Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1313 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1313 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
NOME NOME nata a Campobasso il 5.12.1977;
contro
la sentenza della Corte di appello di Campobasso del 6.12.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sosti Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità de ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14.4.2021 il Tribunale di Campobasso aveva riconosciuto (tra gli altri) NOME COGNOME responsabile dei fatti di reat
ascritti (riqualificate le condotte di falso nel delitto di cui agli artt. 476-482 c pen.) e, ritenuto il vincolo della continuazione tra le diverse violazioni di legge, l’aveva condannata alla pena complessiva e finale di anni 7 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, applicando le pene accessorie conseguenti alla entità di quella principale; aveva inoltre condannato l’odierna ricorrente al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili rimettendone la liquidazione ad altra sede e provvedendo sulle spese;
la Corte di appello di Campobasso, ha ridotto la pena inflitta alla Aurisano con riguardo al capo a) dell’imputazione ad anni 3 di reclusione revocando, di conseguenza, la interdizione legale e sostituendo la interdizione perpetua dai pubblici uffici con la interdizione temporanea, ed ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione degli altri reati per i quali era intervenuta condanna in primo grado;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
3.1 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prova del ruolo di promotore dell’associazione: richiama l’atto di appello con cui la difesa aveva dedotto il difetto di prova del ruolo di promotore ritenuto in capo alla ricorrente che, invece, era pacificamente dedita ad attività di natura meramente materiale e che, d’altra parte, non era stato nemmeno accertato ove il sodalizio fosse stato costituito, se in Molise o in Campania; osserva che la Corte ha fondato la decisione sul contenuto delle deposizione del teste di NOME COGNOME che aveva riferito in ordine alla organizzazione criminale ed al ruolo apicale della Aurisano promotore senza, tuttavia, indicare gli elementi fattuali sulla scorta dei quali tale giudizio era stat formulato; osserva, peraltro, che il Tribunale ha mandato assolti tutti i soggetti imputati per il reato associativo e che avevano il compiti di rivendere, in Campania, le polizze artificiosamente contratte in Molise, stante la ritenuta inutilizzabilità dell dichiarazioni rese da costoro in qualità di testi ed in violazione del disposto di cui all’art. 63, comma secondo, cod. pen.;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per la inammissibilità del ricorso: rileva, infatti, che le censure difensive investono esclusivamente elementi di fatto e sono finalizzate a contestare la valutazione del compendio probatorio che, anche rispetto al ruolo apicale attribuito alla ricorrente in seno alla associazione, è stato oggetto di doppio conforme giudizio di merito rispetto al quale non sono stati denunziati travisamenti con carattere di decisività e idonei a disarticolare la logicità dell’unitario percorso argomentativo emergente dalle due sentenze adottate all’esito dei precedenti gradi di giudizio;
la difesa della COGNOME ha trasmesso una memoria con cui ribadisce che la sentenza di primo grado non ha argomentato in ordine agli elementi in base ai quali la ricorrente potesse essere ritenuta promotrice ed organizzatrice della ritenuta associazione per delinquere mentre la Corte d’appello, pur investita del relativo motivo di appello, non ha motivato in termini idonei a sanare il vizio denunciato; rileva, pertanto, che, essendo decorso il termine di prescrizione, la Corte dovrà annullare senza rinvio la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
1. NOME COGNOME era stata tratta a giudizio e riconosciuta responsabile, nei due gradi di merito, all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di cui all’art. 416 cod. pen. in quanto “… al fine di commettere i reati di cui ai capi che seguono, si associava(no) tra di loro e, in concorso con altri soggetti …, promuovevano ed organizzavano, ciascuno consapevole dell’apporto del proprio ruolo e di quello altrui, un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe ai danni di Compagnie assicuratrici perpetrata stipulando, presso agenzie assicuratrici di Campobasso, Bojano ed Isernia, un numero imprecisato di polizze del ramo RCA, pari ad almeno 220 … contratti, destinati ad autovetture circolanti nelle province di Napoli e Caserta, di proprietà di cittadini ivi residenti …”; era stata riconosciuta inoltre responsabile d numerosissimi fatti di frode in assicurazione e di falso (riqualificati ai sensi del combinato disposto degli artt. 482-476 cod. pen..
Con l’atto di appello, la difesa della odierna ricorrente, non contestando l’esistenza e la operatività del sodalizio in cui costei era inserita, aveva contestato (cfr., pagg. 2-5 del gravame) la decisione del Tribunale in ordine al ruolo apicale che le era stato riconosciuto oltre, poi, la sussistenza dei reati di falso (cfr., iv pagg. 6-9) ed il trattamento sanzionatorio (cfr., ivi, pagg. 9-11).
La Corte d’appello, pur avendo sostanziosamente ridimensionato la pena per il reato associativo, ha tuttavia confermato la qualificazione della condotta dell’Aurisano ai sensi del comma primo dell’art. 416 cod. pen. argomentando la propria decisione in termini che il collegio ritiene insuscettibili di censura in questa sede.
I giudici del gravame di merito, infatti, hanno vagliato la censura articolata dalla difesa facendo presente che le indagini erano scaturite da una querela proposta da tale NOME COGNOME in merito all’indebito utilizzo dei suoi dati anagrafici ed avevano portato ad eseguire una perquisizione presso la abitazione della Aurisano (e del Mauro, all’epoca conviventi) da cui era scaturito il sequestro di un telefono cellulare, di documentazione assicurativa e di un personal computer (cfr., pag. 9 della sentenza in verifica).
Il teste di COGNOME aveva riferito sugli accertamenti effettuati presso le compagnie assicurative con cui erano state stipulate polizze emesse dalle varie agenzie ed intestate ad ignari cittadini che, informati del furto delle loro identità, sporsero querela.
In definitiva, si era appurato che le frodi consistevano nell’assicurare veicoli circolanti nelle Province di Caserta e Napoli con polizze stipulate in Molise presso agenzie di Campobasso ed Isernia; l’attività si era sviluppata con la predisposizione di circa duecento polizze che erano state poi “rivendute” in Campania attraverso l’opera di agenti che sarebbero stati peraltro assolti in quanto escussi senza le garanzie di legge.
In questo contesto, ha evidenziato la Corte d’appello, era emerso che la COGNOME ed il COGNOME “fornivano la documentazione necessaria al predetto fine al COGNOME, il quale, con tali documenti, si recava personalmente presso le agenzie RAGIONE_SOCIALE e Generali a stipulare le polizze illecite, aggiungendo che, in alcuni casi, fu accertato che i tre si facevano intestare direttamente le polizze che poi venivano smerciate in Campania”; all’esito della perquisizione eseguita nei suoi confronti (e nei confronti del convivente), nel PC della Aurisano e del NOME “… furono rinvenuti le effigi fotografiche e i dati relativi alle persone le cui identità erano state rubat per poter contrarre le polizze a nome di fittizi intestatari, nonché numeri di targa dei veicoli assicurati”; ai suddetti NOME ed COGNOME “fu sequestrata documentazione relative alle polizze assicurative fraudolentemente stipulate” (cfr., pag. 12 della sentenza di appello).
Era emerso, dunque, che l’COGNOME provvede alla falsificazione della documentazione …” (cfr., ivi, pag. 13) e che “… i tre soggetti in questione (COGNOME, NOME e COGNOME) realizzavano attività necessaria ed indispensabile per la organizzazione della associazione e per la commissione dei reati-scopo: creazione di documenti senza i quali non si potevano evidentemente portare a compimento siffatti reati e stipula con le compagnie assicurative in questione delle
( polizzgraudolente …” (cfr., ivi, pag. 14) osservando che costoro rivestivano i ruoli necessari ed indispensabili per il compimento della attività criminosa e che
rappresentavano “il nucleo essenziale dell’associazione criminale” (cfr., ancora, ivi).
2. Tanto premesso, è proprio sulla scorta di questa ricostruzione in fatto che i giudici del gravame di merito hanno correttamente ribadito la qualificazione della condotta ascritta all’odierna ricorrente come riconducibile al paradigma disegnato dall’art. 416, comma primo, cod. pen. che, non è inutile ricordarlo, configura una ipotesi di reato autonoma rispetto a quella della “partecipazione” (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 19198 del 28/02/2017, COGNOME, Rv. 269937 – 01, in cui la Corte ha spiegato che l’elemento materiale del delitto punito dall’art. 416 cod. pen. consiste nell’associarsi di tre o più persone allo scopo di commettere più delitti, senza che sia richiesta una distribuzione gerarchica di funzioni, l’esistenza di un rapporto di subordinazione e la presenza di un capo; evenienza quest’ultima che la norma, al pari dell’esistenza di promotori, costitutori od organizzatori, considera come eventuale, configurando un’autonoma e più grave fattispecie criminosa; conf., Sez. 6, n. 52590 del 14/10/2016, COGNOME, Rv. 268485 – 01; Sez. 5, n. 1768 del 08/02/1983, Dono, Rv. 162863 – 01).
La Corte d’appello ha dunque validato la ricostruzione operata dal Tribunale circa il ruolo disimpegnato dalla odierna ricorrente e che, correttamente, è stato considerato centrale ed indispensabile nella complessiva organizzazione ed operatività del sodalizio.
Detto questo, è altrettanto pacifico che la qualifica di organizzatore, puntualmente peraltro contestata alla Aurisano e che giustifica la qualificazione della sua condotta nei termini di cui al primo comma dell’art. 416 cod. pen., spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonché reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività che finisce con l’assumere i caratteri dell’essenzialità e dell’infungibilità, non essendo, invece, necessario che lo stesso soggetto sia anche investito di compiti di coordinamento e di direzione dell’attività di altri soggetti (cfr., tra le tante, Sez. 3 – , n. 2039 del 02/02/20 Papini, Rv. 274816 – 03; Sez. 5, n. 39378 del 22/06/2012, COGNOME Rv. 254317 01).
La correttezza della qualificazione della condotta della COGNOME ai sensi del comma primo dell’art. 416 cod. pen. esclude, inoltre, che il reato fosse prescritto sin dal giudizio di appello, definito con sentenza del 6.12.2022 a fronte di un “tempo” massimo di prescrizione, desumibile dal combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen., pari ad anni otto e mesi 9 decorrenti dall’1.4.2014; per contro, l’inammissibilità del ricorso, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di dichiarare la intervenuta
prescrizione del reato che sarebbe comunque maturata in data successiva alla sentenza impugnata in questa sede (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266; Sez. U, n.33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818).
Consegue, dall’inammissibilità del ricorso, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7.12.2023