Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17203 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17203 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 27/06/1966 NOME nato il 01/12/1966 NOME nato a PERUGIA il 16/12/1993
avverso la sentenza del 13/12/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi riportandosi alla requisitoria scritta g depositata;
udito il difensore della parte civile, RAGIONE_SOCIALE avv. NOME COGNOME che si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese;
udito il difensore di NOME COGNOME avv. NOME COGNOME anche in qualità di sostituto processuale del co-difensore, avv. NOME COGNOME che conclude riportandosi ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento;
udito il difensore di NOME COGNOME avv. NOME COGNOME anche in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME che conclude riportandosi ai motivi di
udito il difensore di COGNOME, avv. NOME COGNOME che conclude ricorso chiedendone l’accoglimento; riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13.12.2022, la Corte di appello di Firenze /in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze del 28.10.2020, che condannava NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui all’art.416 cod. pen. e ciascuno per i reati rispettivamente ascritti alle pene ritenute di giustizia, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per i reati ascritti ai capi 8), 11), 14), 16) e 24) e nei confronti di NOME COGNOME per il reato ascritto al capo 16) per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena per NOME COGNOME in anni 1 mesi 4 di reclusione e per NOME COGNOME in anni 3 di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata, con condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio e condannando gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE e dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE
Avverso la suindicata sentenza, l’imputata NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a due motivi, qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza di motivazione, deducendo che la Corte territoriale non si sarebbe confrontata con le censure formulate nell’atto di appello in relazione alla ritenuta sussistenza del reato associativo contestato al capo 1), quale organizzazione distinta rispetto alla preesistente organizzazione familiare e imprenditoriale di produzione di articoli di pelletteria, destinata esclusivamente alla attività delittuosa;
2.2 n secondo motivo di ricorso lamenta vizio di manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato associativo, deducendo che la Corte di appello non si sarebbe confrontata con le doglianze contenute nell’atto di appello in ordine alla qualificazione in termini di affectio societatis della condotta di COGNOME nei confronti del marito e della figlia, che mancherebbe dei requisiti di tipicità rispetto al programma criminoso, riconducibile a vincoli di
stretta parentela, e che la rilevata cooperazione non sarebbe prova della condotta partecipativa nonché della volontà di costituire un sodalizio criminoso, ritenendo, con motivazione apodittica in quanto non correlata ad alcun dato fattuale, che NOME COGNOME sia uno dei titolari del laboratorio di pelletteria, fittiziamente intestato a terzi.
Si deduce che la Corte territoriale omettek,di pronunciarsi sulla esistenza di una autonoma e diversa organizzazione criminosa rispetto a quella lecita, circostanza non desumibile dal contenuto delle intercettazioni, che coprono un limitato arco temporale di due mesi, rispetto al periodo temporale considerato, e riguardano soltanto l’attività svolta nella pelletteria Wuz, unica sede presso la quale la Sumei collaborava, né dal reato di falso contestato al capo 16), commesso detta pelletteria, che si tratterebbe di un accordo caratterizzato dalla occasionalità, deducendo, altresì, che i reati fine di cui ai capi 8), 11), 14) e 24), sono stati realizzati presso altra pelletteria, di Hu Shaoxi, in relazione ai quali non è coinvolta la Hu Sumei, e che la Corte di appello, per sostenere la condotta partecipativa, richiama la sentenza di questa Corte del 7/10/2015 n.40341, emessa nell’ambito della fase cautelare reale, allo stato degli atti, senza considerare che l’accusa è stata ridimensionata nel corso del giudizio per numero dei delitti, dei componenti dell’associazione per delinquere (da 11 limitata a 3), per numero di “pezzi” contraffatti dei reati fini (da 27.000 a 5.500).
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a due motivi, qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art.416 cod. pen., deducendo che la Corte di appello non avrebbe motivato sulla ritenuta sussistenza del reato associativo contestato al capo 1) sotto il profilo oggettivo, quale organizzazione distinta rispetto alla preesistente organizzazione familiare e imprenditoriale di produzione di articoli di pelletteria, destinata esclusivamente alla attività delittuosa, deducendo che la commissione di una pluralità di fatti delittuosi da parte di uno stesso gruppo familiare non comporta di per sé l’esistenza di un pactum sceleris e di un generico programma criminoso, dovendosi distinguere se i componenti della stessa famiglia abbiano agito in concorso tra loro ovvero se ad essi sia riferibile anche il delitto associativo, se si siano avvantaggiati della preesistente organizzazione familiare per la commissione dei reati o se, affiancata ad essa, ne abbiano voluto e realizzato altra, dotata di distinta ed autonoma operatività,
omettendo di considerare l’esiguo arco temporale esaminato, della attività commerciale lecita svolta dalla famiglia, del numero dei partecipi limitato a tre soggetti, e che NOME COGNOME si sarebbe occupata di un unico episodio, interessandosi di un container mentre sarebbe stata attiva come operaia ed impiegata. Si deduce altresì, che l’esistenza della fattispecie aggravata di cui all’art.474 ter cod. pen., limiterebbe l’inquadramento dei fatti nel reato di cui all’art.416 cod. pen.
3.2 II secondo motivo di ricorso lamenta vizio di illogicità della motivazione in relazione all’art.416 cod. pen., deducendo che la Corte di appello ha ricavato dalla serialità e pervicacia dei reati fine un indice della sussistenza del sodalizio criminoso, elementi che, nella specie, mancherebbero (nei confronti di Hu Shaoxi sono stati eseguiti dalla GdF solo due sequestri), ha rideterminato i ruoli dei singoli componenti, il ricorrente, di partecipe, con un ruolo fondamentale nella omonima pelletteria Hu COGNOME nonché punto di riferimento costante per la figlia NOME COGNOME non avrebbe motivato sul ruolo della NOME COGNOME, di tipo occasionale, che dovrebbe desumersi dal contenuto delle conversazioni intercettate, intercorse con la figlia NOME COGNOME nonché dalla indicazione delle condotte dalla stessa compiute (Si occupa della produzione in prima persona e in stretta collaborazione con la figlia, personalmente coinvolta nelle varie fasi della lavorazione e del controllo della qualità dei prodotti, nonché delle questioni organizzative). Si deduce, altresì, che la Corte di appello non ha considerato che la primaria attività di produzione di articoli di pelletteria svolta dalla famiglia era quella lecita e che la merce sequestrata rappresentava solo una minima parte di quella effettivamente venduta, nonché il rapporto con la ritenuta organizzazione illecita.
Avverso la suindicata sentenza, la imputata NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo, qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
4.1 La ricorrente lamenta vizio di manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art.416 cod. pen., deducendo che la Corte di appello non si sarebbe confrontata con la natura promiscua dell’attività, sulla nuova dimensione assunta dal preteso reato associativo, sul ridimensionamento del numero dei delitti-fine, del numero dei di partecipi, il limitato arco temporale della contestazione e del numero di “pezzi” contraffatti, che avrebbe imposto un rinnovato giudizio in ordine al prevalere o meno della attività lecita su quella illecita, considerato il limitato.
Quanto alla posizione della ricorrente, si deduce che la Corte di appello avrebbe desunto il concorso di COGNOME nel reato fine di cui al capo 16)
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(dichiarato estinto per prescrizione) dalla partecipazione al reato associativo e non da un concreto contributo causale alla realizzazione del reato.
Si deduce che la Corte di merito, da un lato, dà atto della preesistente organizzazione imprenditoriale lecita e, dall’altro, attribuisce il complesso di beni organizzati per l’esercizio della impresa al sodalizio criminoso, ritenendo sussistere, senza spiegarla, una sovrapposizione tra le due organizzazioni, deducendo carenza di motivazione in punto concorso nel reato ovvero di conversione della organizzazione lecita al delitto ovvero della sussistenza di due organizzazioni parallele, nonché sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo sul piano oggettivo e su quello soggettivo del dolo specifico, quale coscienza e volontà di commettere più reati con i sodali, considerando che la condotta della ricorrente si esaurisce all’interno dei locali di una sola ditta, la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per comodità espositiva, i motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntannente) in considerazione dei vizi di violazione di legge e di motivazione, dedotti dalle difese, in relazione alla sussistenza del reato di cui all’art.416 cod. pen. contestato al capo 1).
Le deduzioni riportate nei ricorsi costituiscono, in realtà, una richiesta di diversa valutazione degli elementi e del materiale probatorio, valutazione preclusa nel giudizio di legittimità, circoscritto alla verifica sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza knon può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen., mediante una rinnovata valutazione o rivalutazione degli elementi probatori acquisiti al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito.
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/ 1997, COGNOME, Rv. 207944 – 01; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260). L’illogicità della motivazione, come vizio deducibile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/ 11/ 1999, COGNOME, Rv. 214794). La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202903). Esso è configurabile, invece, unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata, Sez. 1, n. 6922 del 11/05/1992, COGNOME, Rv. 190572 – 01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/201 2, COGNOME, Rv. 253445 – 01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/20 14, COGNOME, Rv. 26084 1 – 01; Sez. 2, n. 46241 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte d’appello ha tenuto conto, rispondendo punto per punto, ‘911″e argomentazioni delle difese, non solo44elle enunciate nei motivi d’appello, richiamando anche la sentenza di primo grado. Alla stregua del costante orientamento di questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024 Rv. 286406 – 02), la motivazione “per relationenn” alla sentenza di primo grado,nel giudizio di appello è legittima nel caso in cui il complessivo quadro argonnentativo fornisca
una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità. Tanto premesso / va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argonnentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2- , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
3. L’associazione per delinquere è, in linea di principio, una fattispecie a forma libera e a bene giuridico abbastanza indefinito; il Codice Rocco ha difatticondotto la fattispecie al massimo grado delle sue potenzialità espressive, sia riducendo a tre il numero minimo dei concorrenti necessari, sia generalizzando lo spettro dei delitti-scopo, sia infine tratteggiando il delitto nei termini di una ipotesi di pericolo presunto. Per attribuire concretezza e percettibilità a tale fattispecie criminosa si è dunque cercato di definire il bene giuridico tutelato e lo si è trovato nella figura vaga e flessibile dell – ordine pubblico”; quest’ultimo concetto lo si è a sua volta identificato nella pace, sicurezza e tranquillità pubbliche. Più precisamente, tutela dell’ordine pubblico non significa tutela di un ordine ideale, bensì azione conservativa di un assetto sociale esistente caratterizzato da determinati tassi di criminalità, contro i rischi di recrudescenza criminale, cioè di incremento dei tassi di criminalità preesistenti. L’ordine pubblico diventa dunque, in tale ottica, quasi una grandezza criminologica graduabile in base a due variabili: gli atti criminali e le opportunità criminali.
3.1 La motivazione adottata dai giudici di merito appare esente da censure logico – giuridiche. I giudici di merito hanno accertato l’esistenza di un gruppo familiare, NOME, di nazionalità cinese, dedito alla produzione e alla commercializzazione di prodotti di pelletteria mediante contraffazione di modelli in alcuni casi, di marchi tutelati dalle norme sulla proprietà industriale, evidenziando gli stretti legami parentali tra gli associati, il perdurare dell’affectio societatis nel tempo, l’omogeneità del gruppo, la risalente capacità organizzativa, connessa all’esercizio stesso dell’impresa, valorizzando la sussistenza di una struttura societaria, preesistente alla ideazione del programma criminoso, inizialmente e, anche in seguito, dedita anche a fini leciti, che veniva ampliata, rafforzata ex sistematicamente utilizzata e posta a servizio della parallela attività
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illecita, rendendosi impossibile distinguere tra capitali leciti e illeciti, posta l’irreversibile contaminazione dell’accumulo di ricchezza (Sez. 2, Sentenza n. 34126 del 05/06/2024, Rv. 286921 – 02).
La qualità dell’associazione criminosa è emersa distintamente anche dalla programmazione di un numero indeterminato di reati dello stesso tipo, compiuti curando l’intera filiera produttiva della merce contraffatta (acquisto delle materie prime, organizzazione di plurimi laboratori di produzione, tutti dotati di macchinari e punzoni, imballaggio, magazzini di stoccaggio), dalla intestazione fittizia di contratti di locazione degli immobili dove veniva esercitata l’attività delittuosa, dalla vendita e distribuzione della merce ad una rete consolidata di clienti, dall’utilizzo promiscuo dei diversi conti correnti delle diverse pelletterie, intestati ai sodali o a prestanome, anche per pagamenti dei clienti, dalla stabile organizzazione, con attribuzione di uno specifico ruolo ad ogni compartecipe. L’elevata specializzazione acquisita dal gruppo, che a tal fine ha potuto sfruttare anche la capacità d’intesa dovuta alla sussistenza del vincolo familiare, ha consentito la consumazione di più reati, a dimostrazione di una serialità di programmazione collegata all’esistenza di una struttura associativa. Dimostrati sono stati poi i supporti organizzativi, che necessariamente postulavano l’esistenza di più soggetti e la predisposizione di specifiche risorse (v.18-26 pag. sentenza d’appello).
Correttamente, dunque, nel caso in esame può trovare applicazione il principio giurisprudenziale, già fissato per l’associazione a delinquere al fine di spaccio di sostanze stupefacenti, secondo il quale in tema di associazione a delinquere, verificata la sussistenza dei requisiti richiesti per la configurabilità del reato associativo desumibili dalla continuità e sistematicità dell’attività criminosa (nella specie, reati di contraffazioni di marchi e modelli industriali registrati) e dalla predisposizione di una struttura operativa stabile, la costituzione del sodalizio criminoso non è esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più intorno a componenti della stessa famiglia atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, la massima sintonia e la piena conoscenza reciproca, sommandosi al vincolo associativo, lo rendono ancora più pericoloso ed insidioso (Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, lussi e altri, Rv. 261426; Sez. 1, n. 35992 del 14/06/2011, COGNOME e altri, Rv. 250773; Sez. 3, Sentenza n. 48568 del 25/02/2016, Rv. 268184 – 01; Sez.3, 17/11/2016 n.48568, Rv.268184-01).
Su tale struttura si è innestato il pactum sceleris, fermo e condiviso tra gli associati, emergente dalle conversazioni intercettate, dalla estrema preoccupazione per le sorti dell’attività aziendale e dal comportamento da essi tenuti nel corso degli accertamenti, elementi che provano, secondo i giudici di
merito, la consapevolezza della sua attuazione da parte di ciascuno dei soggetti coinvolti nella esecuzione dei delitti-scopo, a prescindere dalla durata e oggettiva rilevanza del singolo contributo. Al riguardo, la Corte di merito, con motivazione immune da vizi di illogicità manifesta e da censure, richiama lo sforzo profuso dagli associati (conclamato nella ricerca di nuovi laboratori in sostituzione di quelli sequestrati) per mantenere inalterata la produzione di merce contraffatta, rilevando che, in tema di associazione per delinquere, per la costituzione di un sodalizio associativo non sia necessaria la esplicita manifestazione di una volontà, “potendo la consapevolezza dell’associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione” (Sez. 2, 19.10.2020, n.28868).
Con riguardo alla sussistenza dell’affectio societatis, la Corte territoriale ha ricondotto la fattispecie ad un corretto schema normativo, posto che, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione con fini criminali, è sufficiente anche l’adesione e l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata e per un determinato segmento criminoso, ove emerga l’esistenza di un’organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 18055 del 10/01/2018), con predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte del singolo per il raggiungimento dello scopo.
Quel che conta è la consapevolezza e volontà di partecipare assieme ad almeno altre due persone, aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminale strutturata (Sez. 1, 22 aprile 1985, n.7462, Rv.170223, Rv. 170229 – 01; Sez. I, 12 aprile 1982, n. 1637); come quella che fa leva sulla fuoriuscita dalla compagine sociale perchè trattasi di circostanza che non priva di valenza la condotta delittuosa anteriormente posta in essere.
La costituzione di un’associazione delittuosa si inserisce in questa trama di relazioni illecite, interagendo con il sistema. La nuova associazione si apre un proprio spazio operativo e così modifica gli assetti preesistenti, non solo incrementando le chances delittuose del sistema nel settore specifico dei delitti programmati, ma anche determinando collateralmente fenomeni di criminalità indotta (ad esempio se, come nella specie, una nuova struttura organizzata si inserisce in un sistema locale di contraffazione di marchi e modelli industriali, allora vedremo ridisegnati i settori di specializzazione criminale ed i campi operativi, incrementato l’afflusso di beni ricettati nel territorio, aumentati in misura esponenziale i reati di contraffazione, nuovi rapporti si intrecceranno con altri soggetti delinquenti operanti in settori collegati del crimine – quali gestori di laboratori di produzione e magazzini di stoccaggio -, aumenteranno i reati connessi
alla natura criminogena del fenomeno, quali l’acquisizione illecita di segreti industriali e brevetti, gli illeciti in materia di sicurezza sul lavoro, quelli di natur tributaria e previdenziale, ecc.).
Inserita, dunque, come fa la Corte d’appello, l’organizzazione imprenditoriale della famiglia Hu nella trama complessiva delle emergenze processuali, ne emerge una struttura associativa tanto più coesa, in ragione dei legami familiari, e comunque collaudata a sufficienza da adottare comportamenti preventivi di sempre possibili intrusioni da parte delle forze dell’ordine
Non sussiste, infatti, alcuna diversa organizzazione imprenditoriale illecita rispetto alla preesistente struttura imprenditoriale lecita. A fronte di tutto quanto precede, l’evocazione, ancora in ricorso, della possibilità che la maggior parte della merce in sequestro fosse riconducibile ad attività lecita d’impresa è irrilevante / considerato che l’associazione sfruttava i meccanismi di operatività, di per sé leciti, di un’impresa asservita, anche solo in parte, all’attività illecita, per produrre e vendere anche una notevole quantità di merce contraffatta pari a 5.500 “pezzi”, come si evince dagli esiti dei sequestri (Sez. 2, Sentenza n. 290 del 15/10/2021, dep. 2022, Rv. 282513 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 11666 del 13/02/2019, Rv. 275292 – 01)
L’assunto del ridimensionamento del reato associativo (per numero dei partecipi, numero dei reati-fine e numero dei “pezzi” contraffatti) non tiene conto dell’acquisito principio secondo il quale il numero minimo di tre persone può raggiungersi anche per successiva adesione di altri ad un vincolo originario tra due soggetti, conseguendone, in tal caso, che il delitto associativo è configurabile dal momento in cui il vincolo è esteso al numero minimo di correi (Sez. V, 4 maggio 1987, Lombardi, 176523): e il provvedimento impugnato segnala puntualmente la peraltro, quasi contestuale, comparsa nello scenario sociale degli altri coi mputati, odierni ricorrenti, perfettamente consapevoli del modo operativo della società e delle finalità di produzione e contraffazione di prodotti di pelletteria da cui erano animati i correi (Sez. 5, Sentenza n. 31149 del 05/05/2009, Rv. 244486 – 01).
3 .2 E’ stato delineato, inoltre, il ruolo rivestito da ciascun membro del gruppo criminoso, da individuare o all’interno della stessa oppure all’esterno della compagine societaria, precisamente, NOME COGNOME detta NOME, di organizzatrice, con il supporto dei genitori, interfacciandosi con i vari clienti, esercitava un ruolo decisionale riguardo ai diversi profili dell’attività illecita (ordini di produzione adempi menti contabili), gestendo anche il flusso dei relativi proventi finanziari; NOME COGNOME detto NOME, di partecipe con ruolo fondamentale nella omonima ditta individuale, occupandosi degli approvvigionamenti di materie prime e di accessori,
utilizzati nei laboratori di produzione e assemblati ai modelli di borse di riferimento, della produzione e dello stoccaggio.
La Corte di appello, confrontandosi con il ricorso, ha evidenziato il ruolo di NOME COGNOME detta NOME, quale soggetto che partecipava al programma criminoso dell’associazione, occupandosi della produzione in prima persona, in rapporto di stretta collaborazione con la figlia, NOME COGNOME direttamente e personalmente coinvolta nelle varie fasi della lavorazione e nel controllo di qualità dei prodotti, nonché delegata ad operare sul conto corrente n.1000/338, intestata alla ditta individuale Wu RAGIONE_SOCIALE, utilizzato anche per pagare i canoni di locazione dell’immobile sede della pelletteria Wuz, occupandosi anche di questioni organizzative, ed indicando una serie di elementi significativi espressione della volontaria partecipazione al sodalizio criminale. Sul punto, la Corte territoriale richiama la vicenda in cui era emersa la necessità di dimostrare il regolare acquisto di 4.000 portafogli e le intercettazioni di conversazioni intercorse tra Hu Sumei e terzi soggetti, da cui risulta che la ricorrente riusciva a procurarsi una fattura di vendita di comodo, nonché il caso dell’interessamento della stessa per le sorti di un container di merce, presumibilmente proveniente dalla Cina, che tardava ad arrivare, richiamando le diverse conversazioni intrattenute direttamente tra Hu Sumei e terzi soggetti, occupandosi la ricorrente, in modo autonomo, della vicenda (vedi pag. 22, 24 e 25 della sentenza).
La Corte di appello rimanda alla sentenza del Tribunale che ravvisa nelle condotte della Hu Sumei, consapevolmente volte al buon esito dell’attività delittuosa realizzata con le ricordate modalità, una partecipazione al sodalizio criminale intrapreso unitamente al marito e alla figlia, enucleando e motivando gli elementi fondanti tale condizione.
La circostanza per cui tale ruolo abbia potuto in alcuni casi (ad esempio per l’imputata NOME COGNOME avere una durata relativamente breve risulta del tutto irrilevante ai fini che occupano, atteso che, come si evince dagli esiti processuali, la specifica attività svolta con la consapevolezza del contributo apportato, è sufficiente a fondare la responsabilità penale per la partecipazione all’associazione. D’altra parte – afferma la Corte di appello – dalle intercettazioni telefoniche in atti emerge un’attività incessante e senza soluzione di continuità di produzione e vendita in “nero” di prodotti di pelletteria contraffatti, che non si è arrestata neanche di fronte agli interventi della pg: gli imputati si sono mostrati incuranti dell’attività di contrasto della pg, dei sequestri di merci, attuando condotte “reattive” funzionali a schermare la loro posizione tramite prestanome ed a garantire continuità nella produzione di merce contraffatta.
La Corte territoriale, confrontandosi con i ricorsi, afferma che la dedotta irrilevanza delle conversazioni telefoniche è frutto di una lettura parziale e atomizzata delle stesse in sé e rispetto alle ulteriori risultanze probatorie indicate, individuando il coinvolgimento incondizionato, pieno e consapevole, della imputata anche nelle condotte “reattive” all’attività di contrasto della pg, non solo attraverso il controllo sulle lavorazioni ma anche curando aspetti logistici, contabili e organizzativi dell’attività indici della sua affectio societatis.
Parimenti, le censure che riguardano l’elemento soggettivo del reato sono infondate. Con motivazione sufficientemente diffusa, ma immune da vizi di illogicità, si è evidenziato dalla Corte territoriale come la compagine, in ogni suo componente, aveva agito nell’arco temporale della contestazione, perseguendo costantemente l’identico schema prefissato di comportamento, volto a porre in essere un numero indeterminato di delitti di produzione e commercializzazione di prodotti di pelletteria contraffatti, per modo che era, altresì, da escludere che si fosse trattato un gruppo familiare, che ha compiuto tali reati organizzati di volta in volta, o quasi, e comunque in maniera estemporanea, delineandosi invece con chiarezza l’agire di più persone, con una divisione fissa e ragionata dei rispettivi ruoli, che attraverso l’utilizzo, come detto, della preesistente struttura organizzativa imprenditoriale, dotata di mezzi (laboratori di produzione, macchinari, punzoni, materie prime, magazzini di stoccaggio) e di persone (operai, impiegati e prestanomi), che veniva posta a servizio della parallela attività illecita, ha condotto a termine una serie, e certo sin dall’inizio volutamente indefinita, di delitti contro la fede pubblica.
Esplicite, dunque, sia il riferimento alla ricorrenza di una affectio societatis scelerum sia la esclusione di un accordo meramente occasionale o accidentale rinvenibile nella diversa fattispecie del reato continuato, assertivamente evocata nei ricorsi.
Sulla base di tali elementi, la Corte territoriale ritiene certa l’esistenza del sodalizio strutturato e organizzato da NOME COGNOME con l’ausilio dei genitori, NOME COGNOME e NOME COGNOME, attraverso l’utilizzo della parallela organizzazione imprenditoriale lecita con la consapevole partecipazione degli imputati, ciascuno nel proprio ruolo e con le proprie competenze professionali, amministrative e tecniche, messe al servizio dell’associazione.
Si deduce, da parte dei ricorrenti, la insussistenza del delitto associativo (a favore del concorso di persone nel reato continuato) sul rilievo che l’intero meccanismo era ispirato ad uno scopo temporaneo ben definito e marginale, a fronte della prevalente attività imprenditoriale lecita realizzata.
Il rilievo è generico e manifestamente infondato.
L’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e I concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso che, nel concorso, si concretizza in via meramente occasionale, accidentale e limitata, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nei reato associativo, risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018, COGNOME, Rv. 274442 – 01; Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 260292 -01; Sez. 2, n. 933 dei 11/ 10/2013, dep. 2014, Debbiche, Rv. 258009 – 01; Sez. 5, n. 42635 del 04/10/2004, COGNOME, Rv. 229906 – 01; Sez. 5, n. 3340 del 20/01/1999, COGNOME, Rv. 212816 – 01).
Ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere, legittimamente il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, e dell’indeterminatezza del programma criminoso, che segna la distinzione con il concorso di persone, dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti i reati fine ad opera di soggetti stabilmente collegati (tra le altre: Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv, 268540 – 01). Dalla giurisprudenza di questa Corte emerge, dunque, che le condotte di partecipazione e promozione delle associazioni criminose possono essere provate attraverso i reati fine, sempre che le modalità con cui gli stessi vengono progettati e consumati, le relazioni tra i concorrenti, gli strumenti apprestati per la loro costituzione siano indicativi della sussistenza di una organizzazione stabile ed autonoma, dotata dì una capacità progettuale che persiste anche “oltre” la consumazione dei reati-scopo. I reati-scopo costituiscono, infatti, solo un epifenomeno del potenziale criminale del consorzio, ma non lo esauriscono, dato che il pericolo correlato alla associazione persiste “oltre e dopo” la consumazione dei reati-fine: è tale pericolo che giustifica la punizione dei partecipi per una condotta che “si aggiunge” alla attività criminosa concorsuale, che si rileva nella consumazione dei reati-scopo e che, dunque, deve profilarsi come autonoma.
La diagnosi differenziale tra concorso nel reato continuato e partecipazione alla associazione per delinquere implica un giudizio di merito che impone l’analisi di tutti gli indicatori della possibile autonomia del consorzio, rispetto alla sussistenza di un accordo criminoso limitato alla consumazione di uno o più reati; indicatori che devono essere accuratamente valutati soprattutto quando, come nel caso in esame, la sussistenza della associazione viene dedotta dalla consumazione
seriale dei reati cui la stessa sarebbe preordinata. Nel caso di specie, la Corte di appello desume la sussistenza della associazione criminosa da molteplici elementi, indicati nelle pag. da 18 a 25 della sentenza, richiamando anche la sentenza di primo grado, non oggetto di censure specifiche o contestazioni (quali l’esito dei servizi di ocp che hanno documentato il ruolo di Hu COGNOME, Hu Shaoxi e Hu COGNOME nell’attività di produzione e commercializzazione di prodotti contraffatti e nell’allestimento del nuovo laboratorio (pelletteria Wuz); il contenuto delle intercettazioni da cui si ricava che tutti e tre gli imputati si occupassero delle attività gestionali (dall’acquisto delle materie prime alle importazioni, dai rapporti con la clientela alla locazione degli immobili), facendo fronte comune all’attività di contrasto delle forze dell’ordine, reagendo ai sequestri della merce, dei macchinari e dei locali con l’attivazione di nuovi punti di produzione, confezionamento, stoccaggio e vendita, simulatamente intestata a prestanome che, formalmente risultanti titolari, svolgevano in realtà funzioni di operai manifattori, comunque impiegando forza lavoro di soggetti talora legati da vincoli di parentela o che in passato avevano lavorato alle loro dipendenze, per loro stessa ammissione pagati a cottimo o con retribuzione fissa mensile, utilizzando le pelli o modelli fornita da NOME COGNOME e sotto la sua direzione.
L’unicità del disegno criminoso di cui all’art. 81, cpv., cod. pen., non può essere confusa con il generico programma di commettere più reati di cui all’art. 416 cod. pen., poiché l’art. 81 cod. pen., richiede che le varie azioni siano concepite e volute, nei loro termini essenziali, sin dall’inizio, sicché detta identità manca quando i vari delitti, anche se attuano un indistinto e generico proposito di delinquere, sono effetto di determinazioni distinte; né il programma criminoso può identificarsi con la violazione della legge in quanto tale (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/20 16, Eloumari, Rv. 266615; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, Rv. 260896; Sez. 1, n. 6553 del 13/12/ 1995, Bag nara, Rv. 203690; Sez. 2, n. 10033 del 07/1 2/2022, Qomiha, Rv. 284420 – 01). La violazione della legge rileva quale strumento per il conseguimento del fine unificante, non può costituire essa stessa il fine da raggiungere.
Come è stato autorevolmente affermato, il riconoscimento della continuazione, nel processo di cognizione come in quello di esecuzione, deve necessariamente passare attraverso la rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori – quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta la sistematicità e le abitudini programmate di vita – del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo
sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (Sez. U, n. 28659 del 18/05/20 17, COGNOME, Rv. 270074).
Nel caso di specie, risultano accertati numerosi episodi delittuosi consumati in un arco temporale di circa sei mesi.
La deduzione difensiva postula l’inconciliabilità logico- giuridica del delitto di associazione per delinquere con la predeterminazione della durata del sodalizio in quanto il periodo sarebbe insufficiente per la realizzazione di una struttura avente connotato di permanenza e stabilità che, in quanto tale esige una preventiva fase di ideazione, non solo della struttura stessa, ma anche di programmi delittuosi che si intende realizzare.
In realtà, non v’è motivo alcuno per escludere che la durata del sodalizio possa essere predeterminata dai suoi stessi fondatori. Come peraltro già rilevato dai giudici di merito, ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere, non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, è necessaria la esistenza di un programma criminoso che preveda un numero indeterminato di delitti da commettere, ben potendo tuttavia l’associazione essere progettata per operare per un tempo determinato, sicchè l’elemento temporale non deve essere considerato come notevole prolungarsi del rapporto nel tempo, essendo anche sufficiente uno svolgersi dell’attività associativa per breve periodo (Sez. 5, n. 41720 del 13/09/2019, Magliacano, Rv. 277531 – 01; Sez. 6, n. 38524 del 11/07/2018, Rv. 274099 – 01; Sez. 6, n. 10886 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259493 – 01; Sez. 6, n. 9117 del 16/ 12/2011, dep. 2012, Tedesco, Rv. 252387 – 01; Sez. 2, n. 38964 del 14/06/2023, COGNOME non mass. sul punto; Sez. 2, n. 33581 del 06/07/2023, Dessi, non mass. sul punto).
Sotto un profilo ontologico, e per quello che risulta dai fatti incontestabilmente acclarati in sentenza, si tratta di un gruppo comunque organizzato (anche se le azioni sono talvolta svolte su base prevalentemente familiare o in gruppi i cui componenti cambiano), con attività ben impiantate nel territorio toscano, finalizzate ad attingere sistematiche risorse da un costante ricorso al crimine. È dunque un’organizzazione che produce reati ed anche opportunità criminali, tant’è che se l’organizzazione decideva di avviare una nuova linea produttiva, occorreva procurarsi i modelli da copiare, utilizzare complici per attivare la produzione, prendere contatti con ricettatori per rivendere i beni contraffatti, ecc. Nella specie, certamente l’oggetto giuridico vulnerato in concreto era quello, flessibile,
dell’ordine pubblico, disegnato dal codice Rocco, proprio perché si tratta di una organizzazione associativa che in ogni momento produce reati e nello stesso tempo pone le premesse per ulteriori reati; ciò che la caratterizza è la produzione di opportunità di reati, ciò che la qualifica è quello di essere un moltiplicatore di opportunità criminali: il preesistente sistema criminale toscano nel quale si inseriscono i nuovi reati e le nuove opportunità risulta potenziato, proprio per effetto di tale innesto, e risultano aumentate le sue capacità di produzione criminale.
,Deve essere disattesa, perché manifestamente infondata, la deduzione secondo cui manca la lesione dell’ordine pubblico perché non percepibile verso l’esterno. L’ordine pubblico è posto in pericolo da un accordo volto alla programmata consumazione di più reati, non essendo affatto necessaria la loro materiale esecuzione. Ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 416 cod. pen., è sufficiente la promozione, la costituzione, l’organizzazione e la partecipazione ad un sodalizio criminale, non essendo strutturalmente richiesta l’attuazione del programma, sicché l’ordine pubblico è messo in pericolo già in modo silente senza che sia necessaria la visibilità “all’esterno” del sodalizio. Come è stato ben spiegato da Sez. 1, n. 709 del 11/ 12/ 1992, dep. 1993, Beni, Rv. 192789 – 01, è sufficiente che l’adesione al programma criminale dia vita a un organismo plurisoggettivo che, indipendentemente da eventuali forme esterne, sia in grado di avere una volontà autonoma rispetto a quella dei singoli e di svolgere una condotta collettiva, sintesi delle condotte individuali, al fine di realizzare il programma criminoso. È da ciò che derivano il danno immediato per l’ordine pubblico ed il pericolo per i beni che i delitti in programma offendono; invero l’impegno collettivo, consentendo di utilizzare immediatamente gli uomini disponibili e le strutture appositamente predisposte, agevola la realizzazione dei delitti-scopo (nello stesso senso, Sez. 5, n. 19745 del 28/02/20 19, Privitera, non mass. sul punto). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Resta dunque ancora valido l’insegnamento di Sez. 1, n. 1515 del 07/11/1967, COGNOME, Rv. 1 06450 – 01, secondo il quale il concetto di ordine pubblico, ai fini della disposizione dell’art. 415 cod. pen., non coincide con quello, più ristretto, di sicurezza pubblica, propria delle leggi di polizia, bensì si estende ai principi fondamentali e di interesse generale, su cui poggia l’ordinamento giuridico dello Stato, inteso, questo, come diritto cogente, ossia da osservarsi inderogabilmente da tutti perché consta di norme imperative o proibitive sanzionatorie. Pertanto, le leggi di ordine pubblico, che formano oggetto dell’istigazione alla disubbidienza nel reato previsto dalla citata norma penale, sono tutte quelle le cui norme hanno una applicazione incondizionata e che, perciò,
non ammettono deroghe da parte dei singoli per essere la loro osservanza sottratta all’arbitrio ed all’autonomia individuale (Sez. 1, n. 3388 del 15/ 12/ 1980,
COGNOME, Rv. 148404 – 01).
L’insegnamento, seppure relativo al delitto di cui all’art. 415 cod. pen., è
certamente applicabile anche al delitto associativo di cui all’art. 416 cod. pen. il quale è posto a presidio del limite posto all’autonomia privata dei cittadini, liberi
sì di associarsi liberamente ma per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18 Cost.).
E’, dunque, in questa nuova dimensione costituzionale che deve essere collocato il precetto penalmente sanzionato dall’art. 416 cod. pen. che vieta
espressamente a chiunque si associa per commettere delitti, per il perseguimento di scopi che sono vietati ai singoli dalla legge penale, senza che rilevi la visibilità
all’esterno di tali associazioni (visibilità che può integrare, semmai, la circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416).
4, Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., essendo i ricorrenti rimasti soccombenti nei confronti della persona offesa, costituitasi parte civile, RAGIONE_SOCIALE vanno condannati, in solido, alla rifusione in favore di quest’ultima delle spese di rappresentanza e difesa nella misura di complessivi euro 4.000.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa, sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida in euro 4.000, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma il 6.02.2025