Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21909 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21909 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
R.G.N. 2881/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a Lamezia Terme il giorno 21/5/1989 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vibo Valentia il giorno 23/7/1973 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME COGNOME nato a Crotone il giorno 10/4/1986 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il giorno 13/4/1944
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME COGNOME VincenzoCOGNOME nato a Reggio Calabria il giorno 5/7/1988 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME PasqualeCOGNOME nato a Nicotera il giorno 30/8/1960 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
NOME COGNOME nato a Catanzaro il giorno 7/7/1974 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vibo Valentia il giorno 13/10/1982 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOMECOGNOME nato a San Vito sullo Ionio il giorno 6/1/1972 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
10. NOME COGNOME nato a Catania il giorno 19/4/1969
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME COGNOME nato a Milano il giorno 3/3/1982 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 2/7/2024 della Corte di Appello di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che da alcuni dei difensori degli imputati e stata richiesta la trattazione orale del procedimento;
letti i motivi nuovi presentati dal difensore degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME con
atti datati 14/4/2025;
letta la memoria di replica datata 17/4/2025 alla requisitoria scritta del Procuratore generale presentata dal difensore degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME
letti i motivi nuovi e la memoria di replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale datati 21/4/2025, presentati dal difensore dell’imputato COGNOME
letta la memoria di replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale datata 2/5/2025 presentata dal difensore dell’imputato COGNOME
lette le conclusioni scritte e l’allegata nota spese trasmesse telematicamente in data 5/5/2025 nell’interesse della parte civile RAGIONE_SOCIALE
lette le conclusioni scritte trasmesse telematicamente in data 6/5/2025 nell’interesse della parte civile Comune di Limbadi con allegata nota spese delle quali si Ł chiesta la liquidazione; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso, riportandosi anche al contenuto della propria requisitoria scritta datata 16/4/2025, chiedendo il rigetto dei ricorsi degli imputati COGNOME, COGNOME COGNOME NOME e COGNOME e la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME;
udito il difensore delle parti civili Comune di Sant’Onofrio, Comune di Vibo Valentia, RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Vibo Valentia e del Comune di Limbadi, avv. NOME COGNOME (anche quale sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME, dell’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME per le parti da essi assistite) che si Ł riportato si Ł riportato al contenuto delle conclusioni scritte che ha depositato con allegate note spese delle quali ha chiesto la liquidazione;
udito il difensore della parte civile Provincia di Vibo Valentia, avv. NOME COGNOME che si Ł riportato al contenuto delle conclusioni scritte che ha depositato con allegata nota spese della quale ha chiesto la liquidazione;
udito il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, avv. NOME COGNOMEin sostituzione dell’avv. NOME COGNOME, che si Ł riportato al contenuto delle conclusioni scritte che ha depositato con allegata nota spese della quale ha chiesto la liquidazione;
udito il difensore degli imputati COGNOME e COGNOME, avv. NOME COGNOME (anche quale sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME COGNOME per la posizione dell’imputato COGNOME), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito il difensore dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso presentato nell’interesse del proprio assistito;
udito il difensore dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOMEquale sostituto processuale dell’avv.
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso presentato nell’interesse del proprio assistito;
udito il difensore dell’imputato COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso presentato nell’interesse del proprio assistito;
udito il difensore degli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME, avv. NOME COGNOMEanche quale sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME per le posizioni degli imputati COGNOME), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito il difensore degli imputati COGNOME e NOME, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi presentati nell’interesse dei propri assistiti;
uditi i difensori dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso presentato nell’interesse del loro assistito.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 2 luglio 2024 la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato in data 5 ottobre 2022 del Giudice per l’udienza preliminare dal Tribunale della medesima città, per la parte che in questa sede interessa, ha:
rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME e NOME COGNOME previo assorbimento del delitto di cui al capo A3 in quello di cui al capo A2 della rubrica delle imputazioni;
rideterminato la pena inflitta ad NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME previa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen. contestata al capo B1;
rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME previa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen. contestata al capo B1 e della recidiva;
rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME previa esclusione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 61-bis e 416-bis.1 cod. pen. contestate al capo B1;
confermato nel resto la sentenza di primo grado ad eccezione della confisca disposta nei confronti del Falduto limitatamente ad un’autovettura Porsche Macan Turbo restituita ad un terzo in buona fede.
Ne consegue che, all’esito delle sentenze di merito, residuano in questa sede le seguenti affermazioni di penale responsabilità:
per NOME COGNOME: capo A2 – limitatamente all’ipotesi di cui agli artt. 110, 629, comma 2, e 416 bis.1. cod. pen. (in esso assorbito quello di cui al capo A3);
per NOME COGNOME capo A2 limitatamente all’ipotesi di cui agli artt. 110, 629, comma 2, e 416 bis.1 cod. pen.;
per NOME COGNOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.) – B2.3 B4.1 – B4.3 – B5 (esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.);
per NOME COGNOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.) – B3.1 B3.3 – B3.6 – B4.9bis – B5 (esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.);
per NOME COGNOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.) B3.9 – B3.11 – B6ter (esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.);
per NOME COGNOME: capi A2 (limitatamente all’ipotesi di cui agli artt. 110, 629, comma 2, e 416 bis.1 cod. pen.);
per NOME NOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.) – B2.1 B2.2 – B2.2bis – B2.3 – B3.1 – B3.2 – B3.3 – B3.8 – B3.9 – B3.12 – B4.1 – B4.2 – B4.3 – B5 B6ter;
per NOME COGNOME: capo A2 (limitatamente all’ipotesi di cui agli artt. 110, 629, comma 2, e 416 bis.2 cod. pen. ed in esso assorbito il capo A3);
per NOME COGNOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.) – B2.1 B2.2 – B.2.2bis – B2.3 – B3.1 – B3.2 – B3.3 – B3.8 – B3.9 – B3.12 – B4.1 – B4.2 – B4.3 – B5 B6ter (esclusa per tutti i reati la contestata recidiva);
per NOME COGNOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen. e quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.) – B3.3 – B4.5bis – B4.6bis – B4.7 – B17;
per NOME COGNOME: capi B1 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.) B2.1 – B2.2 – B2.3 – B3.1 – B3.2 – B3.3 – B3.8 – B4.1 – B4.2 – B4.3 – B4.5 – B4.6 – B6ter – B16 B20 (esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.).
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati,
deducendo:
2.1. per NOME COGNOME:
2.1.1 (Ricorso avv. COGNOME) Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 e 546 comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ed agli artt. 110 e 629 cod. pen. con riguardo al reato di cui al capo A2 della rubrica.
Deduce la difesa del ricorrente che le azioni attraverso le quali si sarebbe sostanziata la condotta dell’imputato sarebbero inidonee ad integrare gli elementi tipici della condotta estorsiva e portano ad escludere che vi sarebbe stata una attività di condizionamento di NOME COGNOME in occasione dell’assegnazione di lavori per la realizzazione del nuovo centro parrocchiale di Pizzo. I Giudici del merito avrebbero oltremodo valorizzato il contesto di mafiosità di verificazione delle condotte, senza peraltro evidenziare elementi probatori concreti al di là dell’interesse del Prestanicola ad ottenere l’aggiudicazione dei lavori.
Avrebbe, inoltre, errato la Corte di appello laddove, da una lato, ha sposato l’assunto secondo il quale il dominus assoluto rispetto all’aggiudicazione dei lavori sarebbe stato NOME COGNOME, vertice della ‘ndrangheta vibonese e, dall’altro, non avrebbe però tenuto conto della progressione cronologica degli eventi essendo l’eventuale attività estorsiva ai danni del Pata già perfezionatasi ad opera del COGNOME il quale aveva stabilito la ripartizione degli appalti prima dell’intervento del Prestanicola, uomo ritenuto vicino ad Anello, il tutto con la conseguenza che sarebbe da escludersi che la persona offesa abbia subito un condizionamento ad opera dell’odierno ricorrente al fine dell’aggiudicazione del relativo appalto. Richiama al riguardo parte ricorrente una serie di conversazioni intercettate che darebbero fondamento alla tesi difensiva.
La sentenza impugnata sarebbe – sempre secondo parte ricorrente – viziata in relazione ai fatti di cui al capo A3 della rubrica delle imputazioni relativi al tentativo, non riuscito, di fare attribuire all’impresa del Prestancola anche l’appalto per i lavori di sbancamento dell’area, appalto poi assegnato alla ditta del COGNOME per ragioni ritenute dai Giudici di merito indipendenti dalla volontà degli imputati. Ciò in quanto, anche in questo caso, il metus asseritamente ritenuto promanante dal gruppo dell’Anello non può avere avuto rilevanza nei confronti del Pata il quale aveva già completamente avallato i desiderata del gruppo criminale rappresentato da COGNOME e COGNOME nØ, nel caso in esame, si potrebbe prospettare una corretta applicazione dei principi di diritto in materia di minaccia ‘ambientale’ o ‘silente’ con finalità estorsiva.
2.1.2. (Ricorso avv. COGNOME) Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., 111 Cost. con riguardo agli artt. 416-bis.1 e 628, comma 3, n. 3 cod. pen.
Sulla premessa che la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. Ł stata ritenuta sussistente sia sotto il profilo del ‘metodo mafioso’ che sotto quello del ‘favoreggiamento mafioso’, rileva parte ricorrente che i Giudici del merito non avrebbero congruamente motivato sotto il primo profilo con riguardo alla posizione dell’Anello.
Quanto, poi, all’aggravante della ‘agevolazione mafiosa’ non sarebbe in alcun modo dimostrato che vi sia stata alcuna finalizzazione delle utilità che sarebbero derivate dalla attività illecita in contestazione rispetto alle finalità del gruppo RAGIONE_SOCIALE.
2.1.3. (Ricorso avv. COGNOME) Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., 111 Cost. con riguardo all’art. 62-bis cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata con la quale si Ł
negato all’imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sarebbe caratterizzata da mere clausole di stile e non si sarebbe tenuto conto di elementi diversi dalla mera asserita gravità dei fatti in contestazione.
2.1.4. (Ricorso avv. COGNOME) Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alle contestazioni di cui ai capi A2 e A3 per travisamento della prova per omissione.
Sulla premessa evidenziata dai Giudici di merito che rispetto all’accordo spartitorio degli appalti intercorso tra i referenti della cosca COGNOME e quelli della cosca di Sant’Onofrio sopravvennero due imprevisti consistenti nel fatto cha la ditta COGNOME non risultava iscritta nella ‘white list’ e che la ditta del Prestanicola si era mostrata disponibile all’assegnazione dell’appalto, osserva parte ricorrente:
che le ditte interessate alla fornitura di calcestruzzo erano cinque e non due come indicato in sentenza;
che il fatto che la ditta COGNOME non fosse iscritta nella ‘white list’ era, nel caso di specie, irrilevante trattandosi di appalto privato;
che se effettivamente vi fosse stato un accordo preventivo di spartizione degli appalti nessun effetto avrebbe potuto avere la circostanza che la ditta COGNOME non era iscritta nella ‘white list’ trattandosi di un obbligo non previsto per legge;
il tutto con la conseguenza che non emergono elementi finalizzati alla compressione di una volontà negoziale della persona offesa.
La Corte territoriale avrebbe quindi omesso di valutare al riguardo le dichiarazioni del teste NOME COGNOME ed avrebbe attribuito al Pata un ruolo che non gli competeva, quale quello di decidere sull’affidamento dei lavori, potere che invece spettava esclusivamente al legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in tal modo incorrendo in un travisamento del materiale probatorio.
A ciò si aggiunge che:
alla luce dell’incontro avvenuto tra il Pata ed il Gallone nel febbraio 2019 e del fatto che il primo ha affermato di essere stato sollevato dall’imbarazzo di scegliere la ditta alla quale assegnare i lavori, a causa dell’assenza dei requisiti in capo alla concorrente ditta COGNOME, non emerge alcuna azione estorsiva a carico dello stesso;
b) non Ł emerso alcun intervento dell’Anello finalizzato a promuovere la ditta del Prestanicola al fine dell’assegnazione dei lavori e ad incidere sulla decisione del Pata al riguardo.
Prosegue, poi, parte ricorrente osservando che, con riguardo ai fatti contestati al capo A3, appare contraddittoria la circostanza che mentre l’intervento dell’Anello sarebbe stato rilevante per l’affidamento dell’appalto relativo alla fornitura del materiale, non avrebbe avuto altrettanta efficacia per l’affidamento dei lavori di sbancamento, tenuto conto che emergerebbe da una intercettazione del 30 aprile 2019 che il COGNOME, prima ancora dell’intervento del COGNOME, aveva ricevuto dal Pata l’invito a realizzare sia le forniture del cemento che il lavoro di sbancamento.
2.1.5. (ricorso avv. COGNOME Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per omessa valutazione dei motivi di appello in ordine alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il motivo di ricorso, nel quale sono ricordate la natura soggettiva e l’elemento psicologico necessario per la configurabilità dell’aggravante in esame, sostanzialmente ricalca quello già formulato dal codifensore di cui al superiore par. 2.1.2.
2.1.6. (ricorso avv. COGNOME Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine alla determinazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Osserva il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. non avendo in particolare esplicitato il percorso argomentativo
utilizzato nella determinazione di una pena base così elevata.
Per il resto il motivo di ricorso Ł sovrapponibile quello riassunto al superiore paragrafo 2.1.3.
2.2. per NOME COGNOME:
2.2.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla contestazione di cui al capo A2 per travisamento della prova per omissione.
Il motivo di ricorso ricalca sostanzialmente (per la parte di interesse per il COGNOME) le medesime argomentazioni del ricorso presentato nell’interesse del coimputato COGNOME) riassunto al superiore punto 2.1.4.
2.2.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per omessa valutazione dei motivi di appello in ordine alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il motivo di ricorso ricalca in toto le argomentazioni del ricorso presentato nell’interesse del coimputato COGNOME) riassunto al superiore punto 2.1.5.
2.2.3. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine alla determinazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il motivo di ricorso ricalca in toto le argomentazioni del ricorso presentato nell’interesse del coimputato COGNOME) riassunto al superiore punto 2.1.6.
2.3. per NOME COGNOME:
2.3.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, comma 2, 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Lamenta la difesa del ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe dato risposta alle censure presentate dalla difesa nell’atto di appello.
In particolare, si rappresenta che la Corte territoriale non avrebbe chiarito:
il ruolo che il COGNOME avrebbe svolto all’interno della associazione, al di là della valorizzazione dell’asserita qualifica di ‘autotrasportatore per conto della consorteria’ che, invero, involgeva la sua lecita attività lavorativa;
l’efficacia causale della condotta del ricorrente rispetto al rafforzamento, o anche solo alla conservazione, delle capacità operative dell’organizzazione de qua anche in ragione della totale mancanza, nell’intero arco temporale in contestazione, di documentati rapporti illeciti tra il COGNOME e taluno degli altri imputati chiamati a rispondere del delitto associativo di cui al capo B1;
le modalità con le quali il COGNOME sarebbe venuto a conoscenza del modus operandi della consorteria circa il trasporto di prodotto di contrabbando.
A ciò si aggiungerebbe il pressochØ totale difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato.
2.3.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, comma 2, 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., 21, comma 4, 40, commi 1 e 4, 49, comma 1, 62, comma 1, lett. a) e 61, comma 4, d.lgs. n. 504/95 con riguardo ai capi B2.3, B4.1, B4.3 e B5 della rubrica delle imputazioni.
Rileva la difesa del ricorrente che la Corte territoriale, anche in questo caso, non avrebbe dato risposta alle eccezioni difensive ed avrebbe travisato sia il contenuto del materiale probatorio, richiamando al riguardo le dichiarazioni di NOME COGNOME che peraltro non contenevano riferimenti espressi al COGNOME (essendosi il dichiarante limitato a dire che i soggetti che eseguivano i trasporti non erano all’oscuro delle violazioni che stavano commettendo), sia le risultanze delle intercettazioni.
La Corte di appello al riguardo si sarebbe limitata ad un’apodittica replica delle indicazioni
fornite dalla difesa, ma non avrebbe dato risposta alla questione relativa alla mancanza di prova che il COGNOME fosse consapevole di utilizzare dei DAS contraffatti essendo tali documenti non da lui prodotti ma consegnatigli prima dell’inizio dei trasporti.
2.3.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, 192, comma 2, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 416 cod. pen. (capo B1 della rubrica delle imputazioni).
Rileva al riguardo la difesa del ricorrente che la prova della partecipazione del COGNOME al delitto associativo riposerebbe esclusivamente sulle ambigue e contraddittorie risultanze probatorie concernenti i contestati reati-fine e che quanto emerso dalle conversazioni intercettate (richiamate testualmente in alcuni passaggi del ricorso) non avrebbe un significato univoco e dimostrativo del fatto che i colloquianti stavano discorrendo di vicende legate alle logiche e alla operatività del sodalizio e, per contro, darebbe contezza dell’inconsapevolezza degli autotrasportatori, addirittura di quali fossero i luoghi presso i quali dovevano effettuare i carichi. NØ potrebbe dedursi dalle conversazioni intercettate che con gli autotrasportatori erano state concordate versioni da fornire, qualora gli stessi durante il trasporto fossero stati fermati per dei controlli, e neppure che gli autotrasportatori erano consapevoli di trasportare merce di contrabbando.
2.3.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, 192, comma 2, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 133, 81, comma 2, e 62-bis cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente che nella sentenza impugnata non sarebbero stati assolti gli obblighi di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio previsti dall’art. 133 cod. pen., essendosi la Corte di appello limitata a ratificare la soluzione proposta dal G.u.p.
Mancherebbe, inoltre, ogni riferimento nella determinazione degli aumenti di pena per effetto della ritenuta continuazione con riguardo ad ognuno dei reati satellite e, infine, non avrebbero spiegato i Giudici di appello per quali ragioni le circostanze attenuanti generiche non potevano essere riconosciute con una valutazione di prevalenza sulle aggravanti contestate;
2.3.5. Con atto datato 14 aprile 2025 il difensore dell’imputato ha presentato motivi nuovi nei quali, in sede di approfondimento delle deduzioni contenute nel ricorso originario ha:
con riguardo al primo motivo di ricorso, contestato la consapevolezza del ricorrente dei meccanismi fraudolenti nei quali operava l’associazione e l’efficacia causale del contributo fornito dal COGNOME all’associazione stessa;
con riguardo al secondo motivo di ricorso, contestato il travisamento del significato probatorio dell’intercettazione COGNOME/COGNOME e di altre intercettazioni relative alla necessità di indicazioni concernenti i luoghi di carico delle merci, nonchØ contestato la consapevolezza da parte dell’imputato della falsità dei DAS e la corretta valutazione delle dichiarazioni dell’originario coimputato COGNOME;
con riguardo al terzo motivo di ricorso, contestato la carenza di prova relativa alla affectio societatis da parte dell’imputato e la partecipazione dello stesso ai guadagni;
con riguardo al quarto motivo di ricorso, contestato la motivazione apparente sulla determinazione della pena base e degli aumenti di pena per effetto della continuazione tra i reati ed al diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
2.3.6. Con memoria datata 17 aprile 2025 la difesa dell’imputato ha replicato alla requisitoria scritta del Procuratore generale ribadendo argomenti già affrontati nel ricorso principale e nei motivi nuovi;
2.4. per NOME COGNOME:
2.4.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, comma 2, 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Il motivo di ricorso ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.3.1.
2.4.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, comma 2, 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., 21, comma 4, 40, commi 1 e 4, 49, comma 1, 62, comma 1, lett. a) e 61, comma 4, d.lgs. n. 504/95 con riguardo ai capi B3.1, B3.3 e B5, nonchØ agli artt. 110, 112, comma 1, nn. 1 e 2, 61, comma 1, n. 2, 81, comma 2, 479, 476, comma 2, cod. pen. 21, comma 4, 40, commi 1 e 4, e 49, comma 1, d.lgs. n. 504/95 con riguardo ai capi B3.6, B4.9bis della rubrica delle imputazioni.
Il motivo di ricorso, salvo il differente riferimento ai capi di imputazione che indicano anche la contestazione riguardante trasporti effettuati su prodotto petrolifero proveniente da un fornitore diverso da quello indicato nei DAS, ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.3.2.
2.4.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, 192, comma 2, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 416 cod. pen. (capo B1 della rubrica delle imputazioni).
Il motivo di ricorso, salvo, anche in questo caso il differente riferimento ai capi di imputazione contestati al ricorrente, ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.3.3.
2.4.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, 192, comma 2, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 133, 81, comma 2, e 62-bis cod. pen.
Il motivo di ricorso ricalca in toto quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.3.4.
2.4.5. Con atto datato 14 aprile 2025 il difensore dell’imputato ha presentato motivi nuovi il contenuto dei quali Ł sostanzialmente sovrapponibile a quelli presentati nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME e sopra riassunti al superiore paragrafo 2.3.5.
2.4.6. Con memoria datata 17 aprile 2025 la difesa dell’imputato ha replicato alla requisitoria scritta del Procuratore generale ribadendo argomenti già affrontati nel ricorso principale e nei motivi nuovi.
2.5. per NOME COGNOME:
2.5.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 416 cod. pen., 125, comma 3, 192, commi 2 e 3, 533, comma 1, cod. proc. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che vi sarebbe assenza di elementi probatori atti a dimostrare la partecipazione del Falduto alla associazione di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni in quanto i singoli episodi illeciti contestati all’imputato non sono idonei a dar conto dell’esistenza del pactum sceleris e che la Corte di appello non si sarebbe confrontata con i principi giurisprudenziali in materia di configurabilità del delitto associativo anche con riguardo ai rapporti tra associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato.
Quanto alla posizione del ricorrente la Corte territoriale, dopo avere riassunto i motivi di appello, li ha ritenuti superati limitandosi a richiamare il contenuto di una conversazione intercettata dal contenuto in realtà incomprensibile e generico, così – asseritamente – ponendo in essere una
‘pseudo-motivazione’ ed in tal modo violando gli obblighi motivazionali richiesti dalla legge.
2.5.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 479, 476, 515 cod. pen. e 21, 40, 49, 62, 61 d.lgs. n. 504/95 con riguardo ai capi B3.9, B3.11 e B6ter della rubrica delle imputazioni.
Rileva la difesa del ricorrente l’assoluta regolarità della fornitura oggetto di contestazione al capo B3.9 essendo stato attestato che il relativo pagamento ha riguardato il prezzo ‘pieno’ del carburante, con regolare corrispondenza dei registri di carico e scarico ed osserva che la Corte di appello con motivazione apodittica e congetturale avrebbe introdotto la contestazione di una ipotetica restituzione del sovrapprezzo mai contestata fino a tale momento.
2.5.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 175 cod. pen., 546, comma 1, lett. e), e 125 comma 3, cod. proc. pen. con riguardo alla dosimetria della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti contestate.
Osserva al riguardo la difesa del ricorrente che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della brevità del periodo di coinvolgimento del Falduto nei fatti in contestazione, della confessione dallo stesso resa e dello stato di incensuratezza dell’imputato. Altresì non avrebbe spiegato la Corte territoriale le ragioni per le quali ha ritenuto, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, di discostarsi dal minimo edittale della pena.
2.6. per NOME COGNOME:
2.6.1. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 603 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 190 e 495 cod. proc. pen. e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Si duole, innanzitutto, la difesa del ricorrente del fatto che la Corte di appello avrebbe illogicamente respinto la richiesta avanzata dalla difesa con i motivi nuovi di gravame volta ad ottenere l’acquisizione, da ritenersi rilevanti per la decisione, delle trascrizioni dell’udienza dibattimentale in cui, nel parallelo procedimento ordinario, erano stati esaminati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avrebbe, innanzitutto, errato la Corte di appello nel ritenere che la richiesta rientrasse nel novero dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. mentre per contro trattavasi di prove sopravvenute al giudizio di primo grado che quindi dovevano ritenersi rientranti nel disposto dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen.
A ciò si aggiunge che la Corte territoriale si Ł limitata a sottolineare che i dichiaranti avevano già reso dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari, ma ciò non sarebbe sufficiente a legittimare il rigetto della richiesta difensiva.
L’acquisizione di detti elementi probatori sarebbe, invece, stata di rilevante importanza tenuto conto che il Pata ha trattato dei poteri di firma dei contratti di fornitura e di individuazione delle ditte evidenziando elementi di inattendibilità per ricostruire le condotte di cui all’imputazione, anche con riguardo alla percezione dell’agire del COGNOME e che il COGNOME, dal canto proprio, ha trattato dei ruoli decisionali all’interno della società e dei criteri di scelta delle ditte fornitrici seguiti, anche per l’attribuzione dell’incarico di fornitura di calcestruzzo di cui all’imputazione, oltre che sulla percezione di eventuali pressioni o intimidazioni.
2.6.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 629 e 610 cod. pen.
Osserva parte ricorrente che erroneamente sarebbe stata ritenuta la sussistenza del reato di estorsione, anche escludendo la possibilità di riqualificare la condotta in quella di cui all’art. 610 cod. pen. non adeguatamente confrontandosi con le dichiarazioni dei testi NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre che con il contenuto delle conversazioni intercettate, da valutarsi in senso opposto a
quello indicato nella sentenza di primo grado.
In particolare:
il ruolo ritenuto ‘impositivo’ del COGNOME troverebbe smentita nei dialoghi intercorsi tra lo stesso ed il coimputato COGNOME;
il COGNOME si sarebbe limitato a manifestare l’intenzione di inviare una ‘ambasciata’ al Pata ma di ciò non si avrebbe una successiva conferma;
il COGNOME ha riferito che il calcestruzzo era stato sempre fornito dall’impresa del Prestanicola e mai da quella del Ruccella;
le valutazioni operate dai Giudici di merito poggiano sull’erroneo ruolo attribuito al Pata all’interno della RAGIONE_SOCIALE, ruolo invece rivestito dal COGNOME che era il presidente e legale rappresentante della società;
nessuna imposizione sarebbe stata effettuata con riguardo alle forniture e comunque non avendo il Pata alcun ruolo decisionale, ciò inevitabilmente si riflette anche sulla efficacia di eventuali imposizioni e, quindi, sulla configurabilità della fattispecie estorsiva;
non vi era alcuna prova dell’esistenza di un accordo per la spartizione delle forniture;
non Ł corretto affermare che vi fu un accordo per garantire alla ditta COGNOME il subentro alla ditta del COGNOME una volta che la prima avesse ottenuto l’iscrizione della ‘white list’, tanto Ł vero che alla ditta del (NOME) COGNOME subentrò successivamente altra impresa (la RAGIONE_SOCIALE, della quale era legale rappresentante NOME COGNOME);
l’appalto fu assegnato alla ditta del Prestanicola perchØ aveva formulato l’offerta piø vantaggiosa ed aveva tutti i requisiti formali per l’aggiudicazione dello stesso;
lo stesso COGNOME ha confermato che, in ogni caso, trattandosi di appalto privato, non vi era alcun obbligo di scegliere società iscritte nella ‘white list’;
il mancato accoglimento del preventivo prodotto dal COGNOME smentisce la realizzazione di qualsivoglia imposizione estorsiva in danno delle persone offese da parte del COGNOME;
l’intervento del COGNOME sarebbe comunque avvenuto in epoca successiva rispetto ad accordi già realizzati.
2.6.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Osserva parte ricorrente che la Corte di appello non avrebbe saggiato la concreta sussistenza dei presupposti per l’applicazione della contestata circostanza aggravante, limitandosi a richiamare assertivamente la consapevolezza del Pata circa l’intraneità degli imputati nella criminalità organizzata e la conoscenza da parte dello stesso delle dinamiche delinquenziali nell’area.
In realtà – sostiene parte ricorrente – non vi sarebbe stato l’utilizzo neppure da parte del Gallone di alcun ‘metodo mafioso’ e non risulterebbe nemmeno provato che le condotte poste in essere perseguissero, come obiettivo finale, il vantaggio della consorteria in luogo di singoli obiettivi personali.
2.6.4. In data 21 aprile 2025 il difensore dell’imputato ha presentato motivi nuovi in replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale con i quali ha sostanzialmente ribadito e precisato i motivi di ricorso sopra riassunti ai paragrafi 2.6.1 e 2.6.2.
2.7. per NOME COGNOME
2.7.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. e 416 cod. pen. anche in relazione al ruolo apicale attribuito all’imputato.
Dopo avere premesso i principi di diritto che consentono di distinguere il reato associativo dal concorso di persone nel delitto continuato, parte ricorrente evidenza che:
la Corte territoriale avrebbe operato una valutazione frammentaria e parcellizzata delle
emergenze probatorie e, comunque, difetterebbe nel caso in esame la sussistenza di un ‘gruppo organizzato’ e la prova di un accordo criminoso;
b) le dichiarazioni dell’COGNOME non sarebbero state valutate nella loro interezza e non sarebbero state confrontate anche con quelle del coimputato COGNOME il quale ha bene illustrato le effettive condotte poste in essere dal NOME;
difetterebbe la prova dell’elemento soggettivo del reato associativo in capo al ricorrente;
le conversazioni intercettate sarebbero prive di rilevanza;
non vi sarebbe prova che siano stati posti in essere traffici illeciti in epoca successiva al settembre 2019;
non risulta che gli imputati NOME e COGNOME abbiano percepito utili dal compimento delle attività agli stessi contestate o che abbiano avuto rapporti con soggetti di rilievo, quali NOME COGNOME od il COGNOME;
il collaboratore di giustizia NOME COGNOME non ha mai reso dichiarazioni coinvolgenti il NOME ed il COGNOME.
Quanto, poi, al ruolo apicale attribuito al NOME in seno alla consorteria, anche in questo caso non sarebbero state adeguatamente valutate le dichiarazioni dell’Agosta e del COGNOME che consentono di escludere che il NOME rivestisse un ruolo tale da poter imporre scelte gestionali del gruppo ai presunti sodali.
2.7.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo al concorso nei reati di falso e di contrabbando di cui ai capi B2.1, B2.3, B3.1, B3.3, B3.9, B4.1, B4.3, B5, B6ter e B3.12.
Osserva, innanzitutto, parte ricorrente di avere dedotto in sede di gravame che la contestazione di cui all’art. 476 cod. pen. andava interpolata con l’art. 482 anzichØ con l’art. 479 cod. pen., ma che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto infondata tale doglianza, affermando che i DAS sono soggetti alla bollatura dell’Ufficio delle Dogane e quindi alla certificazione dell’impronta del pubblico ufficiale. Prosegue parte ricorrente rilevando che l’art. 479 cod. pen. punisce le condotte dei pubblici ufficiali che attestano un falso svolgendo le proprie funzioni, mentre nel caso in esame non vi era un soggetto che rivestiva tale qualità. Inoltre, tale contestazione contrasterebbe con quanto addebitato ad altri imputati nel capo B11 in relazione alla contraffazione del timbro dell’Agenzia delle Dogane.
Prosegue parte ricorrente nel rilevare che agli imputati si contesta solo di avere concorso moralmente alla redazione dei DAS fasulli, azione della quale mancherebbe la prova: l’Agosta, infatti, ha dichiarato che nessuno poteva sapere se i DAS fossero veri o falsi atteso che i predetti documenti venivano consegnati agli autisti dal deposito di approvvigionamento e da questi al deposito di scarico, attività alle quali nØ il Giorgio, nØ il Rigillo hanno mai avuto accesso.
Quanto, poi, agli altri reati-fine, sostiene parte ricorrente che nei confronti degli imputati sarebbe stata stabilita una sorta di ‘responsabilità da posizione’ in assenza di identificazione di condotte specifiche.
2.7.3. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo al concorso nei reati di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648ter.1 cod. pen. di cui ai capi B2.2, B3.2, B3.8, B4.2, B2.2bis.
Osserva parte ricorrente che la Corte di appello, nel respingere le doglianze difensive in relazione al reato di autoriciclaggio (in presenza di un silenzio del G.u.p. sul punto), ha affermato che tutte le condotte così qualificate sono unicamente riferibili al prodotto petrolifero in relazione alle operazioni di miscelazione propedeutiche alla successiva immissione sul mercato. Così operando prosegue parte ricorrente – si sarebbe determinata una illogicità rispetto ai capi di imputazione relativi ai delitti di falso e di contrabbando dato che tutte le transazioni commerciali risultano
compiutamente censite come risulterebbe anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, elemento che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare.
Non vi sarebbe, poi, in capo al ricorrente la prova dell’elemento soggettivo dei reati in contestazione.
Sempre con riferimento al reato di autoriciclaggio la Corte territoriale non avrebbe dato risposta alle doglianze difensive con le quali si contestava la reale e concreta capacità dissimulatoria delle condotte finalizzate ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni.
2.7.4. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Sulla premessa che la Corte di appello ha confermato la ricorrenza dell’aggravante de qua in capo all’odierno ricorrente sotto il profilo di avere favorito, mediante la propria condotta, la consorteria criminale facente capo a NOME COGNOME osserva la difesa che i Giudici di merito non hanno indicato alcun elemento a conforto della consapevolezza dell’agevolazione del sodalizio, ciò in quanto le azioni asseritamente poste in essere ben potevano essere finalizzate al perseguimento di scopi illeciti del tutto personali degli imputati, o comunque al solo patrimonio di NOME COGNOME e non alla consorteria dallo stesso capeggiata.
Neppure dalle conversazioni intercettate (pagg. da 243 a 249 della sentenza di primo grado), alcune della quali neppure riguardanti l’odierno ricorrente, sarebbe evincibile che la condotta del NOME fosse finalizzata ad agevolare la cosca COGNOME.
2.7.5. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo all’art. 99 cod. pen.
Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente dell’avvenuto riconoscimento della circostanza aggravante della recidiva, ciò in quanto il Giorgio ha un solo precedente penale relativo al mancato versamento di contributi previdenziali legati allo svolgimento di attività lavorativa. La Corte territoriale non avrebbe quindi rispettato al riguardo i principi evincibile dalla sentenza della Sezioni Unite ‘CalibŁ’.
2.7.6. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo agli artt. 132 e 133 cod. pen.
Si duole parte ricorrente del mancato riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche e della eccessività del trattamento sanzionatorio anche omettendo di valutare quanto già deciso da altro Giudice con riferimento all’imputato NOME COGNOME COGNOME che ha ‘patteggiato’ la pena nonostante gli fossero contestati circa trenta reati fine.
Quanto, poi, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, i Giudici del merito non avrebbero tenuto conto del carattere dell’imputato e del suo comportamento processuale oltre che della finalità rieducativa della pena.
2.8. per NOME COGNOME:
2.8.1. Violazione degli artt. 110, 629 cod. pen. in relazione all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per avere la sentenza impugnata affermato la responsabilità del ricorrente quale mero beneficiario dell’ipotizzata estorsione di cui al capo A2 e della tentata estorsione di cui al capo A3 (reato assorbito in quello sub. A2).
Sulla premessa che la decisione oggetto di impugnazione fonda la prova del concorso nell’estorsione su di una serie di intercettazioni che darebbero conto dell’attivismo di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’attribuzione dei lavori di esecuzione dell’appalto del nuovo complesso parrocchiale di Pizzo e segnatamente dello sbancamento e della fornitura di cemento ad imprese asseritamente referenti dei consorzi criminali della zona, rileva parte ricorrente come le conclusioni alle quali sono giunti i giudici di merito si fondano su intercettazioni
che descrivono de relato condotte ascritte a NOME COGNOME e, in minima parte, a NOME COGNOME omettendo di motivare sul loro diretto coinvolgimento nella complessiva vicenda.
Le stesse dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME non darebbero, poi, conto di un intervento diretto del Prestanicola nella vicenda, con la conseguenza che sarebbe stato applicato il principio del concorso di persone nel reato, senza evidenziare un rimprovero attribuibile al ricorrente a titolo di istigazione o di materiale agevolazione.
Difetterebbe, inoltre, il dolo di partecipazione del ricorrente nelle attività estorsive contestate, nØ la responsabilità concorsuale potrebbe fondarsi sull’aver beneficiato del subappalto.
Le argomentazioni sopra riportate non potrebbero poi che valere anche per la contestazione di cui al capo A3 (ritenuto assorbito in quello A2).
2.8.2. Violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.: motivazione in parte omessa e in parte illogica per avere la sentenza impugnata affermato la responsabilità del ricorrente quale mero beneficiario dell’ipotizzata estorsione di cui al capo A2 e al capo A3 (reato come detto assorbito in quello sub A2) in mancanza della prova e della relativa motivazione di un diretto coinvolgimento nell’estorsione sul piano dell’istigazione o del contributo materiale, in violazione del canone del ragionevole dubbio.
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che la sentenza impugnata, nel fondare il giudizio di responsabilità esclusivamente sulle captazioni agli atti (riportate per stralci nel ricorso), non indica alcuna intercettazione dalla quale risulti la commissione di una condotta estorsiva o una chiara istigazione in tal senso da parte del Prestanicola nei confronti della persona offesa, ma si affida alla critica ricezione dell’incerta narrazione di alcuni correi. Così operando, la sentenza si porrebbe in contrasto con quell’insegnamento che impone, allorchØ la prova si fondi su intercettazioni ove si discute di soggetti diversi dagli interlocutori, un maggior rigore argomentativo che nel caso in esame non sarebbe stato adottato.
Osserva, ancora, la difesa del ricorrente, che la sentenza avrebbe omesso di motivare sulle dichiarazioni rese dal Pata in data 6 agosto 2021, il quale ha riferito che il COGNOME e i Prestanicola fecero piø volte visita presso gli uffici della RAGIONE_SOCIALE per informarsi in merito alle decisioni relative ai preventivi che avevano inoltrato e che egli segnalò ai Prestanicola l’eccessività dei prezzi da loro proposti al punto di invitarli a rivedere le loro pretese economiche, situazione questa che si porrebbe in chiaro contrasto con la possibilità di ritenere la sussistenza di condotte estorsive. A ciò si aggiunge che le conversazioni intercettate, che alludono a visite di COGNOME e COGNOME presso il cantiere, riferiscono in via congetturale di contatti con il direttore dei lavori NOME COGNOME e non con la persona offesa.
Osserva, sul punto ed in conclusione, la difesa del ricorrente che entrambe le sentenze di merito non avrebbero motivato in ordine:
alla concreta condotta posta in essere dal COGNOME;
all’atteggiamento con il quale lo stesso avrebbe costretto – grazie alla sua vicinanza con NOME COGNOME – la persona offesa NOME a concludere il contratto di subappalto per l’assegnazione della fornitura di calcestruzzo;
c) alla conoscenza da parte del Prestanicola di altrui iniziative asseritamente illecite; con la conseguenza che la decisione oggetto di ricorso sarebbe pervenuta ad un’affermazione di responsabilità fondata su di una soglia probatoria non resistente al criterio del ragionevole dubbio, trascurando la ricostruzione alternativa operata dalla difesa sulla base dell’evidenza documentale ed intercettativa che aveva dimostrato la regolarità dell’assegnazione del subappalto, tenuto conto della scansione temporale dei fatti, delle interlocuzioni tra le parti avvenute via email, delle riduzioni tariffarie ripetutamente praticate e del contenuto di una intercettazione (progr. 1716 del 30.4.2019) intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (v. pag. 35 del ricorso) dalla quale
emergeva pacificamente l’assenza di volontà estorsiva nella fornitura del cemento.
Conclude sul punto parte ricorrente evidenziando che quanto esposto in relazione alla contestazione di cui al capo A2 delle imputazioni Ł estensibile anche alla contestazione di cui al capo A3.
2.8.3. Violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. per avere la sentenza impugnata riconosciuto la circostanza aggravante di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen. in relazione all’art. 628, nn. 1 e 3, cod. pen. senza motivare in ordine alla ascrivibilità della stessa al ricorrente.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che, con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen., la stessa si comunica al concorrente non presente nel luogo di consumazione del reato se questi sia stato consapevole che il reato sarebbe stato consumato da piø persone riunite, con la conseguenza che in presenza di un vuoto probatorio in ordine alle condotte poste in essere dal Prestanicola, tale profilo avrebbe dovuto essere oggetto di specifica motivazione che nel caso in esame difetta.
2.8.4. Violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per avere la sentenza ritenuto sussistente la circostanza aggravante del metodo mafioso e dell’agevolazione, previa motivazione in parte omessa e in parte illogica; violazione degli artt. 629, comma 2, cod. pen. e 416-bis.1, cod. pen. in relazione all’articolo 606, lett. b), cod. proc. pen., previa omessa motivazione, per aver considerato compatibili le contestate aggravanti.
Sulla premessa che l’arch. COGNOME, soggetto ritenuto latore degli intenti estorsivi di COGNOME e COGNOME in quanto appartenente alla criminalità organizzata di stampo ‘ndranghetistico, Ł stato assolto dal delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. con sentenza del Tribunale di Lamezia Terme del 19 giugno 2024, osserva la difesa del ricorrente, richiamando assunti giurisprudenziali in materia, che l’uso del metodo mafioso deve comunque avere – contrariamente a quanto accaduto nel caso in esame – un’esteriorizzazione perchØ altrimenti opinando si finirebbe per configurare il metodo mafioso tutte le volte che le minacce abbiano una certa gravità e provengano da pregiudicati le cui storie delinquenziali siano note alle vittime.
A ciò si aggiunge che i giudici di merito non avrebbero esplicitato il criterio di ascrizione, ai sensi dell’art. 59 cod. pen., al Prestanicola della circostanza aggravante in esame, nonostante l’atto di appello avesse segnalato l’indifferenziata applicazione della stessa senza alcun riferimento alle singole posizioni soggettive.
Quanto, poi, all”agevolazione mafiosa’ – prosegue la difesa del ricorrente – l’aggravante esige, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, che l’agente deliberi l’attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa, valutazione questa che risulta del tutto pretermessa nella sentenza impugnata ed anche in quella di primo grado.
Conclude sul punto la difesa del ricorrente che i giudici del merito hanno applicato sia la circostanza aggravante di cui all’art. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3 n. 3, cod. pen. (violenza o minaccia commessa da persona che fa parte dell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen.), sia quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., in tal modo violando il consolidato orientamento della Corte di legittimità secondo il quale, in caso di ‘minaccia silente’, l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, esclude la contemporanea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
2.8.5. Violazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per avere la sentenza impugnata confermato l’applicazione di una pena incongrua, il diniego delle attenuanti generiche e le pene accessorie.
Osserva, innanzitutto, la difesa del ricorrente che in ordine alla commisurazione del trattamento sanzionatorio ci si troverebbe in presenza di una motivazione della sentenza impugnata meramente apparente, che non ha fatto adeguato richiamo ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
Quanto al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche in questo caso la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare la personalità dell’imputato, non essendo sufficiente per escludere l’ammissione al beneficio e per ritenere l’eventuale prevalenza di detta attenuante su aggravanti contestate il fatto che l’imputato abbia potenziali legami o sia comunque ‘contiguo’ ad ambienti di criminalità organizzata.
2.8.6. Violazione degli artt. 416-bis, comma 7, e 416-bis.1 cod. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per avere la sentenza impugnata applicato la confisca di mafia in mancanza dei presupposti di legge (condanna per il delitto associativo), previa motivazione omessa.
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che la confisca considerata dalle sentenze di merito Ł quella di cui all’art. 416-bis, comma 7, cod. proc. pen. che presuppone la condanna (definitiva) per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., condanna che nel caso in esame non Ł mai intervenuta.
A ciò si aggiunge – evidenza ancora la difesa del ricorrente – che qualora il provvedimento ablativo dovesse intendersi disposto ai sensi dall’art. 240-bis cod. pen., detta ‘confisca allargata’ potrebbe estendersi solo ai beni del reo che non siano altrimenti giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato e che comunque la stessa non può eccedere i limiti della ‘ragionevolezza temporale’, criteri dei quali non si Ł tenuto conto nella decisione impugnata.
In ogni caso, rileva sempre parte ricorrente che, anche a voler ritenere possibile l’applicazione della confisca ai sensi dell’art. 416-bis, comma 7, cod. pen., difetterebbe una adeguata motivazione sul punto, con particolare riguardo al nesso di pertinenza tra i cespiti oggetto di vincolo reale e l’attività illecita: i giudici del merito avrebbero, infatti, qualificato l’impresa COGNOME come ‘impresa mafiosa’ senza specificare da quali fonti di prova abbiano fondato tale affermazione e senza tenere conto che il legale rappresentante della stessa non Ł neppure imputato per l’estorsione di cui Ł processo.
2.9. per NOME COGNOME:
2.9.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. e 416 cod. pen. anche in relazione al ruolo apicale attribuito all’imputato.
Il motivo di ricorso ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.7.1.
2.9.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo al concorso nei reati di falso e di contrabbando di cui ai capi B2.1, B2.3, B3.1, B3.3, B3.9, B4.1, B4.3, B5, B6ter e B3.12.
Il motivo di ricorso ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.7.2.
2.9.3. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo al concorso nei reati di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648ter.1 cod. pen. di cui ai capi B2.2, B3.2, B3.8, B4.2, B2.2bis.
Il motivo di ricorso ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.7.3.
2.9.4. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. con riguardo all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il motivo di ricorso ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.7.4
2.9.5. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 530 e 192 cod. proc. pen. nonchØ in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen.
Ad eccezione della doglianza relativa alla recidiva (afferente alla sola posizione del Giorgio) il
motivo di ricorso ricalca quello formulato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME e sopra riassunto al paragrafo 2.7.5.
2.10. per NOME COGNOME:
2.10.1. Erronea applicazione di legge in relazione all’art. 416, commi 1, 2, 3 e 5 cod. pen.
Si duole al riguardo la difesa del ricorrente della ritenuta condotta partecipativa del Romeo alla associazione per delinquere contestata al capo B1 della rubrica delle imputazioni osservando che la mera instaurazione di rapporti negoziali, orientati all’esclusivo soddisfacimento di interessi personali tra l’imputato e gli altri soggetti coinvolti nelle vicende in contestazione, non Ł idonea ad integrare una condotta rilevante ai sensi dell’art. 416 cod. pen. che, per contro, postula un inserimento stabile e costante all’interno della compagine criminale. Il COGNOME, come hanno osservato i giudici di merito, si sarebbe, infatti, limitato a svolgere il ruolo di stabile acquirente del prodotto di contrabbando, senza tuttavia partecipare alle riunioni decisionali del gruppo, e ciò, secondo la difesa, non potrebbe automaticamente configurare un contributo rilevante ai sensi dell’art. 416 cod. pen.
L’erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. riguarderebbe, poi, anche il difetto di prova dell’elemento soggettivo richiesto per la configurazione del predetto reato, avendo la sentenza impugnata evidenziato come il fine perseguito dall’imputato era sostanzialmente quello di salvaguardare la continuità economica della propria attività imprenditoriale.
2.10.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 112, comma 1, nn. 1 e 2, 61, comma 1 n. 2, 81, comma 2, 479, 476, comma 2, cod. pen., 21, comma 4, 40, comma 1, 62, comma 1, lett. a) e 61, comma 4 d.lgs. n. 504/95 e 416-bis.1 cod. pen.
Deduce, al riguardo, la difesa del ricorrente l’erronea applicazione delle menzionate disposizioni di legge con riguardo alla contestazione di cui al capo B3.3 non essendovi prova che il Romeo abbia concorso nella materiale falsificazione dei DAS relativi ai prodotti petroliferi ed al piø la condotta dell’imputato avrebbe potuto qualificarsi come connivenza non punibile. In sostanza, rileva ancora la difesa del ricorrente, la Corte di appello si sarebbe discostata dai principi di diritto in materia giungendo a configurare in capo all’imputato una sorta di responsabilità per posizione.
2.10.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 81, comma 2, 648-ter, commi 1 e 2, cod. pen. (capo B4.5bis) e 110, 81, comma 2, 648-ter.1, commi 1, 3 e 5, cod. pen. (capo B4.6bis).
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che in virtø della clausola di sussidiarietà contenuta nell’art. 648-ter cod. pen. la fattispecie di reato de qua , può dirsi integrata nelle sole ipotesi nelle quali l’agente non abbia concorso nel delitto presupposto.
Nel caso in esame nei confronti del Romeo Ł intervenuta l’affermazione della penale responsabilità in ordine ai reati in contestazione al capo B3.3, da considerarsi reati presupposti, in particolare con riferimento al delitto di falso, con la conseguenza che non potrebbe ritenersi configurabile a carico dell’imputato il contestato reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.
2.10.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 81, comma 2, e 515 cod. pen. (capo B4.7).
Rileva la difesa del ricorrente che il giudizio di colpevolezza del Romeo in ordine al reato contestato al capo B4.7 deriva dalla ritenuta partecipazione dello stesso all’associazione delittuosa dedita alla distribuzione di carburante alterato, senza però che i Giudici di merito abbiano fornito autonoma motivazione sulla condotta contestata all’imputato nell’imputazione in esame e, in particolare, senza che si sia motivato in ordine all’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 515 cod. pen. consistente nella consapevolezza di distribuire prodotto non conforme a quello dichiarato. Segnala, al riguardo, la difesa del ricorrente una conversazione intercettata e riportata a pag. 143 della sentenza impugnata nella quale l’imputato ha espresso lamentele circa le caratteristiche del prodotto, circostanza questa incompatibile con la ritenuta consapevolezza del Romeo di trattare
prodotto alterato.
2.10.5. Violazione di legge in relazione all’art. 533 cod. proc. pen. con riferimento al reato di cui agli artt. 110 e 512-bis cod. pen. (capo B17).
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che avrebbero errato i Giudici di merito nel ritenere che il Romeo avrebbe eluso le disposizioni legislative in materia di contrabbando attraverso l’intestazione fittizia a NOME COGNOME ed a NOME COGNOME della società RAGIONE_SOCIALE, non sussistendo elementi per ritenere che l’intestazione sia stata compiuta con finalità elusive, in quanto la stessa Ł avvenuta solo nel 2019 e sia il COGNOME che il COGNOME già detenevano il 24% ciascuno delle quote della predetta società avendole autonomamente acquistate nel 2017 (data nella quale sarebbe stato consumato il reato).
2.10.6. Violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla confisca dei beni disposta ai sensi dell’art. 44 d.lgs. n. 504/95 dell’intero compendio aziendale della società RAGIONE_SOCIALE
Deduce la difesa del ricorrente l’erroneità della confisca dell’intero compendio aziendale della società sopra indicata, non essendovi prova della strumentalità dell’ asset aziendale del Romeo rispetto alle operazioni di contrabbando ascritte al sodalizio avendo la Corte di appello chiarito che il ruolo del ricorrente era solo quello di fungere da terminale diretto e fruitore del prodotto, quindi quello di un soggetto che acquistava il bene per fini esclusivamente personali.
2.10.7. Vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili.
Osserva la difesa del ricorrente che i Giudici di merito avrebbero omesso di rispondere alle questioni che sul punto erano state dedotte con l’atto di appello con particolare riguardo alla legitimatio ad causam delle parti civili ed alla corretta individuazione della causa petendi .
2.10.8. Inosservanza di legge in relazione all’art. 597 cod. proc. pen.
Osserva la difesa del ricorrente che la Corte di appello, dopo avere escluso le circostanze aggravanti contestate all’imputato in accoglimento dei motivi proposti, ha irrogato una pena che, seppure complessivamente inferiore a quella stabilita in primo grado, si Ł sostanziata in un trattamento sanzionatorio piø grave: in particolare il G.u.p. era partito dalla pena base per il reato associativo di 4 anni di reclusione, aumentata per ciascun reato satellite di 3 mesi (per un complessivo aumento di 18 mesi), così a giungere alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, ridotta per il rito ad anni 3 e mesi 6 di reclusione, mentre la pena irrogata in appello Ł di anni 3 e mesi 10 di reclusione.
Ci si troverebbe, pertanto ad un ingiustificato ed immotivato aumento del trattamento sanzionatorio previsto per il reato base oltre che in relazione all’aumento per la continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
2.11. per NOME COGNOME:
2.11.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. per omessa motivazione sull’eccezione di nullità devoluta con il primo motivo di gravame con riguardo a tutti i reati contestati sub B.
Osserva la difesa del ricorrente che in sede di appello aveva dedotto la nullità della sentenza di primo grado in quanto il G.u.p. aveva riportato pedissequamente nella stessa (pagg. 75/188) la motivazione contenuta nell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale attraverso il ricorso al c.d. ‘copia incolla’, situazione che paleserebbe l’assenza di una valutazione autonoma e critica del primo Giudice in ordine alla valutazione degli elementi probatori nei confronti dell’imputato.
2.11.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 416 cod. pen. con riguardo al capo B1 (associazione per delinquere
con il ruolo di promotore ed organizzatore).
Rileva la difesa del ricorrente che in relazione al reato associativo la sua l’esistenza sarebbe stata esclusivamente desunta dalla pluralità dei reati-fine in contestazione, senza che siano state approfondite le disamine degli elementi costitutivi di detto reato anche con riguardo al contributo causale del Tirendi nello stesso.
In particolare, osserva parte ricorrente (anche richiamando assunti giurisprudenziali in materia) che i Giudici del merito:
non avrebbero esaminato i rapporti tra il reato associativo ed il concorso di persone nel reato continuato;
non avrebbero considerato che ciascuno dei soggetti coinvolti nelle vicende ha agito pro domo propria ;
non avrebbero motivato circa l’autonomia dell’associazione rispetto ai reati-fine;
non avrebbero considerato che difetterebbe la ricorrenza di un programma delinquenziale indeterminato;
non avrebbero approfondito i rapporti tra il COGNOME ed i coimputati, nØ tenuto conto dell’apporto collaborativo e dei chiarimenti forniti dallo stesso;
non avrebbero chiarito quali sono i riscontri cartolari attestanti la falsità dei documenti di trasporto;
non avrebbero adeguatamente chiarito perchØ dalle intercettazioni sarebbe desumibile la sussistenza del reato associativo;
non avrebbero adeguatamente chiarito come sia possibile dalle dichiarazioni di NOME COGNOME desumere che il Tirendi sia intraneo all’associazione essendo i rapporti tra i due esclusivamente relativi agli acquisti del prodotto petrolifero;
non avrebbero considerato che il COGNOME non ha mai partecipato a riunioni operative con i presunti sodali, relativi all’illecita commercializzazione del carburante;
e m) non avrebbero esplicitato, con riguardo ai sequestri intervenuti nell’agosto 2019, l’effetto delle molteplici dichiarazioni rese dal COGNOME e sul suo adoperarsi in concreto per elidere o attenuare le conseguenze del fatto consistente nella frode delle accise;
non avrebbero motivato in relazione al ritenuto riconoscimento del ricorrente quale promotore e/o organizzatore dell’associazione, ruolo qualificato che sarebbe da escludersi alla luce del contenuto di una conversazione intercettata e riportata a pag. 111 della sentenza impugnata.
2.11.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 e 648 cod. pen. con riguardo alla disattesa riqualificazione nell’ipotesi del reato di ricettazione in continuazione per quanto attiene a tutti i reati contestati sub B (B2.1 B2.2 – B2.3 – B3.1 – B3.2 – B3.3 – B3.8 – B4.1 – B4.2 – B4.3 – B4.5 – B4.6 – B6ter).
Deduce al riguardo la difesa del ricorrente che i Giudici del merito avrebbero errato nel disattendere la richiesta difensiva di derubricazione dei reati contestati in quelli di ricettazione continuata avendo l’imputato, da un lato, ammesso che gli acquisti di carburante avvenivano in violazione della normativa fiscale, ma ha anche affermato di non essere consapevole che si trattava di carburante alterato. Il Tirendi, al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, non avrebbe quindi posto in essere alcuna attività di miscelazione del carburante propedeutica alla successiva immissione sul mercato. Non vi sarebbero pertanto elementi per ritenere una consapevole partecipazione dell’imputato ai delitti-fine (in particolare a quelli di falso) diversi da quello riguardante gli acquisti di carburante di provenienza illecita.
Inoltre – prosegue la difesa del ricorrente – non sarebbe configurabile il contestato reato di autoriciclaggio, difettando l’esistenza di condotte idonee ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza illecita dei beni, nØ risulterebbe provato che il COGNOME abbia
compiuto atti di impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative delle ricorse provenienti dai delitti in contestazione, essendosi lo stesso solo limitato all’acquisto ed alla commercializzazione del carburante de quo .
2.11.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 533 cod. proc. pen., 110, 416, 81 e 648 cod. pen. con riguardo alla violazione del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio e omessa riqualificazione per quanto attiene a tutti i reati contestati sub. B (B2.1 – B2.2 – B2.3 – B3.1 – B3.2 – B3.3 – B3.8 – B4.1 – B4.2 – B4.3 – B4.5 – B4.6 – B6ter).
Nel motivo di ricorso la difesa del ricorrente si limita sostanzialmente a ribadire che, alla luce degli elementi indicati, i Giudici del merito avrebbero errato nel ritenere raggiunto lo standard probatorio idoneo a superare il ragionevole dubbio necessario per addivenire ad una affermazione di responsabilità in relazione ai reati in contestazione, il che avrebbe dovuto portare alla pronuncia di una sentenza assolutoria nei confronti dell’imputato quantomeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
2.11.5. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 62bis cod. pen. circa il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, nonchØ in relazione all’art. 133 cod. pen. circa la determinazione della pena inflitta di molto discostata dai minimi edittali.
Osserva al riguardo la difesa del ricorrente che i Giudici del merito non avrebbero prodotto sul punto una motivazione adeguata a rispondere alle doglianze difensive dedotte in sede di gravame, laddove si era sottolineato e documentato il positivo percorso comportamentale del COGNOME che ha manifestato un atteggiamento collaborativo sin dal momento del suo arresto culminato in dichiarazioni ammissive e caratterizzato da un chiaro intendimento di allontanarsi dal contesto ambientale e criminale in cui sono maturati i fatti.
Si tratterebbe – prosegue la difesa del ricorrente – di elementi trascurati dai Giudici di merito che avrebbero dovuto portare al riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche e ad un contenimento del trattamento sanzionatorio.
2.11.6. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 n. 6 cod. pen. con riguardo alla disattesa applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso.
Osserva la difesa del ricorrente che alla luce dell’atteggiamento collaborativo tenuto dall’imputato e dell’importo di 30.000,00 dallo stesso versato per rifondere l’Erario, avrebbe dovuto essere riconosciuta in capo allo stesso l’ipotesi contemplata dal capoverso dell’art. 62 n. 6 cod. pen. invece esclusa dalla Corte di merito con motivazione caratterizzata da asettiche clausole di stile.
2.11.7. Con memoria di replica alle conclusioni scritte del Procuratore generale trasmessa in data 2 maggio 2025, la difesa dell’imputato ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni contenute nei motivi principali di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Appare, innanzitutto, doveroso, in presenza di ampi ed in larga parte sovrapponibili motivi di ricorso, ricordare i limiti decisionali in materia della Corte di cassazione in quanto gli stessi si riflettono sulla ammissibilità e valutazione dei motivi, con la conseguenza che tutto quanto evidenziato nel presente paragrafo dovrà comunque intendersi richiamato nell’esame che nel prosieguo si farà degli specifici motivi di ricorso.
Il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di atti del processo non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).
Non Ł dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente ‘contrastanti’ con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nØ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione piø persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente piø significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Il giudice di legittimità Ł, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti ‘atti del processo’.
Tale controllo, per sua natura, Ł destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale ‘esistenza’ della motivazione e sulla permanenza della ‘resistenza’ logica del ragionamento del giudice.
Al Giudice di legittimità Ł quindi preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchØ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di
rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
NØ la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, COGNOME, Rv. 241214).
La medesima giurisprudenza di legittimità considera, inoltre, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le tante, Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012, COGNOME; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708). In altri termini, Ł del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838).
A ciò si aggiunge che in materia di ricorso per Cassazione, perchØ sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, COGNOME, Rv. 212054) dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioŁ desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).
Del resto in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nØ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Modesto, Rv. 196955), ciò perchØ la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa Ł indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
Ancora, come si andrà meglio ad approfondire in seguito, alcuni dei ricorrenti propongono, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchØ sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza.
Deve, poi, anche ricordarsi che «In tema di ricorso per cassazione, Ł inammissibile il motivo in
cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità» (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 – dep. 2012, COGNOME e altri, Rv. 254274).
A ciò si aggiunge che «In tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma Ł solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione» (Sez. 2, n. 9242 del 8/2/2013, Reggio, Rv. 254988).
Inoltre – al fine di dare immediata e complessiva risposta a tutte le doglianze contenute nei ricorsi sopra riassunti nelle parti in cui si lamenta la omessa argomentazione da parte della Corte di appello a questioni dedotte in sede di gravame – va ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105; Sez. 4, n. 1149 del 24.10.2005, dep. 2006, COGNOME, Rv 233187).
Del resto, questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non Ł censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando la stessa Ł disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non Ł necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente, senza lasciare spazio ad una valida alternativa. SicchØ, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi Ł luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione. (Sez. 2, n. 29434 del 19.5.2004, COGNOME, Rv. 229220; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643).
Quanto detto vale anche per le memorie difensive ex art. 121 cod. proc. pen. depositate in sede di giudizio di merito atteso che «L’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive» (Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, Rv. 279578).
Con riguardo, poi, agli esiti delle attività di intercettazione, fermo restando che «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01), va anche ricordato che «In materia di intercettazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite ( ex ceteris : Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01).
Occorre, altresì, fin da subito ricordare (anche se poi si ritornerà piø specificamente sulla problematica) che quasi tutti i ricorsi in esame vedono come argomento di contestazione ‘trasversale’ la indimostrata prova in capo agli imputati dell’elemento soggettivo dei reati agli stessi rispettivamente in contestazione.
Sul punto, come ha già avuto modo di precisare già in tempi remoti questa Corte Suprema, «ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico del soggetto agente, essendo la volontà ed i moti dell’anima interni al soggetto, essi non sono dall’interprete desumibili che attraverso le loro manifestazioni, ossia attraverso gli elementi esteriorizzati e sintomatici della condotta. … Ne deriva che i singoli elementi e quindi anche quelli soggettivi attraverso cui si estrinseca l’azione, inerenti al fatto storico oggetto del giudizio, impongono una loro analisi la quale, essendo pertinente ad elementi di fatto, costituiscono appannaggio del giudizio di merito, non di quello della legittimità che può solo verificare la inesistenza di vizi logici, la correttezza e la compiutezza della motivazione, l’assenza di errori sul piano del diritto, così escludendosi in tale sede un terzo riapprezzamento del merito» (Sez. 1, n. 12726 del 28/09/1988, dep. 1989, Alberto, Rv. 182105).
Del resto, considerato che, come rilevato in dottrina, la «doloscopia» non e stata ancora inventata, e che quindi il dolo può essere tratto solo da dati esteriori, che ne indicano l’esistenza, e servono necessariamente a ricostruire anche il processo decisionale alla luce di elementi oggettivi, appare evidente che le forme esteriori della condotta sono elementi che ben possono essere utilizzati dal giudicante come prova logica per la qualificazione dell’elemento soggettivo della condotta stessa costituendo indici sintomatici della volontà dell’agente.
Sulla base dei principi sopra esposti vanno dunque esaminati gli odierni ricorsi non prima di aver doverosamente dato atto che gli imputati oggi ricorrenti sono stati giudicati con le forme del rito abbreviato ai sensi degli artt. 438 e segg. cod. proc. pen. con la conseguente piena utilizzabilità (a dir del vero neppure specificamente contestata dai ricorrenti) degli atti richiamati nelle sentenze di merito e che, nel caso in esame, salvo le sopra menzionate esclusioni di circostanze aggravanti che hanno determinato anche la revisione di alcuni trattamenti sanzionatori, ci si trova in presenza di decisioni che, quanto al nucleo centrale dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati, costituiscono una c.d. ‘doppia conforme’
Da ciò consegue l’applicazione del principio secondo il quale «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione» (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595), da cui deriva che «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme”
quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
Nulla quaestio , infine, sul fatto che la sentenza della Corte di appello contiene anche legittimi richiami alla sentenza di primo grado in conformità al consolidato orientamento di questa Corte che ritiene che la motivazione per relationem sia legittima «quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione». (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664).
Tutto ciò doverosamente premesso, al fine di affrontare compiutamente le questioni dedotte nei ricorsi innanzi a questa Corte di legittimità, occorre altresì brevemente inquadrare nello loro sviluppo storico e procedimentale le vicende che hanno portato all’elevazione delle imputazioni nei confronti degli odierni ricorrenti, non prima di avere dato atto che i fatti oggetto del presente procedimento possono essere ricondotti a due distinti diversi filoni: il primo relativo ad una vicenda estorsiva (capi A2 e A3 della rubrica delle imputazioni) che vede coinvolti i soli imputati COGNOME e COGNOME (oltre ad altri nei confronti dei quali si Ł proceduto separatamente) ed il secondo relativo ad una contestazione associativa ed ad una serie di reati satellite in materia di commercio di prodotti petroliferi, contrabbando, violazioni della normativa fiscale, falso, frode nell’esercizio del commercio, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita autoriciclaggio ed altro (capi B della rubrica con diverse numerazioni).
Residuerebbero, infine, autonome contestazioni (capo C1- C2 e C16) rivolte al solo imputato NOME COGNOME in relazione alla partecipazione ad altra associazione per delinquere ed ai relativi reati satellite sempre in materia di frodi in materia di commercio di carburanti ma la posizione dell’imputato Ł stata separata e quindi non sarà oggetto di esame nella presente sentenza.
La vicenda estorsiva di cui ai capi A2 e A3 della rubrica delle imputazioni della quale sono chiamati in questa sede a rispondere gli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME (oltre ad altri nei confronti dei quali si procede separatamente).
La contestazione elevata ai predetti imputati Ł quella di aver posto in essere atti estorsivi volti al controllo o comunque al condizionamento dell’assegnazione e dell’esecuzione in subappalto dei lavori di costruzione del nuovo complesso parrocchiale di Pizzo, stringendo un accordo collusivo mirante alla imposizione esterna della scelta delle ditte destinate ad eseguire di fatto i lavori ed i servizi occorrenti, nonchØ dei prezzi e delle condizioni di lavoro.
In origine era contestata agli imputati delle condotte qui in esame anche la violazione dell’art. 515 cod. pen., reato peraltro ritenuto non sussistente dai Giudici di merito.
Risulta dalla lettura congiunta delle sentenze di merito (pagg. da 13 a 69 della sentenza di primo grado e da 3 a 40 della sentenza di appello) che, sulla base di attività di intercettazioni, in relazione ai lavori di costruzione del nuovo complesso parrocchiale denominato ‘INDIRIZZO di
Gesø’ di Pizzo e commissionati dalla Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea alla ditta RAGIONE_SOCIALE era emersa la necessità di procedere alla spartizione dei relativi subappalti tra imprese ritenute vicine a plurime consorterie ‘ndranghetiste le quali risultano avere collaborato tra loro nell’ottica di un controllo totale e condiviso del territorio al punto anche di asservire al predominio mafioso la scelta delle imprese alle quali dovevano essere appaltati detti lavori.
In particolare, dalle copiose attività di intercettazione richiamate nelle sentenze di merito era emerso come NOME COGNOME, personaggio della ‘cosca COGNOME‘ ed operante anche con funzioni di raccordo tra NOME COGNOME, NOME COGNOME ed altre cosche (COGNOME, COGNOME e FiarŁ) condizionava, in funzione della volontà espressa della famiglia COGNOME, anche l’attività di altri imprenditori espressione di altre consorterie criminali.
Nel caso qui in esame erano interessati a spartirsi i lavori:
NOME COGNOME, imprenditore edile titolare della Prev. RAGIONE_SOCIALE, interessato alla gettata del calcestruzzo, sponsorizzato da NOME COGNOME (rappresentante della cosca di Sant’Onofrio di cui Ł risultato partecipe nell’ambito di altra indagine), il quale Ł emerso essersi recato numerose volte a Maierato presso i locali della azienda RAGIONE_SOCIALE ed interloquire sul punto con in NOME COGNOME;
NOME COGNOME, dipendente e socio dell’impresa di RAGIONE_SOCIALE (della quale Ł amministratore il fratello NOME), interessato anch’esso alla fornitura del calcestruzzo, sponsorizzato da NOME COGNOME, figlio del boss NOME COGNOME
NOME COGNOME, interessato all’esecuzione dei lavori di sbancamento e smaltimento della terra rimossa, sponsorizzato – come detto – dalla cosca COGNOME.
Dalla fine di gennaio 2019 gli inquirenti registravano una serie di incontri tra i NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME finalizzati a definire l’assetto dei contrastanti interessi relativi alla gestione del cantiere de quo .
Nel contempo proseguivano anche i contatti tra i rappresentati della ditta COGNOME ed i COGNOME.
Parallelamente anche NOME COGNOME, esponente della omonima cosca, sia rivolgendosi direttamente al Pata, sia inviandogli dei messaggi attraverso l’arch. COGNOME, faceva pressione affinchØ la fornitura del calcestruzzo fosse affidata alla ditta del Prestanicola.
Nelle attività finalizzate a trovare un accordo tra le cosche entrava, poi, in gioco anche NOME COGNOME che veniva incaricato di veicolare la volontà di NOME COGNOME il quale interloquiva con NOME COGNOME per la risoluzione delle problematiche da affrontare con la cosca COGNOME e con la persona offesa NOME COGNOME dipendente della RAGIONE_SOCIALE, al quale venivano imposte le decisioni del COGNOME.
Una volta deliberato l’accordo relativo alla spartizione dei lavori, erano state quindi operate le pressioni sul geom. NOME COGNOME dipendente da vari anni della RAGIONE_SOCIALE il quale era stato incaricato di mantenere i rapporti con le ditte affidatarie e di individuare le imprese alle quali rivolgersi per l’acquisto dei materiali, affinchØ si servisse anche delle ditte Prestanicola e Ruccella.
Prima di proseguire oltre e passare all’esame dei motivi di ricorso degli imputati chiamati a rispondere dei fatti di cui ai capi A2 e A3 (quest’ultimo ritenuto assorbito nel precedente) della rubrica delle imputazioni, appare doveroso, al fine di avere un quadro complessivo della vicenda, un cenno anche alle dichiarazioni rese sia agli inquirenti, che ai difensori dal geom. COGNOME indicato come persona offesa dai reati in esame.
Il COGNOME (v. pagg. 14 e 15 della sentenza di appello) riferiva che nel cantiere in oggetto era stata la ditta RAGIONE_SOCIALE ad avere fornito il calcestruzzo per la costruzione e raccontava dell’incontro avuto con NOME COGNOME nel febbraio/marzo 2019.
Questi, infatti, poco dopo l’aggiudicazione dei lavori di cui trattasi alla RAGIONE_SOCIALE, si era presentato, con nome e cognome, presso il fondo agricolo del Pata, sito in agro di Limbadi, e con atteggiamento “tipico degli appartenenti alla criminalità organizzata” – al Pata ben noto in ragione dell’esperienza maturata nei cantieri in quarant’anni di esperienza professionale, e da “innumerevoli attentati intimidatori subiti in passato” – aveva chiesto di concedere i subappalti per le forniture di cemento in misura paritaria (”al cinquanta per cento tra questi”) alle imprese di Prestanicola e Ruccella e, per il movimento terra, all’impresa di NOME COGNOME, “ditte locali”, tutte già note al Pata in ragione di pregresse esperienze lavorative.
Il COGNOME, intimorito malgrado l’assenza di qualsivoglia espressa minaccia, ( ”ho subito temuto per la mia incolumità personale e familiare e per quella dell’impresa “), aveva acconsentito chiedendo però che le ditte segnalate fossero in possesso di iscrizione alla ‘white list’ e che i prezzi proposti fossero concorrenziali.
Era stato l’unico incontro con il COGNOME in quanto, su indicazione di quest’ultimo, le successive interlocuzioni erano state intrattenute solo con NOME COGNOME che aveva di poi agito in nome e per conto del COGNOME, che lo ‘sponsorizzava”, per la conclusione dei contratti.
Nei colloqui intervenuti con il COGNOME, costui lo aveva invitato a dare seguito alle indicazioni del COGNOME, dimostrando di essere a conoscenza di quell’incontro.
Per effetto dei paletti che aveva posto, il Pata era tuttavia riuscito ad essere sollevato dall’imbarazzo della scelta tra i due offerenti per la fornitura del cemento in quanto la ditta COGNOME era priva di iscrizione alla ‘white list’ e, come tale, era stata esclusa dall’assegnazione di lavori, anche se il dichiarante precisava di non sapere se le due ditte si fossero poi accordate ugualmente tra di loro per una fornitura condivisa, comunque rimasta ignota alla ditta appaltatrice.
Peraltro, la ditta COGNOME, prima dell’incontro con il COGNOME, era stata sponsorizzata al Pata dal direttore dei lavori e RUP del committente NOME COGNOME – legato da rapporti di frequentazione con NOME COGNOME – non solo per la fornitura del calcestruzzo, ma anche per i lavori di sbancamento, poichØ tale scelta avrebbe garantito la protezione del cantiere da atti intimidatori: a tali pressioni il Pata aveva ribattuto che non spettava al Tedesco la selezione dei fornitori.
Dalla stampa il COGNOME aveva di poi appreso che il Tedesco era stato successivamente attinto da provvedimento cautelare nell’ambito di altro procedimento penale siccome ritenuto ‘vicino’ alla famiglia di ‘ndrangheta degli Anello di Filadelfia.
In costanza di valutazione delle offerte, presso il cantiere si erano poi ripetutamente recati tanto il COGNOME che i COGNOME (NOME e NOME) a perorare l’assegnazione dei lavori.
Al primo il Pata aveva obiettato la mancanza di iscrizione nella ‘white list’, al secondo l’eccessività dei prezzi proposti.
Lo stesso COGNOME spiegava, infine, gli artifici adottati per consentire alla ditta del COGNOME di gonfiare le forniture sì da locupletare sul prezzo e compensare l’offerta al ribasso praticata.
3.1. L’esame dei motivi di ricorso relativi ai capi A2 e A3.
3.1.1. Ritiene l’odierno Collegio l’infondatezza dei motivi di ricorso formulati nell’interesse dell’imputato COGNOME (v. sup. paragrafi 2.1.1 e 2.1.4, COGNOME (par. 2.1.1), COGNOME (par. 2.6.2 integrato con i motivi nuovi in data 21 aprile 2025) e COGNOME (paragrafi 2.8.1 e 2.8.2) che per le loro interconnessioni appaiono meritevoli di trattazione congiunta.
Fermi restando i principi generali circa i poteri ed i principi di valutazione ai quali si atterrà questa Corte, riportati al superiore par. 1 e da intendersi qui integralmente richiamati, deve, innanzitutto, osservarsi che la Corte di appello (in uno con la sentenza di primo grado) ha fornito una risposta adeguata, tutt’altro che incompleta od apparente, non manifestamente illogica, non
contraddittoria e priva di elementi che consentono di rilevare decisivi travisamenti sia del materiale probatorio dichiarativo, sia di quello proveniente dalle conversazioni intercettate (che risultano compiutamente analizzate), materiale probatorio che, per questo, una volta compiutamente e motivatamente valutato in sede di merito, non può essere rivalutato in questa sede di legittimità.
Già il G.u.p. trattando le singole posizioni degli odierni ricorrenti aveva evidenziato come:
la responsabilità penale dell’COGNOME, che aveva fatto ingresso nel cantiere del Pata per imporre la propria presenza e per sponsorizzare in prima persona l’impresa del COGNOME, emerge dalla numerose conversazioni di assoluto rilievo, la cui eloquenza attesta, senza margine di interpretazioni alternative, una penetrante ingerenza illecita delle consorterie mafiose insistenti sul territorio nei vari settori del mercato e, ancora, che l’attiva partecipazione di Anello (insieme al Prestanicola) al sistema di spartizione emerge inequivocabilmente dai contenuti dei dati intercettivi dai quali risulta che COGNOME, coadiuvato dall’Anello, pretendeva di ritagliarsi uno spazio e di partecipare alla predeterminata spartizione dei lavori (v. pag. 57 e segg. della sentenza di primo grado), il tutto riscontrato dalle dichiarazioni dello stesso COGNOME che ha ammesso di avere avuto un contatto con COGNOME e con il ‘figlio del boss di Filadelfia’ venuti a rivendicare precedenti “accordi”; aggiungendo, poi, che non v’Ł dubbio che l’COGNOME abbia affiancato COGNOME al fine di far veicolare la pretesa di partecipare ai lavori sul cantiere per la fornitura del cemento ed anche per lo sbancamento, facendo leva sulla forza intimidatrice promanante dall’appartenenza alla famiglia COGNOME, al fine di indurre la vittima ad assecondare le sue ingerenze. Ciò si desume chiaramente anche dalle stesse parole del COGNOME, il quale era ben consapevole di doversi misurare con il figlio di un’autorevole esponente di ‘ndrangheta;
la posizione del Prestanicola Ł indubbiamente legata a quella dell’Anello;
il COGNOME Ł da ritenersi il referente della cosca di Sant’Onofrio (gruppo Bonavota) e diretto interlocutore degli accordi spartitori: lo stesso ha intrattenuto principalmente rapporti con il COGNOME, sollecitandolo a rivolgersi al COGNOME per assicurarsi la sua partecipazione all’affare, essendo lo sponsor del COGNOME, avendone promosso insistentemente la partecipazione all’esecuzione dell’appalto tramite la fornitura del cemento; ha anche precisato il G.u.p. che essendo il COGNOME soggetto che non vanta alcuna partecipazione diretta nell’impresa del COGNOME, deve dedursene che il COGNOME abbia siglato accordi sottostanti con quest’ultimo per una sua partecipazione agli utili dell’affare, avendo il COGNOME stesso, piø del COGNOME, rappresentato gli interessi della Prev. RAGIONE_SOCIALE;
il COGNOME Ł colui che ha veicolato gli ordini di NOME COGNOME e partecipato direttamente alla risoluzione dei conflitti creatisi tra il gruppo COGNOME/COGNOME da un lato, e COGNOME/COGNOME dall’altro, intervenendo per chiarire quali fossero gli ordini da riferire al COGNOME e agli altri soggetti coinvolti.
La Corte di appello (v. pag. 16 e segg.) ha, a sua volta, sostanzialmente confermato le valutazioni del G.u.p. anche adeguatamente rispondendo ai principali motivi di gravame formulati dagli imputati, delineando i profili centrali del quadro probatorio e disattendendo – anche implicitamente – i profili contrastanti con quelli ritenuti di decisiva rilevanza.
Correttamente e compitamente delineati nelle sentenze di merito risultano, pertanto, i ruoli dei quattro ricorrenti in ordine ai fatti-reato in esame.
3.1.2. Non fondate sono, poi, le doglianze difensive relative al fatto che non vi sarebbe stata una concreta coartazione della volontà del Pata nella scelta di a chi affidare i lavori.
Già il G.u.p. aveva evidenziato – con motivazione che risulta congrua e logica rispetto a quanto già evidenziato – che lo scenario che Ł emerso Ł quello di un’estorsione in forma “silente” praticata senza il ricorso ad esplicite forme di minaccia o a violenza e così si Ł espresso: «I vari protagonisti,
tutti legati o comunque contigui a consorterie mafiose storicamente radicate sul territorio, si limitavano infatti ad individuare le imprese a cui affidare i lavori dando per scontata l’accettazione da parte del committente. Non sfugge, tuttavia, come dietro a tale apparente carenza di violenza e minaccia, sussistano logiche di controllo del territorio sfociate in un sistema delittuoso talmente collaudato e radicato da aver contaminato la maggior parte dell’economia locale. La prima spia di tale meccanismo Ł senz’altro la manifesta arrendevolezza nelle scelte imprenditoriali, palesemente annullate dal fenomeno dell’imposizione mafiosa o, ancora, il monito rivolto dal COGNOME‘COGNOME al direttore del cantiere di rivolgersi solo a determinate ditte per i lavori (” Ah Stefano fai una cosa … senti a me … tu devi lavorare tranquillo? … prima di cominciare vai e tifai una rinfrescata per non sbagliare le ditte e sei a posto “). Significativa Ł inoltre la premura della vittima (in questo caso del COGNOME, direttore del cantiere) di non nominare mai direttamente gli odierni indagati, avvalendosi solo di espressioni allusive (come nel caso in cui indicava “quelli di là sopra” per riferirsi ad COGNOME e Prestanicola oppure parlava del ”figlio” per riferirsi nello specifico all’odierno indagato figlio del boss di Filadelfia COGNOME COGNOME). L’esistenza di un sistema di spartizione dei lavori rispondente a logiche mafiose emerge del resto dalla viva voce degli esponenti mafiosi intercettati, i quali nel caso di specie si prodigavano per stabilire criteri di divisione dei lavori nell’interesse esclusivo dei gruppi criminali stessi».
Per poi aggiungere ulteriormente «Del resto, Ł apparso evidente lo stato di atterrimento della persona offesa, priva della capacità di fronteggiare e opporsi alle richieste incrociate di esponenti di diverse articolazioni della ‘ndrangheta vibonese, unitesi tra di loro al fine di “spartirsi” la commessa; nel caso di specie infatti, emerge chiaramente come il Pata abbia assecondato l’ingresso delle citate ditte nei lavori per la realizzazione della chiesa non già per la loro capacità tecnica, quanto per una forma di imposizione del COGNOME (diretto interlocutore del Pata, a sua volta referente del COGNOME), alle cui pretese, per “quieto vivere”, non poteva obiettarsi … ed invero, non solo il Pata non ha svolto alcun ruolo nella selezione delle ditte, ma ha subito anche danni economici derivanti dall’imposizione di prezzi maggiori. La sottomissione della RAGIONE_SOCIALE emerge peraltro anche dal contegno tenuto dal duo COGNOME›COGNOME, che dal primo momento, si sono posti quali domini del cantiere, dettando regole e scegliendo ditte, che il Pata non poteva che limitarsi ad accettare, non avendo egli nemmeno tentato di resistere a tali soprusi».
La predette valutazioni hanno, poi, trovato compiuta condivisione nella sentenza della Corte di appello.
Ritiene l’odierno Collegio che correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto sussistente la fattispecie estorsiva (in forma tentata per quanto concerne il capo A3, peraltro ritenuto assorbito nel capo A2) ricorrendo le condizioni per configurare nel caso in esame una c.d. ‘minaccia silente’ (questione che sarà meglio approfondita nel prosieguo).
Nel momento in cui Ł ravvisabile la fattispecie estorsiva Ł del tutto evidente che deve ritersi infondato il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME nel quale si Ł lamentata la mancata riqualificazione delle condotte nella violazione dell’art. 610 cod. pen.
3.1.3. Caratterizzate da infondatezza sono, poi, anche le osservazioni difensive secondo le quali i Giudici del merito avrebbero di fatto travisato il ruolo del Pata che non aveva poteri decisionali, non essendo l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE in tal modo dovendosi escludere la reale efficacia dell’attività estorsiva.
In realtà – osserva l’odierno Collegio – non emerge che il COGNOME, nonostante che non fosse il legale rappresentate della RAGIONE_SOCIALE – non avesse un effettivo potere di selezione delle aziende alle quali affidare gli appalti per i singoli lavori, attività che certamente svolgeva nell’interesse e per conto della società della quale era dipendente, e ciò Ł tanto piø reso evidente
dal fatto che gli imputati, che hanno dimostrato di ben conoscere le dinamiche dell’impresa, si rivolsero a lui e non all’amministratore (COGNOME) della società.
Del resto Ł principio consolidato quello secondo il quale «Nel delitto di estorsione c.d. contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno Ł implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto piø opportuno» ( ex ceteris : Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, PMT c/COGNOME Grazia, Rv. 278998 – 01).
E’ comunque un dato di fatto che gli appalti furono assegnati in ossequio alla ‘spartizione’ deliberata dalle consorterie mafiose operanti sul territorio ed al piø può rilevarsi che il danno, oltre che allo stesso Pata, sia anche consistito nella piø generale lesione dell’autonomia negoziale della RAGIONE_SOCIALE dallo stesso di fatto rappresentata, situazione che però non cambia la valutazione in punto di diritto relativa alla penale rilevanza della condotta, atteso che «Integra il delitto di estorsione la condotta dell’agente che rivolga la violenza o la minaccia a persona diversa dal soggetto al quale Ł richiesto l’atto di disposizione patrimoniale, sempre che la condotta sia idonea ad influire sulla volontà di quest’ultimo» (Sez. 2, n. 23759 del 11/03/2021, COGNOME, Rv. 281459 – 01).
3.1.4. Non fondate sono, poi, anche le osservazioni difensive con le quali si vorrebbe escludere che essendo stati gli accordi relativi alla spartizione degli appalti raggiunti in epoca precedente alla minaccia esercitata nei confronti del Pata, l’intervento dell’imprenditore beneficiario (il Prestanicola) sarebbe avvenuto in un momento in cui la condotta estorsiva era di fatto già stata consumata o quantomeno organizzata.
Analoghe considerazioni possono farsi in relazione alla posizione dell’imputato COGNOME (il ricorso del quale, per il resto, prospetta nelle ulteriori parti riassunte al superiore paragrafo 2.6.2, una inammissibile rilettura e rivalutazione nel merito degli elementi probatori già compiutamente analizzati, senza incorrere in travisamenti, dai Giudici di merito).
In realtà chi sostiene detta tesi tende a parcellizzare un compendio probatorio che, invece, deve essere considerato – come bene hanno fatto i Giudici di merito – nel suo complesso, a partire dalle iniziali pretese delle cosche di riferimento degli imprenditori, alle controversie nate al riguardo, alla loro composizione avvenuta grazie all’intervento del potente NOME COGNOME per poi passare all’esito ‘operativo’, consistito nell’imporre di fatto dette imprese a chi aveva il potere di effettuarne la selezione.
Tutti gli interventi degli imputati costituiscono, nel caso in esame, specifici tasselli di una attività estorsiva che non può che essere presa in considerazione nel suo complesso ed il fatto che vi siano stati interventi nella vicenda in momenti temporalmente diversi non incide sulla configurabilità del concorso nel reato, così come rientra sempre nell’attività estorsiva la condotta di chi interviene in un’estorsione già in corso di consumazione, rafforzandone o comunque integrandone le modalità realizzative.
Del resto, non v’Ł dubbio che in tema di concorso di persone nel reato, ai fini della sussistenza del dolo del reato concorsuale, che richiede la consapevole contribuzione, anche solo agevolativa, dell’agente alla realizzazione del reato, Ł necessario l’accertamento – nel caso in esame emergente dagli atti – della conoscenza, anche unilaterale, della condotta altrui da parte del concorrente (v. Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773 – 03).
Così come, con un principio dettato in materia di ottenimento di somme di denaro ma certamente applicabile anche al caso di conseguimento di altra utilità di valore economico, «Il
concorso nel reato di estorsione sussiste anche quando il contributo causale del correo sia limitato alla fase finale della riscossione dei proventi, in quanto nella fattispecie plurisoggettiva l’attività antigiuridica di ciascuno, ponendosi inscindibilmente con quella di altri correi, confluisce in un’azione delittuosa che va considerata unica e produce l’effetto di far ritenere giuridicamente attribuibile a ciascuno dei concorrenti il risultato finale dell’evento cagionato» (Sez. 1, n. 41177 del 24/11/2006, COGNOME, Rv. 235997 – 01).
NØ possono essere ritenute fondate le doglianze riproposte anche con i ricorsi in esame, secondo le quali in realtà la selezione delle imprese venne fatta secondo ordinarie dinamiche imprenditoriali sulla base dell’offerta piø conveniente e che comunque l’attività intimidatoria sarebbe da escludersi per il fatto che in capo al Pata sarebbe pur sempre rimasto un potere di trattativa di fatto esercitato, sia con riguardo ai costi dei lavori attraverso la richiesta di offerte al ribasso, sia in relazione alla indicazione di imprese che dovevano essere iscritte nella ‘white list’.
Del resto, osserva l’odierno Collegio, con riguardo al requisito della ‘white list’, Ł emerso chiaramente che detto requisito della iscrizione dell’impresa, ancorchØ non necessario in caso di appalti privati, era stato prudenzialmente richiesto dal Pata alla committente per evitare comunque controlli o sospetti e che, come Ł stato altrettanto correttamente osservato dai Giudici di merito, il fatto che la ditta del Ruccella non ne fosse in possesso ha costituito semplicemente un imprevisto nello svolgimento dei fatti.
In ogni caso in tema di estorsione la portata della minaccia non può essere esclusa dal fatto che la vittima delle minacce ha assunto un atteggiamento “dialettico” rispetto alle ingiuste richieste, ciò non determinando il venir meno della portata intimidatoria delle stesse.
A ciò si aggiunge che in realtà già il G.u.p. aveva debitamente chiarito che la sponsorizzazione dell’impresa del Prestanicola non poteva essere valutata alla stregua di un’ordinaria dinamica imprenditoriale, dovendo ritenersi piuttosto un tassello del sofisticato sistema impositivo, poi ulteriormente e logicamente precisando che «non v’Ł dubbio che i dialoghi intercettati facciano ritenere avvenuto un intervento dell’odierno imputato al fine di rivendicare pregressi accordi spartitori, agevolando la ditta di COGNOME NOME: sul punto, non possono assumere rilievo le istanze difensive secondo cui la ditta COGNOME sarebbe stata individuata in base all’iscrizione nella white list».
La Corte di appello ha, poi, dato a sua volta risposta (v. pag. 17 e seguenti) alle questioni sopra indicate, riproposte dalle difese degli imputati anche in questa sede, evidenziando le ragioni che consentono di escludere che l’aggiudicazione al Prestanicola dell’appalto per la fornitura del cemento fosse effetto di logiche concorrenziali implicitamente dimostrate dall’abbassamento dell’originaria offerta, ciò in quanto vi era la necessità di allineare le offerte al fine di far partecipare all’appalto anche il COGNOME in quanto, altrimenti, detto appalto avrebbe dovuto essere assegnato solo al COGNOME che aveva presentato una offerta migliore.
Logiche sono quindi le valutazioni fatte dalla Corte di appello allorquando, per rispondere alle doglianze alla stessa sottoposte in sede di gravame, ha testualmente chiarito, anche sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate e debitamente richiamate, «che l’intromissione del COGNOME – rispetto a quanto pianificato da tempo – siccome sponsorizzato dalla cosca COGNOME per il tramite del ‘figlio di NOME‘ avesse determinato la necessità di rivedere i patti Ł reso evidente dai febbrili contatti tra i COGNOME – che pur certi assegnatari dello sbancamento – agivano quali ambasciatori di COGNOME NOME presso la Cooper.RAGIONE_SOCIALE, il COGNOME (per il clan di Sant’Onofrio) ed il COGNOME (braccio destro del COGNOME NOME), funzionali a ribadire presso il Pata che il calcestruzzo dovesse essere fornito dal COGNOME. Che il COGNOME si fosse imposto per effetto del suo sponsor criminale nell’area Ł reso evidente dalla richiamata affermazione del Pata sul potere del ‘figlio di NOME‘ di incidere sul regolare svolgimento dei lavori in cantiere: potere che, non derivando da
legittime fonti autoritative, non poteva che attribuirsi alla nota caratura criminale del clan che quegli rappresentava sul territorio, delle cui dinamiche il Pata era ben conscio. E la conversazione offerta dalla difesa a conferma del suo assunto mostra, per contro, ben altro significato ove letta integralmente. In essa infatti … il COGNOME‘COGNOME aveva chiaramente richiamato il fratello di COGNOME NOME ad assumere atteggiamenti in linea con gli equilibri criminali dell’area, che quell’iniziativa aveva di fatto messo in crisi. I contenuti della conversazione mal si conciliano con logiche di ordinaria concorrenza, posto che ove davvero il giudicabile si fosse imposto per la maggiore convenienza della sua offerta, non si giustificherebbero i richiami del COGNOME‘COGNOME all’irrilevanza dei prezzi praticati dalla ditta di famiglia ed alla necessità piuttosto di garantire l’equa spartizione tra gli interessati, trattandosi di cantiere ‘attenzionato’».
Quanto sopra osservato circa l’attività posta in essere dal COGNOME (e dai correi) consente a questa Corte anche di ritenere manifestamente infondato il rilevo che lo stesso non fosse consapevole e partecipe all’attività estorsiva realizzata con le modalità sopra indicate, anche perchØ appare contrario a logica anche solo ipotizzare che nel quadro probatorio sopra descritto ed emergente dalle conformi decisioni di merito, l’COGNOME abbia ‘sponsorizzato’ – e di fatto imposto l’affidamento dell’appalto per la fornitura del cemento all’impresa del Prestanicola, nella assoluta inconsapevolezza di quest’ultimo, quasi si trattasse di un non richiesto ‘omaggio’ casualmente intervenuto in un’area dove le cosche ‘ndranghetiste lottavano per spartirsi il controllo delle attività imprenditoriali.
Rimane solo da evidenziare, anche per fornire doverosa risposta alle doglianze contenute nel ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME che:
a) a nulla rileva il fatto che le ditte interessate alla fornitura di calcestruzzo erano cinque e non due come indicato in sentenza;
b) Ł tutt’altro che contraddittoria la circostanza che mentre l’intervento dell’COGNOME sarebbe stato rilevante per l’affidamento dell’appalto relativo alla fornitura del materiale non avrebbe avuto altrettanta efficacia per l’affidamento dei lavori di sbancamento, ciò in quanto l’affidamento finale dei lavori di movimentazione terra all’impresa del COGNOME rientra nel ‘naturale’ esito degli accordi raggiunti per la spartizione dei subappalti.
In relazione a quest’ultimo punto giova ricordare che, come congruamente e logicamente chiarito in fatto nelle sentenze di merito che si sono occupate della contestazione di cui al capo A3, COGNOME e Prestanicola, approfittando dello stato di soggezione provocato nel Pata, avevano anche compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere quest’ultimo a rivolgersi all’impresa del Prestanicola anche per l’affidamento dei lavori di sbancamento dell’area e, al riguardo, l’COGNOME aveva mandato al Pata ‘ambasciate’ per mezzo dell’arch. Tedesco.
Tale intento fu poi vanificato perchØ le pretese dei due imputati furono ridimensionate per fattori esterni causati dall’intervento di NOME COGNOME (personaggio di vertice dell’omonima cosca) che, attraverso il COGNOME ed il COGNOME, avevano fatto pervenire al COGNOME la richiesta di attenersi agli accordi spartitori già raggiunti, a livello apicale, tra le varie cosche, secondo cui la fornitura di cemento sarebbe stata divisa a metà tra Prestanicola e Ruccella, mentre le opere di sbancamento sarebbero state affidate al COGNOME.
Sul punto la motivazione adottata dalla Corte di appello (pagg. 27 e 28 della sentenza impugnata) risulta del tutto esaustiva nella ricostruzione della vicenda e nell’indicazione degli elementi sui quali ha ritenuto di fondare la responsabilità degli imputati.
3.1.5. Non fondata Ł, altresì, da ritenersi la questione di carattere processuale formulata nell’interesse dell’imputato COGNOME di cui al superiore par. 2.6.1 (ribadita anche nei motivi nuovi di cui al superiore par. 2.6.4) laddove Ł stato dedotto che la Corte di appello avrebbe illogicamente
respinto la richiesta avanzata dalla difesa con i motivi nuovi di gravame volta ad ottenere l’acquisizione delle trascrizioni dell’udienza dibattimentale in cui, nel parallelo procedimento ordinario, erano stati esaminati NOME COGNOME e NOME COGNOME
Sul presupposto che Ł assolutamente irrilevante il fatto, sottolineato da parte ricorrente, che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la richiesta rientrasse nel novero dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. mentre per contro trattavasi di prove sopravvenute al giudizio di primo grado che quindi dovevano ritenersi rientranti nel disposto dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., osserva l’odierno Collegio che nel caso in esame la Corte di appello, nel sottolineare che il Pata ed il Ferrazzo avevano già reso dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari, ha sostanzialmente ritenuto l’inesistenza della necessità di acquisire detti verbali ai fini del decidere.
Al riguardo la decisione sul punto della Corte di Appello non presenta vizi rilevabili in questa sede e, in ogni caso dalla lettura dei predetti documenti allegati al ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME, non emergono elementi di decisiva rilevanza, tali da ritenere la presenza nell’apparato motivazionale della sentenza impugnata la presenza di lacune o manifeste illogicità che avrebbero potuto essere colmate con l’acquisizione dei predetti verbali, il tutto in ossequio al principio secondo il quale «In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata assunzione in appello, a seguito di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo nel caso in cui si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o di manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello» (Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745 – 01; Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577 – 01; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799 – 01).
Quanto appena evidenziato si ricollega anche alla doglianza, da ritenersi anch’essa infondata, avanzata dalla difesa dell’imputato COGNOME nel relativo ricorso (altresì ribadita in sede di discussione orale) nella quale si Ł sottolineato come di fatto i Giudici di merito abbiano dato credito alle dichiarazioni del COGNOME obliterando ogni riferimento a quelle del COGNOME.
In realtà non Ł così in quanto la Corte di appello (v. pagg. 15 e 16 della propria sentenza) risulta avere debitamente dato atto del contenuto delle dichiarazioni di NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE nelle s.i.t. del 28 maggio 2021 il quale aveva rievocato le trattative con la committente per l’aggiudicazione dei subappalti, iniziate a gennaio/febbraio 2019, e la conclusione del contratto di affidamento dei lavori il 29 aprile 2019, poi evidenziando i punti salienti delle dichiarazioni dello stesso il quale:
ha affermato che l’aggiudicazione dei subappalti alle ditte COGNOME e COGNOME era avvenuta poichØ avevano avanzato le offerte migliori ed avevano l’iscrizione alla white list;
ha precisato che per il movimento terra erano state interpellate tre ditte, tra cui quella del COGNOME e del Prestanicola, e per la fornitura del calcestruzzo cinque ditte, tra cui Prestanicola e Ruccella, con richieste di preventivo trasmesse il 26 febbraio 2019;
ha riferito che la sola ditta COGNOME aveva fornito il calcestruzzo e ha rievocato che il direttore dei lavori era il Tedesco mentre il COGNOME era addetto al cantiere quale responsabile tecnico, che si occupava della contrattazione per le forniture e la conduzione del cantiere.
La stessa Corte di appello (pag. 16 e segg., pag. 32 e segg. e pag. 37) ha poi dato atto delle doglianze difensive (formulate in sede di gravame non solo dalla difesa del COGNOME) legate alle dichiarazioni del COGNOME, ma ne ha debitamente quanto logicamente spiegato l’infondatezza attraverso una articolata ricostruzione dei fatti fondata su elementi probatori altrettanto debitamente evidenziati (pagg. da 17 a 25, da 33 a 34 e da 37 a 40).
Non corrisponde pertanto alla realtà che nella sentenza impugnata siano state trascurate le
dichiarazioni del COGNOME emergendo per contro che proprio i numerosi profili di inaffidabilità delle dichiarazioni di quest’ultimo hanno portato, di fatto, a valorizzare le dichiarazioni del COGNOME.
3.1.6. Non fondate, sono, poi le questioni sollevate dalle difese degli imputati COGNOME (v. sup. paragrafi 2.1.2 e 2.1.5), COGNOME (par. 2.2.2), COGNOME (par. 2.6.3) e COGNOME par. 2.8.3 e 2.8.4) che vertono sulla configurabilità, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e che appaiono meritevoli di trattazione congiunta stanti le interconnessioni tra le stesse.
Occorre, innanzitutto, ricordare che detta circostanza aggravante risulta contestata al capo A2 della rubrica delle imputazioni come segue: «Fatto, altresì, aggravato dal metodo mafioso, stando al contesto territoriale di riferimento che lasciava chiaramente intendere la riconducibilità delle minacce e quindi le possibili conseguenti intimidazioni ai sodalizi ‘ndranghetistici denominati RAGIONE_SOCIALE di Filadelfia, Mancuso di Limbadi e Bonavota di Sant’Onofrio, tanto da determinare una particolare soggezione della persona offesa, e al fine di agevolare la consorteria ‘ndranghetistica denominata RAGIONE_SOCIALEFruci, quella denominata COGNOME e quella denominata COGNOME, sulla base di accordi spartitori relativi al territorio di Pizzo Calabro».
Il G.u.p. dopo avere correttamente ricordato che sotto il profilo del c.d. ‘metodo mafioso’ la circostanza aggravante de qua Ł configurabile anche nel caso di ‘minaccia silente’ ha, poi, testualmente affermato (pag. 70) che «il coinvolgimento delle ditte di COGNOME, COGNOME e COGNOME era esplicitamente diretto a sostenere economicamente le relative consorterie, mentre l’intervento di COGNOME, COGNOME, COGNOME ed COGNOME era volto, specularmente, ad assicurare ai predetti imprenditori l’aggiudicazione dei lavori proprio per garantire alle relative consorterie di riferimento un ingiusto profitto».
Piø articolata Ł stata la motivazione al riguardo adottata dalla Corte di appello che rispondendo ai motivi di gravame sul punto avanzati dalle difese degli imputati (v. pagg. 25, 26, 34, 35 e 39) con particolare riguardo al profilo del c.d. ‘favoreggiamento mafioso’ ha evidenziato il fatto che le decisioni spartitorie assunte poi realizzate nel contesto estorsivo di cui si Ł detto fossero funzionali agli interessi delle cosche e non solo dei singoli interessati Ł dimostrato dall’assetto dell’accordo stesso, tale che NOME COGNOME avesse inteso garantire ai santonofresi la partecipazione e, di poi, l ‘ingresso non originariamente previsto degli Anello siccome ‘famiglia amica’.
Tanto basta – ha evidenziato ancora la Corte di appello – a rendere ragione del fatto che le logiche spartitorie, lungi dal riguardare singoli membri apicali dei tre clan, erano da ricondurre alla suddivisione dello sfruttamento economico delle iniziative imprenditoriali dell’area, secondo sfere di egemonia che si riconducevano direttamente alla forza criminale dei gruppi ed ai loro appetiti economici: «Che siano intervenuti direttamente i dirigenti – anche nella prospettiva di sedare eventuali tensioni tenendo conto della forza di ogni gruppo – Ł ulteriore elemento che rafforza la conclusione del primo giudice. COGNOME, COGNOME e COGNOME costituivano, per ciascun gruppo criminale, lo strumento di partecipazione all’affare che, si noti bene, non si risolveva nella richiesta della ‘mazzetta’ per la protezione del cantiere, ma nella partecipazione agli introiti di un appalto privato ammontante, per valore, ad oltre quattro milioni di euro».
Osserva l’odierno Collegio che, innanzitutto, appare certamente emergente sulla base del contesto ambientale e fattuale ricostruito dai Giudici di merito la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sotto il profilo del c.d. ‘metodo mafioso’.
Si Ł già detto sopra della piena conoscenza che il Pata aveva del contesto ‘mafioso’, territoriale ed imprenditoriale, nel quale operava da decenni, così come si Ł già detto della natura intimidatoria che ha caratterizzato l’agire degli odierni imputati (e dei complici) nei confronti della medesima persona offesa.
Per il resto sul punto Ł sufficiente ricordare che questa Corte di legittimità ha già reiteratamente avuto modo di chiarire, da un lato, che «la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali, in cui questa opera» (Sez. 2, n. 37526 del 16/6/2004, COGNOME, Rv 229727-01) e, dall’altro, che «In tema di estorsione, Ł configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi» (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669).
Con riguardo, poi, al profilo aggravante della c.d. ‘agevolazione mafiosa’, ritiene l’odierno Collegio che dai Giudici di merito Ł stato rispettato il principio secondo il quale «Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., la finalità perseguita dall’autore del delitto, onde evitare il rischio della diluizione della circostanza nella semplice contestualità ambientale, dev’essere oggetto di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova, sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato Ł stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio» (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199 – 02), avendo gli stessi debitamente chiarito come l’azione estorsiva non sia stata esclusivamente indirizzata a creare una utilità economica alle imprese beneficiarie dei subappalti, essendo palese il legame e la concorrenza di interessi tra dette imprese e le (incontestate) associazioni di tipo ‘ndranghetistico operanti sul territorio, al punto che si rese necessario l’intervento dei vertici delle stesse per pilotare l’assegnazione dei lavori in un’ottica spartitoria.
Del resto, non può non osservarsi come l’inciso, inevitabilmente di contenuto generico, di cui al comma primo dell’art. 416-bis.1 cod. pen. – «al fine di agevolare l’attività delle associazioni» – non può portare di certo a ritenere che detta agevolazione, nel caso in cui la circostanza aggravante sia contestata in seno ad un episodio di natura estorsiva, si deve concretizzare in un profitto economico diretto ed immediato anche per l’associazione di riferimento degli imprenditori collusi essendo per contro sufficiente che – come Ł accaduto nel caso in esame – l’azione estorsiva sia anche finalizzata (e non v’Ł dubbio che nel caso in esame lo sia stata) a rafforzare l’egemonia del controllo sul territorio delle organizzazioni stesse che ne hanno quindi ottenuto un beneficio diretto dall’azione delittuosa.
Questa Corte ha, infatti chiarito che per la realizzazione della finalità agevolativa occorre che lo scopo sia quello di contribuire all’attività di un’associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall’art. 416-bis cod. pen. (in tal senso Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276109 – 01).
Quanto, poi, alla sussistenza dell’elemento soggettivo relativo alla circostanza aggravante oggetto di contestazione Ł sufficiente ricordare che «La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe» (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01) elemento soggettivo la cui sussistenza Ł stata contestata in particolare dalla difesa del ricorrente COGNOME ma che, ancorchØ non risulta approfondito nelle motivazioni delle sentenze di merito, traspare all’evidenza sussistente in capo agli
imputati qui in esame dalle motivazioni di entrambe le sentenze di merito, atteso che l’azione degli stessi risulta consapevolmente realizzata in modo sinergico con gli interessi delle rispettive cosche di riferimento.
3.1.7. Inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. risultano poi i motivi di ricorso presentati dalla difesa dell’imputato COGNOME (v. sup. paragrafi 2.8.3 e 2.8.4), nei quali si contesta, da un lato, la ritenuta configurabilità a carico dello stesso, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, della circostanza aggravante delle piø persone riunite di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma 3 n. 1 cod. pen. e, dall’altro, la compatibilità, in caso di ‘minaccia silente’, della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. con quella (pure contestata e non esclusa) di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen.
Va detto subito che entrambe le doglianze indicate non risultano dedotte con i motivi di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nel ricorso in esame, se incompleto o comunque non corretto, nØ dalla lettura dell’atto di appello (il cui motivo n. 4 verte sulla diversa questione della configurabilità e della attribuibilità soggettiva della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.), nØ da eventuali motivi aggiunti che avrebbero dovuto essere espressamente richiamati dallo stesso ricorrente.
Per solo dovere di completezza in punto di diritto occorre evidenziare, pur prendendo atto anche dell’esistenza di un opposto orientamento, come la giurisprudenza piø recente – i cui assunti sono pienamente condivisi anche dall’odierno Collegio – in materia di rapporto tra aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. realizzata sotto il profilo della c.d. ‘minaccia silente’ e aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen. ha avuto modo di chiarire che «In tema di estorsione, nel caso in cui il metodo mafioso si concretizzi in una minaccia “silente”, posta in essere da soggetto appartenente ad un’associazione di tipo mafioso ed evocativa della capacità criminale del sodalizio, l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen, richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., può concorrere con quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il profilo dell’utilizzo del metodo mafioso, posto che la prima Ł volta a punire la maggiore pericolosità dimostrata, in concreto, dall’associato dedito anche alla consumazione di rapine ed estorsioni, mentre la seconda sanziona la maggiore capacità intimidatoria della condotta, realizzabile anche dal non associato» (Sez. 2, n. 21616 del 18/04/2024, Armenio, Rv. 286433 – 01; Sez. 2, n. 15429 del 08/03/2024, Zagaria, Rv. 286280 – 01).
4. L’esame dei motivi di ricorso relativi al reato associativo di cui al capo B1.
Come accennato al superiore paragrafo n. 2 il secondo filone dei ricorsi sottoposti all’esame di questa Corte di legittimità afferisce alle posizioni degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME e riguarda la contestazione di un reato associativo (capo B1 della rubrica delle imputazioni) e di una serie di reati-fine i cui capi (numericamente indicati) sono comunque contraddistinti dalla stessa lettera B.
Anche in questo caso, prima di affrontare l’esame dei singoli ricorsi, Ł doveroso riassumere brevemente, per la parte di interesse, le singole contestazioni partendo dal reato associativo contestato agli imputati ai quali si imputa di avere costituito e partecipato ad un’associazione stabilmente dedita – mediante la consumazione di un numero indeterminato di delitti, quali l’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’interposizione di società cartiere, la contraffazione ed utilizzazione di Documenti di Accompagnamento Semplificati (DAS) contenenti indicazioni mendaci in ordine, fra l’altro, alla qualità, ai titolari ed alla provenienza del prodotto,
nonchØ delitti di riciclaggio, reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori ed altri – alla evasione dell’IVA e delle accise dovute sugli scambi di prodotti petroliferi destinati al consumo, così da determinare una rilevante contrazione del prezzo imponibile del prodotto, commercializzando, come carburante da autotrazione, prodotti petroliferi di scarsa qualità ovvero oli minerali miscelati con carburante, provenienti dal nord Italia e dall’estero ed immessi sul mercato attraverso una filiera completamente illegale, senza passare per i depositi fiscali per la conseguente regolare immissione in consumo e, quindi, per la liquidazione e successivo pagamento dell’imposta.
In particolare, con i ruoli meglio descritti nel prosieguo, si contesta agli imputati:
dapprima di essersi approvvigionati di oli minerali e di prodotti petroliferi di scarsa qualità che, una volta miscelati con carburante, risultavano caratterizzati da proprietà organolettiche e chimiche simili a quelle del gasolio per autotrazione (prodotti provenienti da vari e differenti canali di importazione, in quanto ubicati, tra l’altro, nel territorio della provincia di Verona ovvero all’estero);
b) indi di aver trasferito (con falsa documentazione di accompagnamento) i suddetti prodotti presso il deposito commerciale della società RAGIONE_SOCIALE, in Maierato, indicando quali proprietarie del prodotto petrolifero, società (in realtà) prive di reale operatività e come depositi commerciali di provenienza del suddetto prodotto, siti riconducibili a società realmente esistenti ma del tutto ignare ed estranee al delitto;
infine, di aver ceduto il prodotto petrolifero a stazioni di servizio, alla stessa società RAGIONE_SOCIALE che a sua volta lo rivendeva ad altri depositi liberi.
Quanto ai ruoli degli odierni ricorrenti:
agli imputati NOME e COGNOME indicati come promotori ed organizzatori, si contesta l’ideazione, unitamente ai fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME, dell’originario programma criminoso, la partecipazione alle decisioni relative agli adattamenti delle strategie criminali, assunte in corso di d’opera, durante periodiche riunioni che si tenevano con i fratelli COGNOME (presso la sede della RAGIONE_SOCIALE) e presso la sede della D.l. Legnosud di NOME COGNOME, l’interlocuzione e la condivisione delle iniziative criminali da assumere con i sodali siciliani, avvalendosi del risalente rapporto di conoscenza con NOME COGNOME con il COGNOME e con NOME COGNOME oltre al fatto di aver dato concreta attuazione al programma criminoso, impartendo indicazioni in merito ai trasporti di prodotto contrabbandato nonchØ trattando, in prima persona, con taluni acquirenti finali;
all’imputato NOME COGNOME, anch’esso indicato come promotore ed organizzatore, titolare di una serie di società (P.T.RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, nonchØ socio di altre società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), si contesta di aver messo a disposizione della consorteria le società del proprio gruppo, al fine di agevolare lo smercio del carburante contrabbandato dalla associazione, acquistandolo dai fratelli COGNOME a prezzi scontati, per la successiva vendita al dettaglio presso i distributori di sua proprietà, nonchØ di aver messo a disposizione, per il trasporto di prodotto proveniente dal nord Italia, le autobotti della società RAGIONE_SOCIALE offrendo la propria disponibilità a riciclare denaro provento delle illecite transazioni e partecipando, con i COGNOME, alla ideazione di ulteriori sistemi di traffico e contrabbando di prodotti petroliferi ed oli minerali in evasione di imposte ed accise;
all’imputato NOME COGNOME pure indicato come organizzatore, effettivo titolare della società RAGIONE_SOCIALE, nonchØ di co-gestore della RAGIONE_SOCIALE (con il fratello NOME), si contesta di avere agito in costante collegamento con gli autotrasportatori siciliani (gli COGNOME) ed i sodali calabresi (NOME e COGNOME) e d’intesa con NOME COGNOME per procedere alla organizzazione, nel dettaglio, ed alla attuazione delle fasi di ricezione, presso il proprio deposito commerciale, e successiva cessione dei prodotti petroliferi artefatti (miscele) ovvero di oli lubrificanti provenienti dal
nord Italia e dall’estero, ivi compresi quelli già stoccati presso il deposito commerciale dei COGNOME;
all’imputato COGNOME in qualità di mero partecipe, si contesta di aver messo a disposizione del sodalizio un autoparco per mezzi pesanti all’interno del quale venivano effettuati i trasbordi del prodotto petrolifero contrabbandato – trasportato dalle autobotti provenienti dal nord-Italia e diretto in Sicilia – e di aver stabilito, in concorso con gli altri sodali (e, in particolare, con NOME, COGNOME e COGNOME) tempi e modi dei trasferimenti, nonchØ di avere acquistato e messo in vendita parte del prodotto ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALEper conto” della ditta individuale COGNOME Nicola COGNOME;
agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità anch’essi di meri partecipi svolgenti l’attività di autotrasportatori, si contesta di aver caricato, trasportato e scaricato il prodotto contrabbandato dalla consorteria, nell’interesse e secondo le indicazioni dei vertici della associazione.
4.1. Il G.u.p. risulta avere ricostruito (v. pagg. da 75 a 188 della sentenza di primo grado), non solo sulla base di un imponente serie di conversazioni intercettate, ma anche sulla base di elementi documentali, di dichiarazioni testimoniali, nonchØ di dichiarazioni confessorie rese da NOME COGNOME che ha descritto l’illecito meccanismo in frode all’erario e delineato la compagine soggettiva operante – i rapporti intercorrenti tra le parti, anche in relazione ai reati-fine dagli stessi rispettivamente commessi, che saranno analizzati piø nel dettaglio nel prosieguo.
La ricostruzione delle vicende Ł stata poi anche richiamata e condivisa dalla Corte di appello (pagg. 54 e segg. della relativa sentenza).
In estrema sintesi, risulta accertato in fatto, e sostanzialmente non contestato nei ricorsi qui in esame, che l’imputazione del delitto associativo si fonda sul complesso meccanismo ideato al fine di immettere sul mercato nazionale oli minerali ovvero prodotti petroliferi di scarsa qualità – acquistati dall’COGNOME, gestore occulto della ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, tanto all’estero (Slovenia, Bulgaria, Germania, Russia, ecc.) quanto, e prevalentemente, presso un deposito sito in Valeggio sul Mincio – che, miscelati con altre sostanze, risultavano caratterizzati da proprietà organolettiche e chimiche simili a quelle del gasolio per autotrazione (cosiddetto gasolio 10 ppm).
Il prodotto era poi trasportato (con falsa documentazione di accompagnamento) dal Nord Italia presso il deposito commerciale della società RAGIONE_SOCIALE, sito in Maierato – per effetto di contratti di conto deposito falsi con la COGNOME Nicola RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE – che Ł risultata riconducibile ai fratelli COGNOME, ove veniva temporaneamente stoccato e, a volte, anche illecitamente miscelato, per poi essere trasportato in altre parti del territorio nazionale (soprattutto in Sicilia) e venduto quale carburante da autotrazione.
A tale scopo, gli imputati creavano e sfruttavano società c.d. “cartiere”, che avevano l’unico (o il prevalente) scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti, in modo da celare la reale provenienza dei prodotti e, al contempo, consentire l’evasione delle imposte agli utilizzatori.
Inoltre, per il trasporto di tali miscele, oli lubrificanti e prodotti derivati, i sodali si munivano di falsa documentazione di accompagnamento (ossia di falsi DAS – Documenti di Accompagnamento Semplificati, redatti anche utilizzando il timbro falso della Agenzia delle Dogane n. 34 di Mantova), in grado sia di giustificare (documentalmente) il trasporto, che di simulare qualità, provenienza e destinazione del prodotto in caso di controlli.
Lo scopo ultimo era quello di sottrarre il prodotto al corretto regime fiscale ed impositivo e, quindi, ottenerne illeciti profitti, con conseguente alterazione dell’ordinario regime concorrenziale.
L’indagine, in specie dopo un sequestro effettuato presso la sede della RAGIONE_SOCIALE in data 10 aprile 2019, aveva consentito di accertare all’esito delle complesse acquisizioni, captative, documentali e testimoniali che:
a) il gasolio era fatto risultare di apparente provenienza dai depositi commerciali riconducibili a tre società, realmente esistenti ed operative sul relativo mercato, ossia la RAGIONE_SOCIALE Verona, la RAGIONE_SOCIALE Mantova e la RAGIONE_SOCIALE Milano, del tutto ignare del meccanismo di frode e prive di qualunque rapporto commerciale con le società coinvolte nell’illecito meccanismo;
b) il gasolio fittiziamente proveniente dai depositi di stoccaggio delle tre suddette società › ed in realtà approvvigionato da un deposito di Valeggio sul Mincio – era cartolarmente intestato alla proprietà della ditta COGNOME Nicola COGNOME, con sede in Biancavilla (CT), e – dal settembre 2019 della RAGIONE_SOCIALE, con sede in provincia di Verona, entrambe società ‘cartiere’ riconducibili all’Agosta;
c) fungeva da originario intermediario nel deposito del carburante miscelato la RAGIONE_SOCIALE di Maierato, dei fratelli COGNOME NOME e NOME – addetta per oggetto sociale originariamente dichiarato ad impresa edile – che aveva svolto ruolo di depositaria per conto dei committenti NOME NOME RAGIONE_SOCIALE ed in favore delle altre aziende coinvolte quali destinatarie finali del prodotto;
d) il carburante era poi destinato per lo stoccaggio ai depositi della RAGIONE_SOCIALE di S. Venerina (CT), nella titolarità di NOME COGNOME – e di fatto gestita anche dall’Agosta – e della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME con sede in Palermo, altre società utili per giustificare il passaggio cartolare del carburante di contrabbando in favore della RAGIONE_SOCIALE di Catania di NOME COGNOME, fratello di NOME;
e) da quest’ultima – nel corso del pregresso anno 2018 dalla stessa D.R. Service – operava l’acquisto finale ed effettivo del prodotto la RAGIONE_SOCIALE di Belpasso (CT) di NOME COGNOME e di NOME COGNOME (con capitale detenuto dalla RAGIONE_SOCIALE dello stesso Romeo), società a sua volta controllante la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, di fatto sempre riconducibile al Romeo, nonchØ la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, del Romeo e del COGNOME;
f) altro acquirente finale della RAGIONE_SOCIALE era stato poi individuato nella ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di Reggio Calabria, fin quando quest’ultima, dopo l’aprile 2019, aveva assunto veste di nuovo depositario per conto della RAGIONE_SOCIALE;
g) la complessa attività si avvaleva dell’ausilio di società proprietarie delle autobotti necessarie per lo svolgimento del traffico lungo la penisola: svolgevano così ruolo organico di trasportatori i fratelli NOME e NOME COGNOME (soci della “RAGIONE_SOCIALE“) oltre ad altri soggetti (i fratelli COGNOME).
Per effetto del complesso meccanismo di frode, la RAGIONE_SOCIALE era riuscita ad evadere l’accisa sui carburanti per oltre 1.200.000,00 euro nel periodo 14 settembre 2018/1 aprile 2019 per carburanti di provenienza illecita non giustificati da alcuna documentazione, e per oltre 3.600.000,00 euro nel periodo 2 ottobre 2018/6 dicembre 2019 per carburante cartolarmente ricevuto dai vari depositi di stoccaggio individuati dagli inquirenti.
Le attività di intercettazione (v. pagg. 104/176 della sentenza di primo grado) avevano consentito di seguire l’organizzazione dei traffici illeciti, risalente all’estate del 2018 ed il loro sviluppo fino al 10 aprile 2019, data del menzionato sequestro presso la RAGIONE_SOCIALE, indi la fase di riorganizzazione del gruppo – sino al 9 agosto 2019 – successive alle prime verifiche della Guardia di Finanza che avevano costretto i protagonisti ad individuare e testare nuovi canali di approvvigionamento e deposito del carburante, ed infine la ‘fase di assestamento’ in cui, operata la correzione dei meccanismi, il gruppo ideava la sua definitiva modalità organizzativa utile all’attuazione del progetto illecito.
Nella prima fase il contrabbando era stato organizzato e gestito dal predetto COGNOME, dai fratelli COGNOME, da COGNOME e NOME con gli acquirenti finali siciliani.
Dopo il sequestro operato in data 10 aprile 2019 dalla Guardia di Finanza presso il deposito di
COGNOME dei fratelli COGNOME, era subentrato quale luogo di stoccaggio il sito del Falduto in Calabria.
Infine, dopo i sequestri dell’agosto 2019 lo stoccaggio del carburante aveva fatto capo al deposito di Olivadi di tale COGNOME cognato dell’imputato NOME COGNOME
Così doverosamente ricostruiti in estrema sintesi gli elementi fattuali ritenuti accertati dai Giudici di merito Ł ora possibile passare all’esame dei motivi di ricorso.
4.2. Con una prima serie di motivi di ricorso che appaiono meritevoli di trattazione congiunta gli imputati NOME COGNOME (v. sup. par. 2.3.3 integrato con motivi nuovi), NOME COGNOME (2.4.3, integrato con motivi nuovi), COGNOME (par. 2.5.1), NOME (par. 2.7.1), COGNOME (par. 2.9.1) e COGNOME (2.11.2) sostanzialmente contestano l’esistenza della associazione per delinquere di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni e segnalano che, al piø, nei fatti potrebbe ravvisarsi un concorso di persone nel reato continuato.
Ritiene l’odierno Collegio che tutti i menzionati motivi di ricorso sono sul punto caratterizzati da manifesta infondatezza.
I Giudici di merito risultano, infatti, avere correttamente individuato tutti gli elementi che consentono di configurare la sussistenza del reato associativo.
La stessa Corte di appello (pag. 59 e segg. della sentenza impugnata) ha, sostanzialmente, fatto proprie le affermazioni del G.u.p. che, al riguardo, aveva rilevato l’esistenza della struttura associativa sulla base dei seguenti profili:
l’organizzazione, atteso che i coimputati si sono stabilmente avvalsi di strutture e mezzi funzionali all’esercizio dell’attività di contrabbando;
la condivisione di una contabilità comune finalizzata a definire le movimentazioni di denaro e di carburante ed a stabilire i guadagni spettanti a ciascuno, così esprimendosi: «le indagini attestano che questa tipologia di riunioni, finalizzate alla tenuta della contabilità dell’organizzazione, si tenevano sostanzialmente ogni sabato, con la costante partecipazione di NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME … Dell’esito delle riunioni veniva poi regolarmente notiziato l’COGNOME, che a sua volta era in contatto con il Tirendi»;
l’esistenza di un prezziario concordato, dato che i sodali concordavano tra loro i prezzi da applicare nei loro rapporti interni (i PLATTS) e quelli, diversi, da indicare in fattura, nonchØ il prezziario delle forniture da effettuare in nero;
la spartizione dei costi tra i soggetti operanti;
l’esistenza di una cassa comune, dato che sulla base delle intercettazioni risulta accertato che i proventi dell’attività illecita erano suddivisi tra i sodali, previa decurtazione del compenso destinato agli autisti che in tal modo, a loro volta, partecipavano alla spartizione degli utili dell’attività delittuosa;
la predisposizione di una rete citofonica per le comunicazioni tra sodali: «… gli imputati facevano uso di sistemi di telecomunicazione VOIP, messaggistica whatsapp, applicazione Telegram per eludere le intercettazioni … gli stessi si avvalevano anche di utenze riservate per le comunicazioni fra loro. Si trattava di una pluralità di apparati di telecomunicazione mobile, muniti di sim intestate a terzi soggetti ignari, perlopiø di nazionalità straniera, interconnessi tra loro in modalità citofonica, ovverosia incentrata sul criterio per cui ogni apparato Ł destinato ad interloquire solo con uno o piø – di volta in volta predeterminati – apparecchi nella disponibilità di altri membri dell’organizzazione criminale, e con quelli soltanto»;
l’elaborazione di versioni concordate da fornire agli inquirenti in caso di controlli: «… in occasione dei sequestri effettuati il 5 e 9 agosto 2019, gli autisti dell’organizzazione, all’atto del fermo dei mezzi da parte di Forze di Polizia, dichiaravano di essere partiti carichi dalla Sicilia, e che il destinatario del prodotto, per problemi nei pagamenti, aveva dovuto rifiutare il prodotto e
rimandare il carico al mittente (versione che era stata confermata anche da COGNOME)»;
l’impiego di diciture convenzionali tra sodali, apposte sui vari documenti, in base al diverso “regime fiscale” delle singole transazioni;
la sistematica distruzione di ogni traccia cartacea dei calcoli effettuati dai membri dell’organizzazione, che venivano tuttalpiø fotografati per poi essere mostrati agli altri sodali, o inviati tramite sistemi di messaggistica istantanea;
l’ affectio societatis attestata dai numerosissimi contatti e incontri tra gli imputati e la protrazione nel tempo degli stessi;
la stabilità del vincolo, che ha trovato conferma nell’identità delle modalità operative e nel numero elevato delle diverse azioni delittuose;
l’organizzazione dei mezzi, dato che Ł emerso che il gruppo disponeva di depositi, autocisterne, solventi, società cartiere, utenze citofoniche;
la ripartizione dei ruoli: promotori ed organizzatori destinati alla decisione delle strategie operative, trasportatori, clienti abituali, intestatari fittizi, fornitori esteri;
l’indeterminatezza del progetto delittuoso, confermata dalle numerose conversazioni intercettate nelle quali gli imputati hanno parlato dei numerosi approvvigionamenti e forniture di carburante miscelato e programmato future iniziative, anche procedendo ad attività di riorganizzazione dell’agire delittuoso attraverso l’individuazione di nuovi canali di approvvigionamento a seguito anche degli intervenuti controlli di P.G.
Osserva l’odierno Collegio che quanto rilevato dai Giudici del merito fornisce granitica certezza circa la possibilità di ritenere sussistenti tutti gli elementi richiesti dalla costante giurisprudenza di legittimità (organizzazione di mezzi, ripartizione dei ruoli, stabilità del vincolo associativo e protrazione dello stesso per un apprezzabile lasso temporale, indeterminatezza del programma delittuoso caratterizzato da una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei reati-fine, di fatto interrotto solo per effetto degli interventi di P.G. e giudiziari) per qualificare sotto il profilo oggettivo le condotte tenute dagli imputati contestate al capo B1 della rubrica delle imputazioni come violazione dell’art. 416 cod. pen.
Da ciò deriva la conseguente manifesta infondatezza dei motivi di ricorso nei quali si Ł sostenuto che ci si troverebbe in presenza non di un reato associativo, quanto piuttosto di un concorso di persone nel reato continuato e che la prova della sussistenza del delitto di cui all’art. 416 cod. pen. sarebbe stata fondata dai Giudici di merito solo sulla base della pluralità dei reati-fine oggetto di contestazione.
Sul punto va ricordato che per costante giurisprudenza, che si condivide, «Nel concorso di persone nel reato continuato l’accordo criminoso Ł occasionale e limitato, in quanto volto alla sola commissione di piø reati ispirati da un medesimo disegno criminoso, mentre le condotte di partecipazione e promozione dell’associazione per delinquere presentano i requisiti della stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso, elementi che possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, ove indicativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonchØ di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi» ( ex ceteris : Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, COGNOME, Rv. 284724 – 01).
4.3. Si Ł detto della sussistenza nel caso in esame dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 416 cod. pen. contestato al capo B1 della rubrica delle imputazioni.
E’ quindi necessario passare all’esame dei motivi di ricorso che risultano sostanzialmente accomunati dalle contestazioni riguardanti la ritenuta partecipazione dei singoli imputati (con i ruoli rispettivamente delineati nel capo di imputazione) al reato associativo, anche nell’ottica dell’elemento soggettivo al riguardo richiesto.
Saranno, pertanto, partitamente esaminati in questa sede i motivi di ricorso sopra riassunti degli imputati NOME COGNOME (v. sup. par. 2.3.1 e 2.3.3), NOME COGNOME (par. 2.4.1 e 2.4.3), COGNOME (par. 2.5.1), NOME (2.7.1), COGNOME, (2.9.1.), NOME (2.10.1) e COGNOME (2.11.2).
4.3.1. Ritiene l’odierno Collegio che i motivi di ricorso formulati nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, riassunti ai superiori paragrafi 2.3.1, 2.3.3, 2.4.1 e 2.4.3 (integrati con motivi nuovi e memoria di replica alla requisitoria del P.G.) per entrambi gli imputati, possano essere esaminati congiuntamente alla luce delle contestazioni che li accomunano, che sono in larghissima parte sovrapponibili e sono da ritenersi non fondati.
Ai due imputati si contesta il ruolo di meri partecipi all’associazione con il ruolo di autotrasportatori, avendo provveduto ai trasporti del prodotto contrabbandato dalla consorteria, nell’interesse e secondo le indicazioni dei vertici del sodalizio.
Il G.u.p. si Ł occupato dell’esame delle posizioni dei predetti imputati alle pagine da 198 a 201 della relativa sentenza e la Corte di appello alle pagine da 62 a 77 della sentenza impugnata in questa sede.
Osserva il Collegio che la Corte di appello risulta avere correttamente ricostruito i motivi di gravame alla stessa sottoposta dai predetti imputati ed avervi dato una risposta congrua, logica nonchØ esente da travisamenti o da altri vizi rilevabili in questa sede di legittimità che ha ben consentito di delineare i contestati ruoli dei COGNOME all’interno del sodalizio, apprezzando gli elementi da ritenersi essenziali al riguardo, con la conseguenza che, in forza dei principi già delineati al superiore par. 1, quelli di segno contrario prospettati dalla difesa e non espressamente affrontati dalla Corte territoriale sono da ritenersi implicitamente disattesi.
In particolare, quanto a NOME COGNOME, i Giudici di merito hanno richiamato:
cinque episodi (verificati attraverso la localizzazione dell’utenza cellulare dell’imputato) nei quali l’imputato si era recato presso il deposito di Valeggio sul Mincio per caricare il prodotto da trasportare poi in Sicilia, avvalendosi di DAS falsi;
un ulteriore controllo effettuato dalla Guardia di Finanza dell’autobotte condotta dall’imputato, nel corso del quale il COGNOME aveva esibito a giustificazione del trasporto del gasolio, un DAS rivelatosi falso, in quanto recante targa del mezzo e del rimorchio differenti rispetto a quelli sottoposti a controllo;
una conversazione intercettata in data 21 settembre 2019 (progr. 2987) tra i fratelli COGNOME ed il COGNOME nel corso della quale gli stessi, commentando l’intervenuto sequestro di un automezzo trasportante il carburante anche per effetto dei DAS rivelatisi falsi e del cattivo comportamento di altro autotrasportatore, evocavano come esemplare la condotta di NOME, che in altra occasione aveva fornito dichiarazioni reticenti, confacenti agli interessi del gruppo;
una conversazione intercettata in data 26 gennaio 2019 (progr. 819) nella quale i colloquianti parlano della genesi dell’associazione e del fatto che attraverso il COGNOME avevano avuto modo di conoscere NOME COGNOME e che entrambi i fratelli COGNOME erano ritenuti soggetti pienamente ‘affidabili’;
le dichiarazioni oggetto di chiamata in correità rese da NOME COGNOME soggetto che ha reso ampia confessione e ritenuto pienamente attendibile in quanto le propalazioni dello stesso sono risultate caratterizzate da riscontri: l’COGNOME, come evidenziato dai Giudici, attestando la sua veste direttiva e gestoria del sodalizio, ha fornito precisa ricostruzione del modello organizzativo di azione, ed ha accusato gli altri partecipi del traffico, in particolare affermando che i soggetti protagonisti della filiera (acquisto, trasporto, vendita) erano tutti consapevoli (« non vi erano soggetti all’oscuro di quanto stavamo commettendo, ad eccezione di COGNOME NOME e di mio fratello ») e ha anche precisato, quanto ai DAS falsi, che gli stessi erano formati al Nord « con la piena
consapevolezza di tutti gli autotrasportatori di volta in volta coinvolti, come i Carvelli ad esempio ».
In sostanza, i Giudici del merito, hanno spiegato le ragioni per le quali non appare fondata la tesi difensiva secondo la quale i COGNOME erano meri trasportatori del tutto inconsapevoli delle dinamiche associative e, con particolare riguardo alla posizione di NOME COGNOME ed all’elemento soggettivo che consente di attribuirgli il ruolo di partecipe nell’associazione di cui al capo B1, la Corte territoriale (v. pag. 65 della sentenza impugnata) ha anche evidenziato che «il COGNOME era necessariamente conscio che sui documenti di trasporto, indispensabili per giustificare la provenienza della merce, pena il sequestro del mezzo di proprietà (come accaduto a Soverato), fosse indicato un deposito fittizio, posto che alcun rapporto era esistito, come compendiato dalle indagini, con le ditte apparenti fornitrici del carburante. E poichØ il COGNOME si recava personalmente al deposito veronese, e questo non poteva coincidere con le insegne della ditta riportata sul DAS, non residua dubbio in ordine tanto alla consapevolezza della natura illecita del prodotto, quanto all’organizzazione necessaria per occultare il traffico».
Sempre la Corte territoriale ha, poi, anche debitamente spiegato come le conversazioni intercettate richiamate dall’appellante sono decontestualizzate ed ha altresì debitamente analizzato, fornendovi risposta (pagg. 67-68), le altre contestazioni difensive.
Anche con riguardo alla posizione del coimputato NOME COGNOME la Corte di appello (e prima di essa in modo conforme il G.u.p.) Ł giunta a conclusioni analoghe, richiamando conversazioni intercettate alcune delle quali già utilizzate nei confronti anche del fratello, aggiungendo altri elementi quali la circostanza che che il COGNOME aveva personalmente operato uno scambio di carburante in data 4 dicembre 2018, utile per un approvvigionamento di prova del gruppo.
Si Ł poi già detto delle dichiarazioni dell’Agosta coinvolgenti entrambi i fratelli COGNOME e resta solo da aggiungere che, anche con riguardo ad NOME COGNOME, la Corte territoriale (pagg. 75-77) ha dato compiuta e logica risposta alle doglianze sollevate in sede di appello dalla difesa dell’imputato, doglianze per lo piø sovrapponibili a quelle formulate nell’interesse di NOME COGNOME.
In conclusione, ritiene il Collegio che nessuno dei vizi denunciati nei motivi di ricorso qui esaminati Ł ravvisabile nella sentenza impugnata nella quale si Ł ritenuto provato il ruolo rivestito anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo – dai fratelli COGNOME nei fatti oggetto di contestazione al capo B1 della rubrica delle imputazioni, ruolo che, all’evidenza, ha rappresentato un importante tassello nel perseguimento degli intenti criminosi della compagine associativa.
4.3.2. La valutazione di infondatezza riguarda poi anche il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME e sopra riassunto al par. 2.5.1.
NOME COGNOME, ritenuto semplice partecipe all’associazione si contesta di aver messo a disposizione del sodalizio un autoparco per mezzi pesanti all’interno del quale venivano effettuati i trasbordi del prodotto petrolifero contrabbandato – trasportato dalle autobotti provenienti dal nordItalia e diretto in Sicilia – e di aver stabilito, in concorso con gli altri sodali (e, in particolare, con NOME, COGNOME e COGNOME) tempi e modi dei trasferimenti, nonchØ di avere acquistato e messo in vendita parte del prodotto ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALEper conto” della ditta individuale COGNOME Nicola COGNOME.
Deve essere premesso che il G.u.p. risulta aver proceduto ad una meticolosa analisi degli elementi probatori in capo all’imputato con riguardo agli elementi che consentono di ritenerlo partecipe a pieno titolo nel reato associativo, evidenziando che, da una lettura coordinata delle risultanze e da un’analisi unitaria della piattaforma probatoria, era ben delineato il ruolo causale del COGNOME, tenuto conto che, a seguito delle iniziali forniture avviate previa intermediazione di NOME e COGNOME, questi Ł risultato aver messo a disposizione di tali soggetti il proprio piazzale per il trasbordo
di carburante da mezzi di ignota provenienza (tendenzialmente estera) a mezzi riconducibili al duo COGNOME/COGNOME circostanza confermata dallo stesso imputato ancorchØ legandola al mero favore, consistito nella fornitura di energia elettrica, su richiesta del Giorgio.
La Corte di appello (pagg. da 91 a 109 della sentenza impugnata) ha evidenziato di condividere, attraverso una dettagliata analisi dei medesimi elementi, le stesse conclusioni alle quali era giunto il Giudice di primo grado.
I Giudici del merito hanno, infatti, evidenziato che, a seguito di un sequestro di carburante subito dai fratelli COGNOME in data 10 aprile 2019, il COGNOME si era sostituito a costoro per consentire le operazioni di miscelazione e scambio del prodotto di contrabbando, tanto che dal suo sito erano giunte due autocisterne controllate dalla Guardia di Finanza in data 9 agosto 2019 che trasportavano prodotto difforme da quello descritto nei DAS di accompagnamento (”liquido incolore e inodore, oleoso al tatto, verosimilmente diluente”).
Gli stessi Giudici hanno poi richiamato una serie di conversazioni telefoniche dalle quali hanno ritenuto provato che:
nel piazzale dell’azienda del Falduto giungevano mezzi condotti da soggetti stranieri, il cui contatto era stato fornito dallo stesso imputato;
il carburante, una volta giunto nel piazzale, veniva travasato in autobotti inviate dal COGNOME e trasferito in Sicilia con DAS falsi predisposti dallo stesso COGNOME;
di tale carburante si riforniva anche lo stesso COGNOME;
sebbene il Falduto ad un certo punto avesse manifestato l’intenzione di recedere dall’attività delittuosa intrapresa con gli altri imputati, in un secondo momento aveva ripreso a fornire il proprio contributo all’organizzazione mettendo a disposizione il proprio autoparco in occasione del trasporto di 30.000 litri di prodotto che dovevano essere trasportati in Sicilia fino al deposito del Tirendi;
da una intercettazione intercorsa tra il NOME ed il COGNOME (v. pag. 94 sentenza appello) Ł emerso che il COGNOME era consapevole delle illecite attività di miscelazione del carburante: «… NOME, nel giustificarsi con COGNOME della pessima qualità del prodotto trasportato in un’occasione affermava: il coglione (ndr: si riferisce a COGNOME NOME) gli ha riferito che hanno sbagliato il colore perchØ il prodotto lo stanno facendo arrivare neutro e poi lo miscelano qua. COGNOME NOME commenta che “comunque non Ł gasolio”. NOME dice che tizio (ndr: si riferisce a COGNOME NOME) lo sta lavorando al suo impianto e va benissimo, l’unica cosa che non fa odore e che purtroppo hanno sbagliato il colore …», elementi questi che hanno portato il G.u.p. a ritenere che non solo l’imputato si era limitato a mettere a disposizione del sodalizio il piazzale della propria azienda, ma aveva anche provveduto alla miscelazione del prodotto in questione.
La Corte di appello risulta avere poi debitamente risposto, con osservazioni logiche e, di certo, non denotanti un travisamento del contenuto del materiale probatorio alle questioni alla stessa sottoposte dalla difesa dell’imputato in sede di gravame, ribadendo che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il dato captativo offre contezza del pieno e consapevole coinvolgimento del Falduto nei traffici sin dal giugno 2019 e che da una conversazione intercettata in data 25 luglio 2019 emerge non solo la contezza della perdurante attività di scarico del gasolio di contrabbando presso i depositi dell’imputato, ma anche la condivisione dei guadagni derivanti dall’attività illecita (pag. 98): «Il dato captativo attesta, inoltre, i rapporti consapevoli di tipo economico intrattenuti con il NOME ed il COGNOME, ben lungi dall’asserito soccorso dovuto alla mera prestazione di energia elettrica per i trasbordi di carburante: il giudicabile, infatti, aveva a sua volta partecipato con trentamila euro al carico (“i soldi sono … quelli che dobbiamo avere, sono i nostri…”).
A ciò si aggiunge – hanno sempre osservato i Giudici di merito (pag. 102) – che da una conversazione intercettata in data 5 agosto 2019 Ł emerso il pieno inserimento dell’imputato « nel ‘giro’ di DAS falsificati (” giustamente li facevamo pure per Falduto questi documenti … “) e, dunque,
la sua piena consapevolezza circa l’esistenza di un’organizzazione, posto che le falsificazioni erano necessarie perchØ si trattava di contrabbando e questo presupponeva – circostanza che un addetto al settore non poteva certo ignorare – l’utilizzo di società ‘cartiere’ da impiegare nominativamente sui documenti di trasporto».
Sul punto – prosegue la Corte territoriale (pag. 103) – «le ragioni della fine del rapporto illecito tradiscono ulteriormente la piena consapevolezza del Falduto in ordine all’origine illecita del traffico, posto che il venir meno del suo apporto era dovuto al ‘rischio’ che si correva a contrabbandare quel prodotto», l’imputato «… temeva, infatti, di rimetterci le aziende, ed il dato Ł logicamente incompatibile con la pretesa inconsapevolezza sull’origine del prodotto. Apporto che sarebbe continuato in modo occasionate, comunque utile a preservare il traffico e, con esso, il sodalizio che lo gestiva (” do una mano anche io, non Ł che vi abbandono …”), condotta chiaramente rafforzativa dell’altrui proposito criminoso, atteso che si trattava della messa a disposizione del proprio asset industriale in caso di bisogno».
Hanno concluso, poi, i Giudici di merito evidenziando che il Falduto Ł risultato, sempre sulla base del contenuto di conversazioni intercettate, essere in stretto contatto anche con altro partecipe del sodalizio (NOME COGNOME nei confronti del quale si Ł proceduto separatamente) lamentandosi dei tempi di carico e scarico dei mezzi – avendo ricevuto da terzi altre indicazioni, a riprova dell’organizzazione dei trasporti – ed anche approfittando per regolare i conti, espressamente rievocando di essere in credito di cospicue somme di denaro.
Ritiene l’odierno Collegio, non prima di avere rilevato che la difesa dell’imputato con il motivo di ricorso qui in esame tende inammissibilmente a richiedere a questa Corte di legittimità una diversa valutazione del materiale probatorio indicato nelle sentenze e, in particolare, del contenuto delle conversazioni intercettate, che non appaiono di certo viziate le conclusioni alle quali sono giunti i Giudici di merito relative alla stabilità del ruolo dell’imputato in seno al sodalizio criminale il quale con le proprie condotte ha consentito al sodalizio di perpetuare la sua condotta in un momento di seria fibrillazione, connesso ai sequestri patiti dalla D.R. Service, che non poteva quindi piø figurare quale depositaria del prodotto. In sostanza – come osservato in modo logico dagli stessi Giudici di merito «nel sistema congegnato dalla consorteria, il temporaneo ‘depositario’ del prodotto costituiva snodo fondamentale: in esso, infatti, si verificava sia il trasbordo del prodotto illecito dalle autobotti provenienti dal nord a quelle provenienti dalla Sicilia, sia la miscelazione, ed il sito era sfruttato anche per l’indicazione nei DAS. Dunque, il ruolo ricoperto dal COGNOME Ł stato di centrale importanza nella gestione complessiva».
Osserva, infine, l’odierno Collegio, che alla luce degli elementi indicati nelle sentenze di merito risulta altresì manifestamente infondata l’affermazione difensiva secondo la quale non vi sarebbe prova, nØ vi sarebbe adeguata motivazione, circa la sussistenza in capo all’imputato dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni.
4.3.3. La valutazione di infondatezza riguarda altresì anche i motivi di ricorso formulati nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME e sopra riassunti rispettivamente ai paragrafi 2.7.1 e 2.9.1 che appaiono meritevoli di trattazione congiunta (come peraltro Ł avvenuto anche nella sentenza della Corte di appello) in quanto aventi contenuto in larga parte sovrapponibile.
Ad entrambi i predetti imputati, indicati come promotori ed organizzatori dell’associazione di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni, si contesta l’ideazione, unitamente ai fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME, dell’originario programma criminoso, la partecipazione alle decisioni relative agli adattamenti delle strategie criminali, assunte in corso d’opera, durante periodiche riunioni che si tenevano con i fratelli COGNOME (presso la sede della RAGIONE_SOCIALE) e presso la
sede della D.l. Legnosud di NOME COGNOME, l’interlocuzione e la condivisione delle iniziative criminali da assumere con i sodali siciliani, avvalendosi del risalente rapporto di conoscenza con NOME COGNOME con il COGNOME e con NOME COGNOME oltre al fatto di aver dato concreta attuazione al programma criminoso, impartendo indicazioni in merito ai trasporti di prodotto contrabbandato nonchØ trattando, in prima persona, con taluni acquirenti finali.
Non può, innanzitutto non osservarsi come entrambe le sentenze di merito riportano una corposissima serie di conversazioni intercettate dalle quali emerge chiaramente il ruolo che ai predetti imputati Ł stato addebitato in seno alla associazione per delinquere in esame.
La Corte di appello ha trattato le posizioni del NOME e del Rigillo alle pagg. 148 e segg. della sentenza impugnata ed ha, a sua volta, richiamato le conformi valutazioni operate alle pagg. da 206 a 212 della sentenza di primo grado.
Quanto, in particolare, alla posizione del Giorgio la Corte territoriale ha ribadito che l’imputato era «uno dei protagonisti della vicenda in trattazione, da annoverarsi tra gli organizzatori del traffico delittuoso», come emerso dal compendio intercettivo, dal quale Ł risultato che lo stesso ha – nel corso delle riunioni oggetto di captazione – ideato, unitamente al COGNOME, ed ai fratelli COGNOME, il progetto criminoso, prendendo parte alle decisioni relative alle strategie criminali assunte dal gruppo durante le periodiche riunioni finalizzate a tenere la contabilità del gruppo che si tenevano solitamente al sabato presso le società sopra indicate.
Hanno, poi, evidenziato i Giudici di merito con riferimento ad entrambi gli imputati che:
a) erano stati il NOME ed il COGNOME a suggerire ai fratelli COGNOME il coinvolgimento negli affari dell’Agosta e del Tirendi;
b) sia il NOME che il COGNOME avevano seguito le operazioni di carico e scarico del carburante, impartendo indicazioni sulla logistica, nonchØ tenuto i rapporti con i clienti, come accaduto per l’individuazione di RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE COGNOME, curando la riscossione dei contanti e la consegna dello “storno”;
c) entrambi gli imputati non soltanto tenevano innumerevoli e costanti contatti con gli altri componenti del sodalizio, ma avevano anche assicurato il collegamento dei vibonesi con il gruppo dei siciliani.
La Corte di appello ha, poi, fornito congrua risposta ai motivi di gravame alla stessa sottoposti dai due imputati anche adeguatamente replicando (pagg. 159 e segg. della relativa sentenza) alle doglianze riproposte anche in questa sede di legittimità nelle quali era stato evidenziato che nel periodo successivo all’agosto 2019 non risultava essere stato consumato alcun affare illecito e che sulla base delle dichiarazioni di NOME era emerso che il Rigillo e il Giorgio erano “esclusivamente dei trasportatori”, estranei alla fase gestionale dell’attività illecita, e che anche il COGNOME aveva definito i due “meri collaboratori dell’Agosta, addetti al trasporto di carburante”.
La Corte territoriale ha, innanzitutto, chiarito – oltre che debitamente evidenziato – che l’argomento difensivo secondo cui le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dall’Agosta in data 5 ottobre 2021 avrebbero, di fatto, negato la consapevole partecipazione ai traffici dei due imputati, relegati al compito servente di ignari trasportatori, costituisce approdo affatto disancorato dal dato processuale poichØ l’Agosta, in sede di interrogatorio, ha confessato di aver avviato il contrabbando di prodotto petrolifero proprio grazie al duo NOMECOGNOME che aveva coinvolto nell’affare i COGNOME, stabilendo i necessari accordi operativi nel corso di un incontro a quattro avvenuto a Messina, aggiungendo che i termini dell’accordo prevedevano proprio la falsificazione dei DAS, assunta dai COGNOME quale condizione necessaria per garantire l’apparente liceità del prodotto trasportato da Valeggio sul Mincio e destinato al siciliano COGNOME.
La stessa Corte di appello ha, poi, evidenziato che la centralità del ruolo del NOME e del COGNOME era tale che, pur dopo i sequestri (aprile ed agosto 2019) che avevano destabilizzato il
modello organizzativo di trasporto del carburante, i due imputati erano rimasti referenti dell’Agosta per la prosecuzione del traffico illecito utilizzando il deposito di carburanti di tale COGNOME, parente degli stessi, ed ha altresì richiamato gli esiti delle attività di intercettazione riportati alla pagg. 171/176 della sentenza di primo grado dai quali Ł emerso che i due imputati personalmente:
partecipavano alle riunioni in cui si discuteva della contabilità condivisa degli affari;
concordavano la solidale spartizione dei costi;
si avvalevano di una cassa comune;
avevano sistemi di comunicazione esclusivi e riservati;
concordavano le versioni che gli autisti avrebbero dovuto fornire in caso di controllo della G.
di F. sui carichi illeciti;
distruggevano la falsa documentazione di accompagnamento dei trasporti;
concordavano le fasi organizzative del traffico;
disponevano di plurime società, cartiere ed effettive, per consumare acquisti e vendite;
si erano resi stabilmente disponibili all’attuazione di un programma criminoso indeterminato che era proseguito nel tempo modificando assetti e strategie in base ai sequestri operati dalle forze dell’ordine;
i rapporti con i COGNOME erano proseguiti ben oltre il sequestro dell’aprile 2019 ed avevano avuto ad oggetto il medesimo affare illecito;
i due imputati avevano avuto rapporti con tutti i soggetti coinvolti nella filiera organizzativa, a conferma della stabilità del vincolo e dell’indeterminatezza nel tempo del progetto.
Osserva l’odierno Collegio che nessuno dei vizi dedotti dalla difesa dei ricorrenti – che tende a proporre una inammissibile lettura alternativa, oltre che parziale, degli elementi probatori emersi – Ł ravvisabile nelle sentenze di merito che hanno motivatamente evidenziato, attraverso un’analisi completa degli elementi acquisiti, il ruolo del NOME e del COGNOME quali promotori e stabili organizzatori del sodalizio criminale di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni.
In punto di diritto occorre solo ricordare che:
«In tema di reato associativo, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando attorno a sØ le prime adesioni e consensi partecipativi, ma anche colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo già costituito, provocando l’adesione di terzi all’associazione ed ai suoi scopi attraverso un’attività di diffusione del programma» (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268962 – 01);
«in tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonchØ reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività che assume i caratteri dell’essenzialità e dell’infungibilità, non essendo, invece, necessario che lo stesso sia anche investito di compiti di coordinamento e di direzione dell’attività di altri soggetti» (Sez. 6, n. 44064 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287296 – 01);
ruoli questi che, in base agli elementi emersi, sono configurabili in capo ai due ricorrenti qui in esame.
Nulla quaestio , poi, circa la ricorrenza dell’elemento soggettivo di partecipazione al sodalizio da parte dei due imputati che emerge con tale chiarezza dagli elementi riportati nelle sentenze di merito da non richiedere ulteriori approfondimenti.
4.3.4. Ritiene l’odierno Collegio che la valutazione di infondatezza Ł afferente anche al motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME riassunto al superiore par. 2.10.1.
Si Ł già detto che all’imputato COGNOME, anch’esso indicato come promotore ed organizzatore dell’associazione (peraltro non specificamente contestata dalla difesa) di cui al capo B1 della
rubrica, risultato titolare di una serie di società (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, nonchØ socio di altre società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), si contesta di aver messo a disposizione della consorteria le società del proprio gruppo, al fine di agevolare lo smercio del carburante contrabbandato dalla associazione, acquistandolo dai fratelli COGNOME a prezzi scontati, per la successiva vendita al dettaglio presso i distributori di sua proprietà, nonchØ di aver messo a disposizione, per il trasporto di prodotto proveniente dal nord Italia, le autobotti della società RAGIONE_SOCIALE offrendo la propria disponibilità a riciclare denaro provento delle illecite transazioni e partecipando, con i COGNOME, alla ideazione di ulteriori sistemi di traffico e contrabbando di prodotti petroliferi ed oli minerali in evasione di imposte ed accise.
Nel motivo di ricorso qui in esame la difesa del ricorrente, in sintesi, sostiene che:
a) la mera instaurazione di rapporti negoziali orientati all’esclusivo soddisfacimento di interessi personali tra l’imputato e gli altri soggetti coinvolti nelle vicende in contestazione non sarebbe idonea ad integrare una condotta rilevante ai sensi dell’art. 416 cod. pen. che, per contro, postula un inserimento stabile e costante all’interno della compagine criminale, dato che l’imputato si sarebbe limitato a svolgere il ruolo di stabile acquirente del prodotto di contrabbando senza tuttavia partecipare alle riunioni decisionali del gruppo;
l’imputato avrebbe agito con il solo fine di salvaguardare la continuità economica della propria attività imprenditoriale e non per fornire un contributo al sodalizio in contestazione.
La posizione dell’imputato NOME risulta esaminata nella sentenza di primo grado alla pagg. 212-217 e nella sentenza di appello alla pag. 120 e segg.
Nelle sentenze di merito risultano infatti riportate una serie di conversazioni telefoniche dal contenuto delle quali Ł emerso che:
il NOME era l’effettivo gestore delle società sopra menzionate;
il predetto risulta effettivamente aver posto a disposizione della consorteria le società del proprio gruppo, al fine di agevolare lo smercio del carburante contrabbandato dall’associazione, che acquistava dai fratelli COGNOME a prezzi scontati, per la successiva vendita al dettaglio presso i distributori di sua proprietà ed era consapevole della natura del carburante movimentato;
Ł risultato documentalmente provato che sempre il Romeo aveva messo a disposizione, per il trasporto del prodotto proveniente dal nord Italia, le autobotti della sua società, la RAGIONE_SOCIALE
Ł risultato altresì da una conversazione intercettata in data 27 novembre 2018 che lo stesso si era detto disponibile a riciclare denaro provento degli affari illeciti: «… NOME: se hai soldi in nero io te li posso fare diventare bianchi … tutto a buon prezzo … io quello che posso dire che io so trasformare il nero in soldi perchØ posso infilare quello che voglio, ok? …»
La Corte di appello (pag. 124 e segg. della relativa sentenza) risulta avere adeguatamente riportato gli elementi contestati dalla difesa dell’imputato nell’atto di gravame ed in parte ribaditi in questa sede di legittimità ed avervi dato compiuta risposta illustrando le ragioni per le quali la lettura in chiave difensiva degli elementi emersi non ha trovato conforto a seguito di una completa analisi delle emergenze delle conversazioni intercettate e, poi, ulteriormente evidenziando che il Romeo risulta avere partecipato ai traffici illeciti sino a tutto il settembre 2019, ad un anno dall’inizio delle forniture, tempo ampiamente idoneo a dimostrare lo stabile inserimento dello stesso nel gruppo organizzato dedito al contrabbando di petroli.
La stessa Corte di appello ha poi, affermato con una constatazione tutt’altro che illogica, che la vicenda della disponibilità al riciclaggio, a prescindere dal suo avverarsi, dimostra l’intima confidenzialità del rapporto con gli associati «posto che ancora una volta si trattava di attività palesemente illecite: dato che conferma la stabilità e la natura fiduciaria del legame. Non si era
trattato di mera disponibilità palesata nei confronti di un singolo associato: il COGNOME aveva intessuto rapporti con i COGNOME, aveva gestito trasporti per il Tirendi, aveva fattivamente partecipato ai traffici con predisposizione dei mezzi di impresa, si era avvalso di falsi DAS e di omesse fatturazioni ed aveva condiviso i guadagni, all’interno di una stabile organizzazione di uomini e mezzi la cui esistenza era consapevole presupposto della sua azione, in un contesto di grave crisi aziendale che aveva reso quel prodotto strumento indispensabile di guadagno per evitare la chiusura dell’impresa».
Osserva il Collegio che, anche nel caso in esame, la difesa del ricorrente tende a sottoporre a questa Corte di legittimità una inammissibile rilettura del compendio probatorio che risulta ricostruito e valutato dai Giudici di merito in modo congruo, non manifestamente illogico e che dalle motivazioni esaminate non emerge alcun rilevante travisamento del materiale stesso.
Il contributo fornito dall’imputato NOME alla vita del sodalizio criminale appare decisamente rilevante ed al riguardo appare doveroso ricordare che anche l’azione posta in essere dallo stabile acquirente di beni di provenienza illecita trattati da un sodalizio criminale costituisce una forma di partecipazione al sodalizio stesso avendo questa Corte chiarito che «In tema di associazione per delinquere, la diversità di scopo personale non Ł ostativa alla realizzazione del fine comune, in quanto l’associazione criminosa non Ł esclusa dalla diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare o da un contrasto degli interessi economici di essi, essendo sufficiente che colui che opera come acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere i beni, assumendo, così, una funzione continuativa, che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attività criminale» (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto, con riguardo al commercio illecito di oro, configurabile il vincolo associativo nei confronti di un soggetto acquirente, che aveva dato stabilmente la propria disponibilità a ricevere beni oggetto di ricettazione) (Sez. 2, n. 11957 del 27/01/2023, COGNOME, Rv. 284445 – 02).
A ciò si aggiunge che nel caso in esame non presenta neppure rilevanza per escludere la partecipazione al reato associativo dell’imputato il fatto che questi abbia agito per il perseguimento di finalità economiche proprie e delle proprie aziende in quanto «Ai fini della configurabilità del reato di partecipazione ad associazione per delinquere (comune o di tipo mafioso), non Ł sempre necessario che il vincolo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato, e per fini di esclusivo vantaggio dell’organizzazione stessa, ben potendo, al contrario, assumere rilievo forme di partecipazione destinate, “ab origine”, ad una durata limitata nel tempo e caratterizzate da una finalità che, oltre a comprendere l’obiettivo vantaggio del sodalizio criminoso, in relazione agli scopi propri di quest’ultimo, comprenda anche il perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere anche, nell’ottica del soggetto, una funzione meramente strumentale, senza per questo perdere nulla della rilevanza penale» (Sez. 2, n. 52005 del 24/11/2016, COGNOME, Rv. 268767 – 01).
Nulla quaestio , infine, ed anche in questo caso circa la ricorrenza in capo all’imputato dell’elemento soggettivo del reato in esame.
4.3.5. Infine, sempre con riguardo ai profili di partecipazione al reato associativo, risulta connotato da infondatezza, anche il relativo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME come sopra riassunto al paragrafo 2.11.2.
NOME COGNOME, pure indicato con il ruolo di organizzatore, si contesta al capo B1 della rubrica delle imputazioni, quale titolare della società RAGIONE_SOCIALE, nonchØ di co-gestore della RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE (con il fratello NOME), di avere agito in costante collegamento con gli autotrasportatori siciliani (gli COGNOME) ed i sodali calabresi (NOME e COGNOME) e d’intesa con NOME COGNOME, per procedere
alla organizzazione, nel dettaglio, ed alla attuazione delle fasi di ricezione, presso il proprio deposito commerciale, e successiva cessione dei prodotti petroliferi artefatti (miscele) ovvero di oli lubrificanti provenienti dal nord Italia e dall’estero, ivi compresi quelli già stoccati presso il deposito commerciale dei COGNOME.
La posizione dell’imputato – che ha reso dichiarazioni (parzialmente) ammissive in ordine ai reati-fine – risulta essere stata compiutamente analizzata in entrambe le sentenze di merito nelle quali Ł stato debitamente evidenziato che il ruolo chiave del COGNOME (detto ‘il biondo’) nell’ambito del sodalizio di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni Ł derivato proprio dalla messa a disposizione dell’organizzazione della società RAGIONE_SOCIALE (di fatto riconducibile allo stesso seppure formalmente intestata ad altro soggetto) che aveva svolto infungibile ruolo di terminale nella filiera di commercio illecito del carburante, che era formalmente acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE e depositato presso la società RAGIONE_SOCIALE del fratello NOME
Anche per il COGNOME i Giudici di merito hanno valorizzato il contenuto delle conversazioni intercettate, che hanno chiaramente attestato l’inserimento dell’imputato nel sistema di commercializzazione illecito di carburanti, soggetto che Ł emerso avere intrattenuto, a tal fine, plurimi contatti sia con la RAGIONE_SOCIALE dei fratelli COGNOME, ma anche i rapporti con altri componenti del sodalizio, in particolare con NOME COGNOME, NOME COGNOME e i fratelli COGNOME.
La difesa dell’imputato lamenta una serie di omissioni nella parte motiva della sentenza impugnata nella quale – in sintesi – non sarebbe stato considerato il fatto che ciascuno dei soggetti coinvolti nelle vicende ha agito pro domo propria , non sarebbero stati tenuti in debito conto i chiarimenti forniti dall’imputato, nØ come sarebbe possibile dalle dichiarazioni di NOME COGNOME desumere che il RAGIONE_SOCIALE sia intraneo all’associazione, essendo i rapporti tra i due esclusivamente relativi agli acquisti del prodotto petrolifero.
Quanto al fatto che ciascuno dei soggetti coinvolti nelle vicende potrebbe avere agito (anche) pro do mo propria si Ł già detto nel paragrafo precedente e le medesime argomentazioni non possono che valere anche per la posizione dell’imputato COGNOME
La Corte di appello (pag. 113 e segg.), per sottolineare il particolare ruolo rivestito dal ricorrente, la posizione del quale Ł qui in esame, ha ricordato che il sistema di contrabbando promosso dall’Agosta si imperniava, per il tramite dei fratelli COGNOME, sullo smercio di gran parte del carburante in Sicilia, ove il COGNOME svolgeva ruolo insostituibile di terminale degli acquisti per la successiva commercializzazione all’ingrosso nell’isola.
La stessa Corte di appello, risulta quindi avere debitamente analizzato le dichiarazioni dell’Agosta (anche di quelle rese in sede dibattimentale in data 22 luglio 2022 nel parallelo procedimento in corso di celebrazione innanzi al Tribunale di Vibo Valentia), ritenuto pienamente attendibile, che ha bene illustrato il ruolo dell’imputato affermando che tutti i soggetti coinvolti (quindi anche il COGNOME) ben conoscevano tutta la filiera attraverso la quale veniva movimentato il carburante di provenienza illecita.
A ciò si aggiunge – hanno sempre precisato i Giudici di merito anche sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate (richiamate nella sentenza impugnata) – che:
a) quanto alla posizione associativa del COGNOME, assumono indubbia valenza dimostrativa i DAS falsi oggetto di contestazione, atteso che gli stessi provano documentalmente che l’imputato ha, mediante i propri strumenti aziendali, effettuato trasporti di carburante di contrabbando per un lasso temporale che si estende dall’ottobre 2018 almeno al novembre 2019, periodo inframezzato da un controllo del 9 agosto 2019, che ha dato conferma della natura illecita dei trasporti effettuati;
b) Ł emerso che il COGNOME aveva individuato il COGNOME quale indispensabile acquirente finale e l’COGNOME, nell’interloquire con il COGNOME, aveva espressamente riferito della necessità di garantire che il deposito di Santa Venerina fosse documentalmente ‘a posto’, a tal fine dovendosi coordinare
con il COGNOME il quale, a sua volta, aveva coordinato il poderoso traffico illecito rapportandosi con tutti i soggetti che l’Agosta aveva già indicato come coinvolti e consapevoli;
proprio a seguito dell’esposizione a pericolo della continuazione dei traffici illeciti, messi a repentaglio da un sequestro avvenuto nel mese di agosto, era stato il COGNOME a stabilire con il Giorgio come dovessero essere svolti i trasporti successivi, anche a costo di sacrificare la MV Oil;
il COGNOME ancorchØ non risulta aver partecipato personalmente a riunioni operative, era stato pienamente reso edotto dei rapporti di dare/avere con gli altri sodali e della suddivisione dei costi del carburante;
per l’acquisto del prodotto, COGNOME, COGNOME e COGNOME si dividevano le spese;
COGNOME si coordinava direttamente col NOME sui trasporti ed era informato delle miscelazioni del carburante operate presso il Falduto (al riguardo nella sentenza del G.u.p. risulta richiamata una conversazione intercettata nella quale il NOME informava il COGNOME che il fornitore lo aveva esortato a procurarsi un deposito di solventi connivente da inserire sulla documentazione di accompagnamento come destinatario delle spedizioni);
Ł, infine, emerso – sempre sulla base di conversazioni intercettate così come anche richiamate dal G.u.p. (« COGNOME NOME: gli ho fatto tutti i documenti del mondo … per COGNOME, per COGNOME per … per rientro per andare … tutti … hanno … ho due buste piene di documenti ») -che il COGNOME si era adoperato per la predisposizione della falsa documentazione finalizzata a giustificare lo stoccaggio del carburante di contrabbando.
Osserva il Collegio che, anche nel caso dell’imputato COGNOME, i Giudici del merito risultano avere compiutamente analizzato i fondamentali elementi probatori a suo carico e che la Corte di appello ha dato logica ed adeguata risposta alle doglianze sollevate dalla difesa in sede di gravame evidenziando gli elementi sulla base dei quali ha ritenuto (in conformità a quanto prima di essa aveva fatto il G.u.p.) non solo di affermare la consapevole partecipazione del COGNOME all’associazione per delinquere contestata al superiore capo B1, ma anche in relazione al ruolo di organizzatore rivestito dall’imputato nel sodalizio in quanto non solo motivatamente indicato come soggetto divenuto «insostituibile destinatario finale del prodotto di contrabbando, in rapporto con tutti i soggetti dell’organizzazione», ma anche dotato di un potere di pianificazione delle attività illecite.
Del resto lo stesso G.u.p. aveva in senso conforme testualmente evidenziato che «sussiste la penale responsabilità di NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, in qualità di organizzatori delle vicende delittuose in questione: essi sono infatti tutti chiaramente coinvolti nell’assicurare la ripulitura del carburante, facendolo transitare da una società all’altra, predisponendo al contempo la documentazione contabile e di trasporto al fine di dare credibilità all’intera operazione, Tirendi NOME COGNOME anche in qualità di destinatario finale del prodotto, coordinandosi con gli altri sodali».
Del tutto priva di vizi rilevabili in questa sede di legittimità risulta pertanto la posizione dell’imputato COGNOME in ordine al consapevole ruolo, anche di organizzatore, dallo stesso rivestito nella compagine associativa oggetto di contestazione.
4.3.6. Ritiene l’odierno Collegio di dover quindi conclusivamente affermare, con riguardo alla sussistenza del reato associativo di cui al capo B1 e del ruolo nello stesso rivestito dai ricorrenti sopra indicati, che nessuno dei dedotti vizi della sentenza impugnata Ł rilevabile in questa sede di legittimità, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato stesso la cui sussistenza si trae dalle condotte materialmente poste in essere dagli stessi, oltre che dal vasto compendio probatorio costituito dalle intercettazioni.
Meritevoli di trattazione congiunta appaiono altresì i sovrapponibili motivi di ricorso formulati
nell’interesse degli imputati NOME e COGNOME (rispettivamente riassunti ai superiori paragrafi 2.7.4 e 2.9.4.) nei quali si contesta la configurabilità a carico degli stessi della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai fatti di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni (circostanza aggravante invece esclusa nei confronti di altri imputati).
Detta aggravante risulta contestata sotto il profilo della c.d. ‘agevolazione mafiosa’ per «… avere commesso il fatto con la finalità di agevolare l’associazione di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta operante su tutto il territorio calabrese, con particolare riguardo alla articolazione territoriale di Limbadi …».
Rileva, al riguardo, la difesa dei ricorrenti che i Giudici di merito non avrebbero indicato alcun elemento a conforto della consapevolezza dell’agevolazione del sodalizio mafioso de quo , ciò in quanto le azioni asseritamente poste in essere ben potevano essere finalizzate al perseguimento di scopi illeciti del tutto personali degli imputati o comunque al solo patrimonio di NOME COGNOME e non alla consorteria dallo stesso capeggiata.
Il G.u.p. (v. pag. 243 e segg. della relativa sentenza) ha evidenziato come dagli esiti delle attività di intercettazione Ł emersa la destinazione di parte dei proventi dell’attività associativa a NOME COGNOME, capo indiscusso della provincia di ‘ndrangheta del vibonese e in diretto contatto con NOME COGNOME. In sostanza Ł emersa l’esistenza di un accordo a monte tra il COGNOME‘COGNOME e il COGNOME volto alla corresponsione al secondo di una quota parte dei proventi dell’attività di contrabbando svolta dal primo e, quindi, la finalità di agevolare la locale di Limbadi, capeggiata dallo stesso COGNOME.
Lo stesso G.u.p. ha anche ulteriormente precisato (pag. 244) – sempre debitamente richiamando il contenuto di conversazioni intercettate che:
«… Ł evidente che le pretese economiche di NOME COGNOME non erano legate ad un qualche suo coinvolgimento diretto nell’affare (invero non emerso nel corso dell’attività tecnica), ma integravano la richiesta di una tangente da corrispondere al capo locale per l’avallo dell’affare», in tal modo già chiarendo una contestazione successivamente ribadita anche in questa sede di legittimità;
i rapporti del COGNOME con la cosca COGNOME erano stati portati a conoscenza del COGNOME e del NOME allorquando gli stessi avevano spinto il COGNOME ad individuare altri canali di fornitura in ragione della pessima qualità del carburante fino a quel momento gestito dall’organizzazione di cui al capo BI).
La Corte di appello (pag. 164) ha, a sua volta, dato congrua e logica risposta alle doglianze difensive qui in esame, richiamando anch’essa gli elementi già evidenziati dal G.u.p. e sulla base degli stessi giungendo a concludere che i due imputati erano pienamente consapevoli che i COGNOME operavano in accordo con NOME COGNOME che garantiva il proprio apporto nella definizione dei relativi accordi di fornitura del prodotto petrolifero, con la conseguenza che poichØ COGNOME e NOME avevano ruolo organizzativo ed esecutivo nel patto criminale con i COGNOME, la collaborazione con questi ultimi si era sviluppata nel tempo nella piena consapevolezza di quel legame, foriero di incrementi economici per il clan COGNOME.
Osserva il Collegio che dalla lettura delle risultanze probatorie riportate nelle sentenze emesse nel doppio grado, emerge che i Giudici di merito hanno evidenziato in modo congruo e logico senza incorrere in alcun travisamento probatorio rilevabile in questa sede di legittimità – le ragioni per le quali hanno ritenuto sussistere in capo agli imputati NOME COGNOME la circostanza aggravante qui in esame, peraltro emergente dal fatto che i due ricorrenti erano consapevoli non solo delle dinamiche associative in cui i COGNOME erano coinvolti con i COGNOME, ma anche della circostanza che i canali di approvvigionamento di prodotto petrolifero che i COGNOME stessi erano riusciti a reperire e mettere a disposizione, avvenivano con l’apporto della consorteria ‘ndranghetista de qua .
In punto di diritto deve solo essere ricordato che i Giudici del merito risultano aver fatto corretta
applicazione del principio secondo il quale «La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe» (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01).
Quanto osservato connota di infondatezza anche i motivi di ricorso qui esaminati.
L’esame dei motivi di ricorso relativi alla responsabilità degli imputati in relazione ai reati-fine.
E’ a questo punto necessario passare all’esame dei motivi di ricorso relativi alle affermazioni di responsabilità degli imputati relative ai reati-fine.
6.1. Quanto ai motivi di ricorso formulati al riguardo nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME (sopra rispettivamente riassunti al paragrafi 2.3.2 e 2.4.2 ed integrati con motivi nuovi e memoria di replica alla requisitoria del P.G.) si rende necessaria, anche in questo caso una trattazione congiunta, stante la sostanziale sovrapponibilità, fatta eccezione per quanto riguarda NOME COGNOME, al differente riferimento ai capi di imputazione che indicano anche la contestazione riguardante trasporti effettuati su prodotto petrolifero proveniente da un fornitore diverso da quello indicato nei DAS.
Detti imputati sono, infatti, chiamati a rispondere dei seguenti reati-fine per i quali Ł intervenuta nelle sedi di merito l’affermazione della penale responsabilità:
NOME COGNOME: capi B2.3 – B4.1 – B4.3 – B5 (esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.);
NOME COGNOME: B3.1 – B3.3 – B3.6 – B4.9bis – B5 (esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.).
Trattasi di imputazioni nelle quali agli imputati viene contestato – rispettivamente ed a seconda dei casi – il concorso nei reati di falso (relativi a DAS dei quali veniva fatto uso) delle connesse violazioni fiscali, per avere (in sintesi) gli stessi svolto in relazione a detto prodotto l’attività di autotrasportatori ed anche (capo B5) per avere effettuato operazioni di miscelazione del prodotto e comunque aver detenuto ed utilizzato prodotti ottenuti da miscelazioni non autorizzate (effettuate al fine di accrescere il volume finale dei carburanti) in tal modo sottraendolo gli accertamenti ed al pagamento dell’accisa.
Le doglianze difensive vertono in sostanza su di una asserita non corretta valutazione del compendio probatorio (dichiarazioni di NOME COGNOME e contenuto delle conversazioni intercettate) e, principalmente sul fatto che la Corte di appello non avrebbe dato risposta alla questione relativa alla mancanza di prova circa la consapevolezza degli imputati di utilizzare documentazione contraffatta, essendo detta documentazione non prodotta dagli imputati ma consegnata agli stessi prima dell’inizio dei trasporti.
Osserva il Collegio, come tutti gli elementi probatori congruamente quanto logicamente richiamati dai giudici di merito, hanno consentito di convenire che non solo i COGNOME sono da ritenersi a pieno titolo coinvolti, quali partecipi nell’associazione di cui al capo B1 della rubrica delle imputazioni, ma che gli stessi erano consci sia della natura e della provenienza del carburante del quale procedevano al trasporto, sia del modus operandi dell’organizzazione necessaria per occultare gli illeciti traffici, sia del fatto che sui documenti di trasporto, indispensabili per giustificare la provenienza della merce, erano indicati elementi fittizi.
La Corte di appello, sulla base dei principi generali già piø volte richiamati in relazione alla motivazione delle decisioni, risulta aver dato congrua risposta alle doglianze difensive sottoposte in sede di gravame e non emergono, pertanto, elementi per ritenere che le sentenze di merito
(unitariamente considerate) contengono sul punto vizi rilevabili in questa sede di legittimità, il che porta a valutare come infondati i motivi di ricorso qui esaminati.
6.2. Quanto al motivo di ricorso formulato sul punto nell’interesse dell’imputato COGNOME e sopra riassunto al par. 2.5.2, sulla premessa che nei confronti del predetto Ł intervenuta all’esito dei giudizi di merito l’affermazione della penale responsabilità, oltre che per il reato associativo di cui al capo B1, anche per i reati di falso e di violazioni fiscali di cui ai capi B3.9 – B3.11 – B6ter, Ł doveroso evidenziare che la difesa del ricorrente, dopo avere richiamato nell’intestazione del motivo di ricorso i predetti capi di imputazione (oltre che il reato di cui all’art. 515 cod. pen., peraltro neppure contestato nei capi stessi), si Ł di fatto limitata a dedurre l’assoluta regolarità della fornitura oggetto di contestazione al capo B3.9, sostenendo che Ł stato attestato che il relativo pagamento ha riguardato il prezzo ‘pieno’ del carburante, con regolare corrispondenza dello stesso nei registri di carico e scarico aggiungendo, poi, che la Corte di appello con motivazione asseritamente apodittica, avrebbe sostanzialmente introdotto la contestazione di una ipotetica restituzione del sovrapprezzo mai contestata fino a tale momento.
Rileva, innanzitutto, l’odierno Collegio l’assoluta genericità di tale motivo di ricorso che non si confronta adeguatamente con il contenuto delle sentenze di merito, situazione che lo rende ex sØ inammissibile.
Solo per dovere di completezza occorre comunque rilevare che la Corte di appello (pag. 109) risulta avere dato adeguata risposta al motivo sul punto formulato dalla difesa dell’imputato in sede di gravame evidenziando:
la non rilevanza della denuncia sporta dal Falduto in relazione ad uno dei DAS in contestazione (il nr. 2062) in quanto detta denuncia risulta intervenuta solo a seguito del sequestro operato dalla Guardia di Finanza presso la D.R. Service in data 10 aprile 2019;
che la circostanza che il Falduto non avesse emesso fattura o pagato con bonifico sul punto confuta la conclusione relativa all’affermazione di responsabilità in quanto trattandosi di prodotto ‘in nero’, la stazione di servizio dell’imputato non poteva certo aver registrato il carico e, dunque, adempiuto al rilascio di fattura o al pagamento tracciato del prodotto;
che l’imputato era certamente in malafede in quanto conosceva l’origine del prodotto ed era conscio dell’inopinato sequestro e delle nefaste conseguenze che ne sarebbero derivate in punto di ingiustificabilità fiscale e documentale del relativo carico, che la stazione di servizio aveva introitato ‘in nero’ per la vendita al dettaglio;
che, in ogni caso, l’ordito sistema delittuoso prevedeva anche una vendita con fattura, previa restituzione del sovrapprezzo: di talchØ il COGNOME aveva agito avvalendosi tanto del canale di acquisito in nero, quanto di quello con fattura ed in tal senso trovano giustificazione logica gli indicati bonifici bancari e fatture, evocati dalla difesa, che erano in realtà parte dell’architettato sistema, come emergente da conversazioni intercettate nei confronti di altro imputato (il COGNOME).
Quelli appena indicati sono elementi valutativi non manifestamente illogici evidenziati dalla Corte di appello ai quali parte ricorrente non ha contrapposto alcuna specifica doglianza in tal modo connotando di assoluta genericità il motivo di ricorso qui in esame.
6.3. Meritevoli di trattazione congiunta in quanto sostanzialmente sovrapponibili in relazione al loro contenuto sono i motivi di ricorso formulati nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e sopra riassunti ai paragrafi 2.7.2 e 2.9.2 nei quali:
si contesta l’erronea qualificazione in diritto dei reati di falso rubricati come violazione degli artt. 476 e 479 cod. pen. in luogo di quella di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. e si rileva che tale contestazione si porrebbe in contrasto con quanto addebitato ad altri coimputati al capo B11 con
riferimento alla contraffazione del timbro della Agenzia delle Dogane;
b) si deduce che gli imputati avrebbero, secondo l’ipotesi accusatoria, concorso moralmente alla redazione dei DAS fasulli, azione della quale mancherebbe tuttavia la prova, avendo l’originario coimputato COGNOME dichiarato che nessuno poteva sapere se i DAS fossero veri o falsi atteso che i predetti documenti venivano consegnati agli autisti dal deposito di approvvigionamento e da questi al deposito di scarico, attività alle quali nØ il NOME, nØ il Rigillo hanno mai avuto accesso;
c) si contesta quanto agli altri reati-fine che nei confronti degli imputati sarebbe stata indicata una sorta di ‘responsabilità da posizione’ in assenza di individuazione di condotte specifiche.
Osserva, innanzitutto, il Collegio che quanto ai reati-fine in contestazione ad entrambi gli imputati (ivi compresi quelli di falso) i Giudici di entrambi i gradi di merito hanno ampiamente chiarito, debitamente rispondendo alle contestazioni difensive sollevate con gli atti di appello, come il concorso morale degli stessi in detti reati Ł certamente configurabile alla luce del ruolo rivestito nel sodalizio di cui al capo B1 sia dal NOME che dal COGNOME.
Si Ł, infatti, già sopra evidenziato allorquando si Ł trattato del ruolo di entrambi gli imputati nel reato associativo, come in capo agli stessi Ł stato correttamente attribuito il ruolo di promotori e stabili organizzatori, soggetti che sono risultati partecipi alle decisioni strategiche della gestione nel tempo del sodalizio criminale e, quindi, all’evidenza consapevoli della natura dei beni trattati e dell’articolato meccanismo attraverso il quale venivano realizzati i reati-fine.
Emblematico, con riguardo al concorso nei reati di falso Ł il contenuto di una conversazione avvenuta tra il Giorgio ed il COGNOME in data 8 agosto 2019 (v. pag. 162 della sentenza di appello) nella quale i due sono risultati aver concordato di intestare i falsi DAS alla RAGIONE_SOCIALE ritenendola una società cartiera ‘sacrificabile’.
Non sfugge al riguardo al Collegio il principio secondo il quale «In materia di reati associativi, il ruolo di partecipe o anche di capo dell’associazione non implica l’automatica responsabilità per i delitti compiuti dagli appartenenti al sodalizio, anche se riferibili all’organizzazione e inseriti nel quadro del programma criminoso, in quanto dei reati-fine rispondono soltanto coloro che, materialmente o moralmente, hanno dato un contributo effettivo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola, specifica, condotta criminosa, dovendosi escludere qualsiasi forma di responsabilità anomala da posizione o da “riscontro ambientale” ( ex ceteris : Sez. 2, n. 36251 del 24/11/2020, COGNOME, Rv. 280315 – 01).
Deve peraltro rilevarsi che nel caso in esame quelli oggetto di contestazione ad entrambi gli imputati sono proprio reati-fine strettamente strumentali alla realizzazione del programma criminoso dell’associazione e che i Giudici del merito hanno correttamente osservato che la tesi difensiva di una responsabilità da posizione Ł infondata in quanto i due imputati avevano concorso ad ideare la soluzione tecnica dei DAS falsificati ed i trasporti interessati asseverati da quei falsi, siccome oggetto dei capi di imputazione menzionati, così di fatto dando esatta attuazione alla originaria ed indeterminata programmazione illecita del gruppo criminale.
D’altro canto, questa Corte di legittimità ha altresì evidenziato (v. Sez. 1, n. 6237 del 15/09/2021, dep. 2022, Dell’Aquila, Rv. 282620 – 01, in motivazione) che nelle azioni collettive la compartecipazione a singole fasi di una condotta complessa – anche se fasi preparatorie – accresce le possibilità di verificazione dell’evento e, soprattutto, rafforza nei co-esecutori la volontà collettiva di pervenire nel modo piø agevole possibile al risultato, ponendosi come ingrediente idoneo ad essere qualificato in termini di ‘componente’ di una piø ampia «causalità psichica» intesa come reciproco condizionamento volitivo tra piø soggetti agenti, teso a stabilizzare e rafforzare un proposito criminoso (sul tema della causalità psichica, sia pure in contesto relazionale non di tipo associativo, vanno richiamate le affermazioni di principio contenute in Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, dep. 2016, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 267812 – 01).
In altre parole, posto che l’attività esecutiva implica una adesione al progetto comune, Ł evidente che il maggior numero dei soggetti coinvolti – specie in una azione collettiva tesa a realizzare i fatti delittuosi di cui Ł processo – Ł di per sØ fattore di reciproco rafforzamento della volontà collettiva, in quanto rassicura gli agenti sulla effettiva assunzione e ripartizione di rischi e sopportazione delle conseguenze dell’azione intrapresa, in ciò ponendosi come forma di rafforzamento anche soltanto psichico (in ipotesi di assenza di apporto materiale), penalmente rilevante ai sensi dell’ art. 110 cod. pen.
In tale ottica non rileva, quindi, che il NOME ed il COGNOME non abbiano provveduto ‘materialmente’ alla falsificazione dei documenti di trasporto, essendo di certo ravvisabile un concorso morale degli stessi, secondo gli ordinari principi del concorso di persone nel reato, quantomeno nell’ottica di rafforzamento dell’agire di coloro che fisicamente provvidero a produrre tale documentazione, attività previamente deliberata ed alla quale avevano concorso nell’organizzazione nonchØ indubbiamente rientrante tra le precondizioni indefettibilmente necessarie per garantire l’apparente liceità dei trasporti del carburante contrabbandato.
Ne consegue che nel caso in esame quella addebitata agli imputati NOME COGNOME non Ł una responsabilità oggettiva di posizione (come sostenuto dalla difesa) quanto piuttosto una responsabilità dei singoli associati per fatto proprio, sorretta dalla coscienza e volontà di partecipare alla commissione dei predetti reati “strumentale”.
Dette valutazioni rendono infondati i profili di ricorso fin qui esaminati come sopra indicati ai punti b) e c).
6.3.1 Autonoma e differente valutazione si impone con riguardo alla questione della corretta qualificazione dei reati di falso di cui al punto a) del paragrafo che precede.
Deve, infatti, rilevarsi che, con riguardo alla qualificazione giuridica dei reati di falso contenuta nei reati in contestazione, la Corte di appello si Ł così testualmente, quanto apoditticamente, espressa (pag. 166): «E’ poi corretto in contestazione il richiamo dell’art. 476 cod. pen. all’art. 479 cod. pen. in quanto i DAS sono soggetti alla bollatura dell’Ufficio delle Dogane e, quindi, alla certificazione dell’impronta del pubblico ufficiale».
Già il G.u.p. a pag. 249 della propria sentenza aveva scritto di ‘timbro artefatto della Agenzia delle Dogane’.
Dando per provato l’assunto secondo il quale i DAS erano falsi, occorre in via generale rilevare che il Documento di Accompagnamento Semplificato contiene informazioni essenziali per la circolazione di prodotti ad accisa assolta, sia in ambito UE che nazionale. Detti documenti permettono di tracciare la provenienza, la quantità e la qualità dei prodotti, oltre a identificare lo speditore, il trasportatore e il destinatario.
I DAS di cui al Regolamento (CEE) n. 3649/92, della Commissione, del 17 dicembre 1992 (e successive modifiche), all’epoca emessi in modo cartaceo, come correttamente ricordato dalla Corte di appello, erano soggetti a bollatura, mediante apposizione del timbro a secco, da parte dell’Ufficio delle Dogane competente per territorio.
Pacifico Ł, poi, in giurisprudenza che il DAS Ł un atto pubblico con fede privilegiata, non potendosi far rientrare lo stesso nella categoria dei certificati od attestati (Sez. 5, n. 44023 del 04/11/2010, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 249125 – 01).
Sul punto questa Corte ha anche già avuto modo di chiarire che integra il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 cod. pen.) la compilazione del modello H ter (cosiddetto certificato di provenienza) con dati falsi, considerato che l’attestazione della provenienza del prodotto petrolifero dal deposito in esso indicato, nonchØ la prova della sua identità e delle circostanze soggettive di spazio e di tempo che
ne accompagnano il trasporto, scaturiscono in modo originario dall’attività direttamente compiuta o, comunque, avvenuta sotto la diretta percezione del pubblico ufficiale che forma il documento.
Se quanto detto vale come criterio generale per la qualificazione delle condotte, occorre tuttavia rilevare come per il perfezionamento del reato di cui al combinato disposto degli artt. 476 e 479 cod. pen. occorre che ci si trovi in presenza di un documento non solo materialmente, ma anche ideologicamente falso caratterizzato – ancorchØ senza il consapevole concorso del pubblico ufficiale che ben potrebbe essere stato indotto in errore – quantomeno dalla apposizione sui documenti di un ‘autentico’ timbro a secco da parte dell’Ufficio delle Dogane competente per territorio, elemento idoneo ad attestare fatti dei quali l’atto Ł destinato a provare la verità (nella specie quelli relativi ai dati di trasporto indicati nei DAS).
Ben diverso Ł, invece, il caso in cui il contenuto del documento sia integralmente falso – quindi anche con l’apposizione di un timbro contraffatto dell’Agenzia delle Dogane – dato che in questo caso, in assenza di un intervento del pubblico ufficiale sul documento, ci si troverebbe in presenza di una falsità materiale commessa dal privato inquadrabile nel combinato disposto degli artt. 476 e 482 cod. pen.
Traslando ora gli indicati principi nel caso in esame possono distinguersi due diverse situazioni. La prima Ł quella del caso in cui già nel capo di imputazione si fa menzione dell’apposizione del timbro contraffatto dell’Agenzia delle Dogane: si tratta delle imputazioni di cui ai capi B2.1, B3.1, B4.1 e B5 così come rispettivamente ascritti agli imputati NOMECOGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. In questo caso ritiene l’odierno Collegio di dover procedere direttamente a riqualificare le condotte di cui ai predetti capi – limitatamente al reato di falso come contestato nella fattispecie di cui agli artt. 476-482 cod. pen., con conseguente annullamento in parte qua della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per la rideterminazione del relativo trattamento sanzionatorio.
La seconda Ł quella del caso in cui nel capo di imputazione non si fa menzione dell’apposizione del timbro contraffatto dell’Agenzia delle Dogane, ma non si chiarisce se tale apposizione sia o meno avvenuta: si tratta delle imputazioni di cui ai capi B2.3, B3.3, B3.9, B4.3 e B6ter, rispettivamente ascritti agli imputati COGNOME NOME e NOME, nonchØ a NOME, COGNOME, COGNOME, NOME e COGNOME. In questo caso ritiene il Collegio che la sentenza Ł caratterizzata da un vizio di motivazione sul punto in quanto si impone che i Giudici di merito chiariscano, previ eventuali accertamenti, se i DAS indicati nei predetti capi di imputazione sono o meno caratterizzati dall’apposizione di un timbro falso dell’Agenzia delle Dogane, con i conseguenti effetti sulla corretta qualificazione delle condotte di falso. Ne consegue, pertanto – anche in questo caso limitatamente al reato di falso in contestazione nei capi indicati – l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per un nuovo giudizio sul punto.
Deve solo aggiungersi che sebbene la questione sia stata dedotta a questa Corte di legittimità solo con i ricorsi presentati nell’interesse degli imputati NOME e COGNOME, gli annullamenti disposti, vertenti su questioni di corretta qualificazione giuridica dei reati di falso, con conseguenze sul trattamento sanzionatorio, estendono i loro effetti anche agli altri imputati ai quali nella presente sede sono contestati i medesimi capi di imputazione.
6.4. Meritevoli anch’essi di trattazione congiunta, in quanto sostanzialmente sovrapponibili in relazione al loro contenuto, sono i motivi di ricorso formulati nell’interesse degli imputati NOME e COGNOME e sopra riassunti ai paragrafi 2.7.3 e 2.9.3 nei quali (stando alla rubrica dei motivi di ricorso) si contesta agli imputati il ritenuto concorso nei reati di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 cod. pen. di cui ai capi B2.2, B2.2bis, B3.2, B3.8 e B4.2.
Giova immediatamente evidenziare che nei capi di imputazione indicati dalla difesa in realtà la contestazione formulata Ł però solo quella di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. (autoriciclaggio).
In sostanza, si contesta agli imputati, dopo avere concorso a commettere i delitti di cui ai capi B2.1, B3.1 e B4.1, avendo ricevuto il carburante sottratto all’accertamento ed al pagamento dell’accisa proveniente dalla commissione dei predetti reati, di averlo trasferito ad altre società (indicate nelle imputazioni) utilizzando DAS e documentazione fiscale non genuina e previa simulata corresponsione di denaro, così ostacolandone concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa.
La Corte di appello, dopo aver dato atto nella sentenza impugnata che la difesa degli imputati in sede di gravame aveva anche lamentato la mancata riqualificazione dei fatti nelle ipotesi di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. evidenziando (come ribadito anche nei ricorsi qui in esame) che le transazioni erano state accompagnate da “regolare fattura” e da “documenti di trasporto” e che i pagamenti erano stati effettuati con bonifici, che avevano tracciato il denaro utilizzato allo scopo, in tal modo contestando che non ci troverebbe in presenza di condotte di autoriciclaggio, ma al piø del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. – ipotesi da escludere stante il concorso degli imputati nel delitto presupposto di falso – ha motivatamente ritenuto infondate le osservazioni difensive nel presupposto (pag. 164) che le contestate attività di autoriciclaggio sono in realtà tutte riferibili non ai profitti in denaro, quanto piuttosto al prodotto petrolifero in relazione alle operazioni di miscelazione propedeutiche alla successiva immissione sul mercato come già precisato da questa Corte di legittimità in sede di decisione di ricorsi, ritenuti sul punto manifestamente infondati, relativi al subprocedimento cautelare.
Occorre poi evidenziare che il G.u.p. (pagg. 249 e 250 della propria sentenza), con una motivazione che per le ragioni già piø volte evidenziate si integra con quella della sentenza di appello per costituirne un compendio unitario, aveva già avuto modo condivisibilmente di evidenziare che il trasferimento del carburante di provenienza illecita e/o contraffatto integra il delitto di autoriciclaggio, nella misura in cui la falsificazione dei relativi DAS a monte (contenente indicazioni mendaci circa la titolarità del prodotto, circa la provenienza del prodotto e riportante il timbro artefatto dell’Agenzia delle Dogane) integra la condotta dissimulatoria volta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa (prodotto di contrabbando) del bene.
Poi ulteriormente evidenziando che il trasferimento penalmente rilevante riguarda invero comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene o delle disponibilità o che diano altresì luogo a una utilizzazione non piø personale, ma riconducibile a una forma di reimmissione del bene nel circuito economico «… ed infatti, il suddetto carburante non si limitava ad essere trasferito con DAS falsi … al fine di ostacolarne concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa (art. 648-ter.1 cod. pen. ma, successivamente, una volta “ripulito”, veniva trasferito e/o ceduto (come risulta dagli ulteriori DAS emessi) in altre società con emissione di nuovi DAS, il che consente di configurare l’ulteriore requisito materiale del reato in esame consistente nel trasferimento “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative’».
Rileva il Collegio che i Giudici del merito hanno fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità che ha affermato che «In tema di autoriciclaggio, Ł configurabile una condotta dissimulatoria allorchØ, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poichØ, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non Ł piø immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento» (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279407 – 02 ed anche in tempi piø recenti Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, PMT c/COGNOME, Rv. 284477 – 01).
Deve altresì, essere ricordato, per dare risposta alle argomentazioni contenute nei motivi di ricorso in esame che la capacità dissimulatoria delle operazioni prevista dalla norma incriminatrice, va valutata “ex ante”, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacità decettiva» (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279407 – 01) dato che Ł persino ovvio che, nel momento in cui in qualunque contesto di indagine sia identificata un’operazione finanziaria o imprenditoriale sospetta, si abbia riemersione dell’attività di occultamento, senza tuttavia che ciò possa escludere, a posteriori, il requisito della concretezza, a meno di non voler ritenere che l’art. 648-ter.1 cod. pen. prefiguri un’incriminazione impossibile.
Deve pertanto escludersi che l’avvenuta identificazione delle operazioni di dissimulazione del denaro o del bene illecito, frutto della consumazione del delitto presupposto (violazione della normativa sulle accise) da parte dello stesso autore di detto reato, escludano la punibilità della condotta perchØ prive di “concreta” capacità decettiva; una tale interpretazione radicale finirebbe per escludere la punibilità di qualsiasi condotta per il solo fatto della successiva verificazione e ricostruzione della stessa e comporterebbe la irragionevole conseguenza di dovere affermare la non applicabilità della norma penale di cui all’art. 648-ter.1 a qualsiasi fatto accertato.
Si ritiene, pertanto, alla luce degli elementi evidenziati nelle sentenze di merito, la correttezza della qualificazione agli imputati NOME e COGNOME nei capi di imputazione esaminati del delitto di cui agli artt. 648-ter.1 cod. pen. e ciò anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, che emerge con cristallina evidenza dal complesso dell’agire dei due imputati già evidenziato anche quando si Ł trattato della partecipazione degli stessi al reato associativo.
Per le ragioni indicate si ritiene l’infondatezza dei motivi di ricorso esaminati nel presente paragrafo.
6.5. La valutazione di infondatezza investe, poi, anche il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME e sopra riassunto al par. 2.10.2 laddove la difesa del ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione degli artt. 110, 112, comma 1, nn. 1 e 2, 61, comma 1 n. 2, 81, comma 2, 479, 476, comma 2, cod. pen., 21, comma 4, 40, comma 1, 62, comma 1, lett. a) e 61, comma 4 d.lgs. n. 504/95 e 416-bis.1 cod. pen., in relazione alla contestazione di cui al capo B3.3, sostenendo che non vi sarebbe prova che l’imputato abbia concorso nella materiale falsificazione dei DAS relativi ai prodotti petroliferi e che, al piø, la condotta dell’imputato avrebbe potuto qualificarsi come connivenza non punibile. In sostanza, rileva ancora la difesa del ricorrente, la Corte di appello si sarebbe discostata dai principi di diritto in materia, giungendo a configurare in capo all’imputato una sorta di responsabilità per posizione.
Debbono, innanzitutto, essere qui richiamati i medesimi principi già evidenziati al superiore par. 6.3 allorquando si sono trattate le posizioni dei coimputati NOME e COGNOME.
La Corte di appello (pagg. 140 e 141) rispondendo in modo congruo e logico ai motivi di gravame sul punto, anche richiamando i dati probatori emersi, ha, infatti, evidenziato che, rispetto ai DAS oggetto di falsificazione, siccome utilizzati a copertura del petrolio falsamente acquistato dalla ‘cartiera’ COGNOME, il trasportatore interessato, pacificamente il Romeo, era necessariamente consapevole della falsificazione, indispensabile per evitare il sequestro del prodotto e, con esso, del mezzo, ossia di un bene aziendale.
A ciò si aggiunge – prosegue la Corte di appello – che il Romeo era anche il diretto e terminale fruitore del prodotto di contrabbando, che commercializzava presso i propri impianti e, dunque, era consapevole della matrice illecita dello stesso, ragione che ne determinava la particolare vantaggiosità in termini di prezzo di acquisto e, ancora, il fatto che l’imputato – partecipe nel
sodalizio criminale con il ruolo di organizzatore e indubbiamente consapevole della natura illecita del prodotto movimentato – attraverso la disponibilità ad utilizzare i DAS falsificati a copertura, facendo impiegare il nome della ditta per la compilazione del documento, fornisce elemento idoneo a far ritenere integrato il concorso nel reato di cui al capo B3.3.
Manifestamente infondato Ł altresì il profilo del motivo di ricorso qui in esame nel quale la difesa rileva che al piø la condotta dell’imputato potrebbe essere qualificata come connivenza non punibile.
Sul punto Ł appena il caso di ribadire – come risulta avere fatto anche la Corte di appello – che in tema di reato concorsuale, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel delitto, va individuata in ciò: mentre la connivenza, che Ł la scienza che altri sta per commettere o commetta un reato, e come tale non basta a dar vita ad una forma di concorso, postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, la condotta di partecipazione, invece, deve manifestarsi in un comportamento che arrechi un contributo alla realizzazione del delitto, sia pure, mediante il rafforzamento del proposito criminoso degli altri compartecipi, o di agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, o che l’agente per effetto della sua condotta idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della sua produzione, elementi questi certamente configurabili a carico del Romeo.
6.6. Con il motivo di ricorso riassunto al superiore par. 2.10.3 la difesa dell’imputato NOME ha dedotto violazione di legge in relazione agli artt. 110, 81, comma 2, 648-ter, commi 1 e 2, cod. pen. (capo B4.5bis) e 110, 81, comma 2, 648-ter.1 , commi 1, 3 e 5, cod. pen. con riferimento al capo B4.6bis osservando che in virtø della clausola di sussidiarietà contenuta nell’art. 648-ter cod. pen. la fattispecie di reato de qua , può dirsi integrata nelle sole ipotesi nelle quali l’agente non abbia concorso nel delitto presupposto, mentre nel caso in esame nei confronti del Romeo Ł intervenuta l’affermazione della penale responsabilità in ordine ai reati in contestazione al capo B3.3, da considerarsi reati presupposti, in particolare con riferimento al delitto di falso, con la conseguenza che non potrebbe ritenersi configurabile a carico dell’imputato il contestato reato di impego di beni di provenienza illecita.
Le contestazioni elevate all’imputato nei capi B4.5bis e B4.6bis sono quelle di aver ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALE prodotti petroliferi di contrabbando e di averli impiegati nelle attività economiche svolte dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
In entrambi i capi di imputazione qui d’interesse Ł contenuta la dicitura ‘non avendo concorso a commettere i delitti di cui ai capi che precedono’.
Sempre stando alla contestazione formale, ‘i capi che precedono’ in contestazione all’imputato sono solo il B1 (l’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito del carburante) ed il capo B3.3 nel quale si contestano i reati p. e. p. dagli artt. 110, 112, co. 1, nn. 1) e 2), 61, co. 1, n. 2, 81, co. 2, 479, 476, co. 2, cod. pen., 21, co. 4, 40, co. 1 e 4, e 49, co. 1, 62, co. 1, lett. a) e 61, co. 4, D. Lgs. n. 504/95, per avere il Romeo, in qualità di materiale autotrasportatore, in concorso con altri, ‘al fine di eseguire il delitto di cui al precedente capo di imputazione sub B3.2’, facendo uso di n. 43 Documenti di Accompagnamento Semplificati (DAS) – relativi a prodotti petroliferi spediti, alla società RAGIONE_SOCIALE, dal deposito commerciale della società RAGIONE_SOCIALE apparentemente per conto della ditta individuale COGNOME NOME COGNOME – ideologicamente falsi in quanto riportanti indicazioni mendaci in ordine al committente, sottratto all’accertamento e al pagamento dell’accisa un quantitativo di prodotto energetico pari a litri ambiente 1.388.500, per un’accisa sottratta al pagamento pari ad euro 857.259,90.
Il delitto di cui al capo B3.2 (non in contestazione al Romeo) a sua volta richiamato nel capo B3.3 Ł, poi, quello di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 cod. pen.) nel quale si contesta che gli imputati,
«… dopo avere ricevuto (quantomeno formalmente) presso il deposito commerciale della società RAGIONE_SOCIALE … il carburante sottratto all’accertamento e al pagamento dell’accisa, proveniente dalla commissione del predetto reato di cui al precedente capo sub B3.1, lo trasferivano (tra le altre, anche) alla società RAGIONE_SOCIALE utilizzando Documenti di Accompagnamento Semplificati (DAS) e documentazione fiscale (di cui ai successivi capi di imputazione sub B 3.3 e ss.) non genuina, nonchØ previa simulata corresponsione di denaro, così ostacolandone concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa».
Tutto ciò doverosamente premesso deve essere rilevato che nei motivi di appello presentati dalla difesa dell’imputato (v. in particolare pagg. da 33 a 36) in relazione alle imputazioni di cui ai capi B4.5bis e B4.6bis non si contesta la questione della configurabilità del reato di cui all’art. 648ter cod. pen. sotto il profilo dell’avere il Romeo concorso nella consumazione di reati presupposto.
Basta solo ciò per dichiarare l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame ai sensi dell’art. 606, comma 3 ultima parte, cod. proc. pen., atteso che la questione di diritto proposta a questa Corte di legittimità era potenzialmente già deducibile all’esito del giudizio di primo grado a seguito dell’intervenuta condanna del Romeo per fatti di cui ai capi B1, B3.3, B4.5bis e B4.6bis ma tale deduzione non Ł stata fatta nei motivi di appello – come del resto risulta anche dal riassunto dei motivi stessi riportato nella sentenza di secondo grado (pagg. 124 e 125) – del resto se tale deduzione fosse stata comunque fatta in sede di giudizio di appello, sarebbe stato preciso onere della difesa del ricorrente contestare specificamente, nell’odierno ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame, se ritenuto incompleto o comunque non corretto, poichØ la tempestiva deduzione della violazione di legge come motivo di appello costituisce requisito che legittima la riproposizione della doglianza in cassazione e, pertanto, di ciò il ricorso, con la dovuta specificità, deve dar conto.
Invero, questa Corte Suprema ha già avuto modo di affermare il seguente principio di diritto: «Il ricorso proposto per violazioni di legge asseritamente verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, per soddisfare l’onere di specificità dei motivi imposto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p., deve contenere la specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata, nel caso in cui lo stesso non dia conto della deduzione della predetta violazione di legge come motivo di appello; il ricorso proposto per violazioni di legge verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, ma non dedotte con i motivi di appello, sarebbe, infatti, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, c.p.p., inammissibile» (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259066).
Per solo dovere di completezza Ł comunque doveroso ricordare che, con una decisione in materia di riciclaggio, ma il cui principio Ł certamente estensibile anche al reato di cui all’art. 648-ter cod. pen., questa Corte di legittimità ha stabilito che «Tra il delitto di riciclaggio e quello di cui all’art. 416 cod. pen. non vi Ł alcun rapporto di “presupposizione”, sicchØ non opera la clausola di esclusione di cui all’art. 648-bis cod. pen., relativa a chi abbia concorso nel reato, con la conseguenza che il partecipe all’associazione per delinquere risponde anche del delitto di riciclaggio dei beni acquisiti attraverso la realizzazione dei reati-fine del sodalizio criminoso» (Sez. 2, n. 5730 del 20/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278244 – 01).
A ciò si aggiunge la evidente diversità dei fatti di cui al capo B3.3. (ivi comprese le contestazioni di falso) relativi a prodotti petroliferi spediti, alla società RAGIONE_SOCIALE, dal deposito commerciale della società RAGIONE_SOCIALE, rispetto ai fatti oggetto di contestazione ai capi B4.5bis e B4.6bis concernenti la ben diversa condotta consistita nell’aver ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALE prodotti petroliferi di contrabbando e di averli impiegati nelle attività economiche svolte dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con la conseguenza che non può operare nel caso in esame la clausola di esclusione di cui all’art. 648-ter cod. pen.
6.7. Manifestamente infondato Ł poi anche il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME, sopra riassunto al par. 2.10.4, nel quale la difesa del ricorrente, in relazione al reato di cui all’art. 515 cod. pen. contestato al capo B4.7, deduce un vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato de quo ed al riguardo indica una conversazione intercettata e riportata a pag. 143 della sentenza impugnata nella quale l’imputato ha espresso lamentele circa le caratteristiche del prodotto, circostanza questa asseritamente incompatibile con la ritenuta consapevolezza del Romeo di trattare prodotto alterato.
E’ innanzitutto necessario riportare il testo del capo di imputazione B4.7.: «reati p. e. p. dagli artt. 110, 81, co. 2 e 515 cod. pen. perchØ, in concorso tra loro, con piø azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nell’esercizio della propria attività commerciale, consegnavano agli acquirenti il carburante adulterato di cui ai precedenti capi di imputazione, di qualità differente (ed inferiore) rispetto a quella dichiarata».
Ritiene l’odierno Collegio che nessun vizio di motivazione sia ravvisabile in ordine all’intervenuta condanna dell’imputato NOME in relazione a tale reato.
Sia il G.u.p. (pagg. da 271 a 274 della relativa sentenza) che la Corte di appello (pag. 143) risultano avere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza degli elementi che hanno consentito di addivenire all’affermazione della penale dell’imputato anche in ordine a tale reato.
La Corte di appello ha poi adeguatamente risposto alla doglianza difensiva relativa alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 515 cod. pen. e, in particolare, alla consapevolezza dell’imputato di consegnare agli acquirenti carburante alterato e quindi di qualità differente rispetto a quella dichiarata, richiamando il contenuto di conversazioni intercettate e rilevando che proprio le conversazioni evocate dalla difesa «valgono ad ulteriormente fondare il giudizio di colpevolezza dell’imputato, siccome disvelatrici di contatti clandestini (le utenze citofoniche) e della particolare vantaggiosità dell’affare a fronte della consapevole scarsa qualità del prodotto».
Resta solo da aggiungere che la difesa del ricorrente tenta inammissibilmente di riproporre a questa Corte di legittimità una rilettura (oltretutto parziale) del contenuto di conversazioni intercettate, finendo oltretutto per contraddire sØ stessa nel momento in cui, da un lato, richiama una conversazione nella quale l’imputato ha espresso lamentele circa le caratteristiche del prodotto e, dall’altro, sostiene che il reato di cui all’art. 515 cod. pen., consistito per l’appunto nel commercializzare un prodotto non avente le dovute caratteristiche, non sarebbe configurabile a carico dell’imputato per difetto dell’elemento soggettivo.
6.8. Non fondato Ł poi anche il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME e sopra riassunto al punto 2.10.5 in relazione al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. in contestazione al capo B17 nel quale la difesa del ricorrente sostiene che avrebbero errato i Giudici di merito nel ritenere che il NOME avrebbe eluso le disposizioni legislative in materia di contrabbando attraverso l’intestazione fittizia a NOME COGNOME ed a NOME COGNOME della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non sussistendo elementi per ritenere che l’intestazione sia stata compiuta con finalità elusive in quanto la stessa Ł avvenuta solo nel 2019 e sia il COGNOME che il COGNOME già detenevano il 24% ciascuno delle quote della predetta società avendole autonomamente acquistate nel 2017 (data nella quale sarebbe stato consumato il reato).
Nel capo di imputazione in esame si contesta al COGNOME, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale e di contrabbando, nonchØ di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui all’articolo 648-ter cod. pen., di avere attribuito, in modo fittizio, al COGNOME ed al COGNOME la titolarità delle quote della società RAGIONE_SOCIALE
Il G.u.p. (v. pag. 262 e segg. della relativa sentenza) ha evidenziato una serie di elementi, costituiti non soltanto dal contenuto di conversazioni intercettate, ma anche dalle dichiarazioni degli stessi COGNOME e COGNOME che danno conto della riconducibilità della predetta società all’odierno ricorrente e non al formale intestatario.
In sostanza, già il G.u.p. aveva ben delineato il ruolo effettivamente rivestito dal Romeo nella società RAGIONE_SOCIALE, alla luce:
della esclusione dalla percezione dei ricavi della società di coloro che apparivano come i soci (” … Non ho mai partecipato alla suddivisione di eventuali profitti o guadagni della società …”› interrogatorio COGNOME );
della conduzione delle trattative relative al commercio del carburante operata direttamente ed esclusivamente dal Romeo;
dalla gestione, piø in generale, di tutta la attività della società RAGIONE_SOCIALE («…dietro di me e COGNOME NOME c’era sempre NOME. Effettivamente il NOME ci aveva venduto le quote della società, ma dietro di noi c’era sempre lui. Le quote, peraltro, io non le ho pagate e, per quanto ne so io, neanche il COGNOME le ha pagate…”› interrogatorio COGNOME» – «… quanto alla società RAGIONE_SOCIALE, confermo che la stessa era gestita dal NOME. rispetto al quale io ero il primo dei dipendenti … – interrogatorio COGNOME»).
Quel che può dirsi acclarato – ha ancora evidenziato il G.u.p. – Ł certamente la strumentalità della operazione di interposizione alla consumazione dei delitti di contrabbando anche sottolineando, quanto al profilo soggettivo, come gli elementi raccolti attestano chiaramente che la società de qua era uno strumento per contrabbandare carburante.
La Corte di appello (pag. 143 segg. della sentenza impugnata) ha evidenziato di condividere le affermazioni del G.u.p., evidenziando come le affermazioni difensive (sostanzialmente sovrapponibili a quelle riproposte in questa sede di legittimità) risultano completamente disancorate dai dati probatori, concludendo che la piena intraneità dell’imputato nel traffico illecito in oggetto vale a dimostrare la consapevole destinazione della società sopra indicata alla copertura dei delitti in materia di contrabbando e riciclaggio del prodotto di contrabbando.
In punto di diritto, preme rilevare che l’art. 512-bis cod. pen., tra le tipologie di dolo specifico alternative, prevede proprio la finalità di eludere le disposizioni di legge in materia di contrabbando.
In proposito mette conto segnalare come la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ancorchØ con riferimento alla disciplina delle intercettazioni, Ł stata chiara nel ritenere che il reato previsto dall’art. 40 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, consistendo nella sottrazione di prodotti energetici (nella specie oli minerali) all’accertamento e al pagamento dell’accisa, deve ritenersi ricompreso nei delitti di contrabbando (Sez. 3, n. 2419 del 21/11/2017, dep. 2018, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 271766-01).
A ciò si aggiunge non solo che, come emerge pacificamente dalle sentenze di merito, una delle finalità per le quali le imprese come la RAGIONE_SOCIALE venivano create e simulatamente attribuite a terzi era proprio quella di “contrabbandare” prodotti petroliferi, ma anche che Ł ravvisabile la concorrente finalità di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648 bis e 648 ter cod. pen. (pure richiamati dall’art. 512-bis cod. pen.), come dimostrano gli altri reati-fine oggetto di contestazione.
Quanto, poi, alle ipotesi di auto-riciclaggio, pare utile rammentare l’orientamento di questa Corte secondo il quale «¨ configurabile il reato di cui all’art. 12 quinquies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356 in capo all’autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, di cui rimanga effettivamente “dominus”, al fine di agevolare una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo, poichØ la disposizione di cui all’art. 12
quinquies citato consente di perseguire anche i fatti di “auto” ricettazione, riciclaggio o reimpiego” (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME, RV. 259590-01).
Infine, osserva l’odierno Collegio, appare del tutto irrilevante, alla luce degli elementi sopra descritti, la doglianza difensiva relativa ai profili temporali indicati nel ricorso laddove si Ł segnalato che sia il COGNOME che il COGNOME già detenevano il 24% ciascuno delle quote della predetta società avendole autonomamente acquistate nel 2017 perchØ ciò che conta in questa sede Ł la successiva spoliazione da parte del Romeo delle proprie quote societarie (pur rimanendo il gestore di fatto della società) così da creare un apparente cesura tra le proprie condotte e gli usi strumentali della società alle finalità delittuose intraprese.
6.9. Non fondato in tutte le sue prospettazioni Ł altresì il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME e sopra riassunto al par. 2.11.3 nel quale la difesa del ricorrente ha dedotto violazioni di legge e vizi di motivazione in relazione a tutti i reati contestati sub B (B2.1 B2.2 – B2.3 – B3.1 – B3.2 – B3.3 – B3.8 – B4.1 – B4.2 – B4.3 – B4.5 – B4.6 – B6ter) in quanto:
i Giudici del merito avrebbero errato nel disattendere la richiesta difensiva di derubricazione dei reati contestati in quelli di ricettazione continuata avendo l’imputato da un lato ammesso che gli acquisti di carburante avvenivano in violazione della normativa fiscale, ma di non essere consapevole che si trattava di carburante alterato;
l’imputato non avrebbe quindi posto in essere alcuna attività di miscelazione del carburante propedeutica alla successiva immissione sul mercato e, di conseguenza, non vi sarebbero elementi per ritenere una consapevole partecipazione del Tirendi ai delitti-fine (in particolare a quelli di falso) diversi da quello riguardante gli acquisti di carburante di provenienza illecita;
non sarebbe configurabile il contestato reato di autoriciclaggio difettando l’esistenza di condotte idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei beni, nØ risulterebbe provato che il COGNOME abbia compiuto atti di impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative delle ricorse provenienti dai delitti in contestazione, essendosi lo stesso solo limitato all’acquisto ed alla commercializzazione del carburante de quo .
Rileva l’odierno Collegio l’insussistenza dei dedotti vizi della sentenza impugnata avendo la Corte di appello (pagg. da 113 a 119), anche richiamando elementi probatori ampiamente evidenziati nella sentenza di primo grado, dato compiuta e logica risposta alle doglianze difensive di cui ai superiori punti a) e b).
Non prima di avere ricordato la pluralità degli elementi probatori già sopra evidenziati allorquando la posizione del COGNOME Ł stata trattata in relazione al delitto associativo di cui al capo B1, occorre evidenziare che la Corte di appello ha indicato una serie di elementi relativi al predetto imputato quali:
il ruolo chiave rivestito dall’imputato nella realizzazione delle attività criminose progettate e realizzate dal sodalizio, a partire dalla messa a disposizione dell’organizzazione della società RAGIONE_SOCIALE (che aveva svolto infungibile ruolo di terminale nella filiera di commercio illecito del carburante).
l’inserimento dell’imputato nel sistema di commercializzazione illecito di carburanti, la stabilità dei contatti con altri sodali e la sistematicità delle condotte indicative di un ruolo svolto nelle fasi di stoccaggio del prodotto contrabbandato, il tutto dimostrato sulla base del dato intercettivo;
la presenza di una conversazione dal tenore autoaccusatorio in cui era lo stesso COGNOME ad attribuirsi la commissione di attività propedeutiche allo svolgimento dell’attività illecita nella fase dello scarico del prodotto;
le dichiarazioni dell’Agosta;
il fatto che il COGNOME nel corso di una conversazione intercettata risulta avere riferito al proprio interlocutore di aver già predisposto la falsa documentazione utile per giustificare il trasporto di contrabbando, che sarebbe stato curato dai COGNOME e dal depositario COGNOME;
il fatto che il COGNOME, a seguito dell’esposizione a pericolo della perpetuazione dei traffici illeciti, messi a repentaglio da un sequestro, risulta aver stabilito con il Giorgio come dovessero essere svolti i trasporti successivi;
il fatto che il COGNOME Ł emerso coordinarsi direttamente col NOME sui trasporti ed era avvertito delle miscelazioni operate presso il Falduto (v. conversazioni intercettate richiamate a pag. 116 della sentenza di appello) tanto che con il NOME aveva commentato la scarsa qualità del prodotto derivante da una impropria raffinazione operata dal Falduto.
Rileva l’odierno Collegio che trattasi di una serie di elementi debitamente valorizzati in entrambe le sentenze di merito che risultano aver dato ampiamente conto del ruolo materiale od anche di concorso morale rivestito dall’imputato in tutti i reati-fine per i quali Ł intervenuta la condanna dello stesso.
La Corte di appello ha, poi, correttamente, evidenziato che non Ł configurabile nel caso in esame il solo reato di ricettazione, atteso che le operazioni poste in essere, in particolare quelle di miscelazione del prodotto petrolifero propedeutiche alla successiva immissione sul mercato sono idonee a configurare il reato di autoriciclaggio.
Ne consegue – osserva l’odierno Collegio – che, nel quadro sopra descritto, perde ogni rilevanza, al fine della configurabilità dei reati-fine contestati, la circostanza che l’imputato non abbia provveduto personalmente alle attività di miscelazione del carburante risultando che lo stesso era consapevole delle miscelazioni intervenute sul prodotto da lui acquistato ed altrettanto Ł a dirsi quanto ai delitti di falso.
Circa le valutazioni in diritto relative alla sussistenza del concorso morale e della capacità decettiva delle condotte in relazione alle quali Ł contestato il reato di autoriciclaggio appare, infine, sufficiente richiamare quanto sopra già osservato ai paragrafi 6.3 e 6.4, in quanto le relative argomentazioni sono estensibili anche con riguardo ai motivi di ricorso qui in esame.
6.10. Inammissibile, in quanto caratterizzato da assoluta genericità Ł poi il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME di cui al superiore par. 2.11.4, con il quale la difesa, richiamando una serie di assunti giurisprudenziali in materia, contesta che i Giudici del merito avrebbero errato nel ritenere raggiunto lo standard probatorio idoneo a superare il ragionevole dubbio necessario per addivenire ad una affermazione di responsabilità in relazione ai reati in contestazione all’imputato.
Manifestamente infondato Ł poi il motivo di ricorso sopra riassunto al par. 2.11.1 nel quale la difesa dell’imputato COGNOME ha dedotto la nullità della sentenza di primo grado in quanto il G.u.p. aveva riportato pedissequamente nella stessa (pagg. 75/188) la motivazione contenuta nell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale attraverso il ricorso al c.d. ‘copia incolla’ situazione che paleserebbe l’assenza di una valutazione autonoma e critica del primo Giudice in ordine alla valutazione degli elementi probatori nei confronti dell’imputato.
E’ appena il caso di ricordare che nessuna nullità Ł ravvisabile al riguardo, che nulla impedisce a che un Giudice faccia proprie le motivazioni di altro Giudice, sia richiamandole per relationem , sia riportandole testualmente, e che non Ł di certo estensibile al caso in esame il disposto di cui all’art. 292, comma, lett. c), cod. proc. pen. relativo all’ordinanza applicativa delle misure cautelari che, all’evidenza, riguarda la autonoma valutazione ad opera del Giudice di una richiesta proveniente da
una parte processuale.
8. L’esame dei motivi di ricorso riguardanti i trattamenti sanzionatori riservati agli imputati.
Deve, in via preliminare, essere osservato che in ordine al trattamento sanzionatorio finale, avranno indubbiamente incidenza, per gli imputati interessati, la riqualificazione del reato di falso (peraltro reato-fine) già operata da questa Corte in relazione ai capi B2.1, B3.1, B4.1 e B5 nonchØ le ulteriori valutazioni che la Corte di appello in sede di rinvio dovrà fare sempre con riguardo alle fattispecie di falso contestate ai capi B2.3, B3.3, B3.9, B4.3 e B6ter.
Ciò non toglie che il Collegio ben può esprimersi sugli altri profili, oggetto di contestazioni, del trattamento sanzionatorio riservato agli imputati.
8.1. Meritevoli di trattazione congiunta sono, innanzitutto, i motivi di ricorso nei quali si lamentano vizi di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla generale dosimetria del trattamento sanzionatorio.
In relazione a tali punti devono essere qui richiamati i motivi di ricorso formulati nell’interesse degli imputati COGNOME (v. sup. par. 2.1.3 e 2.1.6), COGNOME (par. 2.2.3), NOME COGNOME (par. 2.3.1 e 2.3.4), NOME COGNOME (par. 2.4.4) – integrati con motivi nuovi e memoria di replica alla requisitoria del P.G. per entrambi i COGNOME – COGNOME (par. 2.5.3), NOME (par. 2.7.5 e 2.7.6), COGNOME (par. 2.8.5), COGNOME (par. 2.9.5) e COGNOME (par. 2.11.5).
Sul rilievo preliminare che nell’intestazione del motivo di ricorso di cui al par. 2.5.3 formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME Ł contenuta anche una non comprensibile indicazione dell’art. 175 cod. proc. pen., osserva, innanzitutto, l’odierno Collegio che la Corte di appello risulta avere adeguatamente risposto ai motivi di gravame alla stessa sottoposti con riferimento alle posizioni dei singoli imputati (autonomamente valutate) anche richiamando – laddove ha ritenuto di condividerle e talvolta integrando le valutazioni del G.u.p.
8.1.1. Con riguardo alle invocate circostanze attenuanti generiche (fatta eccezione per quanto si dirà con riguardo alla posizione dell’imputato COGNOME) ed in relazione – laddove concesse – al giudizio di comparazione delle stesse con le circostanze aggravanti, occorre evidenziare che il G.u.p. (pag. 358 e segg.) – nell’ambito di una valutazione chiaramente orientata ai profili indicati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. – con riferimento al delitto associativo di cui al capo B1 che ha testualmente definito «uno spaccato inquietante delle modalità operative dell’associazione criminale in parola» sottolineando che «l’allarme dettato dai fatti reato, la potenza di tale sodalizio, la sua egemonia e la sua carica d’intimidazione devono ritenersi gravissimi», ha motivatamente ritenuto:
per gli imputati riconosciuti come affiliati a tale organizzazione, con ruoli di spicco all’interno del sodalizio, considerate la personalità degli stessi (come emergente dalle modalità dei fatti e dal certificato del casellario giudiziale), la non occasionalità della condotta e l’intensità del dolo, di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a NOMECOGNOME e NOMECOGNOME osservando che trattasi di soggetti che hanno avuto un ruolo di spicco nella vicenda delittuosa in questione, provvedendo a promuovere e ad organizzare le attività;
di giungere ad analoga valutazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli imputati COGNOME COGNOME e COGNOME in ragione della loro contiguità al contesto delinquenziale di riferimento;
di riconoscere, per contro, le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate circostanze aggravanti agli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME in ragione del ruolo non di primo piano assunto dagli stessi nella vicenda delittuosa in questione, avendo essi svolto un’attività meramente esecutiva e sotto la direzione degli
organizzatori.
La Corte di appello, ha sostanzialmente evidenziato di condividere le valutazioni del G.u.p. in relazione alle posizioni degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME (ancorchØ il relativo gravame fosse da qualificare come inammissibile per genericità e comunque sottolineando la biografia penale dell’imputato ed il ruolo dello stesso nella vicenda), NOME e COGNOME (per ruolo rivestito da entrambi gli imputati e soprattutto per la loro diuturna dedizione al traffico di contrabbando, tale che anche quando sui traffici erano intervenuti i controlli, gli stessi avevano attivato nuovi canali per perpetuare le condotte illecite: elemento sintomatico di spiccata capacità a delinquere; il tutto ferma l’inammissibilità del motivo di gravame avanzato dall’imputato NOMECOGNOME e NOME (posta la diuturna collaborazione prestata al gruppo di appartenenza, per un così prolungato lasso temporale, ad attestare una pervicacia di azione sintomatica di particolare intensità del dolo) ed ha altresì spiegato le ragioni per le quali ad NOME COGNOME (il cui gravame sul punto era stato già valutato come inammissibile dalla Corte di appello), NOME COGNOME e COGNOME le circostanze attenuanti generiche possono essere riconosciute solo con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti «posto che la diuturna collaborazione prestata al gruppo di appartenenza, per un così prolungato lasso temporale, attesta una particolare intensità del dolo».
Osserva il Collegio che sulla base degli elementi sopra evidenziati, tenuto conto – giova ancora una volta ribadirlo – che le motivazioni delle sentenze impugnate si integrano reciprocamente, i motivi di ricorso afferenti alle circostanze attenuanti generiche formulati dai sopra menzionati ricorrenti diversi dal COGNOME sono tutti da ritenersi manifestamente infondati.
In punto di diritto deve, infatti, essere ricordato che questa Suprema Corte ha, infatti, piø volte affermato che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549) e, ancora, che «Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non Ł necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione» (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Analogamente Ł a dirsi del giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen., avendo questa Corte di legittimità chiarito che «Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piø idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450).
Diversa Ł, invece, la valutazione che l’odierno Collegio ritiene di effettuare con riguardo alla posizione dell’imputato COGNOME in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Pur prendendosi atto che una motivazione circa il mancato riconoscimento delle predette attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. Ł pur sempre stata operata dai Giudici di merito, osserva tuttavia l’odierno Collegio che ci si trova in presenza di una valutazione carente in quanto non tiene conto di due profili che potrebbero assumere rilevanza a tale riguardo puntualmente evidenziati nell’atto di appello: le dichiarazioni parzialmente ammissive dell’imputato ed il parziale risarcimento
del danno dallo stesso operato che, seppure, come si dirà, non rilevante ai fini del riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., rappresenta pur sempre un elemento di necessaria valutazione della condotta del ricorrente.
Il rilevo che precede impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla posizione dell’imputato COGNOME con esclusivo riferimento alla valutazione circa il riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche, con rinvio anche in questo caso ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per un nuovo giudizio sul punto.
8.2. Con riguardo, poi, ai motivi di ricorso afferenti ai trattamenti sanzionatori riservati agli imputati – ferma restando la già rilevata e condivisibile declaratoria di inammissibilità effettuata dalla Corte di appello con riguardo ai motivi di gravame sul punto formulati nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e NOME – preso atto dei già sopra richiamati riferimenti alla gravità dei fatti ed ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. nonchØ delle valutazioni di ‘congruità’ e di ‘adeguatezza’ richiamati dal G.u.p., non può anche in questo caso rilevarsi che:
con riguardo alle posizioni degli imputati COGNOME e COGNOME il G.u.p. ha spiegato di avere applicato una pena superiore al minimo edittale, in ragione del ruolo determinante svolto dagli stessi nella vicenda relativa alla spartizione degli appalti e la Corte di appello (pag. 30) – oltretutto provvedendo ad un riduzione del trattamento sanzionatorio per effetto del ritenuto assorbimento della contestazione di cui al capo A3 in quella di cui al capo A2 – dopo avere evidenziato di condividere le valutazioni del G.u.p., ha aggiunto il richiamo alla gravità del fatto, trattandosi dell’inserimento illecito in un appalto di cospicuo valore economico, ed alla personalità degli imputati, che con azione insistita, sintomatica di particolare intensità del dolo, avvalendosi del peso criminale dell’Anello, avevano ottenuto l’aggiudicazione del subappalto;
anche con riguardo alle posizioni degli imputati COGNOME e COGNOME (quest’ultimo peraltro non ricorrente sul punto in questa sede di legittimità) il G.u.p. ha spiegato di avere applicato una pena superiore al minimo edittale, in ragione del ruolo determinante svolto dall’imputato nella vicenda relativa alla spartizione degli appalti e la Corte di appello (pagg. 35 e 39) ha, a sua volta, affermato la congruità del trattamento sanzionatorio avuto riguardo alla gravità del fatto, richiamando per entrambi l’inserimento illecito in appalto di cospicuo valore economico, e la personalità degli stessi, che con azione insistita, sintomatica di particolare intensità del dolo, avvalendosi del loro peso criminale, avevano ottenuto l’aggiudicazione del subappalto in favore del loro raccomandato»;
con riguardo agli imputati NOME e NOME COGNOME il G.u.p. ha spiegato di avere applicato una pena di poco superiore al minimo edittale in ragione della non occasionalità delle condotte derivante dall’inserimento degli imputati in un piø ampio contesto associativo e la Corte di appello (pagg. 70 e 90) ha, a sua volta, evidenziato che la valutazione del primo giudice non merita censura quanto al lieve discostamento dalla pena base prevista per il delitto piø grave, posto che la pervicacia di azione palesa una particolare gravità del fatto e, ancora, che «gli altri aumenti di pena sono congrui avuto riguardo alla gravità dei singoli fatti, commessi all’interno di un piø vasto progetto criminoso, foriero di imponente evasione delle accise»;
con riguardo all’imputato COGNOME le valutazioni operate in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio sono state sostanzialmente analoghe a quelle dei coimputati NOME e NOME COGNOME;
con riguardo agli imputati NOME e COGNOME il G.u.p. ha spiegato di avere applicato una pena superiore al minimo edittale in ragione del ruolo determinante svolto, sul piano organizzativo, dagli imputati e la Corte di appello (pagg. 165 e 166) – dopo avere provveduto comunque ad una riduzione del trattamento sanzionatorio – ha sottolineato che il contenuto discostamento dalla pena edittale minima prevista per il delitto piø grave di cui all’art. 476, comma 2, cod. pen. Ł ampiamente
giustificato avuto riguardo al ruolo apicale rivestito nella vicenda dai due imputati ed alla gravità del fatto, alla luce dell’imponente evasione fiscale derivata dalle loro condotte e, ancora, che quanto agli aumenti di pena, gli stessi risultano congrui avuto riguardo alla natura ingente dei guadagni sottesi, alla prolungata attività illecita, sintomatica di particolare intensità del dolo, ed al ruolo apicale rivestito. Sempre la Corte di appello ha, infine anche evidenziato che non Ł dato apprezzare alcun particolare profilo valorizzabile in termini di correttezza processuale, poichØ quanto richiamato nei gravami – presenza e compostezza – attiene alla normalità dei casi;
– con riguardo all’imputato NOME il G.u.p. ha spiegato di avere applicato una pena superiore al minimo edittale in ragione del ruolo determinante svolto, sul piano organizzativo, dall’imputato e la Corte di appello (pagg. 147 e 148) – che ha comunque proceduto a rivedere detto trattamento sanzionatorio – e sottolineato che il nuovo trattamento deve ritenersi congruo posto che il ruolo serbato dall’imputato all’interno della compagine associativa Ł stato di centrale rilievo e ha condotto l’imputato a locupletare ingenti guadagni, quale insostituibile snodo centrale dei traffici di contrabbando, poi aggiungendo che gli altri incrementi di pena sono congrui, avuto riguardo alla gravità dei singoli fatti, commessi all’interno di un piø vasto progetto criminoso, foriero di imponente evasione delle accise, con ruolo di centrale importanza;
– con riguardo, infine, all’imputato COGNOME – ferma restando la valutazione finale che la Corte di appello in sede di rinvio dovrà effettuare in relazione all’eventuale riconoscimento allo stesso delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen. – anche per esso il G.u.p. ha evidenziato di ritenere di applicare una pena superiore al minimo edittale, in ragione del ruolo determinante svolto, sul piano organizzativo, dallo stesso e la Corte di appello (pag. 119); ha evidenziato di condividere tale affermazione per effetto della pervicacia di azione e del ruolo organizzativo da lui rivestito nella complessiva impresa criminale denotante una particolare gravità del fatto; ha altresì sottolineato la congruità degli aumenti di pena per effetto della continuazione.
Ritiene il Collegio che, alla luce di quanto sopra evidenziato, tutti i motivi di ricorso formulati dalle difese degli imputati diversi dal Tirendi in relazione al trattamento sanzionatorio sono caratterizzati da manifesta infondatezza avendo i Giudici di entrambi i gradi di merito con motivazioni congrue e logiche (tutt’altro che apparenti come sottolineato da alcune difese) esplicitato le ragioni delle loro decisioni sul punto.
E’ del resto doveroso ricordare che «La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che Ł inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142) e, ancora, sul presupposto che comunque i Giudici di merito, ancorchØ nel fissare le pene-bese per i reati ritenuti piø gravi abbiano deciso di discostarsi da minimi edittali, tale discostamento Ł stato comunque contenuto e, in ogni caso, inferiore al ‘medio edittale’ con la conseguenza che «La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed Ł insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piø, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).
8.3. Manifestamente infondate sono, poi anche le doglianze con le quali (v. ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME) Ł stata dedotta l’assenza di motivazione in relazione agli aumenti di
pena per la ritenuta continuazione ai sensi dell’art. 81, comma 2, cod. pen. tra i reati per i quali Ł intervenuta condanna.
Giova, innanzitutto, rilevare che la Corte di appello – come già evidenziato poc’anzi – ha motivato sugli aumenti di pena per effetto della continuazione nei confronti di entrambi gli imputati richiamandone la ‘congruità’ in relazione alla «gravità dei singoli fatti, commessi all’interno di un piø vasto progetto criminoso, foriero di imponente evasione delle accise».
A ciò si aggiunge che gli aumenti di pena per ciascuno dei reati ritenuti in continuazione con quello piø grave sono stati decisamente minimi (mesi 2 di reclusione per ognuno di essi).
Con riguardo, poi, ai motivi di ricorso qui in esame deve altresì evidenziarsi la sostanziale genericità degli stessi in quanto la difesa dei ricorrenti si Ł limitata a sostenere la mancanza di motivazione, ma non ha indicato alcun profilo dal quale potersi desumere l’interesse a coltivare tale doglianza.
E’ infatti, un principio consolidato richiamato e fatto proprio anche dalle Sezioni Unite ‘COGNOME‘ di questa Corte (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269 – 01) quello secondo il quale «In tema di determinazione della pena, Ł ammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza che non abbia specificato il “quantum” dei singoli aumenti inflitti a titolo di continuazione in relazione a ciascun reato satellite, a condizione che venga dedotto un interesse concreto ed attuale a sostegno della doglianza» (Sez. 2, n. 26011 del 11/04/2019, PG C/COGNOME, Rv. 276117 – 01).
Nel caso in esame la difesa dei ricorrenti non risulta avere indicato alcun concreto elemento a sostegno del fatto che gli aumenti di pena per la ritenuta continuazione tra il reato ritenuto piø grave e quelli degli altri capi in contestazione sia incongruo o comunque sproporzionato rispetto alla complessiva valutazione dei fatti per i quali Ł intervenuta condanna od in relazione alla personalità degli imputati ed agli altri criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
A ciò si aggiunge che, nel caso in esame, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio per tutti i reati in contestazione i Giudici del merito hanno fatto espresso richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., stabilendo poi una pena per il reato piø grave in misura comunque prossima ai minimi edittali ed hanno, infine, operato un aumento di pena ex art. 81, comma 2, cod. pen. per gli altri reati di certo non sproporzionato o in contrasto con le motivazioni generali adottate in sentenza sul trattamento sanzionatorio.
D’altro canto nella decisione delle Sezioni Unite ‘COGNOME non si Ł certo sostenuto che sol perchØ difetti una motivazione relativa all’aumento di pena per i reati ritenuti in continuazione ciò comporta una nullità sul punto della sentenza impugnata, quanto, piuttosto, si Ł osservato che l’astratto rigore che assiste la decisione del Giudici di merito nell’operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena Ł correlato all’entità degli stessi e deve essere funzionale sia alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall’art. 81 cod. pen., sia ad evitare che non si sia stato operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
In sostanza, la sentenza ‘COGNOME‘ citata, pur rilevando come il peso in concreto assegnato dal giudice a ciascun reato satellite concorra a determinare un razionale trattamento sanzionatorio con la conseguente necessità che siano palesati gli elementi che hanno condotto al risultato cui si Ł pervenuti, ha tuttavia precisato che l’obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati, non potendosi ritenere che il vizio renda nulla la decisione sul punto allorchØ la pena irrogata sia stata determinata in prossimità del minimo piuttosto che al massimo edittale (principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” deve ritenersi motivazione adeguata per dimostrare l’intervenuta ponderazione della pena rispetto all’entità del fatto. Una specifica e
dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena da irrogare Ł, pertanto, necessaria allorchØ la determinazione avvenga in misura prossima al massimo edittale’ (in proposito, v. Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356).
Gli stessi principi governano la determinazione della pena e la relativa motivazione in ordine al reato in continuazione, dovendosi ritenere (evenienza rilevante per i ricorsi sottoposti a scrutinio) che la pena determinata per il reato in continuazione in misura ampiamente inferiore nel minimo edittale previsto per tale reato esclude l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. e depone per una ponderata valutazione degli elementi posti a base della decisione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Tali principi sono stati ribaditi da questa Corte di legittimità anche in epoca successiva alla sentenza ‘COGNOME‘ allorquando si Ł affermato che «In tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non Ł tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen.» (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01).
8.4. Non fondato Ł, anche, il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME (v. par. 2.7.5) nel quale si contesta l’avvenuto riconoscimento della circostanza aggravante della recidiva.
Detta circostanza aggravante risulta essere stata contesta all’imputato sotto il profilo della recidiva ‘semplice’ ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. pen.
La difesa dell’imputato risulta avere specificamente dedotto la questione innanzi alla Corte di appello (v. pagg. 28 e 29 dell’atto di appello).
Il G.u.p. al riguardo era caduto in contraddizione in quanto Ł sufficiente leggere quanto scritto a pag. 359 della sentenza («Per come contestata, va ritenuta sussistente la recidiva per i seguenti imputati: … NOME Salvatore … in riferimento ai quali il giudice ritiene di non dover applicare alcun aumento di pena, non essendo i precedenti in questione espressione di una particolare pericolosità del soggetto agente») e confrontarlo con i calcoli relativi al trattamento sanzionatorio (pagg. 361 e 362) «dichiara NOME Salvatore colpevole dei reati ascrittigli unificati dal vincolo della continuazione e operata la riduzione per la scelta del rito, lo condanna alla pena di anni 7 e mesi 10 di reclusione (pena base anni 4 di reclusione per il delitto di cui al capo B2.1 – art. 476 c.p. – aumentata di un terzo per l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. ad anni 5 e mesi 4 di reclusione, nonchØ di ulteriori mesi 2 per le ulteriori contestate aggravanti, ‘compresa la recidiva’, ai sensi dell’art. 63 c.p. ad anni 5 e mesi 6 di reclusione …» per rendersi conto della evidente contraddizione contenuta nella parte motiva della sentenza di primo grado.
La Corte di appello ha, tuttavia, posto rimedio a detta discrasia motivazionale evidenziando (pag. 166) che le ragioni già indicate per la negazione del riconoscimento all’imputato NOME COGNOMEed al coimputato COGNOME) delle circostanze attenuanti generiche («diuturna dedizione al traffico di contrabbando, tale che anche quando sui traffici erano intervenuti i controlli, gli stessi avevano attivato nuovi canali per perpetuare le condotte illecite: elemento sintomatico di spiccata capacità a delinquere») conducono quanto al Giorgio «a negare l’esclusione della recidiva, posto che il trascorso delinquenziale dell’imputato ha agito quale dato esperienziale per l’ulteriore spinta propulsiva nella commissione delle nuove fattispecie, consumate con assoluta professionalità criminale».
Ritiene il Collegio che anche in questo caso ci si trovi in presenza di una motivazione congrua per ritenere configurata la circostanza aggravante de qua .
8.5. Manifestamente infondato Ł il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato Romeo di cui al superiore par. 2.10.8 nel quale la difesa del ricorrente ha dedotto una violazione di legge ai sensi dell’art. 597 cod. proc. pen. rilevando che la Corte di appello, dopo avere escluso le circostanze aggravanti contestate all’imputato in accoglimento dei motivi proposti, ha irrogato una pena che, seppure complessivamente inferiore a quella stabilita in primo grado, si Ł sostanziata in un trattamento sanzionatorio piø grave: in particolare il G.u.p. era partito dalla pena base per il reato associativo di 4 anni di reclusione aumentata per ciascun reato satellite di 3 mesi (per un complessivo aumento di 18 mesi), così a giungere alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, ridotta per il rito ad anni 3 e mesi 6 di reclusione, mentre la pena irrogata in appello Ł di anni 3 e mesi 10 di reclusione.
Ci si troverebbe, pertanto – secondo la difesa del ricorrente – in presenza di un ingiustificato ed immotivato aumento del trattamento sanzionatorio previsto per il reato base oltre che in relazione all’aumento per la continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
Rileva il Collegio che, contrariamente a quanto sostiene la difesa del ricorrente, il G.u.p. aveva applicato la pena base di anni 4 di reclusione per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. (capo B1) pena che solo per effetto della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. era stata elevata ad anni 5 e mesi 6 di reclusione ai quali si erano aggiunti mesi 6 di reclusione per le ulteriori circostanze aggravanti e complessivi mesi 18 di reclusione per la continuazione con gli altri 6 reati in contestazione.
La Corte di appello – dopo avere escluso sia l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che quella di cui all’art. 61-bis cod. pen. – Ł partita dalla medesima pena base (anni 4 di reclusione) ancorchØ per il reato di cui all’art. 476 cod. pen. divenuto il piø grave, ha, quindi applicato un aumento di pena di mesi 3 di reclusione per la continuazione con il reato di cui all’art. 416 cod. pen. ed ha poi applicato un ulteriore aumento di 15 mesi (non 18 perchØ il reato di cui all’art. 416 cod. pen. Ł divenuto uno dei reati in continuazione al quale si sono aggiunti gli altri 5 reati per i quali Ł stata prevista una pena a titolo di aumento per la continuazione).
In conclusione:
a) la pena base relativa al reato piø grave (ancorchØ divenuto quello di cui all’art. 476 cod. pen. in luogo di quello di cui all’art. 416 cod. pen. Ł rimasta identica (anni 4 di reclusione), nØ si può sostenere che vi sia stata una reformatio in peius solo perchØ un reato originariamente considerato ‘satellite’ e per il quale era stato previsto un aumento a titolo di continuazione con il reato ritenuto piø grave Ł divenuto per effetto della decisione intervenuta in sede di appello il reato piø grave;
b) la Corte di appello ha semplicemente eliminato gli aumenti per le circostanze aggravanti (art. 416-bis.1 cod. pen. e art. 61-bis cod. pen.) pari a complessivi mesi 24 (18 per la prima aggravante e 6 per la seconda) e, infine, ha operato l’aumento per la continuazione di mesi 18 (3 + 15) per gli altri 6 reati in così correttamente giungendo alla pena finale di anni 5 e mesi 6 (poi ridotta per il rito).
Nessuna reformatio in peius risulta essere stata quindi operata dalla Corte di appello sia con riguardo alla pena base, che per gli altri reati ritenuti legati dal vincolo della continuazione.
Anzi, a ben vedere, se la Corte di appello ha commesso un errore nella determinazione del trattamento sanzionatorio lo ha fatto in favore dell’imputato avendo totalmente eliminato anche l’ulteriore aumento di 6 mesi di reclusione per le ‘ulteriori circostanze aggravanti’ mentre in realtà l’unica eliminata (oltre a quella autonomamente computata di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.) Ł stata l’aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen.
Certo Ł che le valutazioni in ordine alla corretta qualificazione giuridica relativa al reato di falso divenuto per taluni degli imputati il reato piø grave tra quelli ritenuti in continuazione e quindi quello sul quale determinare la ‘pena-base’ potranno esplicare i loro effetti in ordine alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio non solo nei confronti del Romeo, ma anche di tutti gli altri imputati
interessati a tale annullamento.
8.6. Manifestamente infondato Ł, infine, anche il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME di cui al superiore par. 2.11.6 nel quale si lamenta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. avendo l’imputato versato all’Erario la somma di 30.000,00 euro a titolo di rifusione del danno provocato.
La Corte di appello (pag. 119) risulta avere motivatamente spiegato che l’invocata circostanza attenuante, riferita al risarcimento del danno, non Ł riconoscibile in quanto la norma prevede l’integrale riparazione che non può ritenersi avvenuta nel caso in esame – in cui risulta documentato un versamento di 30.000,00 euro – posto il concorso causale dell’imputato nella determinazione dell’ammontare milionario dell’evasione di accise contestata dalla Guardia di Finanza alla D.R. Service.
Sul punto Ł appena il caso di ricordare che «Le due circostanze attenuanti del reato contenute nell’art. 62, n. 6, cod. pen. (riparazione totale del danno e ravvedimento operoso) hanno sfere di applicazione generalmente autonome: l’una Ł, infatti, correlata al danno inteso in senso civilistico, e cioŁ alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile; l’altra si collega, invece, al danno cosiddetto criminale, cioŁ alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Ne consegue che le due fattispecie, pur potendo essere congiuntamente applicate, con un unico effetto riduttivo, nei reati diversi da quelli contro il patrimonio, nei quali la condotta del colpevole, successiva alla emissione del reato, abbia distintamente realizzato le autonome previsioni normative, non sono tra loro fungibili nØ possiedono reciproca capacità integratrice, con la conseguenza che il parziale risarcimento del danno, che non attenui il reato secondo la prima previsione, non può essere valutato nemmeno con riferimento alla seconda ipotesi» (Sez. 3, n. 31841 del 02/04/2014, C., Rv. 260290 – 01).
Ne consegue che nel caso in esame trovandoci in presenza di un reato che ha sostanzialmente leso il patrimonio dell’Erario non si può parlare di ravvedimento operoso vertendosi nella prima ipotesi di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. che richiede il risarcimento ‘integrale’ del danno che nel caso in esame non Ł avvenuto.
9. L’esame dei motivi di ricorso riguardanti le questioni civili e le confische.
9.1. Con il motivo di ricorso sopra riassunto al par. 2.10.7, la difesa dell’imputato NOME si duole del fatto che i Giudici di merito avrebbero omesso di rispondere alle questioni che sul punto erano state dedotte con l’atto di appello (pag. 49) con particolare riguardo alla legitimatio ad causam delle parti civili ed alla corretta individuazione della causa petendi .
Risulta dalla sentenza di primo grado (pag. 374) che nei confronti dell’imputato NOME sono costituiti parte civile l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e la Provincia di Vibo Valentia.
Il G.u.p., per la parte qui di interesse, aveva chiarito che, poichØ l’imputato (così come quelli in concorso con esso), Ł stato condannato per i delitti a lui ascritti, può fondatamente ravvisarsi in capo agli enti sopra menzionati, la titolarità di un diritto soggettivo proprio, suscettibile in astratto di lesione e configurarsi un danno collegato alle fattispecie criminose in contestazione dal nesso di causalità.
Quanto ai pregiudizi subiti, il G.u.p. aveva altresì precisato che il danno patito dalla parte civile Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non poteva essere liquidato nella sede penale, rimandando, quindi, la quantificazione del danno stesso alla competente sede civile e limitandosi a disporre, a
favore di detta parte civile una provvisionale di 1.000.000,00 di euro.
Al contrario, in riferimento alle altre parti civili costituite nei confronti del COGNOME (e di altri), il G.u.p., evidenziando di aver tenuto conto della gravità delle condotte ascritte agli imputati nonchØ dell’incidenza nel contesto sociale dell’operato delle costituite parti civili in difesa dei beni interessi lesi, procedeva alla diretta liquidazione del danno che quantificava in 20.000,00 euro per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Interno e in 40.000,00 euro per la Provincia di Vibo Valentia.
La Corte di appello (pagg. 146 e) ha, a sua volta, ampiamente risposto alla doglianza qui in esame (peraltro posta in sede di appello in modo del tutto generico il che avrebbe ben potuto condurre alla immediata dichiarazione di inammissibilità della stessa da parte della Corte territoriale) ritenendo del tutto corrette anche le quantificazioni dei danni laddove operate dal G.u.p. ed evidenziando, con motivazione logica:
a) le ragioni che hanno legittimato la costituzione di parte civile sia della Presidenza del Consiglio/Ministero dell’Interno che, in via autonoma, dell’Agenzia della Dogane e Monopoli, quest’ultima quale ente cui Ł affidata la tutela dell’interesse al corretto adempimento delle imposte, che Ł persona offesa dei reati in materia di contrabbando ed Ł pertanto autonomamente legittimata a costituirsi parte civile, senza la previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonchØ della Provincia di Vibo Valentia;
b) la congruità della somma equitativamente liquidata in favore della Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Interno, avuto riguardo all’entità del danno cagionato per effetto del mancato reperimento dei mezzi per assicurare allo Stato gli indispensabili introiti tributari;
c) la congruità della somma liquidata in favore della Provincia di Vibo Valentia avuto riguardo «alla consistenza del danno all’immagine provocato all’Ente, per l’evidente rilievo mediatico dei fatti illeciti emersi con le investigazioni e per le conseguenti ricadute negative, rinvenienti da fenomeni illeciti di portata tale da offrire una rappresentazione del territorio quale luogo di radicato malaffare, sì da risultare potenzialmente scoraggiate iniziative utili allo sviluppo turistico e produttivo dell’area».
La decisione sul punto assunta dalla Corte di appello risponde, poi, ai principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità che ha, innanzitutto, chiarito, quanto alla posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Interno, che «Il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando ed a reati contro la fede pubblica può dare luogo a risarcimento del danno, poichØ l’ordine pubblico, tutelato dall’art. 416 cod. pen., non va inteso in senso riduttivo e cioŁ limitato alla pubblica tranquillità o alla sicurezza dei cittadini, ma anche al rispetto dei principi fondamentali, sui quali si fonda la convivenza civile e l’ordinato assetto della società. Rientrano tra questi principi anche il reperimento dei mezzi per assicurare allo Stato gli indispensabili introiti tributari, fonte primaria per una corretta gestione della Cosa Pubblica (art. 53 Cost.). Ne deriva che l’Amministrazione Finanziaria risente un danno immediato dalla costituzione dell’associazione, la quale lede uno degli aspetti basilari di quell’ordine fiscale, che rappresenta un precipuo interesse del Ministero preposto» (Sez. 3, n. 9725 del 13/04/1992, COGNOME, Rv. 191910 – 01).
Quanto, poi alla costituzione di parte civile della Provincia di Vibo Valentia, sempre questa Corte di legittimità – come ricordato anche nella sentenza impugnata – ha chiarito che «In materia di reati associativi, il Comune nel cui territorio l’associazione a delinquere si Ł insediata ed ha operato ha titolo alla costituzione di parte civile in relazione al danno che la presenza dell’associazione stessa ha arrecato all’immagine della città, allo sviluppo turistico ed alle attività produttive ad esso collegate» (Sez. 2, n. 150 del 18/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254675 – 01; Sez. 1, n. 10371 del 08/07/1995, COGNOME, Rv. 202736 – 01).
Quanto alla quantificazione del danno operata dalla Corte di appello in maniera equitativa nei confronti della Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Interno, nonchØ nei confronti della Provincia
di Vibo Valentia questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che «In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale, sfuggendo ad una piena valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, il quale nell’effettuare la relativa quantificazione deve tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento» (Sez. 3, n. 3912 del 11/02/1991, COGNOME, Rv. 186780 – 01).
Osserva il Collegio che, anche in questo caso, la sentenza impugnata risulta avere rispettato il principio sopra indicato ed avere dato risposta al relativo motivo di appello.
Nel consegue che il motivo di ricorso qui esaminato, sotto tutti i profili nello stesso dedotti Ł da ritenersi manifestamente infondato.
9.2. Fondato Ł, invece, il motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato NOME e sopra riassunto al par. 2.10.6 nel quale si contesta, sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto quello dei vizi di motivazione la confisca dell’intero compendio aziendale della società RAGIONE_SOCIALE
La questione era stata regolarmente dedotta nell’atto di appello (pag. 42 e segg.) nel quale si era di fatto sostanzialmente contestato che i mezzi riconducibili alla società erano stati adoperati per commettere il reato di cui all’art. 40 del d.lgs. n. 504/1995 solo in relazione a due episodi e che ciò non poteva costituire elemento idoneo a dimostrare qualsivoglia apporto del Romeo alle operazioni di contrabbando.
Occorre, innanzitutto, ricordare che l’art. 44 del d.lgs. n. 504/1995 dispone al comma primo che «i … mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni di cui agli articoli 40, … 41 e 43 sono soggetti a confisca secondo le disposizioni legislative vigenti in materia doganale».
Al riguardo già il G.u.p. (pagg. da 369 a 372), ha richiamato il principio generale secondo il quale il provvedimento ablativo può anche riguardare un’intera azienda, ove sussistano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali, proprio per la sua collocazione strumentale, sia utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando la circostanza che l’azienda svolga anche normali attività imprenditoriali (v. Sez. 6, n. 27340 del 16/04/2008, P.M. in proc. Cascino, Rv. 240574 – 01) e, altresì, il fatto che «In tema di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici, va disposta la confisca dei prodotti petroliferi e degli automezzi utilizzati per commettere il reato previsto dall’art. 40 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, atteso che l’art. 44 del citato d.lgs. prevede che tali beni sono soggetti a confisca secondo le norme vigenti in materia doganale, con conseguente applicabilità dell’art. 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, come sostituito dall’art. 11, comma 19, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, secondo cui la confisca debba essere sempre ordinata, anche in assenza di una pronuncia di condanna» (Sez. 3, n. 22001 del 13/03/2018, Innusa, Rv. 273662 – 01), e chiarito che la confisca dell’azienda de qua era doverosa essendo la stessa stata utilizzata per commettere i reati il cui ausilio era fondamentale per movimentare il gasolio contraffatto recuperato nel Nord Italia e condurlo nei luoghi ove veniva definitivamente smerciato.
La Corte di appello (pagg. 144-146) ha risposto alle questioni dedotte con l’atto di gravame che – come detto poc’anzi – verteva sul rapporto tra gli accertamenti relativi ai trasporti effettuati mediante veicoli della PTS e gli illeciti contestati, evidenziando gli elementi che avevano consentito di ritenere accertata la natura illecita del carburante trasportato, non solo alla luce di quanto emerso dalle conversazioni intercettate, ma anche per effetto dell’uso di documenti falsi elementi ritenuti dimostrativi che il Romeo con la sua azienda di trasporti aveva continuato a rendere efficiente il
contribuito causale al traffico illecito e che tutto ciò consentiva di ritenere provato il nesso di strumentalità dell’asset aziendale del Romeo a detto traffico e quindi a giustificare la disposta confisca.
Osserva il Collegio che le motivazioni addotte dai Giudici di merito non appaiono idonee a dare adeguata e logica risposta alle questioni sollevate al riguardo con l’atto di gravame.
Si rileva, innanzitutto, che con il motivo di ricorso qui in esame parte ricorrente deduce anche una questione affatto diversa, non esplicitata nell’atto di appello, che riguarda il fatto che la Corte territoriale avrebbe errato nel qualificare la confisca come ‘obbligatoria’, atteso che la stessa può riguardare solo i beni che, ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. n. 504/1995 costituiscono ‘il prodotto, il profitto o il prezzo’ del reato, mentre nel caso in esame il compendio aziendale riconducibile all’imputato assume – come indicato in sentenza – il ‘mezzo’ utilizzato per la commissione degli illeciti.
In realtà, il fatto che si trattasse di confisca ‘obbligatoria’ dei mezzi utilizzati per consumare il reato lo aveva testualmente affermato anche il G.u.p. a pag. 372 della propria sentenza, ma la questione non era stata dedotta nell’atto di appello, con la conseguenza che, trattandosi di questione di diritto che la difesa avrebbe ben potuto dedurre con l’atto di appello e che non ha documentato di avere posto in eventuali momenti differenti da quello della proposizione dell’atto di gravame, la proposizione della stessa per la prima volta in sede di ricorso per cassazione Ł inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen.
Per solo dovere di completezza occorre però evidenziare, che al di là della ‘obbligatorietà’ o meno dell’adozione del provvedimento di confisca, i Giudici del merito non risultano avere adeguatamente motivato sulla strumentalità dell’intero compendio aziendale della PTS al perfezionamento degli illeciti per i quali Ł intervenuta condanna soprattutto alla luce del fatto che ‘i mezzi’ per i quali può disporsi la confisca ai sensi del comma 1 dell’art. 44 citato appaiono essere le autobotti destinate al trasporto del carburante di contrabbando e non l’azienda (intesa nel suo complesso) che era proprietaria dei veicoli.
Quanto osservato impone l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’intero asset aziendale della RAGIONE_SOCIALE con rinvio anche in questo caso ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per un nuovo esame sul punto.
9.3. Con il motivo di ricorso sopra riassunto al par. 2.8.6, la difesa dell’imputato COGNOME si duole del fatto che i Giudici di merito avrebbero applicato la confisca di mafia ai sensi dell’art. 416bis, comma 7, cod. proc. pen. in mancanza dei presupposti di legge (condanna per il delitto associativo che nel caso in esame non Ł mai intervenuta) poi aggiungendo che, qualora il provvedimento ablativo dovesse intendersi disposto ai sensi dall’art. 240-bis cod. pen., detta ‘confisca allargata’ avrebbe potuto estendersi solo ai beni del reo che non erano altrimenti giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato e che comunque la stessa non poteva eccedere i limiti della ‘ragionevolezza temporale’, criteri dei quali non si sarebbe tenuto conto nella decisione impugnata.
Infine, secondo la difesa del ricorrente, anche a voler ritenere possibile l’applicazione della confisca ai sensi dell’art. 416-bis, comma 7, cod. pen. difetterebbe una adeguata motivazione sul punto, con particolare riguardo al nesso di pertinenza tra i cespiti oggetto di vincolo reale e l’attività illecita, dato che i giudici del merito avrebbero qualificato l’impresa COGNOME come ‘impresa mafiosa’, senza specificare da quali fonti di prova abbiano fondato tale affermazione e senza tenere conto che il legale rappresentante della stessa non Ł neppure imputato per l’estorsione di cui Ł processo.
Occorre al riguardo doverosamente premettere che il G.u.p. (pag. 366) aveva ordinato la
confisca dei beni dell’imputato NOME COGNOME e, in particolare, delle quote societarie rispettivamente del 50% ciascuno di proprietà di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e dell’intero compendio aziendale della società “RAGIONE_SOCIALE” (oltre ai beni alla stessa intestati), della quale Ł risultato gestore di fatto l’odierno imputato, evidenziando il totale asservimento della predetta società ad interessi mafiosi e la sua strumentalizzazione da parte dei relativi esponenti per accaparrarsi, con metodi illeciti, porzioni di mercato: «Piø propriamente, la società in questione va qualificata come “impresa mafiosa”, assistendosi ad una totale sovrapposizione tra compagine associativa e sodalizio criminoso, oppure ad una totale sottoposizione dell’impresa al diretto controllo dell’associazione mafiosa. … Tale società ha infatti stabilmente operato avvalendosi della forza di intimidazione dell’associazione mafiosa di riferimento e in cointeressenza con essa, come acclarato dal compendio intercettivo. Tale modus agendi , tutt’altro che occasionate, aveva già trovato replicazione nell’indagine ‘lmponimento’, a dimostrazione della stabilità del loro impiego in violazione di principi concorrenziali e quali strumenti delle rispettive consorterie RAGIONE_SOCIALE per imporsi violentemente sul mercato».
Con l’atto di appello si erano evidenziate:
a) la risalenza nel tempo delle acquisizioni dei beni al patrimonio della società e quindi la violazione del principio della ‘ragionevolezza temporale’ del provvedimento ablativo rispetto a tali beni;
b) l’erronea applicazione ed utilizzazione dei dati ISTAT relativi agli accertamenti redditometrici e l’insussistenza della sproporzione.
La Corte di appello (pag. 31), dopo avere correttamente riassunto detto motivo di gravame ne aveva – altrettanto correttamente – rilevato l’inammissibilità trattandosi di motivo «affatto disancorato dai contenuti della motivazione e, dunque, disallineato rispetto all’oggetto».
E’ in questa sede di legittimità appena il caso di rilevare che in nessun passaggio del motivo di ricorso qui in esame si contesta tale declaratoria di inammissibilità, situazione che all’evidenza trasferisce i propri effetti sull’ambito decisionale sottoposto a questa Corte.
A quanto appena osservato deve solo aggiungersi che già il G.u.p. nel disporre la confisca de qua aveva fatto testuale richiamo agli artt. 240 e 416-bis, comma 7, cod. pen. e che nell’atto di appello non Ł contenuta alcuna contestazione in diritto in ordine a tale affermazione, con la conseguenza, che anche in questo caso, trattandosi di questione di diritto che la difesa avrebbe ben potuto dedurre con l’atto di appello e che non ha documentato di avere posto in eventuali momenti differenti da quello della proposizione dell’atto di gravame, la proposizione della stessa per la prima volta in sede di ricorso per cassazione Ł inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen.
10. Per tutte le ragioni sopra esposte, riassumendo, si impongono:
a) la riqualificazione delle imputazioni di cui ai capi B2.1, B3.1, B4.1, B5 nella fattispecie di cui agli artt. 476-482 cod. pen, limitatamente al reato di falso come contestato, rispettivamente ascritta a NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena;
b) l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente ai reati di falso di cui ai capi B2.3, B3.3, B3.9, B4.3, B6ter, rispettivamente ascritti a COGNOME NOME e NOME, nonchØ a NOMECOGNOME, NOME COGNOME e COGNOME;
l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME limitatamente alle attenuanti generiche;
l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla
con rinvio per un nuovo giudizio quanto ai capi e punti di cui alle superiori lettere b), c) e d) sempre confisca disposta ex art. 44 d.lgs. n. 504/1995; ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Devono, invece, essere:
rigettati nel resto i ricorsi degli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
dichiarato definitivo ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. l’accertamento di responsabilità per gli altri reati.
rigettati i ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.
Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili con la precisazione che la Corte ritiene di disporre che le relative liquidazioni siano poste a carico degli imputati che saranno infra indicati in relazione ai fatti per i quali si ritiene sussista un interesse diretto delle parti civili richiedenti in ragione della natura e/o degli scopi istituzionali delle stesse.
Ne consegue che, tenuto conto del grado di complessità della vicenda processuale ma anche del contributo concreto fornito dalle parti civili in sede processuale:
gli imputati COGNOME COGNOME, NOME e COGNOME devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Sant’Onofrio, Comune di Vibo Valentia, Comune di Limbadi e Provincia di Vibo Valentia, spese che vengono liquidate in complessivi euro 3686,00 per ciascuna parte civile, oltre accessori di legge, con rigetto delle istanze dei Comuni e della Provincia citati nel resto;
gli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME, devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Vibo Valentia e RAGIONE_SOCIALE, spese che vengono liquidate in complessivi euro 3686,00, per ciascuna parte civile, oltre accessori di legge, con rigetto nel resto dell’istanza dell’RAGIONE_SOCIALE, all’evidenza non interessata dalle condotte diverse da quelle estorsive.
P.Q.M
Riqualifica le imputazioni di cui ai capi B2.1), B3.1), B4.1), B5) nella fattispecie di cui agli artt. 476482 cod. pen, limitatamente al reato di falso come contestato, rispettivamente ascritta a NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e rinvia per la rideterminazione della pena.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di falso di cui ai capi B2.3), B3.3), B3.9), B4.3), B6 ter) rispettivamente ascritti a COGNOME e NOME, nonchØ a NOMECOGNOME, COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME; annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME, limitatamente alle attenuanti generiche; annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla confisca disposta ex art. 44 d lgs n. 504/1995; rinvia per nuovo giudizio sui capi e punti ad altra sezione della corte d’appello di Catanzaro.
Rigetta i ricorsi nel resto e dichiara definitivo l’accertamento di responsabilità per gli altri reati.
Rigetta i ricorsi proposti da COGNOME Francesco, COGNOME NOME, COGNOME Pasquale, COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME e COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Sant’Onofrio, Comune di Vibo Valentia, Comune di Limbadi e Provincia di Vibo Valentia, che liquida in complessivi
euro 3686 per ciascuna parte civile, oltre accessori di legge, con rigetto delle istanze dei Comuni e della Provincia citati nel resto.
Condanna, inoltre, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Vibo Valentia e RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3686, per ciascuna parte civile, oltre accessori di legge. Rigetta nel resto l’istanza dell’RAGIONE_SOCIALE.
Così Ł deciso, 07/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME