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Associazione per delinquere: il ruolo del fornitore

La Corte di Cassazione conferma la misura cautelare in carcere per un soggetto accusato di essere un fornitore stabile di un’associazione per delinquere dedita al narcotraffico. La sentenza chiarisce due punti cruciali: l’utilizzabilità delle prove ottenute da autorità estere tramite Ordine Europeo di Indagine (O.I.E.), la cui legittimità non può essere sindacata dal giudice italiano, e i criteri per distinguere un mero fornitore da un vero e proprio partecipe. Secondo la Corte, un rapporto durevole, economicamente rilevante e strutturale per l’operatività del gruppo criminale qualifica il fornitore come membro effettivo dell’associazione.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fornitore o Socio? La Cassazione definisce i contorni dell’associazione per delinquere

Quando un fornitore di sostanze stupefacenti smette di essere un semplice venditore e diventa a tutti gli effetti un membro di un’associazione per delinquere? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo confine sottile, affrontando anche la delicata questione dell’utilizzabilità delle prove raccolte all’estero. La decisione offre importanti chiarimenti sia per gli operatori del diritto sia per comprendere le dinamiche dei moderni sodalizi criminali.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Lecce, che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo. Le accuse erano gravissime: partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/90) e diversi episodi di spaccio (art. 73 d.P.R. 309/90). L’indagato, tramite i suoi difensori, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione su tre fronti principali.

I Motivi del Ricorso

La difesa ha articolato le proprie doglianze su tre punti fondamentali:

1. Inutilizzabilità delle prove: Si contestava l’acquisizione di conversazioni chat da parte delle autorità francesi, sostenendo che fossero state ottenute violando le norme italiane sulle intercettazioni. Secondo la difesa, ciò avrebbe leso il diritto di difesa.
2. Mancanza di partecipazione all’associazione: L’indagato non si considerava un membro del sodalizio, ma un semplice fornitore. A riprova di ciò, venivano evidenziati continui attriti con il gruppo, la pretesa di pagamenti anticipati e il fatto che l’organizzazione fosse in grado di operare anche senza i suoi rifornimenti.
3. Assenza di pericolo di recidiva: Si sosteneva che, essendo i fatti contestati circoscritti a un periodo di sette mesi e terminati da tempo, non sussistesse più un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato.

L’analisi della Corte sull’associazione per delinquere

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione dettagliata su ciascuno dei punti sollevati. Vediamo come i giudici hanno affrontato le questioni chiave.

L’utilizzabilità delle prove dall’estero (O.I.E.)

Sul primo punto, la Corte ha richiamato un recente e importante principio stabilito dalle Sezioni Unite. Quando le prove vengono acquisite tramite un Ordine Europeo di Indagine (O.I.E.), il giudice italiano non ha il potere di valutare la regolarità del procedimento con cui tali prove sono state raccolte nello Stato estero (in questo caso, la Francia). La difesa avrebbe dovuto contestare le modalità di acquisizione direttamente davanti alle autorità francesi. Di conseguenza, le chat sono state considerate pienamente utilizzabili nel processo italiano.

Dal Semplice Fornitore al Partecipe Stabile dell’associazione per delinquere

Questo è il cuore della sentenza. La Corte ha chiarito che non basta la semplice fornitura, anche se ripetuta, per essere considerati parte di un’associazione per delinquere. È necessario che il rapporto superi la soglia di un normale contratto di compravendita e si trasformi in un’adesione stabile al programma criminale del gruppo.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente individuato una serie di elementi che dimostravano un’integrazione piena dell’indagato nel sodalizio:
* Rapporti personali: Un legame di profonda amicizia con il capo dell’organizzazione, al punto da organizzarne il trasferimento all’estero durante la sua latitanza.
* Mezzi utilizzati: Il possesso di un criptotelefonino per comunicazioni riservate.
* Pianificazione strategica: La pianificazione congiunta di ingenti trasferimenti di droga dalla Spagna all’Italia.
* Rilevanza economica: Un credito di ben 100.000 euro nei confronti del gruppo, a dimostrazione di un volume d’affari cospicuo e continuativo.
* Stabilità del rapporto: Il rifornimento stabile e continuativo, che proseguiva persino nonostante i sospetti di tradimento da parte degli altri membri.

La Corte ha concluso che il ruolo dell’indagato era così cruciale che una sua interruzione avrebbe causato un “prevedibile effetto destabilizzante” per l’operatività del sodalizio. Questo è il vero discrimine: quando il fornitore diventa una pedina strutturale e indispensabile per l’esistenza e la capacità operativa del gruppo.

La valutazione del pericolo di recidiva

Infine, la Corte ha ritenuto infondato anche il terzo motivo. Richiamando la presunzione di pericolosità prevista dalla legge per reati di tale gravità, ha sottolineato la capacità dell’indagato di organizzare trasferimenti internazionali di droga. Per questo motivo, la custodia in carcere è stata ritenuta l’unica misura adeguata a prevenire il rischio che l’indagato potesse riprendere le sue attività illecite, escludendo misure meno afflittive come gli arresti domiciliari.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su principi giuridici consolidati e recenti orientamenti delle Sezioni Unite. In primo luogo, viene ribadito il principio di cooperazione giudiziaria europea, secondo cui la valutazione della legittimità di un atto di indagine spetta all’autorità dello Stato in cui è stato compiuto, salvo violazioni dei diritti fondamentali che si ripercuotano sull’utilizzabilità della prova in Italia.

In secondo luogo, e con maggiore impatto sulla definizione del reato associativo, la Corte ha motivato la decisione distinguendo il rapporto sinallagmatico (una semplice vendita) dal vincolo stabile. La trasformazione avviene quando la volontà delle parti supera la logica del singolo affare per abbracciare il programma criminale comune. Gli indicatori di questo passaggio sono la continuità, la stabilità, la rilevanza quantitativa ed economica delle forniture e, soprattutto, il ruolo oggettivamente strategico che il fornitore assume per la vita del sodalizio. Anche i conflitti interni e la sfiducia reciproca non escludono la partecipazione, se l’interesse economico comune a proseguire l’attività illecita prevale.

Conclusioni

Questa sentenza offre due importanti lezioni. La prima, di natura processuale, conferma che le prove ottenute tramite O.I.E. godono di una forte presunzione di legittimità nel nostro ordinamento. La seconda, di natura sostanziale, delinea con chiarezza i criteri per attribuire a un fornitore la responsabilità di partecipe a un’associazione per delinquere. Non è sufficiente vendere droga a un gruppo criminale; è necessario essere integrati nel suo tessuto operativo in modo stabile e funzionale, al punto da diventarne una componente essenziale. Una distinzione fondamentale con implicazioni significative per l’accertamento delle responsabilità penali nel contrasto alla criminalità organizzata.

È possibile utilizzare in un processo italiano prove (come delle chat) raccolte da un’autorità straniera se la difesa ne contesta le modalità di acquisizione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, che richiama una sentenza delle Sezioni Unite, il giudice italiano non può sindacare la regolarità del procedimento con cui le prove sono state raccolte all’estero nell’ambito di un Ordine Europeo di Indagine (O.I.E.). Eventuali contestazioni dovevano essere sollevate davanti all’autorità giudiziaria dello Stato che ha materialmente raccolto la prova (in questo caso, la Francia).

Quando un fornitore di sostanze stupefacenti viene considerato partecipe di un’associazione per delinquere e non un semplice venditore?
Un fornitore è considerato partecipe quando il suo rapporto con l’organizzazione criminale diventa durevole, stabile e strutturale. Non si tratta più di singole vendite, ma di un’adesione al programma criminale del gruppo, desumibile da elementi come la pianificazione congiunta, la rilevanza economica delle forniture, l’uso di strumenti comuni (come telefoni criptati) e il fatto che il suo apporto sia essenziale per l’operatività del sodalizio, al punto che la sua assenza lo destabilizzerebbe.

I continui litigi e la sfiducia tra un fornitore e un’organizzazione criminale possono escludere la sua partecipazione all’associazione?
No. La Corte chiarisce che la diversità di scopi personali, i contrasti sugli interessi economici o la reciproca diffidenza non sono di per sé ostacoli alla costituzione del vincolo associativo. Ciò che conta è che, nonostante i dissidi, il rapporto di fornitura continui in modo stabile e funzionale al raggiungimento del fine comune dell’organizzazione, ovvero il traffico di stupefacenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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