Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12509 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12509 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Roma il 10/06/1980 NOMECOGNOME nata a Roma il 03/01/1982
avverso la sentenza del 03/04/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 03/04/2024, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza emessa in data 19/06/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, COGNOME NOME e NOME erano stati dichiarati responsabili dei reati di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990 ed all’art. 73, comma 5, d.P.R, n 309/1990 e condannati, il primo, alla pena di anni quattro di reclusione e, la seconda, alla pena di anni due di reclusione
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.
COGNOME NOME propone quattro motivi di ricorso
Con il primo motivo deduce violazione dell’art 74 d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.
Argomenta che la Corte di appello aveva espresso una motivazione carente, contraddittoria ed illogica con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato associativo; in particolare, i Giudici di merito si erano limitati ad enucleare singoli elementi che tratteggiavano un accordo criminoso tipico del concorso di persone nel reato piuttosto che l’accordo nel reato associativo; tali elementi rimandavano tutti ad un gruppo di soggetti facenti parte di un nucleo familiare , alcuni di essi dediti allo spaccio dietro singole telefonate e non direttamente su strada, in costante difficoltà economica e privi, quindi di entrate tipiche del narcotraffico.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 5) dell’imputazione (cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina a COGNOME COGNOME), lamentando che la Corte di appello si era limitata a richiamare in maniera sintetica le valutazioni del primo giudice, senza rispondere ai motivi di doglianza mossi con l’atto di appello (mancato riconoscimento del COGNOME da parte dell’acquirente, presenza di numerosi pregiudicati dediti alla cessione di sostanze stupefacenti, contraddittorietà tra il profilo apicale del COGNOME e l’attività di cession su strada di piccole quantità di droga).
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 6) dell’imputazione (offerta in vendita a COGNOME Daniele di sostanza stupefacente del tipo cocaina), lamentando che il contenuto delle conversazioni intercettate non era
univoco e poteva essere riferito anche ad altro che non fosse sostanza stupefacente.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 7) dell’imputazione (cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina a NOME COGNOME ed a COGNOME NOME), lamentando che la Corte di appello si era limitata a richiamare in maniera sintetica le valutazioni del primo giudice, senza rispondere ai motivi di doglianza mossi con l’atto di appello.
Penna NOME propone due motivi di ricorso
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/1990 e vizio di motivazione in relazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo.
Argomenta che la Corte territoriale si era limitata ad enucleare singoli elementi che tratteggiavano un accordo criminoso tipico del concorso di persone nel reato piuttosto che l’accordo nel reato associativo; tali elementi rimandavano tutti ad un gruppo di soggetti facenti parte di un nucleo familiare , alcuni di essi dediti allo spaccio dietro singole telefonate e non direttamente su strada, in costante difficoltà economica e privi, quindi di entrate tipiche del narcotraffico; la natura familiare e di parentela tra i supposti sodali rendeva poco distinguibili i legami affettivi da quelli criminali e criminogeni e rendeva impossibile la prova di un accordo criminoso associativo; la Corte di appello non aveva precisato in quale specifica condotta materiale si sarebbe estrinsecato l’apporto della ricorrente quale sodale.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, lamentando che la Corte di appello aveva esposto una motivazione carente, senza considerare gli elementi positivi emergenti, quali la minima partecipazione alle attività del gruppo e la personalità non incline al crimine della ricorrente, dedita per l’intera giornata alla famiglia e ai due figli con problemi di disabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi vanno dichiarati inammissibili sulla base delle argomentazioni che seguono.
Il primo motivo di ricorso di COGNOME NOME ed il primo motivo di ricorso di COGNOME NOME che si trattano congiuntamente perché oggettivamente
connessi in quanto entrambi afferente all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, sono manifestamente infondati.
2.1. Va osservato in premessa che, ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, questa Corte ha chiarito che è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita (Sez.4, n.44183 del 02/10/2013, Rv. 257582 Sez. 1, n 10758 del 18.02.2009, Rv. 242897).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, alla base della figura dell’associazione finalizzata a traffici di sostanze stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74) è identificabile un accordo destinato a costituire una struttura permanente in cui i singoli associati divengono – ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o affidati – parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, preordinati alla cessione o al traffico di droga.
La prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta condudentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 6, n. 10781 del 13/12/2000, dep. 16/03/2001, Rv. 218731).
Per la configurazione del reato associativo non è necessario, inoltre, la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune, in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, col contributo dei singoli associati (Sez 1, n.30463 del 07/07/2011, Rv.251011; Sez.6,n.25454 del 13/02/2009, Rv 244520; Sez. 1, 22 dicembre 1997, n. 5083, Rv. 204963; Sez. 6, 12 maggio 1995, n. 9320, n. 742, Rv. 202037; Sez. 1, 31 maggio 1995, n. 742, Rv. 202193; Sez. 6, 9 gennaio 1995, n. 2772, Rv. 201353).
Ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito sostanze stupefacenti, non è, dunque, richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli f vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, Rv. 245282). Si è precisato, inoltre, che, ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune (Sez.3, n. 32485 del 24/05/2022, Rv.283691 – 02); e si è affermato che la commissione dei “reatifine”, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria né ai fini della configurabilità dell’associazione né ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez.4, n. 11470 del 09/03/2021, Rv.280703 – 02; Sez.3, n. 9459 del 06/11/2015, dep.08/03/2016, Rv. 266710 – 01), costituendo al più indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione (così Sez. 4, n. 23518 del 29/04/2008, COGNOME, Rv. 240843, nello stesso senso anche Sez. 6, n. 9898 del 21/06/1995, Tolone, Rv. 202646); ma si è anche precisato che la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso, di reati-fine integra, per ciò stesso, gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi e fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato “de quo”, non può consistere nell’allegazione della limitata durata dei rapporti intercorsi (Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Sindyal, Rv. 246441; Sez. 5, 10 n. 6026 del 25/03/1997, Puglia, Rv. 208088). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per la configurabilità della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non è richiesto un atto di investitur formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (Sez.3,n.22124 del 29/04/2015, Rv. 263662 – 01; Sez.4,n.51716 del 16/10/2013, Rv. 257905 – 01); è, quindi, indispensabile la volontaria e consapevole realizzazione di concrete attività funzionati, apprezzabili come effettivo e operativo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione (Sez.6, n.34563 del 17/07/2019, Rv. 276692 -01)Va, infine, ribadito il principio secondo il quale l’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, una volta verificata
la sussistenza dei requisiti inerenti alla continuità e sistematicità dello spaccio ed alla predisposizione di una struttura operativa stabile, non è esclusa per il fatto che il sodalizio sia per lo più imperniato attorno a componenti dello stesso nucleo familiare, poiché, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, lo rendono ancora più pericoloso (ex mukis Sez. 1, n. 35992 del 14 giugno 2011, COGNOME e altri, Rv. 250773 – 01; Sez. n. 5, n. 6782 del 16/01/2015, COGNOME, Rv. 262733 – 01, in cui si afferma che “integra gli estremi costitutivi dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti lo svolgimento continuativo, da parte di un nucleo familiare, di un’attività di spaccio presso l’abitazione dotata di una stabile clientela, di una rudimentale organizzazione fondata sull’interscambio dei ruoli esecutivi e sulla predisposizione di un nascondiglio funzionale al deposito dello stupefacente nelle pertinenze dell’abitazione nonché di stabili canali di rifornimento”; e da ultimo Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 268184 – 01).
2.2. Nella specie, la Corte di appello (pp da 2 a 10 della sentenza impugnata), nel confermare la decisione del primo giudice, ha evidenziato che il compendio probatorio, e in particolare le risultanze delle intercettazioni telefoniche in atti e degli altri atti di indagine (servizi di ocp, sequestri amministrativi e penali) comprovava lo svolgimento da parte degli imputati (oltre che dai computati giudicati separatamente), di una sistematica attività di spaccio di sostanze stupefacenti in forma organizzata, nel periodo contestato in imputazione, in Santa Palomba nel comprensorio situato in INDIRIZZO tra i civici 60 e 64, condotte integranti il contestato reato associativo; in particolare, i sodali, legati tra di lo da rapporti di parentela o affinità, avevano a disposizione un bar-circolo ricreativo, situato all’ingresso del comprensorio e gestito dagli imputati, e due appartamenti, adibiti a luoghi di spaccio di stupefacente di tipo diverso; la zona era costantemente controllata da “vedette” a piedi o in bicicletta e da telecamere, ciascun dei sodali poneva in essere segmenti della condotta delittuosa in maniera coordinata e i proventi dello spaccio venivano divisi tra i sodali; gli imputati svolgevano stabilmente concrete attività funzionali, apprezzabili come effettivo consapevole e operativo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione (COGNOME NOME svolgeva – unitamente al coimputato COGNOME– un ruolo direttivo dell’associazione criminosa, come comprovato dalla circostanza che gli spacciatori, contattati direttamente dagli acquirenti, dovevano chiedere conferma ai predetti prima di poter effettuare la cessione; NOME svolgeva il ruolo di vedetta della piazza di spaccio, fungeva da punto di raccordo tra il Fabeni e gli altri associati, impartendo anche direttive per lo svolgimento dell’attività illecita).
Le valutazioni effettuate dalla Corte di appello, in ordine alla prova della sussistenza della associazione ex art. 74 T.U. stup e delle singole condotte partecipative sono basate su argomentazioni congrue e prive di vizi logici nonchè conformi ai principi di diritto affermati in subiecta materia da questa Suprema Corte di Cassazione.
A fronte di un percorso argomentativo adeguato e corretto in diritto, i ricorrenti propongono censure meramente contestative ed orientate a sollecitare una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.
2.3. Né coglie nel segno la deduzione difensiva, secondo cui le condotte degli imputati configurerebbero, invece, un concorso di persone 0 11 ~97 nel reato %-continuato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Va ricordato che l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo nonchè nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez.6 n. 17467 del 21/11/2018, dep.23/04/2019, Rv.275550 – 01), elementi, nella specie, tutti ricorrenti.
Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso di COGNOME NOME sono inammissibili, perché generici ed aventi ad oggetto censure non proponibili in sede di legittimità.
La Corte di appello, con motivazione adeguata e priva di vizi logici, nel dare risposta ai motivi di appello, ha richiamato le specifiche risultanze istruttorie che comprovavano la sussistenza dei reati-fine contestati al COGNOME (pp 10 e 11 della sentenza impugnata).
Il ricorrente non si confronta criticamente con le argomentazioni della Corte di appello, confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (cfr. Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181); ne consegue che i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando- come nella specie- difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato ( cfr Sez.2, n.19951 del 15/05/2008, Rv.240109;Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez.2, n.11951 del 29/01/2014, Rv.259425).
Il ricorrente, inoltre, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nei motivi in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, COGNOME, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, COGNOME, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, COGNOME, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
4. Il secondo motivo di ricorso di COGNOME NOME è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha confermato la valutazione del primo giudice in ordine alla insussistenza di elementi positivi valutabili ai fini della applicazione delle circostanze attenuanti generiche, così assolvendo al relativo obbligo motivazionale.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è oggetto di un giudizio di fatto e non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, COGNOME ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Va, quindi, riaffermato il principio che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’art. 62 bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92 convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a
tale fine (Sez.4, n. 32872 del 08/06/2022,Rv.283489 – 01; Sez. 1,n.39566 del 16/02/2017, Rv.270986; Sez.3, n.44071 del 25/09/2014, Rv.260610, cit.).
Consegue, pertanto, come anticipato, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell’art. 616 cod. pro pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna de ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna í ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.