Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1668 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1668 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Taurianova il 30/12/1966
avverso l’ordinanza del 18/06/2024 del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Milano ha respinto l’istanza di riesame avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione del fatto, che non sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 ma a quella concorsuale.
Nella prospettazione difensiva difettano, in primo luogo, l’esistenza di una struttura stabile e organizzata che preesista e persista alla commissione dei singoli reati e, in secondo luogo, il profilo soggettivo del reato associativo, ossia la coscienza e volontà di far parte di un gruppo criminoso.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990. Premesso che nessuno dei reati fine è aggravato ex art. 80 del medesimo decreto, rileva il difensore che le detenzioni e le cessioni contestate, essendo ancorate a espressioni indeterminate utilizzate nei dialoghi captati, hanno a oggetto quantitativi non precisati di sostanza stupefacente e, quindi, per favor rei, dovrebbero essere ricondotte alla fattispecie di lieve entità.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione in ordine alla partecipazione all’associazione del ricorrente, a cui non è contestato alcun reato fine e che ha rapporti diretti solo con uno dei presunti sodali, ossia NOME COGNOME non essendo, peraltro, accertato che la frequentazione tra i due avvenisse per cause illecite, nulla emergendo in questo senso dai dialoghi captati. Gli unici elementi a carico del ricorrente sono dialoghi tra altri intercorsi, in c verrebbe chiamato “mastro”, ma questo appellativo, essendo molto comune nel gergo calabrese, non è idoneo a identificarlo in modo certo.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione in ordine all’attualità delle esigenze cautelari, che non può essere desunta dalla gravità del titolo di reato. Nella prospettazione difensiva il Tribunale avrebbe trascurato di considerare dati rilevanti quali il considerevole lasso di tempo trascorso dai fatti contestati, il periodo di custodia cautelare già patito e lo stat di salute del ricorrente, che rappresenta un ulteriore ostacolo alla reiterazione del reato.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono inammissibili.
2. In tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, un vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, la Corte di cassazione è tenuta a verificare, nei limiti consentiti dalla peculiare natura del giudizio di legittimi se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno determinato ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, verificando il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Non è, dunque, consentito proporre censure riguardanti la ricostruzione dei fatti o che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, come invece richiesto dal ricorrente, soprattutto attraverso l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se non quando manifestamente illogico ed irragionevole (tra le tante Sez. 3, n.44938 del 5/10/2021, Rv. 282337).
L’ordinanza impugnata dà conto della complessa attività investigativa sviluppatasi attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, anche con l’uso di captatori informatici, immagini rilevate da sistemi di videosorveglianza, attività di osservazione, controllo e pedinamento, che hanno consentito di acquisire gravi indizi non solo di continue cessioni di stupefacente ma anche dell’esistenza di un sodalizio criminale finalizzato al loro traffico, di cui facevano parte, tra gli al NOME COGNOME promotore e organizzatore, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, oltre all’odierno ricorrente.
L’associazione aveva base operativa presso il distributore di carburanti gestito da NOME COGNOME luogo in cui era conservata la sostanza stupefacente e presso cui avvenivano molte delle transazioni illecite.
Le intercettazioni hanno un contenuto non equivoco, in quanto cessioni e acquisti sono spesso indicati senza l’uso di un linguaggio allusivo, ma facendo riferimento a sostanze e quantitativi di stupefacente, che, tra l’altro, spesso venivano pagati dagli acquirenti attraverso l’uso del POS del distributore di carburanti o mediante ricariche di carte di debito prepagate, modalità di pagamento costituenti un ulteriore indice di come l’attività illecita fosse condotta con professionalità e stabilità.
Gli indizi circa la sussistenza del vincolo associativo tra gli indagati sono stati dedotti dalla continuità e sistematicità delle cessioni di stupefacente nel corso di un considerevole arco temporale, dal ricorso a stabili e plurime fonti di
approvvigionamento in grado di soddisfare le esigenze del mercato in ogni momento, dalla continuità delle comunicazioni telefoniche ed ambientali e dei contatti di presenza tra i vari indagati, dall’esistenza di luoghi a disposizione dell’organizzazione e deputati alla custodia e all’occultamento della sostanza stupefacente e del denaro, dalla organizzazione del gruppo attraverso l’attribuzione ai vari partecipi di specifici ruoli, dall’elevato numero di reati f accertati.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il Tribunale del riesame ha evidenziato l’assiduità dei contatti, la solidarietà tra i sodali, la stabile ripartiz dei ruoli e il numero elevatissimo di reati quali elementi che denotano in modo inequivoco la piena consapevolezza da parte di tutti gli indagati di fornire il proprio apporto ad una vera e propria struttura associativa.
In tale associazione COGNOME aveva il ruolo di tagliare la cocaina, attività che svolgeva presso la sua abitazione, dove lo stupefacente gli veniva portato da NOME COGNOME È emerso, inoltre, che talvolta egli tratteneva la cocaina per venderla direttamente.
Il Tribunale ha escluso la sussistenza dell’ipotesi lieve di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990 (che costituisce una fattispecie autonoma di reato: Sez. U. 34475 del 23/6/2011, Rv. 250352; Sez. 1, n. 13062 del 19/03/2015, Rv. 263106), in quanto l’associazione non era stata costituita solo per commettere reati di lieve entità, ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, tenuto conto degli elevati quantitativi di stupefacente smerciati, anche in favore di soggetti a loro volta dediti allo spaccio al dettaglio e della sua struttura tutt’altro che rudimentale, tale da rendere possibile una attività di spaccio intensa e assai frequente.
4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Quanto all’appellativo di “mastro”, va rilevato che da alcuni dialoghi captati risulta chiaramente che il “mastro” è “NOME“, mentre in due telefonate NOME COGNOME saluta il ricorrente chiamandolo “NOME“.
I contenuti delle intercettazioni sono, poi, molto chiari in ordine al ruolo del ricorrente, cui lo stupefacente veniva portato dallo stesso COGNOME per essere tagliato prima della successiva rivendita a terzi.
La difesa ha rilevato che sono stati captati solo dialoghi tra il ricorrente e NOME COGNOME ma tale elemento non è rilevante in quanto l’indagato era ben noto ai sodali, che a lui facevano riferimento con precisa cognizione e di cui avevano la massima fiducia, al punto da immaginare di affidargli consistenti somme di denaro da trasferire in Calabria tramite la figlia.
Manifestamente infondata è censura di difetto di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale, con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, ha rilevato che la presunzione relativa di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. non è superata da alcun elemento da valutare positivamente in favore del ricorrente, tali non essendo né la documentazione relativa alle sue condizioni di salute né il dato del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, che risalgono al 2021.
Non sono state ritenute idonee misure diverse da quella custodiale in quanto l’indagato ha legami profondi con l’ambiente criminale e ha un rapporto di fiducia con il capo del sodalizio, in un contesto che ha fatto emergere contatti con soggetti gravitanti in ambienti contigui la ndrangheta.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28/11/2024.