Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16478 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16478 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SIDERNO il 28/08/1983
avverso l’ordinanza del 15/03/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi i difensori:
avv. NOME COGNOME del foro di MILANO, in qualità di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME del foro di MILANO, con nomina dichiarata oralmente in udienza, in difesa di NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
avv. NOME COGNOME del foro di MILANO, in difesa di NOME COGNOME che ha concluso insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in esito all’udienza camerale del 15 marzo 2024, il Tribunale del riesame di Milano, in accoglimento dell’appello proposto dal P.M. ex art. 310 cod. proc. pen., limitatamente al capo 23) dell’incolpazione provvisoria, avverso il provvedimento reiettivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Milano il 26 settembre 2023, applicava, per quel che qui rileva, nei confronti di NOME COGNOME la misura di massimo rigore per essere egli attinto da gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ascrittogl unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
1.1. Dato atto delle precedenti fasi dell’incidente cautelare, il Tribunale del riesame osservava che dal compendio delle indagini e, in particolare, dal risultato delle attività tecniche, quali intercettazioni e videoriprese, si evincevano, secondo lo standard probatorio richiesto dall’art. 273 cod. proc. pen., gli elementi costitutiv del reato associativo contestato.
Gli indagati apparivano consapevoli della reciproca appartenenza al gruppo e i continui contatti, anche telefonici, la frequentazione dei medesimi luoghi, l’impiego promiscuo di mezzi e beni immobili destinati all’attività illecita, la stabili dei canali di approvvigionamento degli stupefacenti, costituivano indicatori sintomatici dell’esistenza degli stretti legami interni al sodalizio, che caratterizzava, tra l’altro, per il fatto di ruotare attorno ad alcune figure di vert rappresentate dal COGNOME e da NOME COGNOME che distribuivano i ruoli e le mansioni degli associati.
In sintesi, ad avviso dell’organo del riesame, la struttura associativa oggetto d’indagine appariva predisposta, in conformità al modello legale, per la commissione di una serie indeterminata di attività connesse al narcotraffico, supportata dalla disponibilità di veicoli, telefoni criptati, capitali e immobili come capannone di Arconate, che risultavano stabilmente impiegati nelle attività di reperimento, stoccaggio e ridistribuzione degli stupefacenti.
Il Tribunale dava, poi, atto, nel dettaglio della pluralità di episodi di cessione monitorati e del contenuto di talune conversazioni, apprezzate come indicative dell’affectio societatis (si parla, in particolare, delle conversazioni n. 102 del 20 gennaio 2021 e n. 610 del 17 febbraio 2021, captate nel capannone di Arconate e della conversazione n. 1625 del 23 giugno 2020), nonché delle registrazioni audio e video, effettuate presso il citato capannone, che avevano permesso di documentare le attività di stoccaggio e confezionamento della droga effettuate dagli associati.
Dall’attività tecnica emergeva, nello specifico, che COGNOME era incaricato di tagliare e confezionare la sostanza, mentre NOME e NOME COGNOME si
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occupavano, in alcuni casi anche insieme al COGNOME, di prelevare lo stupefacente per la successiva consegna agli acquirenti.
I narcotrafficanti erano soliti utilizzare, per lo stoccaggio della merce illecita, anche un capanno, sito in una zona rurale/boschiva adiacente all’abitato di Arconate.
Il 15 e il 16 marzo 2021, tuttavia, NOME e NOME COGNOME si accorgevano della presenza dell’apparecchiatura installata per le videoriprese presso entrambi gli immobili e procedevano alla c.d. “bonifica” degli ambienti.
Gli elementi attestanti la sussistenza del sodalizio dedito al traffico di droga venivano apprezzati dal Tribunale del riesame per dimostrare, al contempo, la partecipazione di NOME COGNOME all’associazione con il ruolo di promotore, condiviso con il COGNOME – ruolo che emergeva anche dalla pluralità di reati-fine in cui egli era coinvolto, non oggetto di appello del P.M. ma sostenuti da gravità indiziaria secondo il G.I.P. – nonché la contiguità dell’indagato con esponenti dell’associazione di stampo mafioso contestata al capo 1).
1.2. Il giudice a quo reputava sussistenti tutti i pericula hbertatis.
Il rischio di inquinamento probatorio era ampiamente dimostrato dall’attività di “bonifica” prima descritta.
Quanto al pericolo di recidiva, ad avviso del Tribunale non poteva considerarsi superata la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., avuto, in particolare, anche riguardo alla specifica professionalità che caratterizzava la condotta di tutti gli associati.
L’alto spessore delinquenziale di NOME COGNOME era rivelato, inoltre, dalla intensità e peculiarità di relazione con il gruppo mafioso di NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Ancora, segnalava il Tribunale del riesame che COGNOME era gravato da recente condanna irrevocabile per la vicenda inerente alla “gambizzazione” di NOME COGNOME, risalente al 21 maggio 2023, vicenda che, oltre a sottolineare, ancora una volta, la pericolosità sociale dell’indagato, doveva considerarsi emblematica del pericolo di fuga, atteso che, appena quattro giorni dopo il fatto, egli si era reso irreperibile e i suoi familiari si erano trasfer Calabria.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con due distinti atti, rispettivamente a firma dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME
2.1. L’atto sottoscritto dall’avv. COGNOME sviluppa un unico articolato motivo, con cui si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 74 d.P. n. 309 del 1990.
Si addebita al giudice del riesame di aver usato argomenti a sostegno dell’ipotesi di delitto associativo in realtà spendibili anche per l’ipotesi di concor nel reato continuato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Tenuto conto dell’esiguo numero dei soggetti associati e dei reati-fine contestati, ad eccezione di quelli ascritti al COGNOME, assume il ricorrente essere azzardato prefigurare la programmazione, da parte di quattro indagati, di una serie indeterminata di delitti inerenti al traffico di stupefacente.
Quanto alla contestata disponibilità dei due immobili, valorizzata sotto il profilo organizzativo, deduce il ricorrente che nel capannone di Arconate veniva svolta anche attività di tipo edile, mentre nel capanno l’immediata bonifica effettuata dagli indagati non aveva consentito di trarre spunti investigativi di sorta.
Le vetture, d’altro canto, erano beni di uso comune, non strumentali all’attività di spaccio, mentre telefoni criptati non risultavano individuati sequestrati, essendo insufficiente a fornire dimostrazione al riguardo la conversazione n. 283 intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME
In altre parole, in assenza di strutture logistiche esclusivamente destinate allo scopo, di una separazione di ruoli e funzioni tra i partecipi, di modalità consolidate di rifornimento della droga, non sarebbe stato possibile affermare l’esistenza di una struttura organizzata.
Anche analizzando le singole posizioni individuali, emergeva la commissione di pochissime condotte di spaccio da parte dei diversi indagati, autonomamente inseriti nell’illecito mercato, che soltanto di rado avevano agito in modo concordato.
Doveva escludersi la prova indiziaria dell’esistenza di un patto associativo stabile ed effettivo tra gli indagati, non desumibile neppure dall’attività captativa valorizzata nell’ordinanza impugnata, che rimandava ad episodi sporadici e non connotati da professionalità.
Le stesse intercettazioni palesavano un ruolo estemporaneo e quasi casuale del ricorrente, del tutto slegato da un pactum sceleris e da un programma comune legato al mondo del narcotraffico.
Il ruolo di partecipe non risultava dimostrato neppure sul piano dell’elemento soggettivo del dolo specifico, posto che nella condotta del COGNOME non era mai stata ravvisabile la necessaria coscienza e volontà di contribuire con il proprio apporto alla realizzazione di un programma criminale in forma associativa.
2.2. Con l’atto a sua firma, l’avv. NOME COGNOME denuncia, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e alla scelta della misura.
Sul primo tema, il ricorso ricalca, nella sostanza, le censure già esaminate a proposito dell’atto sottoscritto dal co-difensore.
Sul tema delle esigenze cautelari, si critica l’ordinanza impugnata per non aver tenuto conto: quanto al pericolo di inquinamento probatorio, dell’assenza di condotte poste in essere in tal senso dal COGNOME a oltre un anno di distanza dalla richiesta di misura cautelare; quanto al rischio di recidiva, della incensuratezza dell’indagato e della sua attività lavorativa in precedenza autorizzata dal Magistrato di sorveglianza in altro procedimento; quanto, infine, al pericolo di fuga, della giustificazione del trasferimento in Calabria dei familiari poiché occasionato esclusivamente dal periodo estivo, mentre i figli sono tutti iscritti alle scuole di Arconate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Non è superfluo premettere, all’esame dell’impugnazione, alcune coordinate ermeneutiche, consolidatesi nel tempo, a proposito degli elementi integranti il reato associativo di cui all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, post che né il codice penale (artt. 416 e 416-bis), né il T.U. delle leggi sugli stupefacenti (art. 74 cit.) recano nozioni definitorie dell’associazione che intendono reprimere, ma rimandano all’interprete per l’individuazione del concetto.
In tale azione ermeneutica, la Corte di cassazione ha affermato che elemento essenziale del reato de quo è l’accordo associativo, il quale crea un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale.
Tale essendo la caratteristica del delitto, ne discende a corollario la secondarietà degli elementi organizzativi che si pongono a substrato del sodalizio, elementi la cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l’accordo può dirsi seriamente contratto, nel senso, cioè che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale priva il delitto del requisito dell’offensività.
Tanto sta pure a significare che, sotto un profilo ontologico, è sufficiente un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni, e che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l’esistenza di quell’accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo di per sé si concreta (Sez. 6, n. 10725 del 25/09/1998, COGNOME e altri, Rv. 211743 – 01).
È stato, in seguito, ribadito che per la configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti non è necessaria l’esistenza di una struttura di tipo verticistico, ma è sufficiente un minimo sostrato organizzativo, anche “orizzontale”, purché strumentale alla realizzazione di uno scopo che si proietta oltre la consumazione dei singoli reati-fine (Sez. 3, n. 9457 del 06/11/2015, dep. 2016, COGNOME e altri, Rv. 266286 – 01).
È stato, anche, precisato che, ai fini della verifica degli elementi costitutiv della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'”affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 02).
Infine, si è affermato che il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e quindi del programma delinquenziale in modo stabile e permanente (Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, COGNOME, Rv. 283351 – 04; Sez. 1, n. 30463 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251012 – 01).
Quando la condotta si esaurisca nella partecipazione ad un solo episodio criminoso, non è esclusa la responsabilità per il reato associativo, ma la prova della volontà di partecipare alla associazione deve essere particolarmente puntuale e rigorosa (Sez. 6, n. 5970 del 23/01/1997, COGNOME, Rv. 208306 – 01).
Secondo Sez. 6, n. 14223 del 03/06/1989 Spadano Rv. 182338 – 01, è necessario e sufficiente che l’adesione si manifesti con contributi del singolo innestati nella struttura associativa, in vista del perseguimento dei suoi scopi, mentre non è richiesto da parte di ogni partecipe la conoscenza di tutti i particolari della struttura organizzativa dell’associazione (persone e mezzi) e delle attività realizzate (quantitativi e ricavi dello spaccio).
Il Tribunale del riesame di Milano ha fatto buon governo dei principi enunciati, pervenendo a ravvisare la gravità indiziaria nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 23) attraverso un iter argomentativo immune da vizi logici e giuridici.
L’organo del riesame ha correttamente valorizzato, a tal fine, le captazioni audio e video effettuate nel capannone di Arconate nelle quali l’indagato risultava personalmente coinvolto e la loro pregnanza ai fini della valutazione della sua posizione cautelare, captazioni che documentavano la serialità delle attività di stoccaggio e di confezionamento delle sostanze stupefacenti poste in essere dal ricorrente e dai suoi sodali.
Tra queste captazioni, particolare valenza indiziaria è stata, con congruo argomentare, attribuita alle conversazioni n. 102 del 20 gennaio 2021, n. 610 del 17 febbraio 2021 e n. 1625 del 23 giugno 2020, siccome correlate alle registrazioni audiovisive effettuate presso la suddetta base logistica.
In questo contesto captativo, il Tribunale di Milano attribuiva, in modo logico, un elevato rilievo indiziario anche alle attività di bonifica svolte da indagati il 15 e il 16 marzo 2021, dopo che NOME e NOME COGNOME si accorsero della presenza dell’apparecchiatura installata per le videoriprese presso i locali ubicati ad Arconate, abitualmente frequentati dai sodali del gruppo di cui al capo 23) per lo svolgimento delle loro attività consortili.
Come noto, non è possibile operare una reinterpretazione del contenuto delle conversazioni in sede di legittimità, conformemente al seguente principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite: «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione all massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Quanto al profilo organizzativo dell’associazione dedita al narcotraffico, l’organo de libertate, con ineccepibile motivazione, lo ha ritenuto integrato apprezzando gli indicatori costituiti dalla disponibilità di veicoli, telefoni cript capitali e immobili come il capannone di Arconate, che risultavano stabilmente impiegati nelle attività di reperimento, stoccaggio e ridistribuzione degli stupefacenti.
Privo di incongruenze, infine, è l’argomentare articolato a sostegno della sussistenza del cruciale elemento dell’affectio societatis, fondato sulla considerazione dei continui contatti, anche telefonici, tra i partecipi, l frequentazione dei medesimi luoghi, l’impiego promiscuo di mezzi e beni immobili destinati all’attività illecita, la stabilità dei canali di approvvigionamento de stupefacenti, la distribuzione dei ruoli e delle mansioni fra gli associati.
Il solido apparato motivazionale appena sintetizzato resiste alle critiche difensive, condensate nel primo motivo dei due atti propulsivi quanto alla integrazione del reato associativo sub capo 23), peraltro per lo più assertive e rivalutative ovvero non rispettose delle risultanze processuali.
Fuori luogo, ad esempio, è il rilievo sulla “esiguità” del numero di quattro associati, quando il legislatore ne.ha previsti tre per la componente soggettiva del sodalizio.
Eccentrica rispetto al capo d’imputazione è la sottolineatura, analoga al primo rilievo, della “esiguità” del numero dei reati-fine attribuiti all’associazio
investigata, quando la rubrica incolpativa descrive ben otto transazioni illecite, aventi ad oggetto droga di diversa tipologia e quantitativi che arrivano a un massimo di 15 kg di marijuana.
Versate in punto di fatto e travisanti i dati processuali sono, poi, le considerazioni sulla non esclusiva destinazione alle operazioni di spaccio dei veicoli e degli immobili utilizzati, se le evidenze in atti hanno dimostrato con chiarezza, come correttamente posto in risalto dall’organo del riesame, che veicoli e immobili sono stati anche e soprattutto adibiti a un utilizzo funzionale all’attuazione del programma criminale del sodalizio investigato.
Generici e assertivi, oltre che drasticamente smentiti dal compendio indiziario valorizzato, sono, infine, i rilievi circa la insussistenza del pactum sceleris e la casualità ed estemporaneità del ruolo interpretato dall’odierno ricorrente.
Infondate sono le censure formulate sulle esigenze cautelari e la scelta della misura.
Ben motivata è, in primo luogo, la sussistenza del rischio di inquinamento probatorio, tenuto conto dell’attività di bonifica dei locali effettuata dall’indaga sia con riferimento al capanno sito in area agreste di Arconate che con riguardo agli uffici di Dairago.
Ineccepibilmente argomentato è il pericolo di reiterazione, fondato, anzitutto, sulla non superata presunzione legale di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ma anche sull’elevato spessore criminale del COGNOME.
A tal proposito, del tutto correttamente e in modo logico, il Tribunale del riesame ha richiamato, tra l’altro, la serialità delle attività di spaccio svolte territorio e il collegamento esistente tra il sodalizio di cui al capo 23) e il grup ‘ndranghetista di cui al capo 1), oltre alla recente condanna, divenuta irrevocabile il 3 gennaio 2024, subita dal COGNOME per la vicenda relativa alla “gambizzazione” di NOME COGNOME, apprezzata alla stregua di una resa dei conti collegata al mancato pagamento di una fornitura di stupefacenti e, quindi, anch’essa significativa del rischio di recidiva confermato in sede di riesame.
A seguito del citato agguato, l’indagato si rese immediatamente irreperibile, il che rende giustificata l’affermazione del Tribunale di Milano sulla sussistenza anche del pericolo di fuga.
Sui pericula libertatis la difesa oppone rilievi in punto di fatto o genericamente assertivi, dunque non deducibili nella presente sede.
Per le esposte ragioni, il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato, dal che discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Consegue, infine, a tali statuizioni, la trasmissione degli atti alla cancelle? a, per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. c proc. pen.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente