Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31324 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31324 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Caltanissetta il 21/10/1976
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 23/09/1981
NOME NOME nato a Palermo il 28/02/1964
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta il 19/11/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di COGNOME e COGNOME e per l’accoglimento con rinvio del ricorso di Napoli, limitatamente alla applicazione della disciplina del reato continuato;
uditi i difensori Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME per COGNOME e Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per Napoli, i quali hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Il Giudice dell’udienza preliminare di Caltanissetta, con sentenza del 21 settembre 2023, affermata la penale responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ascritto al capo a) – esclusa l’aggravante del carattere armato dell’associazione – e già operata la diminuente per il rito, ha disposto la condanna di:
NOME COGNOME ritenuta l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 74 d.P.R. cit., con giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, alla pena dì quattro anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione;
NOME COGNOME, operato l’aumento per le residue aggravanti e per la recidiva reiterata e specifica (ma non infraquinquennale, come originariamente contestata), alla pena di undici anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione;
NOME COGNOME operato l’aumento per le residue aggravanti e per la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, alla pena di undici anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione.
Sono state applicate agli imputati le sanzioni interdittive previste dall’art. 28 cod. pen.
COGNOME, COGNOME e Napoli sono stati prosciolti dai reati loro ascritti in concorso al capo b), con riferimento alle condotte aventi ad oggetto cocaina, per non avere commesso il fatto, e con riferimento alle condotte aventi ad oggetto hashish, esclusa la sussistenza della contestata aggravante, per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione.
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza di cui al punto che precede, ha disposto, previo riconoscimento a COGNOME e a Napoli delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con le aggravanti loro rispettivamente contestate, la rideterminazione delle pene nella misura di sei anni e otto mesi di reclusione.
Sono state confermate le ulteriori statuizioni.
Hanno proposto ricorso gli imputati con atti a firma dei rispettivi difensori, formulando i motivi di seguito sintetizzati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. proc. pen.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME (Avv. NOME COGNOME)
4.1. Violazione di legge e vizi di motivazione, per avere la Corte di appello affermato la responsabilità dell’imputato per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
La sentenza impugnata non ha riscontrato le deduzioni difensive sulla inesistenza di una associazione inquadrabile nel paradigma di cui all’art. 74 d.P.R. cit., del quale mancano la struttura organizzativa, con predisposizione di mezzi e ripartizione di ruoli, ed il vincolo stabile, finalizzato alla realizzazione di programma criminoso, al più potendo ritenersi integrato, nella specie, il concorso nel reato continuato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
È stata ritenuta la partecipazione del ricorrente all’associazione, benché allo stesso siano ascrivibili condotte di cessione meramente episodiche e non connotate da peculiare offensività, ed inoltre enfatizzandone il ruolo di finanziatore, sebbene mai attribuito allo stesso dal primo Giudice. Al riguardo, il prestito di euro 450,00 al Puzzanghera è stato erogato senza la consapevolezza da valutarsi necessariamente con giudizio “ex anta” della sua destinazione all’acquisto di sostanze stupefacenti.
Il fatto che COGNOME conoscesse la base logistica dell’attività di spaccio (il magazzino) non implica che conoscesse, per ciò solo, le dinamiche del sodalizio, né che abbia arrecato un contributo alla esistenza ed al rafforzamento di esso.
Deve ritenersi illogica l’interpretazione del contenuto del colloquio intercettato in cui veniva fatto riferimento a 5 chilogrammi di carne resa dalla Corte di merito, secondo la quale le parti avrebbero evocato, usando un codice comunicativo che era loro patrimonio comune, un quantitativo diverso (non in chilogrammi) di sostanza stupefacente.
La sentenza d’appello, integralmente adesiva alla decisione di primo grado, non ha dato risposta alle questioni sollevate dalla difesa, risultando per conseguenza violato il principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, che impone al giudice di vagliare le risultanze istruttorie alla luce delle confutazioni difensive.
4.2. Violazione di legge e vizi della motivazione in ordine al diniego di riqualificazione del fatto nell’associazione finalizzata al narcotraffico di lieve entità di cui all’art. 74, comma sesto, cit., come richiesto, da ultimo, nei motivi aggiunti formulati dalla difesa e condiviso dal Procuratore generale di Caltanissetta, pur venendo in rilievo una struttura estemporanea, locale, ma non operante in esclusiva nel territorio di riferimento, e connotata da una scarsa forza attrattiva e intim idatrice.
4.3. Violazione di legge e assenza grafica della motivazione con riferimento alla memoria difensiva con la quale, all’udienza del 29 ottobre 2024, la difesa ha chiesto derubricarsi il fatto associativo nel reato di favoreggiamento di cui
all’articolo 378 cod. pen., evidenziando che le risultanze istruttorie hanno comprovato l’esistenza di rapporti di intensa frequentazione del ricorrente con il solo NOME COGNOME, suo congiunto.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME (Avv. NOME COGNOME).
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al reato associativo.
Il ricorrente non può essere considerato intraneo, posto che è stato ritenuto responsabile di soli cinque episodi di cessione di droghe leggere e ha operato nell’arco temporale di soli tre mesi, dal gennaio all’aprile 2014, tenendo rapporti, esclusivamente telefonici, con due o tre sodali. Inoltre, altri autonomi e concomitanti canali di approvvigionamento dello stupefacente sono risultati attivi nel periodo di operatività del sodalizio.
5.2. Violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell’articolo 74, comma sesto, d.P.R. n. 309 del 1990.
Dalle risultanze istruttorie è emersa un’organizzazione criminale rudimentale, improvvisata, dal carattere para-familiare, caratterizzata da minima operatività e da una scarsa capacità finanziaria, finalizzata ad effettuare esigue cessioni.
La invocata riqualificazione è stata accordata in procedimenti penali paralleli, relativi al medesimo gruppo criminale.
5.3. Violazione di legge in relazione agii articoli 62-bis, 69, 132 e 133 cod. pen. e motivazione apparente con riguardo al trattamento sanzionatorio.
I giudici del merito avrebbero dovuto riconoscere le circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza sulle ritenute aggravanti, al fine di rendere la pena rispettosa del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., e della sua finalità rieducativa, sancita dall’art. 27 Cost, comma terzo, che ne impone l’adeguamento alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOMEAvv. NOME COGNOME).
6.1. Violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento all’integrazione della fattispecie associativa.
La sentenza d’appello ha riprodotto in termini del tutto adesivi la motivazione della decisione impugnata senza rispondere alle doglianze difensive.
Difettano gli elementi identificativi di un rapporto di stabile fornitur dell’associazione dedita al narcotraffico, ossia il costante approvvigionamento di sostanze di cui il sodalizio fa traffico, mediante la costituzione di un vincolo
reciproco durevole che superi la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasformi nell’adesione al programma criminoso.
Di contro, Napoli è rimasto in stato di libertà solo dal 1 settembre 2014 al 3 gennaio 2015 ed il suo contributo al gruppo criminale si sarebbe sostanziato esclusivamente nei fatti che hanno condotto al suo arresto il 3 gennaio 2015, mentre la sua presenza a Caltanissetta è stata accertata, in termini meramente presuntivi, in occasioni sporadiche.
6.2. Violazione di legge per immotivato diniego di applicazione della disciplina del reato continuato.
NOME COGNOME è stato già condannato per reati in materia di stupefacenti con sentenza del Tribunale di Palermo n. 6686 del 2012, irrevocabile il 9 novembre 2013, alla pena di sei anni di reclusione ed euro 26.000,00 di multa, rideterminata con ordinanza del 21 luglio 2014 in anni 3 e mesi 4 di reclusione, ed euro 27.000,00 di multa; con la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare di Caltanissetta n. 48 del 2015, irrevocabile il 29 maggio 2015, è stata inflitta in continuazione con i fatti di cui alla prima sentenza la pena di anni 1 mesi 3 di reclusione ed euro 27.000,00 di multa. I fatti per cui si è proceduto e quelli in disamina appaiono espressivi di un medesimo disegno criminoso, sicché illegittimamente il Giudice di primo grado ha ritenuto opportuno demandare al giudice dell’esecuzione la decisione sul punto.
Il Sostituto Procuratore generale, nella persona di NOME COGNOME ha concluso nei termini riportati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME imponendosi per conseguenza l’annullamento della sentenza impugnata nei suoi confronti, con rinvio per nuovo giudizio. Sono invece infondati i ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Per ragioni di ordine espositivo, conviene trattare congiuntamente i motivi comuni ai ricorsi.
Il motivo, comune a tutti i ricorsi, con cui si è invocata la riqualificazione del reato associativo nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, è infondato.
3.1. La Corte di merito ha motivato in termini stringati, ma esaustivi, e senza alcuna illogicità, l’assenza delle condizioni per ritenere integrato il
paradigma di minore gravità, con riferimento alla associazione dedita al narcotraffico di cui al capo a), facente capo dapprima ad NOME COGNOME in seguito a NOME COGNOME, dedita, nel territorio nisseno, all’approvvigionamento e alla gestione dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti di varia tipologia.
La sentenza ha posto in luce, anzitutto, la intensità dei traffici, che erano continuativi ed alimentati da acquisti di droga da fornitori operanti anche in contesti differenti della mafia siciliana, nonché aventi ad oggetto quantitativi consistenti, implicanti pagamenti di migliaia di euro per volta (813 gr. di hashish in occasione dell’arresto di Napoli; 2 kg. di hashish in occasione dell’arresto di NOME COGNOME; 2 kg. di hashish in occasione dell’arresto di NOME COGNOME; 137 gr. di cocaina in occasione dell’arresto di NOME COGNOME.
È stata fatta, dunque, corretta applicazione dei consolidati GLYPH principi giurisprudenziali secondo cui la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile alle seguenti condizioni: che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità; che abbiano a tal fine predisposto modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità; che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte esclusivamente riconducibili alla previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. (v., tra le altre, Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 274696 – 01; COGNOME, Rv. 278098 – 01; Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Pardo, Rv. 271708 – 01).
Occorre, in tale prospettiva, valutare il momento genetico del sodalizio, ricorrendo l’ipotesi minore quando esso sia stato costituito per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e verificare che, in concreto, le potenzialità operative dell’organizzazione siano limitate. Hanno, infine, peculiare rilevanza probatoria i quantitativi di sostanze stupefacenti che il gruppo è in grado di procurarsi.
È stato osservato, difatti, in tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, che, ai fini della qualificazione dei singoli reati-scopo come ipotesi di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può tenersi conto del dato quantitativo relativo agli approvvigionamenti del gruppo, quale indice della finalizzazione degli stessi alla commissione di fatti non riconducibili allo spaccio di lieve entità, fatta salva l’autonomia della valutazione complessiva della pericolosità delle singole condotte di cessione sulla base di tutti gli altri indici disponibili ( Sez. 4, n. 476 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282704 – 01).
Nel caso qui in esame, a fronte dei consistenti approvvigionamenti di sostanze, emersi dai quantitativi – innanzi indicati – di volta in volta tratti in sequestro, no
emergono elementi per affermare che i sodali avessero programmato esclusivamente la commissione di fatti di c.d. piccolo spaccio, connotati, cioè, da ridotta circolazione di merce e di denaro e da potenzialità di guadagni limitati, né che l’attività associativa si sia concretamente manifestata con reati-scopo aventi tale connotazione.
3.2. Il secondo argomento, su cui fonda la richiesta di riqualificazione della condotta ai sensi dell’articolo 74, comma sesto, d.P.R. n. 309 del 1990, è inammissibile.
Il ricorso richiama la valutazione espressa dal Giudice per le indagini preliminari, che ha respinto la richiesta di applicazione della custodia cautelare, ravvisando nella specie un’organizzazione criminale rudimentale, improvvisata, dal carattere para-familiare, caratterizzata da minima operatività e da una scarsa capacità finanziaria, oltre che finalizzata ad operare esigue cessioni.
Si tratta di una valutazione, invero, assertiva (come può evincersi dalla motivazione del provvedimento reiettivo, che è stato allegato ai ricorsi), e comunque non vincolante, proprio perché formulata in termini indiziari, rispetto al giudizio di merito, basato su un accertamento pieno di responsabilità.
Le Sezioni Unite, con sentenza n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195352, hanno da tempo affermato il principio per cui l’efficacia della pronunzia del giudice della cautela (nella specie, si trattava del Tribunale del riesame) che affermi la carenza dei gravi indizi di colpevolezza è limitata al procedimento incidentale “de libertate” ed è finalizzata alla sola eliminazione della misura, non vincolando né l’apprezzamento del pubblico ministero titolare delle indagini quanto alla rilevanza degli elementi indiziari acquisiti, né quello del giudice per le indagini preliminari ai fini del rinvio a giudizio o del giudice del dibattimento. (Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021, C., Rv. 281972 – 03).
È poi connotato da assoluta genericità il rilievo per cui la riqualificazione nella fattispecie associativa minore sarebbe stata effettuata in procedimenti penali paralleli, relativi al medesimo gruppo criminale, neppure compiutamente individuati.
4. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
4.1. Le doglianze relative alla esistenza stessa della associazione dedita al narcotraffico sono invero inammissibili per difetto di devoluzione, in quanto non prospettate in appello (come emerge, del resto, dalla sintesi dei motivi compiuta in sentenza e non contestata). In ogni caso, si tratta di censure aspecificamente formulate, in quanto non si confrontano con l’attenta ricostruzione dei fatti posti a base della condanna di primo grado, che emergono, in specie, dal compendio intercettivo, e con la individuazione degli elementi, inequivocabilmente significativi
della integrazione del reato associativo, con riferimento al gruppo criminale facente capo, in primo tempo, ad NOME COGNOME, in seguito a NOME COGNOME dedito alla gestione del traffico di stupefacenti di varie tipologie nel territorio nisseno, tra i quali: la divisione dei compiti; l’interdipendenza delle condotte dei singoli partecipi; l’esistenza di un magazzino per la custodia dello stupefacente e di una cassa comune; una pluralità di reati-scopo di cessione di stupefacenti di varia tipologia i per i quali è stata dichiarata l’assoluzione degli imputati per non aver commesso il fatto ovvero la estinzione per prescrizione, e di cui, conseguentemente, non è stata disconosciuta l’esistenza.
E, del resto, occorre considerare che, per la configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico, non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (ex multis, Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583 – 01)
4.2. Quanto alla condotta di partecipazione, dal contenuto delle captazioni, richiamate a pag. 3 e ss. della sentenza, si comprende che il ricorrente conosceva i traffici del gruppo e le sue dinamiche operative, non solo il luogo fisico costituente la base logistica ove si concentrava l’attività di spaccio.
Sintomatici, tra i colloqui captati, quelli in cui egli diffidava i sodali più incauti particolare il Puzzanghera) dal parlare liberamente al telefono dei loro traffici e suggeriva come eludere possibili controlli.
Nella sentenza di primo grado (v. pagg. 35 e ss.) che, con quella impugnata, sul punto conforme, forma un unitario corpo motivazionale, viene, poi, compiutamente delineato il contributo prestato dal ricorrente all’attività illecita relativa al traffico di sostanze stupefacenti. Sono ricostruiti i rapporti non con il solo vertice NOME NOME COGNOME in favore del quale egli si adoperava, sia per fornire la provvista del danaro, sia per custodire quello riveniente dalla vendita di droga – onde la qualifica di “cassiere” – e sia, ancora, per fornire luoghi “sicuri” in cui occultare la sostanza stupefacente in attesa della commercializzazione; ma anche quelli intercorsi con NOME COGNOME che più direttamente curava i contatti con i fornitori palermitani e l’attività di vendita al dettaglio, alla quale ult COGNOME partecipava a sua volta in favore di alcuni, fidelizzati, assuntori.
I rapporti con COGNOME monitorati dalle intercettazioni, al di là dei rapporti di parentela tra i due, erano strettamente correlati all’attività di narcotraffico, posto che, su incarico del detto sodale, egli procedeva alla esazione di crediti derivanti da cessioni di stupefacente.
Anche il co-finanziamento dell’acquisto di una partita di stupefacente, in occasione dell’arresto di Puzzanghera, è inquadrato, in sentenza, nell’ambito delle molteplici attività, sopra enumerate, che sostanziano la condotta di partecipazione del ricorrente.
Peraltro, il ruolo di finanziatore, che il ricorrente contesta di avere mai ricoperto, è stato espressamente contestato al COGNOME – come si legge nell’imputazione sicché è destituito di fondamento il rilievo difensivo per cui la Corte di appello, nel ritenerne integrati i presupposti, avrebbe compiuto una “immutatio facti”rispetto a quanto era stato ritenuto dal Giudice di primo grado, in violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza.
In ogni caso, l’assenza di consapevolezza del ricorrente sulla destinazione delle somme erogate, con particolare riguardo ai 450,00 euro impiegati per l’acquisto di stupefacente da NOME COGNOME – pure dedotta in ricorso – non solo è questione declinata in fatto e smentita dal contenuto delle intercettazioni, analizzate nella loro concatenazione logica, ma non può essere ritenuta affatto decisiva per escludere la responsabilità per il reato associativo.
In generale – osserva questa Corte – i vizi motivazionali denunciati tendono a frammentare il ragionamento probatorio, atomizzando singoli elementi, nel tentativo di confutare la valenza dimostrativa di ciascuno di essi.
Tale tentativo si scontra con le consolidate regole valutative della prova indiziaria che ne impongono, invece, un apprezzamento unitario.
Secondo la costante affermazione di principio di questa Suprema Corte, in presenza di un articolato compendio probatorio, deve procedersi ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la astratta e relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa, in una visione unitaria, risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè, con un alto grado di credibilità razionale, che sussiste anche nel caso in cui le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali o estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana ( in tal senso, tra le molte, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 – 02; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321).
Anche in altri passaggi del ricorso si è sollecitata, con rilievi di caratter meramente confutativo, ovvero deducendo carenze motivazionali, una rivalutazione anche in fatto di singoli elementi istruttori, per giungere ad una alternativa lettura. Al riguardo, è principio ampiamente sedimentato nel sistema che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020- dep. 2021, F., Rv. 280601).
È il caso della interpretazione, che il ricorrente asserisce essere illogica, della conversazione relativa all’acquisto di 5 kg. di carne, che i Giudici di merito hanno ritenuto essere riferita a stupefacenti.
Va, di contro, ribadito il consolidato principio che, in materia di intercettazioni telefoniche, costituiscono questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01), così come costituisce questione di fatto l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, essendo rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Nella specie, è la sequenza del contenuto dei colloqui ed il tenore criptico delle espressioni adoperate che permettono di ritenere non manifestamente illogica la riferibilità degli acquisti, apparentemente “di macelleria”, al traffico di stupefacenti.
4.3. Il terzo motivo è infondato.
4.3. Va puntualizzato che la richiesta di riqualificazione della condotta di partecipazione nella diversa fattispecie del favoreggiamento personale, pur se formulata con memoria solo all’udienza di discussione del giudizio di appello, non era astrattamente preclusa.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, a seguito della presentazione di motivo nuovo, da parte dell’imputato, non enunciato in appello, la Corte di cassazione può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto, ma solo entro i limiti in cui esso sia stato storicamente ricostruito dai giudici di merito (Sez. 5, n. 23391 del 17/03/2017, Alama, Rv. 270144 – 01).
Dunque, è possibile per la Corte rilevare anche d’ufficio l’erroneità della qualificazione giuridica.
Tanto precisato, giova tuttavia evidenziare che, secondo un diffuso orientamento, il delitto di favoreggiamento personale non sarebbe astrattamente configurabile in corso di consumazione di un reato presupposto di natura permanente, in quanto qualsiasi agevolazione del colpevole posta in essere durante la perpetrazione della sua condotta si risolve, salvo che non sia diversamente previsto, in un concorso,
quanto meno morale, nel reato allo stesso ascritto (Sez. 3, n. 14961 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286105 – 01, in relazione a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente qualificata la condotta dell’imputato in termini di concorso nel delitto di coltivazione e di detenzione di sostanza stupefacente).
Secondo tale impostazione, è la struttura della norma incriminatrice di cui all’art. 378 cod. pen. a richiedere che si sia già verificata la cessazione di detto reato, nella specie costituita dallo scioglimento del sodalizio, ricorrendo, altrimenti, la condotta di partecipazione ad esso, o il concorso esterno, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217 – 07, con riferimento ad associazione di stampo mafioso).
Per converso, ritiene questa Corte che meriti condivisione il più recente indirizzo interpretativo, per cui è possibile prospettare il delitto di favoreggiamento personale con riguardo ad un’associazione per delinquere la cui permanenza sia in atto, sempre che il reato presupposto abbia raggiunto una soglia minima di rilevanza penale (Sez. 6, n. 33753 del 25/05/2023, Bulla, Rv. 285152 – 01, con riferimento a fattispecie di ausilio ad eludere le investigazioni, svolta in favore degli aderenti ad un’associazione dedita al narcotraffico).
Si è precisato, secondo tale linea ricostruttiva, che la distinzione tra i reati poggia essenzialmente sull’elemento soggettivo-finalistico della condotta: è configurabile il delitto di favoreggiamento personale in corso di consumazione del delitto associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen., nel caso in cui la condotta dell’agente sia sorretta dall’intenzione di aiutare il partecipe ad eludere le investigazioni dell’autorità e non dalla volontà di prendere parte, con “animus socii”, all’azione criminosa (Sez. 1, n. 48560 del 04/07/2023, COGNOME, Rv. 285461 – 01, in fattispecie in cui si è ritenuto sussistente il delitto di favoreggiamento personale a fronte di una condotta consistita nel recupero e nella consegna di una microspia in favore del partecipe a una consorteria mafiosa).
Venendo al caso di specie, la riqualificazione nel reato del favoreggiamento personale non è compatibile con l’articolata ricostruzione del ruolo del ricorrente operata dalla Corte di appello, come innanzi delineata. Nel dare suggerimenti sul come sottrarsi alle intercettazioni, egli non si è limitato a prestare occasionalmente ausilio ad uno o più affiliati, resisi autori di reati rientranti o meno nell’atti prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche della polizia, come richiesto dalla fattispecie incriminatrice del favoreggiamento, ma ha supportato, come supra evidenziato (vedi par. 4.2.), l’attività associativa sotto plurimi profili, apportando un contributo certamente funzionale alla conservazione ed alla operatività del sodalizio.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
5.1. Il primo motivo di ricorso, sulla configurabilità del vincolo associativo, con riguardo alla attività posta in essere dal ricorrente, è reiterativo e comunque manifestamente infondato.
Premesse le considerazioni svolte nella parte relativa ai motivi comuni, ulteriore e specifico tema riguarda la condotta di fornitura di stupefacente e la sua idoneità a configurare una partecipazione al sodalizio ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
È da tempo ricevuto in giurisprudenza il principio per cui la condotta di partecipazione può essere desunta dalla costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto dei traffici del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga al consumo, sempre che si accerti in capo al fornitore la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (Sez. 6, n. 47563 del 16/10/2024, COGNOME, Rv. 287343 – 01).
E’ stato al riguardo osservato che il mutamento del rapporto tra fornitore e acquirente, da relazione di reciproco affidamento a vincolo di partecipazione, non può ritenersi in base alla sola reiterazione della fornitura, occorrendo, invece, che la stessa abbia assunto, per continuità, stabilità, modalità di esplicazione e rilevanza quantitativa ed economica, la connotazione di una somministrazione, la cui interruzione comporterebbe, alla stregua di un ragionamento controfattuale, un prevedibile effetto destabilizzante per l’operatività del sodalizio; e ciò, sempre che si accerti la coscienza e volontà del fornitore di far parte dell’associazione e di contribuire al suo mantenimento e alla realizzazione dei suoi scopi (Sez. 6, n. 47576 del 03/12/2024, la Cava, Rv. 287375 – 01).
Nella specie, le sentenze di merito restituiscono, alla luce della svolta istruttoria, lo stabile affidamento della consorteria sulla fornitura offerta dal COGNOME, sia pure per un limitato arco temporale, con la costituzione di un vincolo reciproco durevole che ha superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni, per trasformarsi nell’adesione del fornitore al programma criminoso.
Sul piano della condotta di partecipazione, la sentenza ha congruamente argomentato sulla rilevanza del numero dei trasporti effettuati (almeno una decina di viaggi nel capoluogo nisseno, con altrettante consegne di stupefacente, per quantitativi significativi (l’ultimo pari a 2Kg di hashish), in rapporto al ristretto arc temporale antecedente all’arresto (3 mesi), durante il quale il ricorrente ha mantenuto rapporti frequenti con i sodali Zappia, Puzzanghera e Matera (vedi, al riguardo, pag. 6 e ss. della sentenza).
La sentenza di primo grado, che con la prima si salda a formare un unitario corpo motivazionale, risulta analitica nella descrizione dei fatti e ha posto in risalto la continuità operativa del canale di fornitura palermitano, di cui il ricorrente era espressione, evidenziata dalla prosecuzione della fornitura, dopo l’arresto del ricorrente, da parte del fratello NOME COGNOME con le consuete modalità.
Con argomentazione congrua, l’adesione ad un programma criminoso volto alla commissione di un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti, è stata dedotta, quanto al ricorrente, dalla circostanza che i rapporti di lui con i fornitori si sono interrotti, nella vita del sodalizio, solo in conseguenza degli arresti operati dagli inquirenti (nei confronti di Sanfilippo, Puzzanghera, Napoli, nonché dello stesso NOME COGNOME) ovvero quando sarebbe stato oltremodo l rischioso protrarli, non per la cessazione di un rapporto di natura sinallagmatica previsto come limitato nel tempo.
Sul piano dell’elemento psicologico, i Giudici di merito hanno linearmente evidenziato, alla stregua dei colloqui telefonici, come COGNOME avesse piena consapevolezza: a) di interagire con un gruppo organizzato dedito al narcotraffico nell’ambito di un rapporto non di lunga durata, ma comunque continuativo; b) di apportare regolarmente il proprio – rilevante – contributo alla operatività del sodalizio.
Al riguardo si è osservato che, ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune (Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283691 – 02).
Da ultimo, l’esistenza di altri autonomi e talvolta anche concomitanti canali di approvvigionamento dello stupefacente, attivi nel periodo di riferimento, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, non è ostativa alla ritenuta intraneità del ricorrente, perché l’esclusiva della fornitura non è condizione richiesta per la individuazione del ruolo di stabile fornitore.
5.2. Il terzo motivo, con cui si è invocato un diverso giudizio di valenza delle circostanze attenuanti generiche, è generico.
Come è noto, il giudizio di comparazione fissato dall’art. 69 cod. pen. presuppone una valutazione complessiva degli elementi circostanziali, siano essi aggravanti o attenuanti, che trova fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell’azione delittuosa ed è funzionale alla finalità di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto (Sez. 6, n. 6 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258457 – 01).
Il ricorrente non ha indicato in forza di quali elementi specifici le circostanze attenuanti generiche avrebbero dovuto essere riconosciute in rapporto di prevalenza sulle ritenute aggravanti.
I riferimenti al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., e alla final rieducativa della pena, ex art. 27, comma terzo, Cost., sono estremamente generici.
Piuttosto, non si ravvisano vizi logici o giuridici nel formulato giudizio – che è intrinsecamente permeato di discrezionalità – di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche alla contestata recidiva, sulla base dell’avvertita esigenza di mitigare il severo trattamento sanzionatorio disposto dal Giudice di primo grado così da renderlo più adeguato alle connotazioni del caso concreto, valorizzando la durata temporalmente ridotta della partecipazione al sodalizio e, al tempo stesso, il corretto comportamento processuale da parte del ricorrente.
6. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Il ricorso è fondato per le ragioni che di seguito si espongono.
6.1. Le doglianze inerenti all’esistenza della associazione di cui al capo a), sviluppate nel primo motivo di ricorso, sono le stesse esaminate con riferimento alla posizione dei coimputati e vanno parimenti disattese.
Quanto alla condotta di partecipazione al sodalizio criminale – della cui esistenza, come detto – non può dubitarsi, la sentenza d’appello ha, tuttavia, riprodotto il nucleo argomentativo della decisione di primo grado, senza dare effettiva risposta alle censure prospettate.
Napoli sarebbe subentrato a COGNOME dopo l’arresto di questi, avvenuto il 23 settembre 2014, ed avrebbe operato per conto del sodalizio, quale fornitore, fino alla data del suo arresto, avvenuto il 3 gennaio 2015.
Dunque, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, la durata della condotta di partecipazione sarebbe temporalmente compatibile con il pur ristretto periodo in cui Napoli è rimasto in stato di libertà.
La intraneità al gruppo, tuttavia, sembra essere stata dedotta essenzialmente: i) dal sequestro del pur consistente quantitativo di stupefacente (813,03 grammi di hashish) recuperato in occasione del suo arresto, nel mese di gennaio 2005; ii) dalla presenza del ricorrente a Caltanissetta, in alcune sporadiche occasioni, desunta dalla analisi dei tabulati telefonici e delle relative celle di riferimento, i due soli occasioni, nell’ottobre del 2014.
La Corte di merito ha richiamato poi, senza meglio indicarne il contenuto, le conversazioni intercettate in cui COGNOME si sarebbe affidato al nuovo fornitore Napoli, incaricando i punti di contatto NOME COGNOME (compagna di Puzzanghera) e NOME COGNOME di tenere i rapporti con lo stesso, nuovo fornitore palermitano.
Ha tuttavia sbrigativamente superato i rilievi difensivi sul carattere probatoriamente neutro:
della presenza del ricorrente a Caltanissetta in due sole occasioni, nel 2024;
dei contatti nell’occasione avuti da Napoli con i predetti COGNOME e COGNOME – documentati da uno scontrino fiscale rinvenuto nella disponibilità del primo, relativo all’acquisto operato presso l’esercizio commerciale di COGNOME e dai precitati foglietti manoscritti.
In realtà, a proposito delle predette trasferte, non sono state accertate le finalità per cui furono eseguite, se non in termini presuntivi, essendo vaga ed imprecisata l’affermazione secondo cui gli appunti manoscritti comproverebbero la consapevolezza del ricorrente di interagire con un gruppo organizzato e la volontà di farne parte, nonché la continuità delle forniture.
Quanto ai contatti con COGNOME e COGNOME, emissari del COGNOME, nei cui confronti, è stata disposta l’archiviazione, la Corte di merito si è limitata ad osservare, in termini vaghi, che archiviazione non equivale a proscioglimento.
Allo stesso modo non è stato offerto riscontro alle deduzioni difensive sulla mancanza di elementi dimostrativi dell’apporto, da parte di Napoli, di un contributo consapevole ed eziologicamente rilevante allo svolgimento dell’attività associativa. Se è ben vero che elementi dimostrativi della operatività del sodalizio ben possono essere desunti da episodi di narcotraffico, in applicazione dell’ormai pacifico principio di diritto per cui è consentito al giudice, pur nella riconosciuta autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218376), nella specie si è in presenza di un unico episodio di narcotraffico accertato, avvenuto in concomitanza con l’arresto, le cui modalità non sono direttamente evocative di un collegamento con l’associazione.
Infine, neppure emergono dalla sentenza impugnata la adesione del ricorrente ad un programma a contenuto indeterminato e la stabile disponibilità ad attuarlo (Sez. 6, n. 44359 del 15/10/2024, Bernardo, Rv. 287369 – 01).
6.2. È fondato il secondo motivo di ricorso.
La motivazione, in termini di “opportunità”, del diniego di applicazione della continuazione in fase cognitiva, non è giuridicamente corretta.
Ed invero, deve considerarsi che, in tema di impugnazioni, qualora il giudice di appello abbia omesso di provvedere sulla richiesta di applicazione della continuazione – nella specie, con reato separatamente giudicato – formulata con specifico motivo di impugnazione, sussiste l’interesse dell’imputato al ricorso in
cassazione per la mancata pronuncia sul punto, non potendo il giudice d’appello esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione (Sez. 2, n. 990 del 13/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278678 – 01).
La pronuncia si raccorda al portato della sentenza a Sezioni Unite n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216238 – 01, in forza della quale, una volta che l’imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della continuazione, il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante: sicché, stante la correlazione tra motivi di impugnazione e ambito della cognizione e della decisione, non è ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione, e possa, così, sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la propria valutazione circa l’opportunità di esaminare, o non, l’istanza dell’impugnante. Da tanto consegue – secondo il Massimo Consesso – che, qualora il giudice di appello abbia omesso di pronunciare sulla richiesta di continuazione formulata con specifico motivo di impugnazione, sussiste l’interesse dell’imputato al ricorso per cassazione per la mancata pronuncia sul punto.
6.3. Si impone, di conseguenza, l’annullamento della decisione impugnata nei confronti di Napoli, con rinvio alla Corte di appello, che provvederà ad emendare le evidenziate lacune, secondo le direttrici ermeneutiche sopra indicate.
Alle pronunce di rigetto consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Napoli NOME e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 giugno 2025
Il Consigligre estensore
Il Presidente