun contributo dialettico rispetto alle argomentazioni sviluppate quanto all’attitudine dimostrativa degli elementi di fatto richiamati a sostegno dell’affermazione di responsabilità (suddivisione dei ruoli; consolidato modus operandi; gestione della cassa comune anche in funzione delle spese legali; disponibilità di risorse condivise).
Il ricorso è parimenti generico nella parte in cui richiama, senza alcuna specificazione, il breve lasso temporale in cui l’associazione avrebbe operato, senza peraltro confrontarsi con il pacifico principio secondo cui ai fini della configurabilità del reato di partecipazione a un’associazione per delinquere comune o di tipo mafioso, non è necessario che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per una certa durata, ben potendo, al contrario, ravvisarsi il reato anche in una partecipazione di breve periodo (Sez. 5, n. 18756 del 08/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263698 – 01; conf., Sez. 1, n. 31845 del 18/03/2011, D., Rv. 250771 – 01; cfr., con riguardo all’affine fattispecie dell’associazione di stampo mafioso, Sez. 1, n. 5445 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278471 – 01).
Quanto, invece, al profilo associativo della COGNOME, i giudici di merito (p. 23 sentenza ricorsa; pp. 40 e ss. sentenza di primo grado), esaminando anche una serie di conversazioni intercettate, l’hanno desunto dal ruolo avuto nell’attuazione delle indicazioni provenienti dall’estero da parte del capo NOME COGNOME dal contributo nella gestione del denaro appartenente alla cassa comune, dal ruolo svolto nella custodia e rivendita dei preziosi trafugati e, infine, dall’interessamento per il sostentamento legale dei detenuti.
Esaminando le conversazioni intercettate, i giudici di merito hanno inoltre tratto indicazioni sulla consapevole condivisione degli utili (i “soldi nostri”) e sulle sortite minatorie perpetrate nei riguardi di NOME COGNOME (conv. 19 dicembre 2013).
L’affermazione della ricorrente secondo la quale non vi sarebbe prova di un contributo con rilevanza causale per l’attività del sodalizio (pp. 10 – 13) è quindi del tutto sganciata dal percorso argomentativo svolto dai giudici di merito.
Si tratta, del resto, di un compendio probatorio coerente, posto alla base di una motivazione scevra dai vizi rilevabili in sede di legittimità (non certo la lamentata
manifesta illogicità: p. 14 ricorso), che non è oggetto di specifica censura da parte della ricorrente, la quale si limita a richiamare una conversazione da cui emergerebbe la sua contrarietà rispetto allo stile di vita del marito.
Né la ricorrente si confronta con il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui la commissione dei “reati-fine” dell’associazione, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria, né ai fini della configurabilità e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (cfr., da ultimo, Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015 dep.2016, Venere, Rv. 266710; Sez. 3, n. 40749 del 5/3/2015, COGNOME, Rv. 264826).
6.2. Difetta di specifica allegazione anche il travisamento per omissione denunciato con il secondo motivo, in relazione ai dialoghi in cui la ricorrente si era mostrata preoccupata ed amareggiata per le azioni del marito, da cui diceva di voler prendere le distanze (p. 19 ricorso).
Va detto che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti» (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 256837).
Il Collegio intende qui ribadire gli oneri gravanti sulla ricorrente, ovvero: a) identificare l’atto processuale omesso o travisato; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., P.v. 281085 – 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274816 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035).
Manca nella specie la specifica deduzione in ordine alla decisività della prova oggetto del travisamento per omissione, tenuto conto degli elementi di fatto valorizzati per sostenere l’addebito; decisività solo affermata ma in alcun modo argomentata, come invece sarebbe stato necessario, avendo i giudici di merito
sottolineato, attraverso l’esame delle prove, il consapevole coinvolgimento della ricorrente nelle attività dell’associazione, fino a delinearne uno specifico compito.
6.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Quanto al dedotto vizio della motivazione, il ricorso, lamentando la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., non si confronta con la circostanza secondo cui viene attribuito alla ricorrente il diretto coinvolgimento diretto nelle attività del sodalizi con particolare riguardo alla rivendita dei preziosi di provenienza furtiva, alla gestione della cassa comune ed al sostentamento agli associati.
Quello che propone il ricorso, a ben vedere, invocando ancora una volta una intercettazione telefonica, è la prospettazione di una diversa lettura del dato probatorio, che la difesa ritiene più plausibile, oltretutto in un caso di doppia sentenza conforme di merito; il motivo, inoltre, diventa meramente assertivo allorquando afferma che le conversazioni intercettate, se “analizzate nella loro globalità e non appositamente selezionate”, dimostrerebbero l’inesistenza della precisione e della concordanza richiesti per la valutazione della prova indiziaria (p. 24 ricorso).
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui lamenta violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 e 189 cod. proc. pen., poiché come già anticipato poc’anzi, il vizio di cui alla lettera b) riguarda le sole disposizioni di diritto sostanziale e non anche quelle di natura processuale.
La conclusione non muta anche a voler ritenere che il ricorso faccia in realtà riferimento all’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.: come già evidenziato, la violazione di norme processuali è deducibile solo se stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, e ciò non è ipotizzabile in relazione all’art. 192 cod. proc. pen..
6.4. Il quarto motivo, inerente alla circostanza di cui all’art. 114 cod. pen., è manifestamente infondato.
Va premesso che l’attenuante è stata introdotta per correggere il principio generale della unitarietà del reato concorsuale e della tendenziale equivalenza sul piano sanzionatorio dell’apporto di ciascuno alla realizzazione dell’illecito, consentendo al giudice, di valutare la portata minima del contributo dei concorrenti e di graduare, conseguentemente, la pena.
Il riconoscimento dell’attenuante dell’art. 114 cod. pen. si deve quindi radicare nell’assunzione da parte del concorrente di un ruolo di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabile nell’economia generale del crimine commesso (Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, Malfarà, Rv. 284771 – 01; conf., Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037 – 01; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266461).
Ciò posto, il motivo non si confronta con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, cui aderisce il Collegio, secondo il quale l’attenuante, prevista all’art. 114 cod. pen. in tema di concorso di persone, non può trovare applicazione in relazione a fattispecie di partecipazione ad associazioni per delinquere in numero superiore a cinque.
E’ proprio l’art. 114 cod. pen., infatti, ad escludere, dal suo ambito applicativo, i “casi” indicati nell’art. 112, tra i quali vi è, appunto, il “caso” in cui nel re concorrano cinque o più persone.
Per i reati associativi, in cui la penale rilevanza della condotta partecipativa del singolo discende dalla sua adesione allo stesso patto sociale degli altri numerosi associati, in caso di contributi in concreto rivelatisi di minore offensività la graduazione della pena potrà avvenire comunque con l’impiego di altri istituti, come le circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, COGNOME, Rv. 260010 – 01; Sez. 2, n. 36538 del 21/09/2011, COGNOME, Rv. 251146 – 01; Sez. 6, n. 15086 del 08/03/2011, COGNOME, Rv. 249911 – 01; Sez. 6, n. 29821 del 22/06/2001, COGNOME, Rv. 221210 – 01).
Ruolo la cui marginalità, in ogni caso, ed in modo non manifestamente illogico, è stato escluso nel comportamento di chi ha dato un supporto agli associati e si è interessata nella gestione della cassa e della rivendita dei preziosi (p. 25 sentenza ricorsa).
6.5. Il quinto motivo, riguardante l’omessa motivazione quanto al diniego delle attenuanti generiche, è inammissibile.
La valutazione in esame, infatti, è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità (p. 25 sentenza impugnata; pp. 55 e 58 sentenza di primo grado), che fa leva sulla gravità dei fatti, sulla rilevanza del contributo offerto e sulla assenza di elementi positivi di valutazione, non bastando a tal fine la buona biografia penale.
Ha inoltre evidenziato, il Tribunale, che la ricorrente si era adoperata per procurare al marito – il quale aveva ottenuto gli arresti domiciliari – delle schede telefoniche, onde consentirgli, contro le prescrizioni imposte, di colloquiare con COGNOME e COGNOME (p. 58).
Come già evidenziato per gli altri ricorsi, si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione, non essendo necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
6.6. Infine, anche il sesto motivo, con cui si lamenta l’omessa motivazione (pp. 32 e 33 del ricorso) in ordine al beneficio della sospensione condizionale, è manifestamente infondato.
I giudici territoriali hanno sottolineato l’intensità del dolo (p. 58 sentenza del Tribunale, con riguardo al reperimento di una scheda al compagno detenuto per conversare con i correi), ma anche l’intraneità ad un contesto criminale di rilievo (p. 25 sentenza ricorsa), al fine di formulare la prognosi di ricaduta nell’illecito.
La motivazione, quindi, non è certo mancata, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente.
Inoltre, e con riguardo alla lamentata assenza di precedenti penali, va ricordato come, secondo un costante orientamento di legittimità, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio della sospensione condizionale, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione (Sez. 5, n. 17953 del 07/02/2020, Filipache, Rv. 279206 – 02; conf. Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, Brancaccio, Rv. 272087 – 01).
Va quindi anche escluso il vizio di violazione di legge, peraltro solo genericamente censurato.
Osserva infine il Collegio che l’inammissibilità dei ricorsi per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello (cfr. Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531 – 01; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164 – 01; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01),
Stante l’inammissibilità dei ricorsi e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024
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