Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30832 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30832 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 22/09/1983
avverso la sentenza del 11/09/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del 11 settembre 2024, con la quale la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del Tribunale di Caltanissetta, che lo aveva condannato, in relazione al reato di cui all’art 416 cod. pen., per essersi associato con altri soggetti allo scopo di commettere più delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000);
che, con un primo motivo di doglianza, si lamentano l’erronea applicazione della legge penale, nonché il vizio di motivazione in ordine alla configurabilità della condotta di partecipazione, per avere il giudice del merito ritenuto sussistente tale condotta nonostante: il ricorrente non rivestisse alcun ruolo all’interno dell’ipotizzata organizzazione e si fosse limitato, una volta assunta la qualifica di prestanome della società cartiera, a mantenere una condotta meramente omissiva inerte; egli non avesse partecipato in alcun modo all’attività associativa; non vi fosse riscontro del fatto che la società slovacca fosse amministrata dal ricorrente; non fosse provata l’esistenza di rapporti con altri sodali dell’organizzazione criminale, né si potesse valorizzare la qualifica solamente di cointestatario del conto corrente, sul quale operava uno di membri; mancasse, inoltre, una qualsiasi frequentazione da parte del ricorrente dei luoghi frequentati dai membri dell’associazione, dimostrata dalle dichiarazioni delle persone entrate in contatto con la stessa, che dichiaravano di non conoscerlo;
che, con un secondo motivo, si lamentano l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché il vizio di motivazione, per avere il giudice del merito ritenuto sussistente il dolo, almeno nella forma eventuale, nonostante tale forma di dolo sia del tutto incompatibile con il dolo specifico che qualifica la fattispecie associativa comune, sotto il profilo della affectio societatis, dovendo essere connesso sul piano della continuità temporale all’esistenza e permanenza del vincolo associativo;
che, sotto il medesimo profilo, secondo la difesa, mancava qualsiasi tipo di riscontro in ordine alla conoscenza da parte del ricorrente dell’esistenza del sodalizio criminale e delle sue finalità, perché egli non aveva consapevolezza, al momento dell’assunzione della qualifica di prestanome, dell’intestazione del conto corrente, né del futuro impiego strumentale della società;
che, con un terzo motivo, si lamentano l’inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per avere il giudice del merito omesso di motivare il diniego e non aver considerato gli indici di segno positivo a favore dell’imputato quali l’incensuratezza, la condotta processuale e le condizioni di vita personali;
che, in quarto luogo, si lamentano l’inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione, in ordine alla commisurazione della pena, per essersi il giudice limitato a confermare la pena inflitta in primo grado senza aver considerato alcuno degli elementi dedotti dalla difesa e, in particolare, la condotta statica e omissiva del ricorrente, di scarsa significatività, trattandosi di una carica fittizia tenuta p un ridotto lasso temporale rispetto al periodo di operatività del sodalizio, non avendo il ricorrente direttamente eseguito alcuno degli specifici atti gestori funzionali alla realizzazione dei delitti-scopo.
Considerato che i motivi non risultano consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata;
che, in particolare, il primo ed il secondo motivo non risultano consentiti in sede di legittimità perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto e volti a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità, e avulsi da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici del merito;
che, con riguardo al primo motivo, il giudice del merito ha adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del reato associativo, evidenziando: 1) l’ampio numero di operazioni inesistenti riconducibili all’impresa amministrata dall’imputato; 2) la condotta di questi, che aveva assicurato la continuità della esecuzione delle operazioni fraudolente, realizzata attraverso una cessione di quote, mediante trust; 3) che a tale ultima società risultavano intestati i documenti di trasporto di altra società amministrata dall’imputato, nonostante le due imprese avessero oggetto sociale incongruente, laddove la prima si occupava di prodotti tecnologici e la seconda di traduzione e interpretariato, avendo come attività secondaria la mediazione immobiliare; 4) i rapporti con l’amministratore di altre due società “RAGIONE_SOCIALE” praghesi, promotore ed organizzatore dell’associazione, che risultava cointestatario, insieme all’imputato, del conto sul quale erano versati gli accrediti delle frodi;
che, con riguardo al secondo motivo, il giudice ha correttamente dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo: 1) dalla stabilità della partecipazione al sodalizio criminoso, desumibile dal triennio di amministrazione della società cartiera e dai rapporti con il promotore dell’associazione; 2) dalla circostanza che l’assunta carica di lavoratore presso la SIEN non era incompatibile con il ruolo svolto all’interno dell’associazione; 3) dalla circostanza che il sinistro stradale in cui era coinvolto l’imputato, dimostrava la falsità della fattura rilasciata per un trasporto, mai avvenuto in quanto il sinistro si era verificato in luogo diverso; 4)
dall’accettazione del rischio derivante dall’operato dei gestori reali della società, tipica del prestanome;
che il terzo ed il quarto motivo non risultano consentiti, in quanto inerenti al trattamento punitivo, benché sorretto da sufficiente motivazione e da adeguato
esame delle deduzioni difensive;
che, con riguardo ad entrambi i motivi, la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la commisurazione della pena in modo congruo,
sono riconducibili alla medesima valutazione di gravità del fatto, correttamente argomentata dal giudice del merito, che ha posto a fondamento di tale valutazione
le circostanze in cui si è svolta la condotta dell’imputato, ovvero: l’avere questi assunto la carica di prestanome della società cartiera; l’essersi prestato a garantire
la sopravvivenza di una delle società parte del sodalizio; avere protratto, con fattiva e consapevole collaborazione, l’illecito nel tempo.
Tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.