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Associazione per delinquere: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto indagato per il ruolo di capo e promotore di una associazione per delinquere dedita al traffico internazionale di stupefacenti. La Corte ha confermato la validità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ritenendo che le prove raccolte (intercettazioni, pedinamenti e contenuti di chat) costituissero indizi gravi, precisi e concordanti. I motivi di ricorso, incentrati sulla presunta mancanza di prove e sulla non necessità della misura detentiva, sono stati giudicati manifestamente infondati.

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Pubblicato il 28 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: la Cassazione conferma la custodia in carcere

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha delineato con precisione i contorni probatori necessari per confermare la custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. La decisione sottolinea come una serie di indizi gravi, precisi e concordanti possa giustificare la misura più afflittiva, anche in fase di indagini preliminari.

I fatti del caso

Il procedimento trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava la custodia in carcere per un soggetto, indagato per essere il capo e promotore di un sodalizio criminale dedito all’importazione e raffinazione di cocaina. Le accuse si basavano su complesse indagini che avevano portato alla scoperta di un laboratorio clandestino per la lavorazione della droga. L’indagato era accusato non solo di specifici episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, ma soprattutto di rivestire un ruolo apicale all’interno dell’organizzazione criminale, mantenendo rapporti con la criminalità organizzata calabrese e gestendo trattative per l’acquisto di droga direttamente dalla Colombia.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui:

1. Mancanza di gravi indizi: Si contestava l’identificazione dell’indagato con il soggetto soprannominato “lo zio” nelle conversazioni intercettate e la reale partecipazione all’associazione.
2. Errata qualificazione del ruolo: La difesa sosteneva che la gestione di una raffineria o i rapporti personali con altri indagati non fossero sufficienti a provare un ruolo di capo e promotore.
3. Assenza di concorso nei singoli reati: Si affermava che la mera presenza dell’indagato sul luogo dei reati (una cessione di 10 kg di cocaina e l’attività di raffinazione) non provasse un suo contributo attivo.
4. Insussistenza delle esigenze cautelari: Si criticava la decisione di applicare la custodia in carcere, ritenendo non adeguatamente motivata l’inidoneità di misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, anche in considerazione delle condizioni di salute dell’indagato.

La valutazione della Corte sull’associazione per delinquere

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso, ritenendoli manifestamente infondati. Per quanto riguarda il reato di associazione per delinquere, i giudici hanno confermato l’impianto accusatorio, valorizzando la coerenza logica dell’ordinanza impugnata. La prova del ruolo direttivo dell’indagato è stata desunta da una pluralità di elementi convergenti: i suoi reiterati contatti con i coindagati, il tono direttivo delle comunicazioni, il ruolo attivo nelle trattative per l’acquisto di droga in Colombia, la sua costante presenza nella raffineria come forma di controllo sull’andamento delle attività, e la sua certa identificazione con “lo zio”, figura incaricata di prendere decisioni cruciali come quella di incontrare personalmente un corriere.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, spiegando punto per punto perché le argomentazioni difensive non potessero essere accolte. I giudici hanno chiarito che la presenza dell’indagato durante gli episodi delittuosi non era stata passiva, ma funzionale all’organizzazione: in un caso, per verificare l’eventuale presenza di forze dell’ordine, e nell’altro, per pianificare le attività del laboratorio. Il Tribunale del Riesame, secondo la Cassazione, non si è limitato a richiamare la presunzione di pericolosità legata al reato associativo, ma ha evidenziato elementi concreti: i numerosi e gravi precedenti penali, l’inserimento in ambienti della ‘ndrangheta e l’ampiezza del traffico di droga gestito. È stato inoltre specificato che gli arresti domiciliari, anche con controllo elettronico, non avrebbero potuto impedire i contatti con l’esterno per la prosecuzione dell’attività criminale, ma solo segnalare un’eventuale fuga.

Le conclusioni

La sentenza riafferma un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati associativi: un quadro indiziario solido, basato su una pluralità di elementi logici e convergenti, è sufficiente per giustificare la custodia in carcere. La Corte ha stabilito che, di fronte a un’elevata pericolosità sociale desunta da concreti elementi fattuali (come i precedenti specifici e i legami con la criminalità organizzata), la presunzione di adeguatezza della massima misura cautelare è difficilmente superabile. Le allegazioni generiche sullo stato di salute o la disponibilità di strumenti di controllo elettronico non sono sufficienti a scalfire un quadro cautelare così gravemente compromesso.

Quando la sola presenza sul luogo di un reato è sufficiente per dimostrare il concorso?
Secondo la sentenza, la mera presenza non è di per sé sufficiente. Tuttavia, diventa un grave indizio di colpevolezza quando è accompagnata da altre circostanze che dimostrano un ruolo attivo, come l’aver impartito istruzioni in precedenza, l’aver organizzato l’incontro o l’essersi assunto il compito di sorvegliare l’area per garantire la riuscita del reato.

Quali elementi possono provare il ruolo di capo in una associazione per delinquere in fase cautelare?
Il ruolo di capo o promotore può essere desunto da un insieme di fattori convergenti, quali: i contatti frequenti con gli altri associati, il tenore direttivo delle comunicazioni, la gestione delle trattative per l’approvvigionamento della droga, il controllo diretto su strutture strategiche (come una raffineria) e l’essere identificato con un alias a cui gli altri si rivolgono per decisioni operative.

La possibilità degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico esclude la custodia in carcere per reati di associazione per delinquere?
No. La Corte ha stabilito che, in presenza di un grave quadro indiziario per un reato come l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e di un’elevata pericolosità sociale dell’indagato, gli arresti domiciliari possono essere ritenuti una misura inadeguata. Il braccialetto elettronico, infatti, serve a prevenire la fuga ma non a impedire che l’indagato continui a comunicare e a delinquere dalla propria abitazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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