Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29960 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29960 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 22/08/1986,
COGNOME VincenzoCOGNOME nato a Napoli il 26/06/1993,
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 05/08/1997,
avverso la sentenza del 24/09/2024 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME e l’inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME
COGNOME;
udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Noia, in difesa di NOME COGNOME quale ha esposto i motivi del ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 settembre 2024 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, in esito al giudizio abbreviato, in data 30 marzo 2023: a) ha ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui ai capi 1 e 42 e, esclusa la recidiva, ritenuta continuazione, lo ha condannato alla pena di anni 17 di reclusione; b) ha ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui ai capi 2 e 39 e, concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione tra reati, lo ha condannato alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa; c) ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., ha applicato a NOME COGNOME la pena concordata di anni 4, mesi 5 giorni 10 di reclusione, in relazione al reato di cui al capo 1.
1.1. Più in particolare, e per quanto di interesse nel presente giudizio, i giudici di merito hanno ritenuto provata l’esistenza e l’operatività, in Marigliano (NA), di una associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, crack, hashish e marijuana (capo 1), promossa ed organizzata da NOME COGNOME e dal nipote NOME COGNOME (nei cui confronti si procede separatamente), e a cui prese parte, tra gli altri, NOME COGNOME (quale addetto alla vendita a dettaglio nelle piazze di spaccio).
L’esistenza e l’operatività del sodalizio sono state desunte essenzialmente dall’analisi di una serie di conversazioni intercettate, ritenute utili a fornire la p sia della consumazione dei c.d. reati – fine (tra cui le cessioni di hashish di cui è stato ritenuto responsabile il COGNOME), sia dell’esistenza di una struttura organizzativa funzionale al perseguimento di un programma delittuoso aperto, consistente nella commissione di reati in materia di stupefacenti.
Dai dialoghi captati, e dagli elementi di conferma tratti dalle attività di poliz giudiziaria (tra cui i servizi di osservazione ed i sequestri) I è stato possibile delineare la distribuzione dei ruoli di ciascun associato,, ed individuare forme di mutuo soccorso tra i sodali.
E’ stato riconosciuto il carattere armato del sodalizio (oltre all’aggravante del numero dei sodali superiore a 10), in ragione del rinvenimento di una pistola con matricola abrasa (in occasione dell’arresto di un correo), nonché del sequestro di armi rinvenute nei pressi della piazza di spaccio gestita dall’associazione; ciò in linea con quanto riferito dai collaboratori di giustizia, circa il conflitto armato tra il g facente capo ai Filippini e altre organizzazioni criminali, per il controllo dell’attivi spaccio nel territorio di riferimento.
I giudici di merito hanno inoltre escluso che i fatti potessero essere qualificati nella ipotesi lieve di cui al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in ragione delle caratteristiche concrete dell’associazione (volume d’affari, gestione di diverse tipologie di sostanze, disponibilità di armi) e delle singole transazioni illecit
In relazione al reato di cui al capo 42, infine, i giudici di merito hanno affermato la responsabilità di NOME COGNOME ianalizzando il contenuto di una conversazione telefonica tesa ad organizzare un incontro, che si è ritenuto essere finalizzato alla cessione di sostanza stupefacente.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando, in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione quanto alla fattispecie associativa (pp. 1 – 14).
Senza analizzare le doglianze contenute nell’atto di appello, la Corte territoriale si è limitata ad elencare gli elementi ritenuti sintomatici dell’esistenza del associazione, e neppure ne ha verificato in concreto l’effettiva capacità dimostrativa; verifica ancor più necessaria ove si consideri che quegli elementi ben possono caratterizzare il semplice concorso nelle singole condotte di cui all’articolo 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La Corte avrebbe dovuto considerare che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono relative ad un periodo antecedente rispetto a quello per cui si procede, e non possono offrire una chiave di lettura degli accadimenti per cui è processo.
Suddivisione dei compiti e degli utili, forme di mantenimento degli arrestati, su cui pure si intrattengono i giudici di merito, rappresentano, si afferma, indic compatibili anche con il concorso di persone nei singoli reati.
Più in generale, si osserva che la motivazione è carente anche in relazione alla stessa esistenza degli elementi identificativi dell’associazione di cui all’art. 74 d.P.R 9 ottobre 1990, n. 309, ovvero la stabilità dell’accordo e la disponibilità di mezzi e risorse per il perseguimento di un fine illecito comune, secondo un programma aperto.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, in tesi difensiva omessa, in relazione al ruolo apicale riconosciuto al ricorrente (pp. 14 – 18).
La Corte territoriale, si osserva, non ha risposto alle doglianze contenute nell’atto di appello con cui si evidenziava l’assenza, nei dialoghi intercettati, del prova del concreto esercizio del potere direttivo, in cui si sostanzia la figura di cui comma 1 dell’art. 74, i cui tratti non possono essere delineati semplicemente dalla “percezione” che altri avevano del ricorrente, come emersa dalle conversazi intercettate.
Neppure potevano valorizzarsi le dichiarazioni dei collaboratori di giust come visto non riscontrate e comunque relative a vicende temporalmente distinte.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione della legge penale sostanziale e v della motivazione (poiché contraddittoria e manifestamente illogica) con riguardo
mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (pp. 18 – 23).
La motivazione offerta dai giudici di merito deve ritenersi manifestamente illogica nella misura in cui, pur in presenza di reati-scopo riconducibili alla fattispec di cui al comma 5 dell’art. 73, ha ugualmente ritenuto di escludere l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6.
Anzi, i giudici di merito hanno valorizzato elementi estranei alla fattispecie di cui al comma 6, quali le potenzialità dell’organizzazione, la presenza di più di 10 associati e la disponibilità di armi.
2.4. Con il quarto motivo lamenta erronea applicazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione con riguardo alla aggravante dell’essere il sodalizio armato (pp. 23 – 26).
Aggravante riconosciuta in ragione del sequestro di armi eseguito in prossimità dell’abitazione del coimputato NOME COGNOME ma che erano nella sua esclusiva disponibilità, senza che di ciò fossero a conoscenza gli altri consociati.
Nemmeno su tale punto, si osserva, possono essere valorizzate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, poiché relative ad un diverso orizzonte temporale.
2.5. Con il quinto motivo lamenta vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità relativa al reato di cui al capo 42 (pp. 26 – 29): i giudic di merito hanno tratto la prova della condotta di detenzione e di cessione dall’analisi di un solo dialogo con il quale il ricorrente concordava un appuntamento con un soggetto rimasto non identificato.
Ma, così facendo, la prova del contenuto illecito dell’incontro è stata desunta in forza della sola posizione apicale in ipotesi assunta nel sodalizio.
2.6. Con il sesto motivo deduce violazione della legge penale e vizio della motivazione (poiché carente, contradittoria e manifestamente illogica), con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
In tesi difensiva, erroneamente la Corte non ha valutato il contegno processuale – ovvero la richiesta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato – ed ha invece affidato lo sforzo motivazionale ad un generico riferimento alla gravità del fatto, così malamente esercitando il potere discrezionale che le è riconosciuto per adeguare il trattamento sanzionatorio alla reale offensività del fatto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sen dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
3.1. Con un unico motivo deduce violazione della legge penale sostanziale vizio della motivazione, con riguardo al mancato riconoscimento della fattispecie l di cui al comma 5 dell’articolo 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e all’art. 1 pen.
Osserva il ricorrente che, in ragione delle esigue quantità cedute, e del contestuale riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, i giudici di merito avrebbero dovuto coerentemente ritenere anche l’ipotesi di cui al citato comma 5.
Propone ricorso per cassazione, infine, NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
4.1. Con un unico motivo deduce il vizio di omessa motivazione, non avendo la Corte territoriale indicato gli elementi concreti dai quali desumere la maggiore pericolosità sociale a cui deve essere collegato l’aumento di pena di cui all’articolo 99 cod. pen.; pertanto, la recidiva è stata riconosciuta in ragione di un dato meramente formale, ovvero delle sole risultanze del casellario giudiziale.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale; separata la posizione di NOME COGNOME le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. Osserva preliminarmente il Collegio che, in presenza di una doppia conforme, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenz appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze (Sez. 4, n. 26493 del 13/06/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 26800 del 26/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, COGNOME, Rv. 216906 – 01; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145 – 01).
Ciò si verifica quando i giudici del gravame hanno esaminato le censure proposte dagli appellanti con criteri omogenei a quelli del primo giudice e operato frequenti riferimenti ai passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione.
1.2. Allo scrutinio dei motivi di ricorso è inoltre utile premettere che, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, le indagini iniziarono dopo l’attentat
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dinamitardo del 24 aprile 2019 ad una pizzeria di Marigliano, gestita dalla convivente di NOME COGNOME (la cui posizione è stata processualmente separata).
Le attività di intercettazione in tal modo avviate, in uno con le ulteriori attiv di polizia giudiziaria (tra cui servizi di osservazione, perquisizioni e conseguent sequestri), hanno consentito di ritenere provata l’esistenza e l’operatività presso i rione INDIRIZZO di Marigliano (NA), di una associazione per delinquere finalizzata al traffico dì sostanze stupefacenti del tipo cocaina, crack /hashish e marijuana (capo 1), promossa ed organizzata da componenti della famiglia COGNOME, ovvero NOME e NOMECOGNOME e con la partecipazione di altri sodali, tra cui NOME COGNOME
Il sodalizio poteva contare su di una pur rudimentale organizzazione, fondata sulla disponibilità di risorse umane e materiali (ad es., utenze ritenute sicure poiché fittiziamente intestate), sulla creazione di una vera e propria piazza di spaccio, su un protocollo d’azione condiviso (di cui era espressione l’uso di un linguaggio convenzionale), su una precisa ripartizione dei compiti tra i sodali (anche attraverso la programmazione di orari di lavoro e turnazione) il cui operato era oggetto di controllo e coordinamento da parte degli esponenti di vertice.
Il sodalizio poteva disporre di armi e dell’ausilio di alcune vedette, munite di ricetrasmittenti, addette alla sorveglianza della piazza di spaccio, onde consentire ai pusher di essere avvisati dell’arrivo delle forze dell’ordine.
Erano inoltre previste forme di ripartizione degli utili e di mutuo soccorso comprensive del pagamento delle spese legali – nei riguardi degli affiliati coinvolti in attività di polizia giudiziaria.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il primo motivo, riguardante la sussistenza del reato associativo, è inammissibile.
Osserva innanzitutto il Collegio che né il codice penale (artt. 416 e 416-bis) né il d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 contengono una definizione dell’associazione per delinquere, che è venuta delineandosi, nei suoi elementi costitutivi, per effetto dell’attività interpretativa.
Con specifico riferimento al citato art. 74, gli elementi costitutivi del delitto associazione sono stati quindi individuati: a) in un accordo criminoso (c. d. pactum sceleris), che crei un vincolo di natura permanente fra tre o più persone; b) nel perseguimento di un programma criminoso volto al compimento di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti; c) nell’esistenza di un minimo d organizzazione avente carattere stabile e, quindi, destinata a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti scopo.
In ordine all’accordo- criminoso, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso la necessità di un accordo formalizzato, cioè di “un accordo consacrato in atti di costituzione, statuto, regolamento, iniziazione od in altr
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manifestazioni di formale adesione”, ritenendo, per contro, sufficiente “l’esistenza di fatto della struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contri consapevolmente apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune” (Sez. 4, n. 37291 del 31/05/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 43327 del 08/10/2013, COGNOME, Rv. 256969 – 01; Sez. 6, n. 8046 dei 08/05/1995, COGNOME, Rv. 202031 – 01).
L’accordo illecito, quindi, può costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che attività proprie e altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune.
Attuazione che, peraltro, non è richiesta, nel senso che si può rispondere di associazione anche senza la commissione dei singoli reati scopo, seppur tale ultimo aspetto possa agevolarne l’identificazione.
Una delle regole di giudizio e d’inferenza logica dell’esistenza di un sodalizio finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti è, infatti, costituita dalla valorizzaz di indici quali le comuni modalità esecutive e la ripetitività delle condotte integrant reati scopo-oggetto del programma criminoso.
Nella stessa prospettiva, la ripetuta e non occasionale commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell’associazione, seppur non necessaria, può offrir la prova della condotta del partecipe, posto che, attraverso essi, si manifesta in concreto l’operatività della compagine criminale (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505 – 02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346 01; cfr., anche Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 282838 – 01, con la precisazione che tali condotte debbono essere espressive di forme di interazione nell’ambito del gruppo organizzato).
Se ne è dedotto, coerentemente, che la prova della partecipazione può essere data anche con mezzi e modi diversi dalla prova del concorso nei singoli traffici (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 40749 del 05/03/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 264826 – 01); trattandosi, infatti, di reato a forma libera, rileva qualsiasi comportamento che apporti un contributo, ancorché minimo ma non insignificante, alla vita della struttura, consapevolmente funzionale al programma delittuoso, a nulla rilevando che questo non integri, di per sé, alcun reato – fine.
In ordine, poi, all’elemento organizzativo, non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture sia pure rudimentali, deducibile dal predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune: una struttura che, quindi, fornisca un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose, per la necessità che il sodalizio si protragga per un apprezzabile periodo di tempo idoneo a consentire ad esso di operare validamente (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583 – 01; Sez. 5, n. 11899 del
05/11/1997, COGNOME, Rv. 209646 – 01; Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 202038 – 01).
Quanto, poi, all’elemento psicologico, va detto che il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e, quindi, del programma delinquenziale in modo stabile e permanente.
Poiché, infatti, per la costituzione del sodalizio non è necessaria la esplicita manifestazione di una volontà associativa, la consapevolezza dell’associato può essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 1, n. 45297 del 05/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 10076 del 24/09/1998, COGNOME, Rv. 213978 – 01)
2.1.1. Nel caso in esame i giudici di merito (pp. 364 e ss. sentenza del Tribunale, a cui opera ampio rinvio quella impugnata) hanno fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, ritenendo provata l’esistenza e l’operatività di una associazione p delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, crack, hashish e marijuana, promossa ed organizzata da NOME COGNOME e a cui prese parte, tra gli altri, NOME COGNOME (quale addetto alla vendita al dettaglio nel piazze di spaccio), oltre ad altri soggetti a cui carico si è proceduto separatamente.
Dall’analisi di una serie di conversazioni intercettate è stato innanzitutto possibile delineare una precisa distribuzione dei ruoli tra gli associati, oltre che l prova della consumazione dei c.d. reati – fine (capi 2 e ss.).
La posizione apicale di NOME COGNOME detto COGNOME, è stata affermata in ragione delle direttive ripetutamente fornite ai correi, nonché del potere di gestire gl utili, le forme di assistenza agli associati, nonché la stessa piazza di spaccio.
Partecipe è stato ritenuto anche NOME COGNOME uno degli addetti alla vendita al dettaglio.
Oltre che nella distribuzione di compiti specifici, indici univoci dell’esistenza d una struttura deputata al perseguimento del programma, sono stati individuati: a) nell’esistenza di luoghi destinati alla realizzazione delle attività delittuose, organizza attraverso la creazione di una piazza di spaccio, inizialmente “aperta” presso la scala “E” dell’isolato 09 e successivamente – a seguito dell’arresto di NOME COGNOME presso la scala “A” dell’isolato 05; b) nell’adozione di un collaudato modus operandi, in relazione all’adozione ed all’utilizzo condiviso di un linguaggio convenzionale, sia in relazione alle modalità di cessione, sia con riguardo alla gestione di una vera e propria contabilità (con forme di rendicontazione ai vertici), sia in relazione al ripar degli utili ed alla creazione di veri e propri turni di lavoro per i singoli pusher (non per le vedette, destinate ad avvisare i pusher dell’arrivo delle forze dell’ordine), con le relative pause per il pranzo e la previsione di meccanismi di sostituzione in caso di impedimenti (ad es. p. 183 sentenza del Tribunale); c) nella previsione di forme di
mantenimento dei sodali arrestati e delle loro famiglie, anche attraverso il pagamento delle loro spese legali/
Dall’analisi di tali indicatori è stata desunta anche la c.d. affectio societatis.
2.1.2. Osserva il Collegio che un simile percorso motivazionale resiste alle critiche difensive.
Il ricorrente, infatti, propone una analisi parcellizzata degli indicatori valorizz dai giudici di merito, senza riuscire ad “isolare” uno specifico vizio della motivazion rilevabile ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. (pur formalmente denunciato: p. 2).
La decisione impugnata si pone inoltre in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità anche in relazione al discrimine con il concorso di persone nel reato continuato, solo affermato dal ricorrente.
Invero, il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquer concorso di persone nel reato continuato, deve incentrarsi essenzialmente nel carattere dell’accordo criminoso, che, nella seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale e accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati (eventualmente ispirati da un medesimo disegno criminoso, che, tutti, comprenda e preveda), con la realizzazione dei quali, si esaurisce l’accordo dei correi – con cessazione di ogni motivo di pericolo di allarme sociale – mentre nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, che, come detto, non è richiesta per la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, COGNOME, Rv. 284724 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Debbiche, Rv. 258009 – 01).
Se da un lato la stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati- scopo, dall’altro è necessario che, nel loro divenire, siano evocativi d un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi.
Può perciò dirsi, in sintesi, che, diversamente dal fenomeno associativo, nel concorso di persone nel reato continuato l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno (così, Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 260292 – 01).
Sicché, l’associazione, a differenza del concorso, rappresenta essa stessa una struttura idonea a costituire un supporto stabile all’attività criminale, per permanenza del vincolo, per la stessa consapevolezza, da parte degli associati, della protrazione del vincolo associativo oltre la consumazione dei singoli reati scopo (c.d. affectio societatis scelerum).
Come anticipato, i giudici di merito hanno ritenuto accertata la disponibilità di mezzi per l’esecuzione delle azioni delittuose, la suddivisione dei compiti tra gli
associati – necessaria per la gestione di una piazza di spaccio – la condivisione di un protocollo comunicativo volto a dissimulare il reale contenuto dei dialoghi, nonché l’adozione di un collaudato modus operandi.
In tale contesto, le ripetute cessioni di stupefacente, avvenute secondo una tecnica condivisa in uso ai sodali, ed avvalendosi di basi operative, sono state ritenute indicative di una pur rudimentale struttura, all’interno della quale vi erano regole ben precise !anche per quanto riguarda la distribuzione dei compensi tra gli associatir la previsione di forme di mutua assistenza.
Per quest’ultimo profilo, l’impegno assunto dai sodali in libertà a provvedere al mantenimento dei detenuti appare coerente non solo con la predeterminazione di regole generali di funzionamento, ma anche con la stabilità del vincolo associativo, desunto anche dalla continuità dei rapporti tra gli aderenti; per questi aspetti il ricors assume una connotazione meramente avversativa (pp. 9 e ss.), limitandosi ad affermare che gli elementi valorizzati non siano in realtà dimostrativi dell’esistenza di una struttura organizzata, ma soltanto di condotte attuative del medesimo disegno criminoso.
Ciò è ancor più vero ove si consideri che il profilo organizzativo è stato ulteriormente argomentato in ragione della presenza di forme di resoconto dei ricavi e di controllo sull’operato dei sodali da parte degli esponenti apicali (ad es., p. 27 sentenza di primo grado), della gestione della contabilità riferita agli affari de sodalizio, nonché del tempestivo rinvenimento di luoghi dove spostare l’attività illecita (dopo alcuni interventi della polizia giudiziaria).
Correttamente, quindi, i giudici di merito, con motivazione esente dai vizi rilevabili con ricorso per cassazione, hanno tratto da tali indicatori la prova del carattere non occasionale dell’accordo, e della comune consapevolezza di contribuire al perseguimento di un programma delittuoso aperto (solo genericamente contestata in ricorso), poiché teso a realizzare una serie non preventivamente determinata di delitti, in perfetta aderenza con la funzione stessa della piazza di spaccio.
Se è vero, poi, come lamenta il ricorrente (p. 6 ricorso), che le dichiarazioni dei collaboratori non hanno riguardato direttamente il periodo in cui operò il sodalizio, è anche vero che i giudici di merito hanno evidenziato il ricorso alla intimidazione attraverso le c.d. “stese” – per il mantenimento del controllo del territorio in c gestire i traffici illeciti; ciò in linea con il narrato dei collaboratori, relativo agl armati che i Filippini avevano avuto con altri gruppi, proprio per garantirsi il contr di tali redditizi traffici.
Quanto alla collocazione temporale delle condotte – circa 6 mesi, secondo ricorrente (p. 13) – è utile richiamare il pacifico insegnamento giurispruden secondo cui la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose può ess anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un s collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, bench
un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 13093 del 13/11/2024, dep. 2025, Catania, non mass.; Sez. 4, n. 36466 del 03/07/2024, Dodaj, non mass.; Sez. 6, n. 42937 del 23/9/2021, COGNOME, Rv. 282122 – 01; Sez. 4, n. 50570 del 16/12/2019, COGNOME, Rv. 278440-02); così come per la prova della intraneità può essere sufficiente anche l’adesione e l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276677 – 01).
D’altra parte, come correttamente ritenuto dai giudici di merito, a rilevare in concreto non è tanto il segmento temporale di osservazione, quanto piuttosto la valutazione degli elementi emersi in quel periodo, da cui è stato possibile trarre, si è osservato, ripetuta conferma della stabilità dell’accordo.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile, poiché in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
Oltre a denunciare cumulativamente i tre vizi della motivazione di cui all’art. 606, lett. e, cod. proc. pen. (p. 14 ricorso), il ricorrente lamenta la mancata prova dell’esercizio in concreto del potere direttivo, richiesto dalla giurisprudenza d legittimità per il riconoscimento al sodale di un ruolo apicale.
Osserva il Collegio che, coerentemente con la imputazione, NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 74 d.P.R. 9 ottobr 1990, n. 309, in qualità di promotore ed organizzatore del sodalizio.
Sul punto è utile ricordare che, nell’ambito dei fenomeni associativi, l’organizzatore è colui che si occupa della gestione complessiva del gruppo (o di uno specifico settore di operatività), mediante un contributo teso a garantirne stabilità ed efficienza.
Che l’assunzione e l’esercizio concreto del potere gestorio rappresenti il dato fondante del ruolo dell’organizzatore è dato pressoché pacifico in giurisprudenza, affermato in relazione alle diverse fattispecie associative (Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 03; Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262487 – 01; Sez. 5, n. 39378 del 22/06/2012, COGNOME, Rv. 254317 – 01; Sez. 6, n. 25698 del 15/06/2011, COGNOME, Rv. 250515 – 01).
Dunque, alla nozione di organizzatore deve essere rapportato ogni contributo sistematicamente rivolto, in autonomia, all’esistenza, alla stabilità ed all’efficien dell’azione del gruppo, sul piano delle risorse umane (coordinando gli altri consociati – o strumentalpfoccupandosi della gestione di settori nevralgici.
Anche sul piano squisitamente semantico, organizzare vuol dire imprimere un ordine ad una struttura più o meno complessa, mettendo gli elementi che la compongono in connessione tra loro, in vista del raggiungimento di unàfine comune.
Ciò posto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali princi evidenziando una serie di indicatori fattuali ritenuti espressivi del concreto esercizi del potere direttivo (pp. 20 e 21 sentenza impugnata).
Il COGNOME infatti, secondo i giudici, oltre ad essere “scortato” dagli altri s nei suoi movimenti, veniva notiziato degli arresti degli affiliati, che a lui si rivolgev per fruire del sistema di mutuo soccorso invalso nel sodalizio; ciò nell’evidente considerazione per cui egli poteva disporre delle risorse del gruppo (come testimoniato dalle plurime richieste che gli venivano rivolte), finanche attivandosi per individuare degli immobili presso i quali gli affiliati avrebbero potuto scontare l misura domiciliare (ad es., pp. 51 e ss. sentenza dei Tribunale).
Al COGNOME dovevano rapportarsi gli altri sodali, tra cui NOME COGNOME il qual era tenuto a rendicontargli i ricavi, che poi lo stesso COGNOME, come visto, distribuiv una relazione, quella con gli altri associati, ben delineata dai giudici di meri attraverso il riferimento alle forme di controllo che lo stesso COGNOME esercitava su d loro, proprio quanto alla gestione della piazza (pp. 65 e 66 sentenza Tribunale).
A fronte di tale congrua motivazione, tutt’altro che manifestamente illogica, il tentativo del ricorrente di svalutare il significato probatorio di tali risultanze – pera evocando il narrato dei collaboratori in alcun modo preso in esame dalla Corte territoriale a tali fini – si risolve nella prospettazione di una lettura alternativa a q effettuata dalla Corte territoriale, in tal modo sollecitando una attività che è preclus alla Corte di cassazione.
2.3. Il terzo motivo di ricorso riguarda il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Lamenta il ricorrente che l’aver individuato i reati scopo del sodalizio nella cessione di singole dosi, e le stesse caratteristiche strutturali dell’associazione, sono tali da rientrare nella invocata previsione normativa.
Il motivo è inammissibile, poiché in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
Secondo un risalente e pacifico insegnamento di legittimità, tale autonoma ipotesi delittuosa (Sez. U. 34475 del 23/6/2011, COGNOME, Rv. 250352 – 01) è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Degli COGNOME, Rv. 278098 – 01; Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, C., Rv. 274287 – 02, in un caso in cui l’ipotesi lieve è stata esclusa valorizzando la concreta capacità operativa, l’articolata organizzazione e la capacità di approvvigionamento continuo e sistematico di sostanza stupefacente; Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Pardo, Rv. 271708 – 01; Sez. 6, n. 12537 del 19/01/2016, COGNOME, Rv. 267267 – 01).
La formulazione della norma lascia intendere che in tali casi il patto associativo, rpur connotato, nella sua attuazione, da rudimentali profili organizzativi, deve ,1 fondarsi su una progettualità relativa a fatti che non oltrepassino la soglia della lieve
entità: in tal senso depone il riferimento della norma incriminatrice al fatto che l’associazione deve essere “costituita” per commettere i reati di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
L’aver attribuito rilevanza al momento genetico dell’associazione, conduce a ritenere che la “lieve entità” dei fatti deve caratterizzare la struttura associativa dalla sua nascita e deve investire sia il momento dell’approvvigionamento, sia le fasi successive.
Assumono rilievo, quindi, sia il momento genetico, sia l’effettiva dinamica operativa del sodalizio: l’ipotesi lieve deve perciò confrontarsi anche con le potenzialità dell’organizzazione, in relazione ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi, eventualmente in maniera continuativa (Sez. 4, n. 34920 del 14/06/2017, B., Rv. 270803 – 01; Sez. 4, n. 38133 del 2/7/2013, COGNOME, Rv. 256289 – 01).
Nel caso in esame i giudici di merito (pp. 14 e ss. sentenza ricorsa; pp. 368 e 1 4A A-r, ss. sentenza del Tribunale), facendo corretta applicazione di tali principi GLYPH scrutinato entrambi i profili, escludendo l’ipotesi delittuosa di cui al menzionato comma 6 innanzitutto perché i reati commessi in esecuzione del pactum sceleris non sono caratterizzati dalla lieve entità; affermazione, questa, che riposa sull’analisi del caratteristiche delle singole condotte (ad es., pp. 25, 27 e 33 sentenza impugnata), sulla scorta di una valutazione complessiva che il ricorso non esamina in alcun modo.
Inoltre, i giudici di merito hanno analizzato le specifiche caratteristich dell’associazione, indicative della vocazione ab origine alla realizzazione di fatti di non lieve entità: ciò in ragione della capacità del gruppo di soddisfare un numero indefinito di clienti, di trattare diversi tipi di sostanze per quantità tutt’alt minime, per come si è argomentato in ragione dei riferimenti, contenuti nelle intercettazioni, al controvalore delle transazioni.
Operatività testimoniata anche dalla capacità del sodalizio di sostituire i pusher arrestati in tempi rapidissimi, e di disporre di strumenti dedicati (telefoni ed utenze) oltre che di armi.
Così facendo, i giudici di merito si sono attenuti ai ricordati principi di diri con giudizio in fatto logicamente motivato, e pertanto insuscettibile di essere sottoposto al sindacato di legittimità; giudizio che il ricorrente contrasta in termi meramente avversativi, lamentando la compatibilità dell’ipotesi lieve con la (mera disponibilità delle armi, che la Corte territoriale, invece, ha valorizzato p sottolineare la capacità del sodalizio di garantirsi, anche con la forza, il control egemonico del territorio nel quale gestire le transazioni illecite.
Né i ricorrenti si confrontano con l’orientamento giurisprudenziale che esclude la fattispecie di cui al comma 6 nei casi in cui, come quello per cui si procede, è possibile apprezzare l’indeterminata estensione della clientela in un territorio (Sez. 6, n. 50382 del 18/11/2014, COGNOME, non mass.).
2.4. Il quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta violazione della legge penale e vizio della motivazione con riguardo al riconoscimento dell’aggravante del carattere armato del sodalizio, è inammissibile, poiché in parte manifestamente infondato, ed in parte aspecifico.
Ai sensi dell’art. 74, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la pena per il reato associativo è aumentata se «l’associazione è armata»; inoltre, «l’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materie esplosive anche se occultate o tenute in luogo di deposito».
Dal tenore letterale della disposizione, e dai tratti tipici che distinguono ta associazioni per delinquere dalle altre pure aventi rilievo penale, si è tratto il princi per cui l’aggravante in esame non richiede, come invece si afferma in ricorso (pp. 24 e 25), che la detenzione delle armi sia funzionale all’attuazione del programma delittuoso: il ricorrente su punto non si avvede del pacifico orientamento di legittimità, secondo il quale l’aggravante, sul piano oggettivo, ed a differenza di quanto previsto dall’art. 416-bis, comma 5, cod. pen., richiede unicamente la disponibilità di armi da parte degli aderenti al sodalizio, non esigendo anche la correlazione tra quelle e gli scopi da esso perseguiti (Sez. 4, n. 43711 del 19/09/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 37179 del 23/06/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 36171 del 22/09/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212 – 01; Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262714 – 01).
Ciò che conta, infatti, è che il processo dia la prova che l’uso delle armi non sia esclusivamente personale del partecipe che le detiene (Sez. 5, n. 18756 del 08/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263694 – 01; Sez. 1, n. 21957 del 06/05/2010, COGNOME, Rv. 247408 – 01).
Affinché, poi, tale circostanza possa essere riconosciuta in capo al singolo partecipe del sodalizio, è altresì necessario che sussista un coefficiente di colpevolezza in relazione a tale specifico aspetto, secondo quanto richiede l’art. 59, comma 2, cod. pen., occorrendo, pertanto, quanto meno una prevedibilità concreta, da parte di costui, della presenza di armi nella disponibilità dell’associazione (Sez. 6, COGNOME, cit., Rv. 281212 – 02; Sez. 6, n. 49458 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 266041 – 01; Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013, Aversano, Rv. 257611 – 01).
Al riguardo il ricorrente, in termini puramente avversativi, sostiene che le armi erano nella disponibilità dei singoli, e non del gruppo (non potendosi far riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia), e che comunque tale disponibilità “non deve necessariamente essere conosciuta dagli altri consociati” (p. 25 ricorso).
In tal modo il ricorso, mancando di specificità, omette il dovuto confronto con le conformi decisioni di merito, in cui i ripetuti sequestri di armi, anche nei pres della piazza di spaccio, sono stati messi in correlazione con i commenti dei sodali per
la grave perdita, tratti dall’esame dei dialoghi intercettati (pp. 11 – 13 sentenz ricorsa; p. 368 sentenza di primo grado).
Sempre dalle conversazioni intercettate è emerso inoltre che, nel periodo di operatività, gli appartenenti al sodalizio effettuavano delle “stese”, azion intimidatorie consistenti nell’attraversare velocemente a bordo di motorini le strade del territorio di cui si vuol dimostrare il controllo, sparando intorno.
Sicché, facendo corretta applicazione dei ricordati principi di diritto, i giudici merito hanno motivatamente escluso che i sodali – ed in particolare il COGNOME in ragione della posizione apicale rivestita – fosse all’oscuro di una simile disponibilità. 2
Disponibilità, questa, già ampiamente emersa, seppur in relazione ad un periodo precedente, sulla scorta delle dichiarazioni rese dai collaboratori, i quali hanno concordemente riferito degli scontri, anche armati, avvenuti tra il gruppo facente capo ai Filippini – con il coinvolgimento diretto del ricorrente – ed alt organizzazioni criminali, per il controllo dell’attività di spaccio sul territorio (p sentenza del Tribunale).
Da tali elementi, con motivazione non manifestamente illogica con la quale il ricorrente non si confronta, i giudici hanno quindi tratto la conferma del fatto che egli poteva concretamente prevedere la presenza di armi nella disponibilità dell’associazione che dirigeva, e che quindi questa sia stata quantomeno ignorata per colpa, ai sensi dell’art. 59 cod. pen.
2.5. Il quinto motivo, con cui il ricorrente lamenta vizio della motivazione con riguardo al reato di cui al capo 42, è inammissibile.
Si afferma in ricorso che dall’esame di una sola conversazione – funzionale alla organizzazione di un incontro – i giudici hanno erroneamente tratto la prova della cessione dello stupefacente da parte del COGNOME, finendo per attribuire decisiva rilevanza al ruolo assunto nel sodalizio, in violazione del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio e facendo erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Osserva il Collegio che, in realtà, i giudici di merito hanno valutato il contenuto del breve dialogo nel più ampio contesto dimostrativo, ritenendolo rivelatore della effettiva finalità dell’incontro, ed evidenziando il riferimento dell’interlocutore ad u pressante esigenza (allora volevo, al volo al volo), non meglio precisata ma subito compresa dal COGNOME, con il quale si era già relazionato con analoghe modalità.
Sicché, i giudici hanno potuto attribuire il reale significato alla conversazione, tesa appunto ad organizzare un incontro funzionale alla cessione di sostanza stupefacente, assegnando al ruolo assunto dal COGNOME nel sodalizio – contrariamente a quanto si ipotizza in ricorso (pp. 28 – 29) – un elemento di mera conferma della chiave di lettura offerta.
Ancora, il ricorrente non si confronta neppure con il pacifico orientamento secondo il quale l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento
del giudice del merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risu logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; conf., Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01).
Né si lamenta il travisamento della prova: se da un lato, infatti, è possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione dei dialoghi diversa da quella proposta dal giudice di merito, dall’altro occorre ricordare che ciò è possibile allorquando il contenuto è stato indicato in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile; quindi, solo in presenza di u travisamento della prova (Sez. 2, n. 27480 del 20/06/2025, Palma, non mass.; Sez. 4, n. 24600 del 14/05/2024, NOME, non mass.; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Rv. 272558 – 01; conforme, Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep 2014, Napoleoni Rv. 259516 – 01).
Non giova al ricorrente neppure il richiamo al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio per lamentare, di fatto, la mancata assoluzione quale conseguenza di una inesatta valutazione delle prove.
L’introduzione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, infatti, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione, della sentenza e non può essere utilizzatO k per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello; la Corte, infatti, è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, n potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (sui rapporti tra la regola del ragionevole dubbio ed i limiti del sindacato di legittimità, Sez. 1, n. 5517 de 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801 – 01; Sez. 2, n. 25016 del 08/04/2022, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519 – 01).
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. (p. 29 ricorso), le Sezioni Unite hanno chiarito che è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità d doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04; Sez. 4, n. 31190 del 04/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 30812 del 28/05/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518 – 01; Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, COGNOME,
GLYPH
Rv. 254274 – 01; Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998, dep. 1999, Condello,·Rv. 212248 – 01).
La mancata osservanza di una norma processuale ha rilevanza, infatti, solo in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità, diversamente d quanto accade per l’art. 192 cod. proc. pen.
2.6. Anche il sesto ed ultimo motivo, con cui il ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche (poiché sorretto da motivazione illogica: p. 29 ricorso), è inammissibile.
Osserva infatti il Collegio che la motivazione sul punto esiste ed è esente da manifesta illogicità, facendo leva sulla gravità della condotta (non sulla gravità del reato, come ritiene il ricorrente: p. 32 ricorso) e sulla pessima biografia penale (p. 22 sentenza impugnata; p. 387 sentenza di primo grado).
Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 – 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabi dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisi comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 4, n. 2997 del 19/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conformi, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 – 01).
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., che attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici, elementi che possono condurre ad attenuare la pena, non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.
Ne consegue che anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione può legittimamente fondare il diniego.
La decisione impugnata, quindi, si rivela aderente al consolidato orientamento secondo cui la, concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di · GLYPH iI GLYPH ti un giudizio di ‘fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve esser motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazion circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 3, n. 1226 del 18/11/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 – 01).
Né può rilevare, al fine di concedere le generiche, la scelta di procedere con il rito abbreviato – come invece sostiene il ricorrente (p. 32) – in quanto la valutazione premiale di tale scelta è già posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo (Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, COGNOME, Rv. 277271 – 01; Sez. 2, n. 24312 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 260012 – 01; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242861 – 01).
Il ricorso proposto da NOME COGNOME che ha concordato la pena in appello, è inammissibile.
Osserva il Collegio che, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione, la definizione del procedimento con il concordato in appello, relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunci in funzione dell’accordo sulla pena (e nel caso, in punto di responsabilità) limita non solo la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità (Sez. 4, n. 21532 del 17/04/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, COGNOME, Rv. 273194 – 01; Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, COGNOME, Rv. 271258 – 01).
Deve quindi ritenersi ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca – contrariamente a quanto accaduto nella specie – motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella previ dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01).
Nella specie il ricorrente propone quindi un motivo non consentito, tra l’altro facendo riferimento alla applicazione della recidiva, di cui per giunta non vi è traccia alcuna né nella imputazione, né in alcuna delle due sentenze; fermo restando che le attenuanti generiche sono state riconosciute in prevalenza sulle aggravanti, in tal modo applicandosi la riduzione massima (p. 9 sentenza impugnata e p. 389 sentenza del Tribunale).
Il ricorso proposto da NOME COGNOME ritenuto responsabile delle condotte di detenzione e di cessione di cui capi 2 e 39, è inammissibile, poiché aspecifico.
4.1. Il ricorso, dopo aver sottolineato il dato ponderale delle singole transazioni, prospetta da un lato il carattere apparente della motivazione con la quale non è stata riconosciuta la lieve entità del fatto; dall’altro, un profilo di illogicità o comu
contraddittorietà della stessa, nella misura in cui sono state comunque riconosciute le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena.
Ma, così facendo, il ricorso non si confronta in alcun modo con la specifica motivazione offerta dalla Corte territoriale (p. 33), che ha escluso la riconducibilit delle condotte all’ipotesi di cui al comma 5 in ragione di un marcato profilo organizzativo, e della contestuale predisposizione di taluni accorgimenti per sfuggire più facilmente ai controlli e quindi per cedere lo stupefacente nei confronti di una pluralità indefinita di acquirenti.
In altri termini, le condotte accertate sono state ritenute espressione di un’attività organizzata – connotata di gravità e svolta in maniera non occasionale – di spaccio di stupefacenti da reperire e diffondere nel mercato in modo sistematico, dunque con modalità tali da non essere compatibili con una minima offesa al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.
In tal modo, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la fattispecie di cui al comma 5 è configurabile solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati da disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 – 01; Sez. 3, n. 33103 del 16/04/2024, COGNOME non mass.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME, Rv. 284984 – 01).
Così individuate le ragioni della decisione, osserva il Collegio che il ricorrente ha contestato tout court l’omessa valutazione complessiva del fatto ed ha sottolineato la (scarsa) significatività del dato ponderale, senza avvedersi dell’apprezzamento unitariamente svolto in motivazione.
La Corte territoriale, quindi, ha compiuto una valutazione globale ed unitaria dei diversi indicatori di gravità del fatto (come richiesto da Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01), assegnando carattere prevalente alle modalità della condotta, nonché agli altri indicatori che testimoniano l’inserimento in avviati traffici.
Né il ricorrente spiega le ragioni per le quali il riconoscimento delle attenuanti generiche, nel caso concreto, introduca un profilo di contraddittorietà della motivazione (nel senso che l’esclusione della lieve entità del fatto non si ponga in contrasto con la concessione delle attenuanti generiche nella misura massima, Sez. 3, n. 47985 del 19/10/2016, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 1020 del 22/01/1997, COGNOME, Rv. 206986 – 01).
Analogamente deve dirsi quanto alla prognosi positiva fatta ai fini della sospensione condizionale della pena: il riconoscimento, infatti, della lieve entità, non è condizionato alla presunzione che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati,
n GLYPH
ma esclusivamente alla minima offensività della condotta (cfr., in relazio rapporto tra sospensione condizionale e l’affine ipotesi del fatto di lieve ent
delitti concernenti le armi, Sez. 1, n. 9835 del 01/06/1983, Loi, Rv. 161306 –
4.2. Deve infine ritenersi (anche intrinsecamente) aspecifico, poiché in a modo argomentato, il riferimento all’art. 133 cod. pen., ovvero alla “violazion
criteri di determinazione della pena” (p. 1 ricorso).
5. Stante l’inammissibilità dei ricorsi, e non ravvisandosi assenza di colpa determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 7 g
2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali conse quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in
tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle s processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa de ammende.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2025
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