Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35350 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35350 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/02/2024 del Tribunale della Libertà di Napoli
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO,
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura degli arresti domiciliari, applicata dal GIP del Tribunale di Napoli il 30.01.2024, nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 416 comma 1, 2 e 3 cod. pen., 615-ter, comma 1, 2 e 3, cod. pen., 497-bis,
v
comma 1 e 2, cod. pen., 640 ter cod. pen., 640 ter cod. pen. e 624 e 625 comma 1 n. 4 cod. pen., con l’esclusione dell’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 615 ter cod. pen. e previa riqualificazione dei fatti contestati ex art. 640 ter cod. pen. in corrispondenti delitti ex art. 640 commi 1 e 2 cod. pen.
Contro l’anzidetta ordinanza, NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, affidato a sei motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art 606 lett. e) cod. proc. pen. per la manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione per vizio risultante dal provvedimento impugnato ed NOME atti del procedimento in relazione agli artt.273 e 192, comma 3, cod. proc. pen. in punto di ritenuta credibilità della chiamata in correità da parte di NOME COGNOME, deducendo la mancanza di riscontri.
2.2 Il secondo motivo di ricorso deduce contraddittorietà della motivazione per vizio risultante dal provvedimento impugnato ed NOME atti del procedimento (verbale di interrogatorio di garanzia del ricorrente del 6.02.2024) per la attribuita valenza confessoria alle dichiarazioni rese dal COGNOME in relazione agli artt.273 e 192, comma 3, cod. proc. pen. per i reati di cui agli artt. 497 bis e 624/625 n. 4 cod. pen.
2.3 II terzo motivo di ricorso deduce contraddittorietà della motivazione per vizio risultante NOME atti del procedimento (verbale di interrogatorio di COGNOME e di COGNOME, tabulati telefonici, verbali di intercettazioni telefoniche, esiti d accertamenti del contenuto del dispositivo cellulare, verbali di perquisizione del 29.01.2024) ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art.273 cod. proc. pen., per il reato associativo di cui all’art.416, commi 1, 2 e 3 cod. pen.
2.4 II quarto motivo di ricorso deduce mancanza di motivazione per vizio risultante dal testo del provvedimento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per violazione dell’art.273 cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi di cui gli artt.110 e 497 bis, comma 2, cod. pen.
v
2.5 II quinto motivo di ricorso deduce mancanza di motivazione per vizio risultante dal testo del provvedimento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per violazione dell’art.273 cod. proc. pen., in relazione agli artt.110, 61, comma 1, n.2) e n. 11), 624, 625, comma 1, n. 4), cod. pen. (capo 50 avente ad oggetto il reato di furto pluriaggravato in concorso del contratto originale di polizza intestato a COGNOME NOME) dell’ordinanza applicativa della misura cautelare.
2.6 II sesto motivo di ricorso deduce manifesta illogicità della motivazione per vizio risultante sia dal testo del provvedimento sia da NOME atti del procedimento (verbale di interrogatorio di COGNOME e di COGNOME, tabulati telefonici, verbali di intercettazioni telefoniche, esiti di accertamenti del contenuto del dispositivo cellulare, verbali di perquisizione del 29.01.2024) ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.292, comma 2, lett. c), 274, comma 1, lett. c), e 275 cod. proc. pen. per la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari in considerazione dell’arco temporale di oltre tre anni (novembre 2020) trascorso dai fatti.
Il difensore chiede annullarsi con rinvio l’ordinanza impugnata.
3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell”art.23, commi 8 e 9, d.l. n. 137 del 2020, senza l’intervento delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, che lamenta violazione dell’art 606 lett. e) cod. proc. pen. per manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione per vizio risultante dal provvedimento impugnato ed NOME atti del procedimento in relazione agli artt.273 e 192, comma 3, cod. proc. pen. in punto di ritenuta credibilità della chiamata in correità da parte di NOME COGNOME, deducendo la mancanza di riscontri, è infondato.
Occorre preliminarmente ricordare che non è questa la sede per rinnovare una valutazione di merito del materiale istruttorio, ma solo per valutare gli eventuali errori logici o la mancanza di motivazione su passaggi essenziali del ragionamento logico giuridico. Così impostati i termini della valutazione da esprimere, deve rilevarsi che la motivazione sul punto non presenta nessuno dei suddetti vizi. Giova premettere che quella del COGNOME è una chiamata in correità e che il giudizio si trova nella fase cautelare. Trova dunque applicazione il principio espresso da questa Corte secondo il quale in tema di valutazione della
chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci anche solo parzialmente o tendenzialmente “individualizzanti”, in quanto la verifica dell’attendibilità di tali dichiarazio pertiene ad una fase segnata dalla fluidità dell’incolpazione, in cui non è richiesta certezza della colpevolezza ed è invece sufficiente al riguardo un consistente grado di probabilità (Sez. 4, Sent. n. 2240 del 16/07/2020, Rv. 279515 – 01). La motivazione del provvedimento impugnato ha rispettato tali criteri, dando conto analitico delle dichiarazioni del COGNOME senza incorrere in salti logici o argomentazioni contraddittorie. Non sono idonee ad evidenziare tali violazioni le argomentazioni difensive peraltro già proposte dinanzi al Tribunale del riesame. Il fatto che il COGNOME abbia avuto una iniziale ritrosia e solo nel corso dell’interrogatorio abbia, progressivamente, reso dichiarazioni confessorie e quindi autoaccusatorie, e poi etero accusatorie, è del tutto normale, considerata la fase del procedimento in cui sono intervenute, subito dopo l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, quando le scelte da fare per la propria difesa sono ancora embrionali ed incerte. Questo inevitabilmente si riflette sulle dichiarazioni che sono progressivamente confessorie e per questo non compiutamente lineari, ma mai contraddittorie. È solo dopo il cambiamento di registro delle dichiarazioni, che denota una scelta collaborativa, che il COGNOME ha indicato tra i correi il COGNOME, che prima, invece, non aveva menzionato in alcun modo. Neppure è indice di mancanza di credibilità la genericità con cui è stata indicata la persona che gli aveva presentato il COGNOME, indicato come NOME COGNOME COGNOME. Il fatto che il coindagato non abbia saputo indicare con precisione dove e quando tale conoscenza sia avvenuta, non ha alcun riflesso sul fatto che il rapporto sia poi, effettivamente, nato tra i due. Circostanza, questa, confermata da numerosi elementi. Quest’ultima osservazione introduce il tema dei riscontri alle dichiarazioni del COGNOME. Questi sono significativi e netti, oltre che individualizzanti sulla figura ed il ruolo del COGNOME. Il COGNOME ha indicato sempre con chiarezza che era alla ricerca di qualcuno che lavorasse all’interno delle RAGIONE_SOCIALE che gli potesse segnalare le persone da rendere bersaglio delle truffe. Il lavoro svolto dal COGNOME all’interno di RAGIONE_SOCIALE, quale consulente finanziario, si attaglia perfettamente al contributo richiesto. Il COGNOME ha riconosciuto di aver avuto rapporti con il COGNOME e che nel corso di questi rapporti di avergli trasmesso informazioni circa i clienti – potenziali vittime; di avere fatto ciò anche dopo aver ricevuto una promessa di compenso da parte del COGNOME e che, anche dopo aver compreso le finalità per le quali egli Corte di Cassazione – copia non ufficiale
richiedeva tali informazioni – che comunque erano riservate -, ha effettuato accessi indebiti al sistema informatico in cui tali dati erano custoditi. Qualunque fosse l’intenzione del COGNOME in tali dichiarazioni, se ammettere l’addebito o meno, comunque egli ha raccontato fatti che costituiscono riscontro oggettivo ed individualizzante alle dichiarazioni del COGNOME. E la circostanza di siffatti rapporti è a sua volta riscontrata sia dai collegamenti telefonici tra i due (nove) sia dal contenuto della chat tra le utenze del ricorrente e quella del COGNOME avente ad oggetto le frodi in trattazione, appuntamenti tra gli interlocutori, pagamento del compenso, intercorse per tutto il periodo oggetto delle contestazioni (dal 15/10/2019 al 16/01.2020). Inoltre, l’attività svolta per il COGNOME trova riscontri nei continui accessi abusivi, privi di una ragione giustificativa istituzionale, alla banca dati di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sulle schede clienti di ciascuna delle vittime da parte del COGNOME, che tale circostanza ha confermato, anche dopo che questi, come da sue dichiarazioni, aveva compreso la natura illecita dell’attività del COGNOME. In altre parole, anche se il COGNOME ha negato che tale suo contributo costituisse adesione al programma criminoso ideato dal COGNOME, e che le sue dichiarazioni avessero valenza autoaccusatoria, tali fatti da lui riconosciuti costituiscono riscontro alle dichiarazioni del COGNOME. È, dunque, infondata la critica di mancanza di logicità nell’affermazione del Tribunale che ha ritenuto le dichiarazioni del COGNOME credibili e riscontrate.
2.2 II secondo motivo di ricorso, che deduce contraddittorietà della motivazione per vizio risultante dal provvedimento impugnato ed NOME atti del procedimento (verbale di interrogatorio di garanzia del ricorrente del 6.02.2024) per la attribuita valenza confessoria alle dichiarazioni rese dal COGNOME in relazione agli artt.273 e 192, comma 3, cod. proc. pen. per i reati di cui agli artt. 497 bis e 624/625 n. 4 cod. pen., è inammissibile.
Il ricorrente omette di confrontarsi con il principio della cd. “doppia conforme” e di autosufficienza del ricorso. Egli, infatti, deduce la mancanza di motivazione in ordine a tali reati, ma nulla allega con riguardo a quella dell’ordinanza cautelare, conforme sul punto, che neppure produce o riporta.
Va osservato che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la
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motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze ed esigenze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019 Rv. 276976 – 01).
In tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del Tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 – 01).
Tanto premesso, la motivazione sul punto non presenta nessuno dei suddetti vizi. Giova qui mettere inevidenza che l’ordinanza del Tribunale sul punto costituisce conferma di quella cautelare del GIP e, trattandosi di cd “doppia conforme”, il ricorrente avrebbe avuto l’onere di confrontarsi anche con la motivazione resa al riguardo nel primo provvedimento.
2.3 n terzo motivo di ricorso, che deduce contraddittorietà della motivazione per vizio risultante da NOME atti del procedimento (verbale di interrogatorio di COGNOME e di COGNOME, tabulati telefonici, verbali di intercettazioni telefoniche, esiti di accertamenti del contenuto del dispositivo cellulare, verbali di perquisizione del 29.01.2024) ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art.273 cod. proc. pen., per il reato associativo di cui all’art.416, commi 1, 2 e 3 cod. pen., è infondato. Il motivo fonda la critica sulla mancata conoscenza tra il COGNOME e gli NOME associati e sulla mancanza di un accordo diretto all’attuazione di un più ampio programma criminoso. Il primo aspetto è irrilevante.
Il ricorso si limita a reiterare deduzioni già formulate dinanzi al Tribunale del riesame e da questo valutate con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da vizi logico-giuridici. In particolare, il COGNOME avanza critiche, che, oltre ad opporsi, con argomentazioni di merito, alla conclusione del Tribunale, si presentano aspecifiche rispetto al ragionamento giustificativo che la sorregge e che si snodano secondo un metodo valutativo non consentito, nella misura in cui isolano, parcellizzandoli, gli elementi indiziari valorizzati sinergicamente dai Giudici della cautela. Costituisce infatti principio di diritto consolidato che, ai fin della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di
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misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (tra tante, Sez. F, n. 38881 del 30/07/2015, COGNOME, Rv. 264515; in tema di prova indiziaria, Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678). È appena il caso di rilevare che lo stesso Tribunale aveva censurato la erronea valutazione prospettica della linea difensiva contenuta anche nella memoria prodotta in sede di riesame. Quanto poi al significato indiziario degli elementi indiziari, è principio pacifico che in sede di legittimità anche nella materia cautelare è consentita la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; tra le tante conformi, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Quel che è sufficiente evidenziare è che l’ordinanza indiziaria, nella valutazione dei gravi indizi con riferimento alla partecipazione del ricorrente ai reati contestati, non presenta alcun vizio censurabile in questa sede, avendo reso il Tribunale una motivazione adeguata e coerente alle evidenze esposte, priva di manifeste illogicità o errori di diritto. Il Tribunale non si è limitato basare la piattaforma indiziaria della partecipazione del ricorrente al sodalizio sui soli reati-fine commessi (che pur manifestavano un estremo attivismo del COGNOME nelle frodi), ma ha valorizzato tutta una serie di elementi indiziari convergenti nella dimostrazione che non solo tale attività fosse riconducibile al sodalizio, ma che lo stesso ricorrente si rapportasse direttamente con il capo del sodalizio criminoso, NOME COGNOME.
Il Tribunale ha dato atto delle ragioni per cui sono stati ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per il delitto associativo che il ricorrente si limita a contestare.
Tali censure risultano infondate, già solo se si considera che sono ben 92 i reati fine commessi dagli associati, nell’ambito di 22 distinti episodi di frode commessi dall’aprile 2019 al novembre 2020.
In presenza di una condotta criminosa così pervicace, l’onere motivazionale espresso in capo al Tribunale del riesame sarebbe stato davvero minimo, essendo in re ipsa che una simile impresa delittuosa richiedesse un’organizzazione stabile e, al contempo, che era materialmente impossibile per
gli associati, prevedere in anticipo tutti i singoli delitti che sarebbero andati a compiere.
Ed invece il Tribunale si fa carico di ampia e approfondita motivazione in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’associazione per delinquere.
L’ordinanza ben chiarisce che la esistenza e la partecipazione ad un’associazione a delinquere non necessita di un accordo specifico e formale, essendo sufficiente un’organizzazione strutturale anche rudimentale e minima di uomini e mezzi, per il compimento di una serie indeterminata di reati con la consapevolezza da parte dei singoli associati di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso comune. La partecipazione all’associazione è data dalla conoscenza di un generico programma associativo e di un ruolo da svolgere per la realizzazione del programma.
L’esistenza del vincolo può desumersi anche da facta concludentia, quali la continuità, la frequenza dei rapporti tra i soggetti, l’interdipendenza della loro condotte, la predisposizione di mezzi e la stessa efficienza dell’organizzazione.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto l’esistenza e l’operatività di una associazione a delinquere capeggiata da NOME COGNOME, con ruoli ed apporti ben delineati in riferimento agli NOME sodali, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti di truffa della medesima specie in danno dei titolari di polizze vita di RAGIONE_SOCIALE, muovendo dal procacciamento (accessi abusivi a sistemi informatici) dei dati di plurime vittime, attraverso sodali (c.d. insiders) interni a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, fra cui il ricorrente utilizzando tali dati e, predisponendo documentazione contraffatta necessaria per avanzare le richieste di liquidazione dei prodotti finanziari aggrediti nonché adoperando, unitamente ai dipendenti infedeli di RAGIONE_SOCIALE, strategie ed accorgimenti volti ad aggirare le segnalazioni sospette ovvero le restrizioni alle politiche di sicurezza diramate dalla società ed ancora costituendo rapporti finanziari (conti correnti, carte prepagate), anche all’estero, in capo ad occasionali intestatari (prestanome o COGNOME mules) sui quali far confluire il prodotto delle frodi, riscuoteva abusivamente polizze all’insaputa dei legittimi titolari, per poi suddividere e smistare il denaro ricavato su NOME rapporti finanziari ad essa riconducibili.
Tale motivazione risulta immune da vizi logici e giuridici, dovendosi concordare sul fatto che la gestione di un numero così elevato di polizze vita della società RAGIONE_SOCIALE non può essere ricondotta ad una partecipazione “occasionale” ai singoli fatti delittuosi, non potendo non essere ben presente, nella rappresentazione del COGNOME, uno dei dipendenti postali,
come peraltro emerge sia dalla chiamata in correità del COGNOME che dalle ammissioni rese dal ricorrente, di fornire un contributo essenziale al sodalizio criminoso che operava come una struttura organizzata per porre in essere frodi nei confronti di titolari di polizze vita di RAGIONE_SOCIALE
Immune da vizi è l’affermazione del Tribunale circa la stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati – fine, l’indeterminatezza del programma criminoso, costituita da una pluralità di soggetti che ponevano in via continuativa a disposizione degli obiettivi del sodalizio il proprio operato con una perfetta ed articolata organizzazione di mezzi e risorse e con la previsione e suddivisione dei compiti, con il coordinamento, reclutamento e guida di NOME COGNOME che dava disposizioni, rassicurava, sollecitava, curando sapientemente la regia dell’intera attività truffaldina, per poi spartire gli utili secondo le percentuali confessate dal COGNOME.
Non è necessario, anzi, nei casi più gravi è la regola, che si conoscano le identità di tutti gli NOME associati. Esattamente ciò che è avvenuto nel caso di specie in cui i singoli associati sono stati reclutati da NOME COGNOME COGNOME ragione delle competenze e del ruolo che erano in grado di svolgere, alcuni addetti a fornire le informazioni indispensabili dagli Uffici Postali, altr predisponevano falsi documenti per poi aprire conti correnti falsamente intestati, NOME prestavano la loro immagine per le falsificazioni, NOME si recavano presso gli uffici postali o le banche per le attività materiali di sportello all’uopo necessarie.
Il ruolo del ricorrente, di organizzatore, che curava in autonomia il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonché di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, realizzando un’attività essenziale ed infungibile, è stato adeguatamente ponderato dal Tribunale.
A riprova della gravità indiziaria della stabile compartecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso, il Tribunale evidenzia in modo analitico numerosi passaggi delle sue stesse dichiarazioni, rese nel corso delle indagini, nonché le dichiarazioni di chiamata in correità del COGNOME di tutti i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, i ruoli dei complici, la ripartizione degli introi confermando che i “postali” avevano una parte cospicua, pari al 20%, l’esito degli accertamenti telematici, dei tabulati telefonici, il contenuto dei messaggi whatsapp e gli screenshots di consultazioni delle posizioni assicurative, dalle quali emerge la partecipazione alle attività illecite del ricorrente in misura ancora maggiore di quella ammessa dallo stesso, da cui si ricava la continuità del rapporto riconducibile non già ad un concorso nella commissione occasionale di reati, come invece sostiene il ricorrente, bensì ad un apporto stabile e durevole al sodalizio.
Venendo, infine, alla questione più generale dell’esistenza dell’associazione per delinquere, censurata dal ricorrente con particolare riferimento all’elemento soggettivo, si deve richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in presenza di un accordo tra più soggetti di realizzare uno o più reati il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva di tipo associativo e quella meramente concorsuale risiede nella necessaria consapevolezza, in capo agli associati, dell’esistenza di una struttura permanente finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti (Sez. 6, n. 7957 del 05/12/2003 – COGNOME ed NOME, Rv. 228482); laddove il semplice concorso di persone nel reato consta di un accordo funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali lo stesso si esaurisce o si dissolve (Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995 – COGNOME, Rv. 202036).
Uniformandosi ai principi di questa Corte, l’ordinanza impugnata individua l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale, accidentale e limitato, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo stabile tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, elementi che possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, ove indicativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi, quando valga ad inquadrarli nelle finalità o nel modus dell’associazione (Sez. 2, Sentenza n. 22906 del 08/03/2023, Rv. 284724 – 01 Sez. 5; Sentenza n. 1964 del 07/12/2018, Rv. 274442 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In particolare, il COGNOME, quale dipendente di RAGIONE_SOCIALE, forniva un contributo essenziale al sodalizio, consistente nel reperire tutte le informazioni e/o le documentazioni indispensabili per individuare le posizioni previdenziali da aggredire, accedendo alle posizioni dei clienti, monitorando le pratiche dall’interno, sovraintendendo a tutte le tecniche di dissimulazione della frode, per fornire ai sodali dati, suggerimenti e indicazioni necessari nel corso dell’iter criminoso, trasmettendo al COGNOME le informazioni sull’aggiornamento delle relative liquidazioni delle polizze al fine di realizzare le truffe. La genericità del programma criminoso, evidente nella narrazione dello
stesso COGNOME, è esattamente ciò che distingue l’adesione all’associazione rispetto al concorso nei reati fine.
Va dunque ribadito, con riferimento alla censura in esame, che la particolare organizzazione della struttura associativa e la continuità e l’intensa frequenza della commissione delle frodi in danno di titolari di polizze vita non potevano lasciare alcun dubbio, in capo all’indagato, circa la consapevolezza del proprio fattivo apporto al perseguimento dei fini illeciti del sodalizio in un rapporto di stabile collaborazione tra i vari componenti. Anche sotto questo profilo, pertanto, l’ordinanza impugnata si sottrae alle censure rappresentate dal ricorrente.
2.4 II quarto e quinto motivi di ricorso che deducono mancanza di motivazione per vizio risultante dal testo del provvedimento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza rispettivamente per il reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi e per i reati di cui gli artt.110 e 497 bis, comma 2, cod. pen. e relazione agli artt.110, 61, comma 1, n.2) e n. 11), 624, 625, comma 1, n. 4), cod. pen. (capo 50, avente ad oggetto il reato di furto pluriaggravato in concorso del contratto originale di polizza intestato a NOME) dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, sono inammissibili.
Il ricorrente omette di confrontarsi con il principio della cd. “doppia conforme” e di autosufficienza del ricorso.
Egli, infatti, deduce la mancanza di motivazione in ordine a tali reati, ma nulla allega con riguardo a quella dell’ordinanza cautelare, conforme sul punto, che neppure produce o riporta.
Sotto tale aspetto, pertanto, il ricorso è inammissibile.
È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale del riesame i cui motivi rinviino genericamente alle censure articolate nel precedente atto di gravame senza indicarne il contenuto, in quanto anche nella materia cautelare è necessario che il ricorso rispetti i necessari requisiti di specificità stabiliti dall’art. 581, lett. c), cod. proc. pen., al fine di consent l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (Sez. 6, Sentenza n. 11008 del 11/02/2020, Rv. 278716 – 01).
2.6 Il sesto motivo di ricorso che deduce manifesta illogicità della motivazione per vizio risultante sia dal testo del provvedimento sia da NOME atti del procedimento ((verbale di interrogatorio di COGNOME e di COGNOME, tabulati telefonici, verbali di intercettazioni telefoniche, esiti di accertamenti del contenuto del dispositivo cellulare, verbali di perquisizione del 29.01.2024) ai
sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.292, comma 2, lett. c), 274, comma 1, lett. c), e 275 cod. proc. pen., per la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari in considerazione dell’arco temporale di oltre tre anni (novembre 2020) trascorso dai fatti, è infondato.
Va osservato che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze ed esigenze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019 Rv. 276976 – 01).
In tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del Tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 – 01).
Tanto premesso, la motivazione non presenta nessuno dei suddetti vizi. Giova qui mettere inevidenza che l’ordinanza del Tribunale sul punto costituisce conferma di quella cautelare del GIP e, trattandosi di cd “doppia conforme”, il ricorrente avrebbe avuto l’onere di confrontarsi anche con la motivazione resa al riguardo nel primo provvedimento.
In ogni caso, deve considerarsi che l’ordinanza impugnata espressamente richiama la motivazione, conforme sul punto, del GIP, che ha arricchito di considerazioni tutt’altro che illogiche o contraddittorie, valorizzando la pericolosità delle condotte tenute che denotavano una complessa organizzazione, una capacità di penetrazione in sistemi difensivi ed un’alta offensività, per il numero di reati commessi e per la dannosità degli stessi, perché il risultato delle truffe giungeva a vanificare le aspettative previdenziali, ovvero relative alla fase più delicata e debole della vita, delle vittime.
I giudici, infatti, hanno richiamato il comportamento in concreto tenuto dall’indagato e la sua particolare personalità per sostenere il pericolo di reiterazione della condotta e l’adeguatezza del regime cautelare disposto, adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede.
Il Tribunale ha anche adeguatamente valorizzato la circostanza che dagli atti di indagine a sorpresa erano emersi numerosi elementi quali le modalità delle condotte tenute, la professionalità dimostrata dagli associati, la meticolosità dell’organizzazione con cui si operava, la temibile ampiezza del fenomeno criminoso intercettato riuscendo a raggiungere ed impiegare informazioni riservate all’interno di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che consentivano, mediante ulteriori professionalità delinquenziali, di utilizzare tecniche di frode di assoluto allarme sociale, del numero di soggetti coinvolti (soggetti intranei alle RAGIONE_SOCIALE, solo in parte emersi, falsificatori professionali di documenti, di una rete di soggetti pronti a prestare la loro identità per le contraffazioni, di ulteriori complici che si presentavano agli sportelli per apertura dei conti o per le riscossioni) di una conoscenza analitica delle modalità di gestione dei prodotti finanziari, di mezzi e strumenti e deputati alle frodi (schede, sim, cellulari), di sapienti abilità informatiche (accessi agli account, fittizie mail o pec, ingressi al portale poste.it ), evidenziando un quadro di tale capacità criminale desumibile anche dalla spregiudicatezza nella ricerca del denaro, ai danni di persone anziane e/o indifese, da essere di conclamato pericolo, a fronte di incassi per centinaia di migliaia di euro, che inducevano a ritenere che l’attività, anche se i fatti accertati erano risalenti nel tempo, era destinata ad ulteriormente protrarsi, ritenendo indispensabile recidere con un minimo di efficacia relazioni associative potenzialmente in corso e/o riattivabili così da impedire nuove collusioni truffaldine nelle quali l’indagato potesse ancora sfruttare il suo know How nella tipologia di frodi già sapientemente condotte e proseguire modificando e/o migliorando le tecniche di aggressione patrimoniale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale ha inoltre valorizzato la pericolosità sociale della condotta nella particolare insidiosità delle truffe considerato che il titolare della polizza, una volta riscossa in suo danno, poteva accorgersi dell’illecito solo dopo decenni dall’incasso (a reati ampiamente prescritti), una volta recatosi alle RAGIONE_SOCIALE per la vera riscossione.
Il Tribunale desumeva ulteriori indici della reiterazione della condotta dalla circostanza che il ricorrente aveva mantenuto l’impiego, con mansioni analoghe, presso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e dall’essere stato il COGNOME “presentato” da altro soggetto colluso (tale NOME COGNOME) al “principe”, capo della organizzazione, NOME COGNOME, e dunque lo stesso aveva mostrato capacità e spregiudicatezza criminali pari a quelle dei più temibili affiliati nonché dalle
risultanze acquisite in sede di esecuzione della misura nei confronti del COGNOME e di NOME COGNOME che mostravano la prosecuzione dell’attività illecita nelle frodi de quibus dal parte del sodalizio criminoso sino al 29 gennaio 2024 e che il COGNOME era ancora in contatto con ambienti delle RAGIONE_SOCIALE e che gli associati continuavano a monitorare nuove vittime alle RAGIONE_SOCIALE.
D’altra parte, l’orientamento richiamato dal ricorrente, secondo il quale invece quanto più distante è l’arco temporale che intercorre tra la commissione dei reati e l’applicazione della cautela, tanto più andrà valorizzato il parametro della gravità della condotta per sostenere la permanenza del pericolo cautelare inteso come sua attualità, si riferisce a situazioni in cui lo iato temporale tra il reato e l’emissione dell’ordinanza cautelare era ben più ampio rispetto a quello che interessa il ricorrente (25 anni nel caso esaminato da Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020, COGNOME, Rv. 279720 – 01; 5 anni nella decisione della Terza Sezione, n. 6284 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 274861 – 01; 7 anni nella fattispecie oggetto di Sez. 6, n. 25517 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270342 – 01).
Anche la scelta della misura domestica è, correttamente, giustificata, non potendo immaginarsi l’efficacia special preventiva di misure non detentive al fine di recidere con un minimo di efficacia relazioni associative potenzialmente in corso e/o riattivabili, così da impedire nuove collusioni truffaldine nelle quali l’indagato potesse sfruttare il suo Know How nella tipologia delle frodi condotte.
In ogni caso, deve considerarsi che l’ordinanza impugnata espressamente richiama la motivazione, conforme sul punto, del GIP, che ha arricchito di considerazioni tutt’altro che illogiche o contraddittorie, valorizzando la pericolosità delle condotte tenute che denotavano una complessa organizzazione, una capacità di penetrazione in sistemi difensivi ed un’alta offensività, per numero di reati commessi e per la dannosità degli stessi, perché il risultato delle truffe giungeva a vanificare le aspettative previdenziali, ovvero relative alla fase più delicata e debole della vita, delle vittime.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 27/06/2024.