Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19474 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19474 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Firenze il 4/7/1974
avverso l’ordinanza del 10/12/2024 del Tribunale di Lecce
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare i ricorsi; uditi gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori del ricorrente, che hanno chiesto di accogliere i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 dicembre 2024 il Tribunale di Lecce ha confermato il provvedimento, emesso dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura cautelare della
custodia in carcere in relazione ai delitti di cui agli artt. 74, commi 2, 3 e 4 (cap 24), 73, comma 4 e 6, d.P.R. n. 309/90 (capi 43 e 44).
Avverso l’ordinanza del Tribunale hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori di NOME COGNOME
Nel ricorso a firma degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati dedotti i motivi di seguito indicati.
3.1. Inosservanza degli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen. nonché mancanza di motivazione in ordine alle reali modalità con cui sono state acquisite le chat da parte dell’autorità giudiziaria francese. Vi sarebbe il fondato dubbio che le chat fossero state acquisite mentre i messaggi erano in transito e, cioè, senza attivare la disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 seguenti, con conseguente violazione del diritto di difesa.
3.2. Inosservanza di legge e vizi della motivazione in ordine al ruolo del ricorrente quale stabile fornitore e partecipe del sodalizio COGNOME/COGNOME/COGNOME, dedito al narcotraffico. Il Tribunale di Lecce non avrebbe spiegato i motivi per cui la relazione, intercorsa fra l’indagato e altri partecipi all’associazione, dovesse qualificarsi come consapevole, volontaria attuazione del programma associativo, visti i continui attriti tra lui e il presunto gruppo, e non avrebbe dato risposta rilievi difensivi formulati, quale quello relativo al dato cronologico, essendovi agli atti solo delle chat intercorse da giugno 2020 fino al massimo al 14 gennaio 2021, concernenti ipotesi ex art. 73 d.P.R. n. 309/90. Già questo dato sarebbe importante e tale da escludere la partecipazione dell’indagato all’associazione ex art. 74 d.P.R. cit. Del pari, il Tribunale non avrebbe correttamente valutato i rilievi, dimostrativi di difetto di affectio societatis, secondo cui l’indagato non acconsentiva a rifornire i sodali, se prima non avesse ricevuto il pagamento del credito vantato. Egli, inoltre, era considerato dai presunti sodali un soggetto poco raccomandabile, poiché veniva meno agli accordi e inviava marijuana legale. NOME COGNOME, in particolare, riteneva che il ricorrente avesse “venduto” NOME COGNOME e, quindi, fosse responsabile dell’arresto di quest’ultimo. Inoltre, la circostanza che l’indagato non doveva avere alcun rapporto con NOME COGNOME altro presunto fornitore, perché avrebbe potuto tagliarlo fuori (chat tra NOME COGNOME e NOME COGNOME), comproverebbe il fatto che la cessazione del rifornimento all’associazione da parte dell’indagato non aveva alcuna incidenza sull’operatività del sodalizio.
3.3. Violazione di legge e vizi della motivazione in ordine al giudizio di attualità e persistenza del pericolo di recidiva. Il Tribunale avrebbe trascurato sia che gli episodi erano avvenuti nell’arco di 7 mesi, a fronte di un delitto
contestato come commesso da settembre 2019 e con permanenza, sia che, dopo gennaio 2021, l’indagato era uscito di scena.
Nel ricorso a firma degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati dedotti i motivi di seguito indicati.
4.1. Nel primo motivo si reiterano i rilievi espressi nel primo motivo dell’altro ricorso.
4.2. Nel secondo motivo, dopo avere ribadito le censure già formulate nel secondo motivo dell’altro ricorso, il ricorrente ha conclusivamente sottolineato che il provvedimento del Tribunale non si è confrontato con il tema della sussistenza di una affectio dell’indagato rispetto al gruppo acquirente della sostanza, avendo sottovalutato che i rapporti tra l’indagato e il sodalizio erano problematici e corredati da reciproche diffidenze. Anche la frase “nessuna conseguenza per noi”, valorizzata dal Tribunale, non sarebbe significativa. Secondo la logica umana e il buon senso, se due soggetti, che hanno in corso un affare, incorrono in un intoppo e uno dei due ritiene che, comunque, tale inconveniente non produca la vanificazione del comune progetto, questi non può che dire al suo interlocutore che quell’accidente non produce nessuna conseguenza “per noi”.
4.3. Nel terzo motivo si ribadiscono le deduzioni formulate nel terzo motivo dell’altro ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno rigettati, perché i motivi, in essi articolati, sono n complesso infondati.
Il primo motivo di entrambi i ricorsi proposti è manifestamente infondato.
2.1. Il ricorrente ha riproposto questioni già sollevate dinanzi al Tribunale, che le ha esaminate e risolte, facendo corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 23756 del 29 febbraio 2024.
Quanto all’utilizzabilità delle chat trasmesse tramite 0.I.E., infatti, le Sezion Unite hanno stabilito che l’art. 78 disp. att. cod. proc. pen., nel disciplinar l’acquisizione di atti di un procedimento penale, compiuti da autorità giudiziaria straniera, non richiede anche l’acquisizione dei provvedimenti giudiziari in forza dei quali tali atti sono stati effettuati. Il massimo Consesso ha aggiunto che la medesima conclusione si evince anche dalla disciplina prevista nel sistema processuale penale italiano in tema di acquisizione di atti compiuti o formati in
altro procedimento sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ossia quella relativa ai risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, dettata dall’art. 270 cod. proc. pen. (in tal senso, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 22924 – 01).
2.2. Quanto alle condizioni di utilizzabilità dei risultati delle intercettazi svolte all’estero, va rilevato che l’art. 24 d.lgs. n. 108/2017 prevede un’unica ipotesi vietata, ovverosia «se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite». Ipotesi, questa, che non ricorre nella specie, perché le intercettazioni sono state disposte in ordine ai reati di associazione per delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, nonché di acquisto, trasporto e detenzione di sostanze stupefacenti, per i quali la legge italiana prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova.
2.3. A ciò va aggiunto, per inciso, che, mentre nella procedura nazionale, le questioni sulla utilizzabilità delle intercettazioni, acquisite in procediment diverso, si risolvono tutte nell’ambito del procedimento ad quem, nel caso di acquisizione delle medesime prove da un procedimento estero le regole sono diverse e peculiari del sistema di cooperazione giudiziaria.
La Direttiva 2014/42/UE individua, infatti, due diversi momenti di tutela offerti dal sistema all’interessato: quello davanti all’autorità straniera, che deve acquisire e consegnare le prove, e quello dinanzi all’autorità italiana, che quelle prove intende chiedere e poi utilizzare. In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito (§12.4) che spetta al giudice, al quale si chiede di utilizzare le «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», e ottenute dal pubblico ministero mediante 0.I.E., il potere di valutare se vi siano i presupposti per ammetterle ed utilizzarle ai fini delle decisioni di sua spettanza, «fermo restando che l’onere dell’allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione di tali diritti grava sulla parte interessata».
Non sono invece proponibili davanti al giudice italiano le questioni riguardanti l’acquisizione della prova all’estero (§ 18.4), che sono di competenza dello Stato di esecuzione dell’O.I.E., secondo un principio tradizionale della cooperazione giudiziaria, che fa salva soltanto la rilevanza di violazioni di diritt fondamentali che si ripercuotano sull’utilizzabilità della prova in Italia.
Tale aspetto è stato chiarito dalla Corte di giustizia con la sentenza della Grande Sezione del 30 aprile 2024 (C-670/22, M.N.), che ha indicato come si declina tra le due giurisdizioni interessate la tutela dei diritti della person assicurata dall’art. 14 della Direttiva 0.I.E.: (§ 100) «qualora mediante un ordine europeo di indagine l’autorità di emissione intenda ottenere la trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di
esecuzione, tale autorità non è autorizzata a controllare la regolarità del distinto procedimento con il quale lo Stato membro di esecuzione ha raccolto le prove di cui essa chiede la trasmissione».
In definitiva, quindi, anche nel caso in esame, la difesa aveva la possibilità di verificare in Francia la documentazione processuale e proporre un rimedio in quella sede, opponendosi alla trasmissione della prova in Italia.
Questa possibilità, offerta alla difesa, di accesso diretto alla prova raccolta all’estero giustifica, quindi, quell’onere di allegazione e di prova in ordine ai fatt da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali», che le Sezioni Unite hanno fatto gravare sulla parte interessata (§ 15.5.1).
Ne discende che le ipotesi ricostruttive su ciò che sia avvenuto nel procedimento francese e sulla affidabilità delle prove, trasmesse in Italia, non possono trovare ingresso in questa sede.
3. Il secondo motivo di entrambi i ricorsi non rientra tra quelli consentiti.
All’indagato è stato contestato il ruolo di fornitore del clan COGNOME COGNOME, avendo avviato un rapporto collaborativo con NOME COGNOME nella gestione del traffico di stupefacenti tra la Spagna e l’Italia e avendo proseguito l’attività illecita, dopo l’arresto di COGNOME, con NOME COGNOME e con NOME COGNOME figlio di NOME COGNOME
Al riguardo giova premettere che questa Corte è ferma nel ritenere che la veste di partecipe ad un’associazione, finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, può essere fondatamente riconosciuta al soggetto che si renda disponibile a fornire ovvero ad acquistare le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare un durevole, ancorché non esclusivo, rapporto (Sez. 6, n. 566 del 29/1/2015 – dep. 2016, COGNOME, Rv. 265764 – 01).
Si è precisato che non sono di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune la diversità degli scopi personali, né la diversità dell’utile, né il contrasto tra gli interessi economici che i sing partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale (ex multis: Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285646 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; Sez. 6, n. 3509 del 10/01/2012, COGNOME e altri, Rv. 251574 – 01). Nondimeno – come si è già condivisibilmente precisato in altri arresti – il mutamento del rapporto tra fornitore ed acquirente, da relazione di mero reciproco affidamento a vincolo stabile, può ritenersi avvenuto solo qualora risulti che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, trasformandosi nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso, desumibile dalle modalità dall’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, dal contenuto
economico delle transazioni, dalla rilevanza obiettiva che l’acquirente riveste per il sodalizio criminale (Sez. 6, n. 51500 dell’11/10/2018, COGNOME, Rv. 275719 – 01; Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014, Cera, Rv. 261747 – 01; Sez. 3, n. 21755 del 12/03/2014, COGNOME e altri, Rv. 259881 – 01). Occorre, dunque, non una mera reiterazione della fornitura, elemento, questo non dirimente ai fini della “novazione” del rapporto, quanto, piuttosto che tale fornitura, per le sue caratteristiche di stabilità e continuità, per le modalità attraverso le quali esplica, per la sua rilevanza quantitativa ed economica, abbia assunto la connotazione di una somministrazione, sia pure illecita, la cui interruzione comporterebbe, alla stregua di un ragionamento controfattuale di cui il giudice dovrà dare conto nella motivazione, un prevedibile effetto destabilizzante per l’operatività del sodalizio e per la sua capacità di soddisfare la sua fetta di mercato.
Di tali coordinate ermeneutiche ha fatto corretta applicazione il Tribunale di Lecce, che ha diffusamente elencato gli elementi da cui ha desunto la partecipazione del ricorrente al sodalizio, dedito al narcotraffico, e ha conclusivamente affermato che l’indagato: 1) aveva rapporti di profonda amicizia con NOME COGNOME, capo del sodalizio, tanto che, mentre questi era latitante, ne aveva organizzato il trasferimento dall’Albania alla Spagna; in particolare, egli si era recato, dapprima, ad Atene e, poi, con NOME COGNOME, che viaggiava sotto falso nome, aveva preso un volo da Atene a Fiurnicino e, di seguito, un traghetto da Civitavecchia a Barcellona; 2) era in possesso di un criptotelefonino, che consentiva conversazioni riservate, non monitorabili con i riconosciuti metodi di intercettazione; 4) aveva rapporti anche con gli altri sodali, come NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; 5) aveva pianificato con NOME COGNOME il trasferimento dalla Spagna all’Italia di ingenti quantitativi d stupefacenti; 6) era creditore del gruppo di ingenti somme (100.000,00 euro); 7) riforniva stabilmente l’associazione di ingenti quantitativi di stupefacente, tanto che i sodali, pur sospettando un suo tradimento in relazione all’arresto di NOME COGNOME, avevano continuato ad avere rapporti con lui e ad approvvigionarsi di diverse sostanze di stupefacenti; 8) NOME COGNOME, capo del sodalizio, si preoccupava di ricucire i rapporti con l’indagato per tutelare gli interessi comuni del gruppo.
Alla luce di tali elementi il Tribunale ha evidenziato che non vi era dubbio che il rapporto tra NOME COGNOME e il gruppo, capeggiato da COGNOME e COGNOME, aveva superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, trasformandosi nell’adesione dell’odierno ricorrente al programma criminoso.
Siffatte argomentazioni sfuggono al sindacato di questa Corte.
Nel porre in risalto dati, quali il rifornimento da parte del ricorrente d ingenti quantitativi di stupefacente; i rapporti avuti con NOME COGNOME, capo del sodalizio, e con altri partecipi; la preoccupazione di NOME COGNOME, capo del sodalizio, di ricucire i rapporti con NOME per tutelare gli interessi comuni de gruppo, il Collegio della cautela ha valorizzato elementi legittimamente intesi come rappresentativi della partecipazione del ricorrente al sodalizio, avvenuta con la consapevolezza di agire nell’ambito di un’organizzazione, nella quale le attività dei singoli si integrano strumentalmente per la finalità perseguita.
A fronte della motivazione dell’ordinanza impugnata il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione idonei a disarticolare o, comunque, a porre in crisi la complessiva tenuta del discorso logico-argomentativo delineato dal Tribunale, limitandosi a svilire i dati valorizzati nel provvedimento, così sollecitando questa Corte a effettuare una non consentita ricostruzione del quadro indiziario.
Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti o si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 deir8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178 -01). Correlativamente, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai li che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni della sua decisione e se tali ragioni siano congrue rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto, che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
4. Il terzo motivo di entrambi i ricorsi è infondato.
Il Tribunale, richiamata la presunzione dettata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha aggiunto che doveva ritenersi concreto e attuale il pericolo di recidiva, tenuto conto, in particolare, della capacità dell’indagato di organizzare trasferimenti internazionali di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente. Unica misura adeguata – secondo il Collegio della cautela – era quella applicata, atteso che «una meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari, consentirebbe all’indagato di riprendere il traffico di stupefacenti, considerato anche che egli è
stato in grado di procurarsi un telefono cellulare criptato, che si sottrae ai comuni metodi di intercettazione».
Alla luce di tali argomentazioni, con cui è stata evidenziata «la spiccata propensione dell’indagato a commettere delitti in materia di stupefacenti», va
rilevato che il Tribunale ha implicitamente ritenuto che il tempo decorso dai fatti non fosse idoneo ad attenuare o eliminare le esigenze cautelari e a giustificare,
quindi, conclusioni di segno contrario.
Trattasi di motivazione che resiste ai rilievi censori del ricorrente, in quanto logica e non inficiata da errori di diritto.
5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 aprile 2025.