LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Associazione per delinquere: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due individui contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso. La Corte ha confermato la valutazione del tribunale del riesame sui gravi indizi di colpevolezza sia per un partecipe che per un organizzatore, sottolineando che per la partecipazione è sufficiente la consapevolezza dei tratti essenziali del sodalizio criminale. Il pericolo di reiterazione del reato è stato ritenuto elevato, giustificando la più grave misura cautelare.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: la Cassazione conferma la custodia in carcere

Con la sentenza n. 31675 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso complesso di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso. La decisione rigetta i ricorsi di due indagati contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, fornendo importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione delle misure cautelari e sulla prova della partecipazione a un sodalizio criminale.

I fatti del processo

L’indagine ha svelato l’esistenza di un’organizzazione criminale attiva tra il settembre 2021 e il maggio 2022 nelle province di Benevento e Avellino, dedita al traffico di cocaina e hashish. L’operatività del gruppo era caratterizzata dal cosiddetto “metodo mafioso”, grazie all’appoggio e alla tutela di esponenti di un noto clan locale.

Due figure centrali sono state oggetto del provvedimento:
1. Un soggetto (denominato Soggetto A), accusato di essere un partecipe dell’associazione, con il ruolo di custode della droga per conto di suo cugino, gestore di una piazza di spaccio.
2. Un secondo individuo (Soggetto B), considerato uno degli organizzatori del sodalizio, con un ruolo di primo piano nella gestione dell’approvvigionamento e trasporto dello stupefacente.

Contro l’ordinanza del G.I.P. che disponeva la custodia in carcere, confermata dal Tribunale del riesame, entrambi gli indagati hanno proposto ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso in Cassazione

Le difese hanno sollevato diverse doglianze. Il Soggetto A ha contestato la sussistenza della sua consapevole partecipazione all’associazione (affectio societatis), sostenendo di aver agito come mero custode per il cugino senza conoscere l’esistenza di una struttura criminale più ampia. Ha inoltre negato la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso e chiesto la derubricazione dei reati contestati a ipotesi di minore gravità.

Il Soggetto B, invece, ha lamentato l’eccessività della misura cautelare in carcere, ritenendola sproporzionata. Ha sostenuto che il tempo trascorso dai fatti e il suo ruolo non giustificassero un pericolo di recidiva così attuale e concreto da impedire l’applicazione di una misura meno afflittiva come gli arresti domiciliari.

La decisione della Cassazione sull’associazione per delinquere

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. I giudici hanno innanzitutto ribadito un principio fondamentale: il controllo di legittimità della Cassazione sulle misure cautelari non comporta una nuova valutazione dei fatti, ma si limita a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Le motivazioni

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame avesse fornito una motivazione congrua e immune da vizi.

Per quanto riguarda il Soggetto A, la Cassazione ha confermato che le prove raccolte (intercettazioni telefoniche e ambientali) dimostravano una sua piena consapevolezza di far parte di un’organizzazione ben strutturata. I giudici hanno chiarito che, per la configurazione della partecipazione a un’associazione per delinquere, non è necessario che il partecipe conosca tutti i componenti o i dettagli operativi del sodalizio. È sufficiente che sia a conoscenza dei tratti essenziali dell’organizzazione e che si metta stabilmente a sua disposizione, come nel caso di specie.

Anche l’aggravante del metodo mafioso è stata ritenuta correttamente applicata, data la comprovata connessione del gruppo con un noto clan locale, il cui appoggio garantiva tutela e forza intimidatrice all’associazione. La richiesta di derubricazione dei reati a fattispecie di lieve entità è stata respinta, poiché l’attività criminale, nel suo complesso, era caratterizzata da una solida organizzazione e dalla gestione di quantitativi di droga tutt’altro che modesti.

In riferimento al Soggetto B, la Corte ha avallato la valutazione del Tribunale sulla sua elevata pericolosità sociale. Il suo ruolo di organizzatore, capace di gestire ingenti forniture di stupefacenti, e la sua profonda integrazione in contesti criminali rendevano concreto e attuale il pericolo di reiterazione dei reati. Secondo la Corte, il mero decorso del tempo (circa un anno dalla fine delle attività contestate) non è sufficiente a escludere tale pericolo, in assenza di prove di un effettivo cambiamento dello stile di vita. Inoltre, per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990, opera una doppia presunzione legale che rende la custodia in carcere la misura adeguata, salvo prova contraria.

Conclusioni

La sentenza ribadisce la solidità dei principi giurisprudenziali in materia di misure cautelari per i reati associativi. La valutazione della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari deve essere completa e logica, e il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La pronuncia sottolinea come, in presenza di una ben strutturata associazione per delinquere, anche il ruolo di chi appare marginale, come un custode, può essere considerato una partecipazione piena e consapevole se supportato da un contributo stabile e cosciente agli scopi del sodalizio. Infine, viene confermato il rigore nella valutazione del pericolo di recidiva per le figure apicali delle organizzazioni criminali, per le quali la custodia in carcere rimane la misura di riferimento.

Cosa è necessario per provare la partecipazione consapevole (affectio societatis) a un’associazione per delinquere?
Secondo la sentenza, non è necessario che il partecipe conosca tutti i componenti o i dettagli dell’organizzazione criminale. È sufficiente che abbia conoscenza dei tratti essenziali del sodalizio e si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo, contribuendo in modo cosciente e volontario agli scopi illeciti del gruppo.

Quando si applica l’aggravante del metodo mafioso a un’associazione dedita al narcotraffico?
L’aggravante si applica quando l’operatività dell’associazione è connotata dall’utilizzo della forza di intimidazione tipica delle organizzazioni mafiose. Nel caso specifico, ciò è stato desunto dall’appoggio e dalla tutela offerti al sodalizio da esponenti di un noto clan, il cui nome veniva speso per imporre i traffici illeciti sul territorio.

Il tempo trascorso dalla commissione dei reati può essere sufficiente a escludere la necessità della custodia in carcere?
No, il solo decorso del tempo (nel caso di specie, circa un anno) non è di per sé sufficiente a far ritenere superato il pericolo di reiterazione del reato. Per ottenere una misura meno grave, è necessario dimostrare un effettivo cambiamento dello stile di vita dell’indagato che lo abbia allontanato dai contesti criminali in cui operava.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati