Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31675 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31675 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a BENEVENTO il DATA_NASCITA NOME COGNOME nato a SHKODER( ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/12/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ di entrambi i ricorsi.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME, del foro di AVELLINO, in difesa di COGNOME NOME. Il difensore, preliminarmente, dichiara di rinunciare al quarto motivo di ricorso, essendo nelle more intervenuta la sostituzione della misura della cust cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, soffermandosi poi ad illu gli ulteriori motivi di ricorso di cui chiede l’accoglimento.
E’ altresì presente l’avvocato COGNOME, del foro di Roma, in sostituzione, per delega orale, dell’avvocato COGNOME NOME, in difesa di NOME COGNOME Il difensore si riporta ai motivi di ricorso, insistendo per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 dicembre 2023 il Tribunale del riesame di Napoli per quanto di interesse in questa sede – ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME e NOME COGNOME avverso l’ordinanza del G.I.P. del locale Tribunale dell’8 novembre 2023 con cui era stata applicata agli indagati la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziati della commissione del delitto di cui agli artt. 74, commi 1, 2 e 3 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e 416-bis.1 cod. pen. (capo 2), nonché dei reati previsti dagli artt. 110 cod. pen. e 73 D.P.R. n. 309 del 1990, loro rispettivamente contestati ai capi 29, 30, 31 (COGNOME), 3, 11, 12, 19, 25 (NOME).
1.1. Il giudice del riesame ha, in particolare, ritenuto di non poter accogliere l’istanza con cui le difese avevano richiesto l’annullamento dell’ordinanza gravata ovvero, in subordine, la sua riforma con applicazione di una misura meno afflittiva, esplicando come la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei prevenuti fosse stata desunta dalle risultanze di una complessa attività di indagine, in particolare concretatasi nell’espletamento di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle quali era emersa l’esistenza, nel periodo compreso tra il settembre 2021 e il maggio 2022, di un’associazione per delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante nelle province campane di Benevento ed Avellino, oltre alla ricorrenza di numerosi episodi di detenzione, trasporto e cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e hashish. L’operatività di tale associazione era, peraltro, risultata connotata dalla presenza del c.d. metodo mafioso, in ragione del ricorso all’appoggio e alla tutela di esponenti del c.d. “RAGIONE_SOCIALE“, attivo e operante nel territorio del beneventano.
Per come emerso dalle acquisite emergenze indiziarie, COGNOME NOME è risultato essere organicamente inserito nella suddetta struttura associativa, sia pure solo in qualità di partecipe, con il ruolo di custode della sostanza stupefacente per conto del cugino COGNOME NOME, oltre che di soggetto impegnato nella piazza di spaccio da quest’ultimo gestita in San Martino Valle Caudina, unitamente a un terzo cugino di nome COGNOME NOME. Le risultanze evinte da inequivoche, per quanto criptiche, intercettazioni hanno consentito di accertare, inoltre, il coinvolgimento del COGNOME nei singoli episodi di custodia, trasporto e cessione di droga ascrittigli.
Stessa gravità indiziaria è stata, inoltre, desunta con riguardo alla partecipazione alla compagine criminale, in qualità di organizzatore, di NOME COGNOME nonché in ordine alla commissione dei singoli reati fine contestatigli.
Il giudice del riesame ha motivato, poi, il proprio provvedimento reiettivo osservando come, tenuto conto della gravità dei fatti contestati, della pericolosità sociale dei prevenuti e della loro cointeressenza con personaggi connotati da particolare spessore criminale, posti in essere operando in una struttura associativa professionalmente dedita all’illecito traffico di sostanze stupefacenti, non fossero individuabili elementi idonei a consentire di superare il pericolo, concreto e attuale, di reiterazione di analoghe condotte illecite, tale da rendere indispensabile il mantenimento della più grave misura custodiale.
Avverso l’indicata ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i due indagati, a mezzo dei loro rispettivi difensori.
2.1. COGNOME NOME ha eccepito quattro motivi di doglianza, con il primo dei quali ha dedotto, in relazione alla ritenuta sua partecipazione all’associazione criminosa, violazione dell’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990 e dell’art. 42 cod. pen., lamentando che la condotta imputatagli, consistente nel custodire sostanza stupefacente di tipo hashish per conto del cugino COGNOME NOME, non risulterebbe idonea ad attestare il raggiungimento di un’adeguata prova circa la sua conoscenza del sodalizio criminoso, nonché della sua consapevolezza di essere parte di una più ampia organizzazione dedita all’attività di spaccio, cui avrebbe stabilmente contribuito, in modo cosciente e volontario, ricoprendo il ruolo di custode della droga.
Per le stesse ragioni, il ricorrente lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sua consapevolezza di essere parte di un sottogruppo inserito in un più ampio sodalizio criminoso, capeggiato dal cugino NOME e operante nella piazza di spaccio di San Martino Valle Caudina, in particolar modo assumendo l’impossibilità di desumere l’indicato coinvolgimento in un più ampio contesto associativo dal solo fatto che COGNOME NOME avesse avuto costante disponibilità di stupefacente da cedere ai consumatori.
L’indagato ha, quindi, eccepito violazione degli artt. 273, 192, 292, comma 2 lett. c-bis), cod. proc. pen., per omessa valutazione di prove a discarico decisive, omessa esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa per confutare la sussistenza dell’affectio societatis, e contraddittorietà della motivazione rispetto a decisivi elementi a discarico non valutati.
A riprova dell’estraneità del COGNOME all’associazione criminosa, infatti, ricorrerebbero aspetti, non adeguatamente vagliati da parte del giudice del
riesame, specificamente inerenti: alla discordanza temporale esistente tra lo svolgimento del ruolo di custode contestatogli (fino a luglio 2022) e la durata del delitto associativo (fino a maggio 2022); all’inesistenza di indicazione di terze persone o di piani operativi da parte del cugino NOME nel corso dei colloqui intercettati; alla mancata percezione da parte sua di alcuna utilità economica; all’insofferenza palesata nel custodire la droga per conto del cugino.
Con la seconda doglianza il COGNOME ha eccepito violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e dell’art. 416-bis.1 cod. pen., deducendo che dal compendio probatorio in atti non risulterebbero elementi idonei a far ritenere comprovata la contestata ricorrenza del c.d. metodo mafioso.
Con il terzo motivo è stata lamentata violazione degli artt. 73, comma 5, e 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990, in particolar modo invocandosi la derubricazione dei reati fine contestatigli sub 29, 30 e 31 nella più lieve ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, nonché il riconoscimento in suo favore della circostanza attenuante prevista dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990.
Di entrambi i benefici sussisterebbero, infatti, i presupposti applicativi, considerato che: avrebbe custodito solo stupefacente di tipo hashish; i quantitativi di volta in volta ceduti sarebbero stati sempre modici; l’attività d spaccio da lui perpetrata avrebbe riguardato solo due o tre episodi, peraltro in favore della stessa acquirente; la detenzione avrebbe riguardato solo quantitativi di droga limitati; si sarebbe trattato, comunque, di attività rudimentale.
Con, l’ultima censura, infine, il COGNOME aveva eccepito, in seno al suo ricorso, violazione degli artt. 274, comma 1, e 275 cod. proc. pen., oltre a contraddittorietà della motivazione con riguardo ad elementi di prova a sé favorevoli, ritenendo che l’eventuale pericolo di reiterazione del reato sarebbe stata, comunque, fronteggiabile anche mediante l’applicazione della misura degli arresti domiciliari.
Nel corso dell’udienza celebratasi, con trattazione orale, dinanzi a questo Collegio il difensore di COGNOME NOME ha rinunciato a tale ultimo motivo di ricorso, per essere stato medio tempore collocato l’indagato agli arresti domiciliari – conseguentemente esonerando la Corte dall’onere di vagliare tale doglianza
2.2. NOME COGNOME ha dedotto, con un unico motivo di ricorso, inosservanza di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274, comma 1, e 275, comma 3, cod. proc. pen., sotto il profilo della erronea applicazione dei parametri valutativi del pericolo di recidiva e della scelta della misura cautelare.
A suo dire, infatti, sarebbe del tutto eccessiva e sproporzionata, rispetto ai parametri normativi previsti, la disposta applicazione nei suoi riguardi della più
grave misura custodiale, mancando indici di un attuale e concreto pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie, in particolar modo tenuto conto dell’ampio lasso temporale decorso dalla realizzazione dei fatti contestati e del minimo ruolo ricoperto nella perpetrazione degli illeciti. Il più grave delitto associativo, infatti, risulta cessato già dal maggio 2022, così come il più recente reato fine ascrittogli risalirebbe all’aprile 2022 senza che, in alcun modo, risulterebbe, poi, comprovata l’intervenuta commissione di ulteriori illeciti da parte del prevenuto.
Sussisterebbero, pertanto, plurimi elementi concreti idonei a far ritenere superata l’adeguatezza esclusiva, ex all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., della misura cautelare in carcere, ben potendo le residue esigenze di cautela essere soddisfatte anche mediante l’applicazione di una misura meno afflittiva, quale, in particolare, quella degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico. L’indagato, peraltro, disporrebbe di un proprio domicilio e di fonti di reddito lecite, idonee a soddisfare le esigenze di vita proprie e della sua famiglia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili.
Deve essere osservato, infatti, come, in tema di impugnazione dei provvedimenti in materia di misure cautelari, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto nel caso in cui denunci la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628-01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884-01).
Anche con riferimento al giudizio cautelare personale, cioè, il controllo di legittimità susseguente alla proposizione del ricorso per cassazione non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del G.I.P. e del Tribunale del riesame, ed essendo esso, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (così, tra le tante, Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438-01).
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, infatti, è diretto a verificare, un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, l valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione – come nel caso in esame – sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Non sono consentite, pertanto, censure che, pur formalmente investendo la motivazione, e a fortiori ammantandosi di una pretesa violazione di legge, si risolvano, in realtà, nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.
Orbene, chiariti i superiori principi, il Collegio rileva, innanzi tutto, com sia manifestamente infondata la prima doglianza eccepita da parte di COGNOME NOME, con cui il ricorrente ha lamentato l’insussistenza della gravità indiziaria in ordine alla ritenuta sua partecipazione all’associazione criminosa ex art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, in particolar modo per non essere stato provato che costui avesse avuto consapevolezza di essere parte di una struttura organizzata professionalmente dedita all’attività di spaccio, quale soggetto inserito in un sottogruppo capeggiato dal cugino NOME, operante nella piazza di spaccio di San Martino Valle Caudina.
In senso contrario, invece, le argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato appaiono del tutto congrue ed esenti da qualsiasi vizio logico o giuridico nell’esplicare i motivi per cui è stata ritenuta la consapevole partecipazione del COGNOME al sodalizio criminoso.
Il Tribunale del riesame, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ha, in primo luogo, fornito puntuale indicazione degli elementi indiziari – ed in particolar modo delle emergenze procedurali scaturite da: captazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e controllo, sequestri di droga, arresti di corrieri – da cui è stato possibile evincere il coinvolgimento di una decina di persone in un ben organizzato sodalizio criminoso dedito al traffico di sostanze stupefacenti, operante tra il settembre 2021 e il maggio 2022 nelle province di Benevento ed Avellino (ed in particolare nei comuni di Ceppaloni, San Martino Valle Caudina, Roccabascerana e Tufara Valle). Di tale associazione è stato ricostruito l’organigramma nonché i ruoli ricoperti dai singoli partecipi,
evidenziandone la stabilità dei rapporti e l’adozione di ben precisi modus operandi, in particolar modo con riguardo all’approvvigionamento dello stupefacente, acquistato nel litorale romano per poi essere rivenduto nei territori campani.
Nello specifico, il COGNOME è stato ritenuto soggetto stabilmente intraneo al sodalizio criminoso, in quanto ad esso partecipe con il ruolo di custode della droga per conto del cugino NOME, e quindi in qualità di soggetto direttamente impegnato nell’attività della piazza di spaccio gestita in San Martino Valle Caudiana. Plurime emergenze processuali, ed in particolare diversi dialoghi captati, hanno, infatti, consentito di accertare come il ricorrente venisse continuamente contattato da COGNOME NOME per ottenere la reiterata consegna di significativi quantitativi di sostanza stupefacente, che l’indagato aveva il compito di custodire, trasportare e cedere.
Tali intercettazioni hanno, inoltre, indiziariamente comprovato, con argomentazioni del tutto logiche e congrue, come COGNOME NOME avesse piena contezza di essere parte di una ben strutturata organizzazione criminosa costantemente dedita all’attività di spaccio, in particolar modo prestando stabile e continuativa collaborazione, quale custode dello stupefacente, al sottogruppo operante nella piazza di spaccio di San Martino Valle Caudina, talora venendo anche adibito alla diretta vendita della droga.
Né, d’altro canto, per come correttamente motivato nel provvedimento impugnato, è necessario che, ai fini della configurazione dell’affectio societatis, il partecipe abbia piena conoscenza di tutti i componenti della organizzazione criminosa, essendo, a tal fine, sufficiente solo che ciascun associato sia a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio e si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (cfr. Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796-01).
Ne consegue, in sostanza, la ricorrenza di un quadro indiziario chiaramente gravante a carico del prevenuto, che il giudice del riesame ha rappresentato con motivazione complessivamente immune da vizi sindacabili in questa sede di legittimità.
Le stesse valutazioni espresse in merito alla solidità e persuasività delle argomentazioni poste a fondamento del giudizio di gravità del quadro indiziario in ordine alla partecipazione del COGNOME alla struttura associativa consentono, poi, di far ritenere immune da vizi anche la motivazione con cui è stata affermata la ricorrenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen.
Ed infatti, a prescindere dalla assoluta genericità con cui la doglianza è stata eccepita nel secondo motivo di ricorso, deve essere osservato come l’ordinanza impugnata abbia ritenuto sussistente la contestata finalità agevolatrice della condotta, in particolar modo esplicando, con argomentazione del tutto logica e congrua, come l’operatività dell’associazione fosse connotata dalla presenza del c.d. metodo mafioso, in ragione dell’appoggio e della tutela offerta al sodalizio dagli esponenti del RAGIONE_SOCIALE COGNOME, operante nel territorio del beneventano. Risulta, infatti, accertato l’appoggio fornito all’associazione da parte di COGNOME NOME – soggetto avente stretti rapporti con il capo e promotore dell’organizzazione COGNOME NOME – al punto da avere perfino offerto a quest’ultimo aiuti economici volti a favorire l’acquisto dello stupefacente. E’ stato, altresì, indiziariamente comprovato come diversi membri dell’associazione criminosa fossero, per l’appunto, affiliati al “RAGIONE_SOCIALE“, ovvero fossero soliti spenderne il nome per imporre sul territorio i loro illeciti traffici.
D’altro canto, la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa ha natura soggettiva e richiede la sussistenza del dolo specifico di agevolare l’organizzazione criminale di riferimento. Tuttavia, ai fini della sua configurabilità, occorre valutare l’oggettiva idoneità del delitto ad agevolare, non necessariamente il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio, ma l’attività dell’associazione stessa, ovvero una delle manifestazioni esterne della vita della medesima (cfr. Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274615-01; Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273538-01).
Parimenti prive di pregio sono, poi, le doglianze con cui il COGNOME ha invocato, nel terzo motivo di ricorso, la derubricazione dei reati fine contestatigli ai capi 29, 30 e 31 nella più lieve ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, nonché il riconoscimento in suo favore della circostanza attenuante prevista dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990.
In proposito, infatti, deve darsi conto dell’indirizzo interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità per cui il riconoscimento di tali fattispecie richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena (cfr. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Ferretti, Rv. 271959-01), per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della
condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. 6 n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610-01).
E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, o dell’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entità alla luce dei criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruito, si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi.
In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, pur se l’associazione sia finalizzata alla commissione di episodi di cessione che, considerati singolarmente, presentano le caratteristiche dei fatti descritti dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, deve essere esclusa l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, del medesimo decreto quando, per la complessiva attività in concreto esercitata, per la molteplicità degli episodi di spaccio, reiterati in un lungo arco di tempo, e per la predisposizione di un’idonea organizzazione che preveda uno stabile e continuativo approvvigionamento di quantitativi rilevanti di sostanze stupefacenti, quell’attività sia incompatibile con il carattere della lieve entità (così, tra le tante, Sez. 4, n. 34920 del 14/06/2017, B., Rv. 270803-01).
Orbene, nel caso di specie il Tribunale del riesame ha offerto una motivazione adeguata in ordine alle ragioni del disposto diniego del riconoscimento delle più favorevoli ipotesi invocate, essendosi, in particolare, evidenziato, con argomentazione del tutto logica e congrua, come, nel caso di specie, non potesse assumere rilievo alcuno la circostanza che, in alcune singole ipotesi, le cessioni ascritte all’indagato avessero riguardato un modico quantitativo di sostanza stupefacente, considerato che «una valutazione congiunta di tutte le risultanze in atti consente di affermare che i quantitativi di sostanza custoditi dal ricorrente per conto del cugino, cui è ascritto in concorso il predetto reato, siano stati tutt’altro che modici e, soprattutto, rivela modalità e circostanze dell’azione criminale che non permettono di affermare la “lieve entità” dei fatti in contestazione».
Stesso giudizio di manifesta infondatezza deve essere espresso, infine, pure con riguardo al motivo di ricorso dedotto da NOME, trattandosi di censura palesemente generica e assertiva, oltre che reiterativa di identica
doglianza sottoposta all’esame del Tribunale del riesame, e da questo rigettata con argomentazione congrua e giuridicamente corretta.
Tale decidente, in particolare, ha logicamente esplicato come nei riguardi del suddetto indagato rilevi la sussistenza di una pericolosità sociale particolarmente allarmante e concreta, tenuto conto del ruolo di primario spicco da costui avuto nell’ambito della struttura associativa, essendo risultato capace di organizzare l’approvvigionamento e il trasporto di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, con modalità vieppiù reiterata, così da rendere del tutto adeguata e logica la ritenuta ricorrenza di un attuale e concreto pericolo di recidiva, tale da rendere necessario, per la salvaguardia delle sussistenti esigenze di cautela, la sola applicazione della più grave misura custodiale.
Né, alla stregua di quanto congruamente esplicato dal Tribunale del riesame, può assumere rilievo alcuno l’intervenuto decorso di un lasso temporale di circa un anno dall’avvenuta integrazione delle ultime condotte accertate, non risultando in alcun modo comprovato che il ,NOME abbia modificato il proprio stile di vita, allontanandosi da contesti criminali così pericolosi, in cui ha lungamente e incisivamente operato.
A fronte della troncante decisività degli indicati aspetti, allora, risultano, consequenzialmente, recessivi i diversi elementi di valutazione elencati dal NOME in seno al suo ricorso, in quanto insufficienti a modificare il congruo e logico percorso motivazionale seguito dal Tribunale del riesame per la conferma della imprescindibile necessità di applicazione della custodia cautelare in carcere, anche considerato come, in ragione del titolo di reato contestato ai sensi dell’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, discenda la doppia presunzione cautelare della sussistenza di tutte le esigenze ex art. 274 cod. proc. pen. e della esclusiva adeguatezza della custodia in carcere.
7. Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, allora, deve affermarsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questo Collegio, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei requisiti previsti dalla legge per l’emissione ed il mantenimento dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
Conclusivamente, pertanto, il giudice della impugnata ordinanza ha rappresentato la sua pronuncia con motivazione congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, logica e coerente, così da non poter essere censurata in questa sede di legittimità.
I ricorsi devono, conseguentemente, essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
Viene disposta, altresì, la trasmissione di copia del presente provvedimento ai direttori degli istituti penitenziari competenti perché provvedano a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 18 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Pre idente