LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Associazione per delinquere: indizi e custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. La Suprema Corte ha confermato che, ai fini delle misure cautelari, i gravi indizi di colpevolezza possono essere desunti anche da sentenze non definitive e da intercettazioni. Il ruolo apicale dell’indagato, emerso dalle conversazioni e dal suo intervento in affari economici e politici per conto del clan, è stato ritenuto un elemento decisivo per confermare la misura detentiva.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione per delinquere: i gravi indizi bastano per la custodia cautelare

Con la sentenza n. 5328 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di associazione per delinquere di stampo mafioso, offrendo importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere. La decisione sottolinea come i gravi indizi di colpevolezza possano fondarsi su un complesso di elementi, incluse sentenze non definitive e intercettazioni, e come il ruolo apicale dell’indagato rafforzi la presunzione di pericolosità sociale.

I fatti del caso

Il Tribunale della Libertà confermava un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un soggetto accusato di essere promotore, dirigente e organizzatore di un’associazione criminale armata, operativa in un’area del Sud Italia. L’indagato, attraverso il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, contestando sia l’esistenza stessa dell’associazione nel periodo indicato, sia la sua personale partecipazione ad essa.

I motivi del ricorso

Il ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali:
1. Carenza di prova sull’esistenza dell’associazione: La difesa sosteneva che l’accusa si fondasse su vecchi procedimenti giudiziari, senza una verifica concreta dell’operatività e della forza intimidatrice del gruppo criminale nel periodo di tempo contestato.
2. Insussistenza della partecipazione: Si contestava l’interpretazione degli elementi a carico, in particolare riguardo alla gestione di un villaggio turistico. Secondo la difesa, l’interesse dell’indagato in quella vicenda era puramente personale e non legato agli scopi dell’associazione.

L’analisi della Cassazione sull’associazione per delinquere

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, ritenendoli infondati. La motivazione della sentenza offre un’analisi dettagliata dei requisiti necessari per giustificare una misura cautelare così afflittiva.

La validità degli indizi e delle sentenze non definitive

La Corte ha ribadito un principio fondamentale in materia cautelare: i gravi indizi di colpevolezza, richiesti dall’art. 273 c.p.p., possono essere legittimamente desunti anche da sentenze non ancora diventate irrevocabili. Questo non viola le norme del codice, che riservano il valore di prova delle sentenze definitive al solo giudizio di merito sulla colpevolezza. Nel caso di specie, l’ordinanza del Tribunale non si basava solo su vecchi procedimenti, ma era corroborata da un’ampia analisi di intercettazioni recenti che dimostravano l’attuale operatività del clan in svariati settori: dal controllo del territorio agli interessi economici in un complesso turistico, fino al condizionamento delle elezioni locali, al traffico di stupefacenti e alla detenzione di armi.

La prova del ruolo apicale nell’associazione per delinquere

La Suprema Corte ha ritenuto logica e coerente la ricostruzione del Tribunale riguardo al ruolo di vertice del ricorrente. Gli elementi decisivi sono emersi da diverse conversazioni intercettate:
* Gestione di affari economici: L’intervento dell’indagato nelle trattative per l’acquisizione del villaggio turistico non è stato considerato un mero interesse privato. La sua pretesa di un “beneficio”, la sua intenzione di consultare il capo clan detenuto e il suo potere di bloccare le trattative sono stati interpretati come azioni svolte in nome e per conto dell’associazione.
* Controllo politico del territorio: Le intercettazioni hanno rivelato il suo sostegno a un candidato sindaco con l’obiettivo di creare un più ampio pacchetto di voti e superare quella che gli stessi indagati definivano una “‘ndrangheta agricola”, dimostrando un interesse a consolidare il potere del clan a livello istituzionale.
* Potere decisionale e gerarchico: Il suo ruolo apicale è stato confermato dalla sua capacità di stipulare accordi con altre cosche, di rapportarsi alla pari con il capo clan e di impartire ordini diretti ad altri affiliati.

Le motivazioni

La Corte ha concluso che la motivazione dell’ordinanza impugnata fosse solida e priva di vizi logici. Il Tribunale ha correttamente saldato i contenuti delle sentenze precedenti con le nuove prove emerse dalle intercettazioni, delineando un quadro di continuità operativa del sodalizio criminale. Per un’associazione per delinquere radicata storicamente nel territorio, non è necessario dimostrare nuove e specifiche manifestazioni della sua forza di intimidazione. La partecipazione del ricorrente, e in particolare il suo ruolo di vertice, è stata desunta non da un singolo elemento, ma da una pluralità di conversazioni che, lette nel loro insieme, ne hanno rivelato il potere e la funzione strategica all’interno del clan. Infine, la Corte ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando che la doppia presunzione di pericolosità prevista dalla legge per i reati di mafia è ulteriormente rafforzata quando l’indagato ricopre una posizione di comando.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di misure cautelari per reati di mafia. Stabilisce che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza deve essere complessiva e può legittimamente includere elementi provenienti da procedimenti non ancora definiti, purché integrati da nuove e concrete risultanze investigative. Il ruolo apicale di un soggetto, dimostrato attraverso le sue azioni e il suo potere decisionale, diventa un fattore cruciale non solo per provare la partecipazione all’associazione, ma anche per giustificare l’applicazione della massima misura cautelare, la custodia in carcere.

Per applicare la custodia cautelare per associazione per delinquere, sono necessarie sentenze di condanna definitive?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che i gravi indizi di colpevolezza, necessari per le misure cautelari, possono essere validamente desunti anche da sentenze non ancora irrevocabili, oltre che da altri elementi come le intercettazioni telefoniche e ambientali.

Come si dimostra il ruolo di vertice di un indagato all’interno di un’associazione criminale?
Il ruolo apicale può essere desunto da una serie di elementi fattuali specifici emersi dalle indagini, come la capacità di impartire ordini ad altri affiliati, di gestire trattative economiche complesse per conto del clan, di rapportarsi alla pari con altri capi e di influenzare la vita politica locale per favorire gli interessi dell’associazione.

Quando è giustificata la massima misura cautelare (carcere) per questo tipo di reato?
Per i reati di associazione di tipo mafioso vige una presunzione di legge secondo cui la custodia in carcere è l’unica misura adeguata. La Corte ha specificato che questa presunzione è ulteriormente rafforzata quando l’indagato ricopre un ruolo di vertice, poiché tale posizione è considerata funzionale agli interessi della cosca e denota una maggiore pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati