Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5321 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 5321  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del Tribunale di Catania del 25/05/2023
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
sentito il difensore dell’indagato, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza del 25 maggio 2023 (motivazione depositata il successivo 8 giugno), ha rigettato la richiesta di riesame presentata dall’indagato nei confronti dell’ordinanza genetica emessa dal Gip il 12 aprile 2023 con la quale è stata applicata a COGNOME NOME la misura della custodia cautelare in carcere in relazione all’addebito provvisorio di cui agli artt. 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990 e 81 cod. pen. e 73, commi 1, 1 bis, 2 e 4 del medesimo d.P.R.
All’indagato vengono in particolare contestate: a) la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, capeggiata da COGNOME NOME, nella quale ha rivestito lo specifico ruolo di “pusher nonché di custode, addetto al confezionamento della sostanza stupefacente per le piazze di spaccio insediate nella INDIRIZZO e, successivamente, in INDIRIZZO” ; b) la consumazione di singoli reati fine ex art. 73 TU in concorso con taluno degli altri associati .
Avverso l’ordinanza del riesame l’indagato ha presentato, per mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale deduce due motivi.
3.1. Con il primo motivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in riferimento alle contestazioni cautelari. In particolare, si rileva che il coinvolgimento nell fattispecie associativa è stato fondato, in modo illogico, sulla base del rapporto con il solo coindagato COGNOME, mentre non sono emersi elementi idonei a dimostrare l’effettivo inserimento del COGNOME all’interno dell’associazione; a tale proposito si contestano le conclusioni che il Tribunale del riesame ha tratto dalle conversazioni intercettate il 3 e il 9 dicembre 2020 – alle quali ha partecipato l’indagato unitamente ad altri soggetti – conversazioni da cui, secondo il ricorrente, non traspare né l’inserimento dell’indagato nella compagine associativa, né l’esistenza in capo al predetto del necessario elemento dell’affectio societatis; da ultimo, si evidenzia che per una posizione analoga (di soggetto cioè che risultava legato a un unico componente dell’associazione), il Tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza genetica per la ritenuta insussistenza dei presupposti per configurare la fattispecie associativa.
3.2. Con il secondo motivo viene censurata la conferma da parte del Tribunale del riesame delle esigenze cautelari, tenuto conto che il dimostrato rapporto esclusivo del COGNOME con il COGNOME, ristretto in carcere, evidenzia che dalla applicazione di una misura meno afflittiva non deriverebbero concreti rischi di reiterazione della condotta delittuosa ipotizzata; da ultimo (foglio 4 del ricorso, in fine della pagina) si sostiene l’intervenuta “perdita di efficacia della seconda
ordinanza per scadenza dei termini, poiché la decorrenza della misura cautelare applicata con l’ordinanza eseguita in data 16/11/2021 va retrodatata alla data di esecuzione del primo provvedimento restrittivo, emesso in data 29 aprile 2019″.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile.
 L’ordinanza impugnata motiva in modo adeguato in ordine alla configurabilità dell’addebito associativo a carico del COGNOME, evidenziando che il predetto era sì certamente legato al COGNOME (che per le sue capacità ed affidabilità lo ha definito “un mostro”: ordinanza impugnata, pag. 5 s.), ma partecipava pienamente alle attività associative, per quanto concerne l’apprestamento e la gestione della piazza di spaccio.
Viene altresì dato atto (pag. 6 ss.) che il predetto era in rapporti non solo con COGNOME, ma anche con gli altri associati (Ferrara e il “capo” COGNOME); vengono riportati i contenuti di numerose intercettazioni dalle quali emerge il ruolo svolto dall’indagato (in ordine al prelevamento dello stupefacente dalla “base operativa” del sodalizio e al trasporto della sostanza presso l’abitazione del Ferrara; alla partecipazione a riunioni con gli altri associati nel corso delle quali COGNOME rendicontava in modo analitico l’attività di vendita di droga con indicazione dei nomi degli acquirenti e degli importi legati a tale vendita), Da tali elementi, l’ordinanza impugnata, in modo certamente non illogico, deduce la configurabilità nei confronti del COGNOME della partecipazione all’associazione, facendo buon governo dei principi dettati al riguardo da questa Corte. Invero, da un lato «in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la ripetuta commissione, in concorso con altri partecipi, di reati fine dell’associazione, può integrare l’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell’assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro» (Cass., Sez. 3, 10 gennaio 2020, n. 20003, Di Maggio, Rv 279505 – 02). Dall’altro lato, l’ordinanza impugnata ha messo in rilievo l’esistenza di una articolata organizzazione, funzionale all’attività di cessione di stupefacente attraverso la gestione di due piazze di spaccio, con ripartizione dei compiti tra i diversi sodali e apprestamento di mezzi materiali idonei allo scopo. E sul punto, si è avuto già modo di precisare (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018 – dep. 2019, Noure AVV_NOTAIO Malick, Rv. 275550 – 01) che «L’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato
di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso. (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato associativo richiede la predisposizione di mezzi concretarnente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte dei singoli per i raggiungimento dello scopo, poiché, solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa, si realizza la situazione antigiuridica che giustifica le gravi sanzioni previste per tale fattispecie)».
3. Il secondo motivo è ugualmente inammissibile in quanto, a fronte degli elementi indicati dall’ordinanza impugnata (pag. 7) a sostegno della permanenza delle esigenze cautelari (“biografia criminale” dell’indagato, condannato per associazione mafiosa e per narcotraffico; acquisita “professionalità” nel settore degli stupefacenti; ruolo assai significativo riconosciutogli dal “capo” dell’associazione) le censure risultano generiche. Infine, per quanto concerne il profilo relativo alla invocata “retrodatazione” (ammesso che non si tratti di un errore materiale nel confezionamento del ricorso, attesa la non coincidenza tra la data del provvedimento genetico impugnato nel presente procedimento e quella indicata in detta parte del ricorso), esso – che non risulta neppure essere stato sollevato in sede di riesame, il che già ne determina la inammissibilità (v. Sez. 5, n. 14713 del 06/03/2019, Petrone, Rv. 275098 – 01) – è stato proposto in modo assolutamente generico.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua in relazione alla causa di inammissibilità, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. La cancelleria è incaricata di provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 6 dicembre 2023
Il AVV_NOTAIO es ensore idente