Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 286 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 286 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata a TORINO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BRESCIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a GELA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a LEONFORTE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VALGUARNERA CAROPEPE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CALTAGIRONE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a GELA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TORINO il 11/02/1989
avverso la sentenza del 08/09/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi e i motivi aggiunti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, il quale conclude per l’annullamento con rinvio dei ricorsi di: COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente ai reati di cui all’art. 10-quater d.lgs. n.
74/2000, assorbita la doglianza sulla pena, e rigettarsi nel resto; COGNOME NOME limitatamente al reato di cui all’art. 346-bis c.p., assorbita la doglianza sull dichiararsi il ricorso inammissibile nel resto; COGNOME NOME, limitatamente ai di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000 e senza rinvio con riferimento alla pena, da ridurre ad anni 15 di reclusione, e rigettarsi nel resto; COGNOME NOME, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rigettarsi nel resto; conclude per l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, con le statuizioni consequenziali.
uditi i difensori dei ricorrenti:
gli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME COGNOME NOME insistono per l’accoglimento dei motivi di cui ai rispettivi ricorsi. COGNOME
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE dell’8/09/2023 (dep. 6/12/2023) che, su appello del pubblico ministero e degli imputati, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 6/05/2022.
Le difese affidano i ricorsi a diversi motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione e suddivisi per ciascun ricorrente.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, con requisitoria -memoria del 25 ottobre 2024, ha concluso come da verbale in atti.
All’udienza del 10 dicembre 2024, il Collegio, rilevata, su eccezione di parte, l’omessa notifica dell’avviso di udienza all’AVV_NOTAIO, quale codifensore dell’imputato COGNOME NOME, nonché, tenuto conto che l’ufficio spoglio aveva segnalato la possibile prescrizione di alcuni reati, disponeva, sentite le parti che nulla osservavano al riguardo, la separazione della posizione di COGNOME NOME (con rinvio a nuovo ruolo) da quella degli altri ricorrenti, per i quali disponeva pro alla trattazione dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
COGNOME NOME (capo 1, art. 416, comma 2, cod. pen., ritenuta la condotta di partecipe fino a tutto il febbraio 2018; art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, capi 953 e 70; art. 512-bis cod. pen., capo 108; art. 648-ter.1 cod. pen., capo 113).
Vizio di motivazione in ordine all’affermata partecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso di cui al capo 1) della rubrica.
Richiamati gli elementi distintivi tra il concorso necessario ed eventuale di persone nel reato, si censura, in termini di apoditticità, la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non aveva disgiunto il contributo fornito da coloro che si erano limitati a concorrere con il COGNOME nel reato della compravendita dei crediti fittizi (a carico dei quali erano state elevate singole imputazioni concorsuali), con quello prestato da coloro che, invece, si erano asRAGIONE_SOCIALEati ed organizzati al fine di commettere una serie indeterminata di reati (chiamati a rispondere anche del delitto asRAGIONE_SOCIALEativo).
Nel caso in esame, gli argomenti spesi nei confronti del ricorrente erano tutt’al più idonei a supportare una contestazione di concorso nei reati di cui ai capi 9), 53) e 70) della rubrica. Inoltre, si era al cospetto di una partecipazione che si sarebbe dispiegata tra la metà di novembre 2017 e il febbraio 2018 e, dunque, per un periodo limitato, non idoneo a dimostrare la natura permanente (e non occasionale) del vincolo.
Il motivo è manifestamente infondato.
Le conformi sentenze dei giudici di merito (v. pagg. 333 e ss.; 184 e ss.), sulla base di precisi elementi probatori, hanno verificato la sussistenza di elementi della stabilità del vincolo, dell’indeterminatezza del programma criminoso e dell’esistenza di una struttura organizzativa, con la conseguente configurabilità non del mero concorso di persone nel reato continuato ma di un vero e proprio stabile sodalizio organizzato e finalizzato alla commissione di una seria indeterminata di delitti tributari (in particolare di indebite compensazioni di c all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000), al quale il ricorrente risultava avere aderito nella consapevolezza di farne parte.
In particolare, la partecipazione del ricorrente all’asRAGIONE_SOCIALEazione del COGNOME è stata tratta dalla natura primaria che assumono i reati tributari – ai quali ricorrente ha concorso svolgendo principalmente l’attività di procacciatore di crediti fittizi – nell’ambito delle finalità perseguite dal sodalizio; dalle moda esecutive delle indebite compensazioni, riconducibili ad un “modello” operativo fondo e commesse fruendo degli strumenti predisposti dall’organizzazione criminale; dai rapporti intrattenuti col COGNOME, indicato quale promotore e capo del sodalizio e dai contatti con gli altri membri dell’asRAGIONE_SOCIALEazione, tra i qua assumono rilievo quelli con il COGNOME NOME in favore del quale si precisa operi alle strette dipendenze (v. pag. 348 della sentenza di primo grado).
L’esistenza del concorso necessario poggia altresì sul decisivo argomento costituito dal fatto che gli imputati continuavano a realizzare i reati fisc individuando, di volta in volta, nuovi “clienti” cui cedere i crediti; tale circosta esclude logicamente che si NOME in presenza di un numero di reati già determinato da porre in successione, ma di delitti non definiti dipendendo la commissione di quelli nuovi dal rinvenimento di nuovi acquirenti dei crediti da compensare.
La Corte di merito, nel confermare l’affermazione di responsabilità del ricorrente anche per il delitto asRAGIONE_SOCIALEativo, risulta, pertanto, avere fatto corretta applicazione dei seguenti principi di diritto affermati dalla Corte di legittimità:
il criterio distintivo tra il delitto di asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere e il conc di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell’accordo criminoso,
che nell’indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati anche nell’ambito del medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme RAGIONE_SOCIALEale, mentre nel reato asRAGIONE_SOCIALEativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo asRAGIONE_SOCIALEativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 2, n. 933 dell’11/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258009 – 01; Sez. 2, n. 27750 del 13/06/2024, COGNOME, non mass.);
– in tema di asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’asRAGIONE_SOCIALEazione medesima (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285126 – 02; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254233; da ultimo v. Sez. 1, n. 47347 del 08/09/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 11287 del 03/02/2023, COGNOME, non mass.; v. anche Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276740 -01, anche in punto di dolo di partecipazione).
Né sussiste, infine, alcuna inconciliabilità logica tra il breve periodo temporale in cui si sarebbe manifestata la condotta dell’imputato e la natura permanente del delitto asRAGIONE_SOCIALEativo. In tema di asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere, a fronte di plurime commissioni, in concorso con altri partecipi, di fatti integranti i reati-f dell’asRAGIONE_SOCIALEazione, grava sul singolo la prova che il suo contributo non è dovuto ad un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, a motivo della natura permanente del reato asRAGIONE_SOCIALEativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro (Sez. 3, n. 42228 del 3/2/2015, Prota, Rv. 265346 – 01).
Inoltre, la Corte di legittimità ha affermato che, in tema di asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere, la condotta di partecipazione si distingue da quella del concorrente ex art. 110 cod. pen. perché, a differenza di questa, implica l’esistenza del “pactum sceleris”, con riferimento alla consorteria criminale, e della “affectio RAGIONE_SOCIALEetatis”, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’asRAGIONE_SOCIALEazione vietata; ne consegue che è punibile, a titolo di partecipazione e non in applicazione della disciplina del concorso esterno, colui che presta la sua adesione ed il
suo contributo all’attività asRAGIONE_SOCIALEativa, anche per una fase temporalmente limitata (Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, COGNOME, Rv. 254105).
Vizio di motivazione in ordine ai capi 108) e 113) in tema di intestazione fittizia ed autoriciclaggio.
Si censura la valenza dimostrativa degli elementi indicati dalla sentenza impugnata a sostegno della fittizia intestazione della RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE a cui il ricorrente si sarebbe prestato in favore del COGNOME, a fronte, invece, di in di effettiva realità dell’operazione, nonché l’assenza dell’apprezzamento di ulteriori elementi di fatto dimostrativi della capacità elusiva dell’operazione, anche con riguardo alla sua necessaria finalizzazione illecita (elusione della confisca di prevenzione); si lamenta, poi, l’illogicità della motivazione laddove, nel ritenere l’operazione in continuità con quella di cui al successivo capo di imputazione (che attiene all’ulteriore operazione di intestazione fittizia a cui il COGNOME avrebbe d luogo attribuendo le quote della RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE) non aveva tenuto conto che il coimputato COGNOME, indicato come il soggetto interponente del COGNOME, era stato assolto.
Il motivo è manifestamente infondato.
Quanto agli elementi da cui si è ricavata l’intestazione fittizia, la sentenza impugnata risulta avere indicato una pluralità di indici dimostrativi aventi valenza preminente rispetto a quelli alternativi dedotti dalla difesa nel motivo di appello e reiterati in questa sede. In particolare, si è escluso che il ricorrente NOME alla pari con il COGNOME non tanto e non solo perché al primo si deve, come pure precisato in sentenza, l’avere scelto davanti al AVV_NOTAIO, al momento della costituzione della RAGIONE_SOCIALEetà, il nome della stessa (circostanza che il ricorrente assume travisata in difetto, però, della necessaria specifica allegazione), ma soprattutto perché nel primo è stato individuato, sulla scorta del contenuto delle intercettazioni telefoniche, il reale gestore della persona giuridica. Anche su tale versante non solo e non tanto perché il COGNOME, quale semplice dipendente e privo di delega ad operare sui conti, risultava in possesso delle carte di credito della RAGIONE_SOCIALEetà, ma soprattutto perché al COGNOME è riferibile la decisione di trasferire somme che si trovavano in capo alla RAGIONE_SOCIALE alla nuova RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE (di cui, anche qui, si precisa essere in possesso di assegni e carte di credito rinvenuti unitamente a quelli della RAGIONE_SOCIALE nella sua stanza di albergo nel corso della perquisizione all’atto di esecuzione della misura cautelare).
Non si è al cospetto di un’operazione di ordinaria amministrazione, bensì di un atto che denota una scelta strategica volta sostanzialmente a svuotare la RAGIONE_SOCIALEetà – e dunque ascrivibile solo a chi governa la persona giuridica -, per come
logicamente ricavato dal giudice del merito dalla circostanza che il trasferimento riguardava tutto quanto era depositato presso i conti della RAGIONE_SOCIALE e in relazione alla quale l’atteggiamento del ricorrente è di mera “obbedienza” (v. pag. 309).
E tanto senza sottacere che la lettura della sentenza di primo grado aggiunge al compendio indicato dalla Corte d’appello ulteriori convergenti e significativi elementi, quali: l’assenza di prova che il ricorrente disponesse di capitali sufficienti per sottoscrivere le quote della RAGIONE_SOCIALEetà; che avesse alcuna necessità di dar vita ad una nuova struttura, in quanto già titolare di partita IVA che gli consentiva di fatturare le sue provvigioni direttamente al COGNOME, destinando la quota di spettanza al suo compagno COGNOME; le dichiarazioni del COGNOME che ha indicato la RAGIONE_SOCIALE come la RAGIONE_SOCIALEetà a cui bonificava le provvigioni a COGNOME seppur della stessa era unico RAGIONE_SOCIALEo e amministratore l’imputato,
Del tutto generica, invece, è la doglianza laddove richiama, ai fini dell’integrazione del reato, la necessità che l’intestazione fittizia sia volta eludere disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, non confrontandosi con la motivazione resa a proposito del coimputato COGNOME, ove la Corte d’appello precisa che nei confronti di detto imputato era in corso di applicazione il provvedimento di sorveglianza speciale e come NOME ben consapevole che dell’attività illecita che stava compiendo occorreva occultare il ricavato.
Infine, nessuna frattura logica è dato rinvenirsi nella sentenza impugnata per avere ritenuto l’RAGIONE_SOCIALE destinata, al pari della successiva RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE, a far transitare i proventi illeciti del COGNOME, nonostante l’interven assoluzione del COGNOME indicato quale soggetto interposto per conto di costui nella seconda RAGIONE_SOCIALEetà.
La circostanza che il transito delle somme di provenienza delittuosa si riferisse soltanto alle “provvigioni” bonificate dal COGNOME in favore del COGNOME è coerente con l’imputazione ex art. 512-bis cod. pen. e con il disegno di occultamento da questi perseguito e in relazione al quale è stato predisposto il duplice e susseguente schermo RAGIONE_SOCIALEetario.
L’assoluzione del COGNOME, poi, si deve, per quanto precisato dalla sentenza di primo grado (v. pag. 274), non al disconoscimento della natura fittizia dell’intestazione e del disegno perseguito dal COGNOME di far transitare i provent illeciti allocati nella RAGIONE_SOCIALE alla nuova RAGIONE_SOCIALEetà posto che non si fidava più del ricorrente, ma alla esclusiva circostanza dell’assenza di prova certa in ordine al dolo specifico, considerato che l’istruttoria nulla ha accertato a proposito del tip
t
di rapporti di conoscenza e di frequentazione tra il COGNOME e il COGNOME, potendo avere quest’ultimo agito “anche per fare un piacere ad un parente”.
Non specificamente censurato è, infine, il capo 113) relativo all’autoriciclaggio commesso dall’imputato, in relazione al quale le sentenze di merito si diffondono riguardo alla condotta illecita ascrivibile all’imputato (v. pag. 283 e ss. sentenza di primo grado e pag. 310 e 311 di quella impugnata).
Vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per i capi 9), 53) e 70) della rubrica (ipotesi di concorso in indebita compensazione di debiti erariali, previdenziali e assistenziali con inesistenti crediti di imposta).
Si lamenta l’assenza di elementi dimostrativi del dolo dei reati in contestazione, non potendosi sostenere “che vi sia la prova che NOME NOME a conoscenza della falsità di tali crediti”. La Corte di merito, infatti, al fi dimostrare il coinvolgimento dell’imputato alla prosecuzione dell’attività di cessione dei crediti inesistenti da parte del COGNOME dopo che questi aveva interrotto il rapporto con il COGNOME, aveva fatto rifermento al contenuto di un’intercettazione intervenuta tra il COGNOME ed il pregiudicato NOME che non vedeva affatto coinvolto l’imputato. L’attività di mediazione svolta dal COGNOME non consentiva di far discendere automaticamente che anche il ricorrente NOME a conoscenza della bontà o meno dei crediti che provenivano dall’COGNOME, anch’egli coimputato nei reati fiscali.
Il motivo è generico.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che il coinvolgimento del ricorrente nell’illecito meccanismo dell’illecita compensazione e la consapevolezza dell’inesistenza dei crediti deriva dal dato, assai significativo, costituito dalla circostanza che nessun pagamento è avvenuto in favore della RAGIONE_SOCIALEetà coobbligata che ha ceduto il credito. A conferma di ciò si cita anche il fatto che è stato lo stesso ricorrente ad ammettere che nessuna verifica NOME stata effettuata sulla RAGIONE_SOCIALEetà coobbligata. Inoltre, si fa riferimento, con particolare riguardo ai crediti procura da RAGIONE_SOCIALE al posto del COGNOME, alle diffuse argomentazioni contenute alle pagine 117-136 della sentenza del Tribunale.
Posto, dunque, che la natura illecita dell’accordo poggia sul contenuto dell’intercettazione alla quale la stessa difesa ha fatto riferimento, la cui interpretazione non è sindacabile in questa sede, competeva al ricorrente confrontarsi con gli altri elementi di prova declinati dalla Corte territoriale sostegno del suo consapevole coinvolgimento nell’ennesimo ordito illecito portato avanti dal correo COGNOME.
Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.
COGNOME NOME (capo 1, art. 416 cod. pen., quale partecipe; art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, capi 15, 17, 18, 23, 25, 29, 30, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 47, 49, 50, 51, 55, 72, 73).
Violazione degli artt. 8 e ss. cod. proc. pen. Contraddittorietà e illogicit della motivazione.
Si lamenta che erroneamente la competenza per territorio è stata individuata nel Tribunale di RAGIONE_SOCIALE: il reato più grave – all’epoca il delitto di asRAGIONE_SOCIALEazion mafiosa di cui al capo 1) della rubrica, poi successivamente riqualificato in asRAGIONE_SOCIALEazione semplice – si sarebbe perfezionato nel circondario di Gela, posto che, in assenza di elementi certi in ordine ad un diverso luogo di costituzione del sodalizio, doveva farsi riferimento a quello in cui l’asRAGIONE_SOCIALEazione avrebbe iniziato a manifestarsi e ad operare in esecuzione del programma criminoso.
In particolare, i primi reati tributari costituenti i delitti fine risul commessi a Gela, in quanto il modello F24 con cui erano stati portati in compensazione i crediti inesistenti e/o non spettanti era stato predisposto e trasmesso a Gela e le aziende che vantavano tali crediti avevano sede a Gela (nello specifico, il fatto descritto nel capo 7-quater, commesso a Gela il 16 gennaio 2017, quello descritto nel capo 3-ter, commesso a Gela il 16 febbraio 2017 e quello descritto nel capo 5-ter, commesso a Gela il 16 marzo 2017).
Inconferente doveva ritenersi il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, al fatto che in altro procedimento penale avente ad oggetto un’asRAGIONE_SOCIALEazione mafiosa che dovrebbe costituire la madre rispetto a quella -figlia – oggetto del presente giudizio, i giudici non avessero potuto stabilire se alcuni dei reati tributari NOMEro di competenza dell’una o dell’altra asRAGIONE_SOCIALEazione. L’evidente alterità dei sodalizi e persino delle ipotesi di violazione finanziaria contestat nell’altro processo rispetto a quello per cui si procede escludeva qualsiasi appiglio argomentativo negli esiti di tale decisione.
I giudici, poi, avevano omesso di confrontarsi con la lettera di accusa, secondo cui tutti i reati tributari oggetto di addebito, ivi inclusi quelli precedenteme menzionati (i primi ad essere realizzati) commessi a Gela, NOMEro esplicativi del programma dell’asRAGIONE_SOCIALEazione. A conferma di ciò anche la contestazione che i reati tributari sarebbero stati aggravati dalla finalità di agevolare proprio l’asRAGIONE_SOCIALEazione mafiosa di cui al capo 1).
Si era, dunque, disatteso il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la competenza per territorio nel caso di reati connessi si
determina avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga errori macroscopici ed immediatamente percepibili.
Anzi, l’esito del giudizio confortava l’eccezione, tenuto conto che è stata riconosciuta la continuazione tra tutti i reati fine e affermato che le indebit compensazioni (incluse quelle commesse a Gela) NOMEro esecutive dello stesso disegno criminoso rispetto all’asRAGIONE_SOCIALEazione e, dunque, esplicativi del medesimo programma.
A nulla, infine, rilevava l’intervenuta riqualificazione del fatto di cui al capo in asRAGIONE_SOCIALEazione semplice stante il principio di perpetuatio iurisdictionis, dovendo ancorarsi la valutazione sulla competenza all’esercizio dell’azione penale.
Il motivo è infondato.
Il rilievo su cui le difese appuntano l’eccezione di incompetenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in favore di quello di Gela – ossia che la manifestazione di operatività del sodalizio dovrebbe farsi risalire alle prime indebite compensazioni, quali delitti fine, che risultano commesse a Gela già dal gennaio 2017 – risulta essere stato disatteso dalle sentenze di merito (v. anche ordinanza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 12 marzo 2021) evidenziandosi come tali reati non potessero ritenersi già univocamente evocativi di una consolidata operatività nel Sud Italia dell’asRAGIONE_SOCIALEazione di nuova costituzione, la quale, invece, si erge nella sua funzionale operatività in quel di RAGIONE_SOCIALE; per come comprovato dalla commissione in quel territorio della pletora dei reati fiscali e di quelli volti a conseguirne l’i profitto che va, di pari passo, con la strutturazione materiale del gruppo crim destinato ad operare sino al settembre 2019 e nella cui compagine fanno ingresso nuovi adepti, nell’ambito di un progetto criminoso del tutto avulso rispetto a quello antecedente che pure aveva visto coinvolto in quel di Gela il COGNOME e altri due imputati. Posto che era stato lo stesso COGNOME a prendere le distanze dall’asRAGIONE_SOCIALEazione RAGIONE_SOCIALE per costituirne una nuova destinata ad operare nel Nord Italia, si afferma l’indifferenza del dato costituito dai primi tre reati fiscal aggravati dalla finalità agevolativa del nuovo consesso, «ben potendo essere frutto della non istantanea transizione da un gruppo ad un altro e delle prassi operative utilizzate da alcuni degli imputati con spostamento del luogo di commissione dei reati fiscali solo una volta consolidata la base operativa del gruppo al Nord».
Tanto premesso, è principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che la questione di competenza vada risolta avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero a meno che la stessa non contenga rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili, tanto che si è ulteriormente
precisato che il giudice dell’impugnazione, a cui sia stata ritualmente devoluta la questione della competenza territoriale, deve operare il controllo con valutazione “ex ante”, riferita cioè alle emergenze di fatto cristallizzate in sede di udienza preliminare o, in mancanza di questa, a quelle acquisite non oltre il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., e non può prendere in esame le eventuali sopravvenienze dibattimentali, poiché la verifica ha ad oggetto la correttezza della soluzione data in ordine ad una questione preliminare che, in quanto tale, non implica il confronto con gli esiti istruttori del dibattimento (Sez. 6, n. 33435 d 04/05/2006, Battistella, Rv. 234348 – 01).
Nel caso in esame, correttamente è stato preso in considerazione ai fini della determinazione della competenza per territorio – ma ciò non è contestato – il reato di cui al capo 1) della rubrica, ovvero il delitto di asRAGIONE_SOCIALEazione di tipo mafioso, pe cui opera funzionalmente la vis attractiva in quanto ricompreso tra quelli indicati dall’art. 51, comma 3 -bis, cod. proc. pen. (ex multis v. Sez. 2, n.6783 del 13/11/2008, dep. 2009, El Abbbouli, Rv. 243300 – 01). A nulla vale, infatti, che all’esito del giudizio di primo grado il Tribunale abbia poi operato una differente qualificazione del fatto in asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere semplice.
Ciò posto, il capo di imputazione, nella descrizione della compagine asRAGIONE_SOCIALEativa, indica quale foci di operatività del sodalizio criminale “anzitutto RAGIONE_SOCIALE e in altri comuni del distretto della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, di Milano e d Torino”; a tale sodalizio, per come ivi radicato, sono poi riferite le qualità d soggetti individuati con il ruolo di promotori, organizzatori e direttori; si sottoli poi, così rimarcando una netta cesura di carattere funzionale e territoriale, la piena ed esclusiva autonomia di tale nuova compagine rispetto alla cosche mafiose di Gela alle quali risulterebbe in qualche modo legata; sempre “in RAGIONE_SOCIALE e in altri comuni del distretto della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, di Milano e di Torino” sono indicate come commesse alcune ipotesi di concorso esterno nell’asRAGIONE_SOCIALEazione di tipo mafioso.
Pertanto, alla luce della descrizione dei connotati strutturali e spaziali che caratterizzano e individuano il nuovo sodalizio criminoso, non assume alcuna decisiva distonia l’ulteriore circostanza che lo stesso capo di imputazione indichi che i primi tre delitti fine siano stati commessi in Gela, in quanto a questi, per come rilevato dai giudici di merito, si aggiungono una pletora di altrettanti (e numerosissimi) reati, di natura pure variegata, che sono indicati come consumati proprio nei territori in cui la piena operatività dell’asRAGIONE_SOCIALEazione risulta esser manifestata.
Con la conseguenza che non affatto manifestamente illogica è la conclusione
a cui sono pervenute le sentenze di merito che hanno escluso di poter ritenere che il dato del tutto parziale dei primi tre reati fiscali (a fronte di oltre cento) p seriamente ritenersi significativo indizio della piena operatività dell’asRAGIONE_SOCIALEazione in Gela, ben potendo essere frutto della non istantanea transizione da un gruppo all’altro – tenuto conto che lo stesso capo di imputazione descrive la genesi di tale asRAGIONE_SOCIALEazione nell’ambito delle dinamiche criminali asRAGIONE_SOCIALEative insistenti in quel di Gela – e delle prassi operative già utilizzate da alcuni degli imputati con spostamento del luogo di realizzazione dei reati fiscali solo una volta consolidata la base organizzativa del gruppo al Nord (sul riconoscimento della piena autonomia della nuova asRAGIONE_SOCIALEazione del RAGIONE_SOCIALE rispetto a quella RAGIONE_SOCIALE e sulla corretta determinazione della competenza per territorio nel Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, v. ex mu/tis Sez. 3, n. 24982 del 10/07/2020, a proposito del coimputato NOME COGNOME).
Pertanto, allorché l’individuazione del loci fori sia condotta in ossequio ai principi dettati dalla Corte di legittimità in materia – secondo cui deve aversi riguardo non tanto al luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (Sez 2, n. 19177 del 15/03/2013, COGNOME, Rv. 255829 – 01; Sez. 6, n. 4118 del 10/01/2018, Piccolo, Rv. 272185 – 01) – e consegua ad un apprezzamento che, seppur necessariamente circoscritto in ragione della fase preliminare in cui si svolge, si regga su pregnanti e convergenti elementi ricavati dalla stessa contestazione, la valutazione della competenza finisce per costituire una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretta da adeguata motivazione.
Del resto, la tesi difensiva che vuole individuarsi nelle prime (tre) condotte di indebita compensazione i primi segnali dell’operatività del sodalizio mal si concilia con un’imputazione che, proprio alla luce dei plurimi elementi di congiunzione evocati dai giudici di merito, indica chiaramente quale “epicentro” “RAGIONE_SOCIALE e altri comuni del distretto di Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, di Milano e di Torino”, quali /oci di “radicamento”, in termini di oggettività giuridica, del nuovo gruppo criminoso che, in quale momento, era additato di possedere le stimmate di sodalizio mafioso.
La circostanza, poi, che all’esito del giudizio di merito quei primi reati fin siano stati poi, con riguardo al COGNOME, ritenuti avvinti dal medesimo disegno criminoso non costituisce una frattura logica del ragionamento svolto dai giudici di merito ai fini della risoluzione della questione di competenza, in quanto l’impossibilità di stabilire se le prime indebite compensazioni NOMEro collegate alla realizzazione di reati già programmati dalla compagine RAGIONE_SOCIALE piuttosto che alla
nascita della seconda asRAGIONE_SOCIALEazione è stata legata ad una valutazione compiuta rebus sic stantis, mentre il riconoscimento della continuazione consegue agli approfondimenti propri del giudizio dibattimentale.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione per la ritenuta partecipazione al reato asRAGIONE_SOCIALEativo in luogo del concorso di persone nel reato continuato.
Il motivo attiene all’assenza di indici dimostrativi della condotta di partecipazione, erroneamente ricavata dal coinvolgimento nei delitti fine del sodalizio in assenza di quel necessario quid pluris che deve aggiungersi, con carattere di stabilità – oltre e dopo -, alla condotta criminosa.
La censura fa leva sulla natura limitata, nei modi e nei tempi, del contributo fornito dalla ricorrente (meno di sei mesi) ad un sodalizio preesistente ed operante anche dopo il distacco dell’imputata (e del coimputato COGNOME), evidenziando anche l’errore in cui era caduta la Corte di appello nel valorizzare ai fini asRAGIONE_SOCIALEativi l’attività, peraltro lecita, prestata dalla ricorrente in favore della stru economico imprenditoriale del RAGIONE_SOCIALE e delle RAGIONE_SOCIALEetà collegate con l’organizzazione criminale.
Si sostiene che la ricorrente ed il COGNOME avrebbero, a tutto concedere, stipulato con il COGNOME un accordo criminoso diretto solo alla commissione di più reati determinati ispirati da un unico disegno criminoso.
Si segnala come la stessa sentenza impugnata abbia finito con l’ammettere l’esistenza di una marcata diversità nelle relazioni che il COGNOME intratteneva con i diversi concorrenti nell’accesso agli strumenti apprestati dall’organizzazione e nella condivisione della progettualità, aspetti non ravvisabili nelle posizioni dei due ricorrenti.
A riprova dell’estraneità asRAGIONE_SOCIALEativa della COGNOME e del COGNOME, si evidenziano i seguenti elementi: il COGNOME non si era mai fatto carico di pagare a favore di COGNOME e COGNOME spese di alloggio e trasferta, di veicoli, di uffici operativi; COGNOME e COGNOME non sono mai state fornite schede telefoniche dedicate date invece in uso agli altri asRAGIONE_SOCIALEati; COGNOME non ha mai partecipato a incontri riunioni di sorta che pur si sono tenuti con regolare frequenza fra i presunti asRAGIONE_SOCIALEati; in nessuna delle intercettazioni riferibili a dialoghi diretti con COGNOME COGNOME COGNOME è stat mai utilizzato il linguaggio criptico o significativamente alterato, né sono stati ma trattati temi differenti dalla compensazione contributiva; COGNOME non ha mai avuto la disponibilità di una serie di abitazioni in uso all’asRAGIONE_SOCIALEazione (al proposito se ne indicano quelle di pertinenza) e quindi anche i covi dell’asRAGIONE_SOCIALEazione non sono mai stati messi a disposizione dei ricorrenti; alla costituzione della RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME è rimasta estranea la COGNOME, pur avendo competenze professionali per coadiuvare i presunti asRAGIONE_SOCIALEati in quella specifica attività; l bonifiche delle auto disposte dagli asRAGIONE_SOCIALEati non sono mai state operate sui veicoli in uso alla COGNOME; l’aumento di capitale della RAGIONE_SOCIALEetà di COGNOME, legato al quadro di Goya, si è realizzato senza alcun apporto da parte della COGNOME; la COGNOME non ha mai avuto ruoli nella RAGIONE_SOCIALEetà di COGNOME e il dato è significativo perché avendo il COGNOME bisogno di commercialisti per istituire il collegio sindacale della sua capogruppo, si sarebbe rivolto a COGNOME o COGNOME, laddove li avesse considerati asRAGIONE_SOCIALEati e tanto riprova l’occasionalità dei loro rapporti professionali.
Il motivo è infondato.
Come già evidenziato a proposito di analoga doglianza del coimputato COGNOME, la Corte di legittimità, con orientamento consolidato, ha affermato che, in tema di asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’asRAGIONE_SOCIALEazione medesima (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285126 – 02; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670 – 01; Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254233; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Ry. 266670; da ultimo v. Sez. 1, n. 47347 del 08/09/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 11287 del 03/02/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 33740 del 21/06/2024, COGNOME, non mass.).
Di tale principio i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione, essendosi ricavata la prova della partecipazione attraverso l’esame dei numerosissimi reatifine nei quali i ricorrenti risultano avere concorso, le cui modalità esecutive, richiedendo necessariamente la partecipazione di più soggetti consapevoli della illiceità delle proprie singole condotte e della loro finalizzazione ad un unico risultato, sono sufficientemente indicative dell’operatività di un gruppo criminale asRAGIONE_SOCIALEato.
Del resto, il contributo causale apportato dalla ricorrente (e dal COGNOME) non esaurisce affatto la sua valenza nell’ambito della realizzazione del relativo reato fiscale, ma ne trascende i confini, ridondando finalisticamente a vantaggio del sodalizio criminoso del COGNOME che, proprio sulla commissione di tali reati, ha incentrato il meccanismo fraudolento cardine del gruppo dal medesimo costituito.
Peraltro, le sentenze di merito, al di là delle condotte di tipo “servente” realizzate a vantaggio delle RAGIONE_SOCIALEetà del RAGIONE_SOCIALE – che la difesa decisamente
contesta rivendicando un’autonomia della struttura imprenditoriale della RAGIONE_SOCIALE e delle RAGIONE_SOCIALEetà collegate con l’organizzazione criminale che, invece, a leggere le motivazioni della sentenza di primo grado sono caratterizzate da opacità – e gli stabili rapporti con tale imputato intrattenuti, hanno anche valorizzato le relazioni tenute con NOME e COGNOME, altri componenti dell’asRAGIONE_SOCIALEazione, la conoscenza di altri soggetti della cerchia del COGNOME e la partecipazione anche ad alcune riunioni a Milano.
La circostanza, poi, che i contributi assicurati al sodalizio siano stati circoscrit ad un limitato arco temporale – in quanto, spiegano i giudici di merito, seguono il COGNOME nel suo distacco dall’organizzazione del COGNOME – non vale ad escludere il rilievo della condotta di partecipazione.
All’interno della struttura asRAGIONE_SOCIALEativa la condotta di partecipazione è, pacificamente, a forma libera e consiste nel contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all’esistenza e al rafforzamento dell’asRAGIONE_SOCIALEazione (Sez. U., n. 22327 del 30 ottobre 2002, dep. 2003, Carnevali, Rv. 224181 – 02).
Una volta dimostrata l’esistenza di una asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere e individuati gli elementi, anche indiziari, sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno nelle attività dell’asRAGIONE_SOCIALEazione stessa e quindi la partecipazione alla vita di quest’ultima, non occorre anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto da quel medesimo soggetto nell’ambito dell’asRAGIONE_SOCIALEazione, potendosi la partecipazione al sodalizio criminoso, per sua stessa natura, realizzarsi nei modi più svariati, la cui specificazione non è richiesta dalla norma incriminatrice e non può, quindi, essere richiesta nemmeno nella sentenza di condanna (Sez. 2, n. 43632 del 28/09/2016, Capuano, Rv. 268317 – 01).
E ciò anche se l’attività sia di secondaria importanza (Sez. 3, n. 8024 del 25 gennaio 2012, Rv. 252753) o sia stata esplicata durante una fase temporalmente limitata della vita dell’asRAGIONE_SOCIALEazione (Sez. 2, 47602 del 29 novembre 2012, Rv. 254105; Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, COGNOME, Rv. 254105; Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276677 – 01; Sez. 1, n. 43841 del 15/10/2024, Burulday, non mass., Sez. 5, n. 20737 del 28/03/2024, COGNOME, non mass.).
Parimenti esente da vizi di legittimità è la sentenza impugnata in tema di elemento soggettivo: gli elementi probatori valutati dai giudici del merito appaiono tutti ampiamente sufficienti per dedurre la partecipazione dei due ricorrenti al sodalizio, in quanto i reiterati contributi prestati a vantaggio delle indebi compensazioni integrano condotte che, sotto il profilo soggettivo, valutate unitariamente, sono logicamente espressive di una evidente affectio RAGIONE_SOCIALEetatis,
che non è né l’esistenza di un accordo consacrato in atti di costituzione o in uno “statuto”, e neanche la formale attribuzione della qualifica di asRAGIONE_SOCIALEato da parte degli altri sodali, ma – posta l’esistenza, di fatto, della struttura delinquenzia prevista dalla legge – l’innestarsi del consapevole contributo apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune (Sez. 5, n. 13071 del 14/02/2014, Rv. 260211 – 01; v. anche Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276740 – 01).
Infine, laddove i ricorrenti affermano che dal materiale raccolto non potrebbe desumersi la loro partecipazione alla compagine asRAGIONE_SOCIALEativa, essi invocano un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio, fermo restando che proprio in ragione della differenziazione dei contributi e dei ruoli da ciascun partecipe assicurati, non affatto distonico è che per alcuni non siano state registrate forme di coinvolgimento del tipo di quelle invece riscontrate nei confronti di altri.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui all’art. 10 -quater d.lgs. n. 74/2000.
La censura attiene alla corretta applicazione del principio di fungibilità della prova nella parte in cui si era ritenuta la testimonianza degli ufficiali di p.g. idon a sopperire alla mancanza dell’acquisizione dei modelli F24 relativi alle indebite compensazioni. In realtà, le testimonianze non consentono di colmare l’evidente carenza dimostrativa in ordine al superamento delle soglie di punibilità, costituendo la presentazione del modello la condotta con la quale si realizza l’indebita compensazione, quale necessario presupposto del mancato versamento (non potendo tenere luogo della presentazione del modello la dichiarazione annuale, né quanto emerge dall’elenco delle compensazioni redatto dall’RAGIONE_SOCIALE delle entrate o dalla G.d.F.).
Peraltro, si aggiunge che la testimonianza non può adeguatamente surrogare una prova documentale mancante quando questa costituisca il corpo del reato.
Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di legittimità ha affermato che il contenuto rappresentativo di un documento può essere provato anche attraverso una testimonianza senza che il grado di minore affidabilità della prova dichiarativa ne implichi la inutilizzabil (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto ammissibile e utilizzabile la testimonianza resa da un operatore di polizia su quanto rappresentato in talune fotografie, a prescindere dalla loro allegazione alle annotazioni agli atti del fascicolo del pubblico ministero; Sez. 3, n. 47666 del 14/07/2022, COGNOME, Rv. 283827 – 01; in termini,
v. Sez. 5, n. 38767 del 28/06/2017, COGNOME e altri, Rv. 271210; Sez. 6, n. 5312 del 16/01/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 187 del 25/1072023, dep. 2024, Grillanda, non mass.).
E nessuna ragione vi è per discostarsi da tale principio allorché la mancanza attenga al corpo del reato, altrimenti giungendosi all’irragionevole conseguenza di escludere, ad es., la ricorrenza dell’aggravante dell’arma nella rapina laddove i testi ne abbiano comunque descritto la sussistenza ovvero del porto illegale nel caso di omicidio commesso avvalendosi di un’arma da fuoco non rinvenuta perché l’omicida se ne è spossessato.
Posto, dunque, che il tema indotto dalla difesa attiene alla prova del reato, nel caso in esame risulta che alla mancata allegazione dei modelli F24 – quali elementi documentali dimostrativi del superamento delle soglie di punibilità – si è sopperito attraverso le testimonianze degli ufficiali di p.g., le quali originano d una verifica dei sistemi informativi in possesso dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate che danno notoriamente contezza di tali dati.
Peraltro, e sul punto la doglianza risulta anche generica, la sentenza di primo grado dà atto come la materialità dei reati, con conseguente superamento delle soglie di rilevanza penale, sia stata implicitamente ammessa da una pluralità di imputati, tra i quali si indicano i due ricorrenti, nonché risulti anche dai verbali accertamento fiscale presenti in atti e come, peraltro, la stessa sia desumibile, per quasi tutti i fatti contestati, a partire dalle ingenti somme versate dai debitori fisc alle RAGIONE_SOCIALEetà di transito quali corrispettivi (in percentuale ridotta) rispetto ai cre compensati (v. pag. 99 e 100).
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione all’art. 43 cod. pen., con riferimento all’affermazione di responsabilità per i reati di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000.
La censura attiene all’omesso apprezzamento del motivo di appello con cui si era evidenziata l’assenza di dolo in capo all’imputata quantomeno per tutti i fatti commessi fino alla fine del 2017. Si lamenta che la Corte di appello attraverso un ragionamento giuridico viziato abbia finito per trasformare il reato da doloso in colposo e da commissivo in omissivo, avendo rimproverato alla ricorrente “l’omissione di qualsivoglia controllo da parte di chi era in grado professionalmente di farlo” (colpa generica), nonché sostenendo l’irrilevanza delle incertezze normative e giurisprudenziali in materia rispetto a professionisti che avrebbero dovuto (colpa specifica) informarsi adeguatamente.
Non si era considerato che, se COGNOME e COGNOME NOMEro stati consapevoli dell’inesistenza dei crediti, avrebbero operato direttamente. Invece, si era
illogicamente affermato che, nella veste di meri procacciatori degli imprenditori interessati alle compensazioni, avrebbero potuto, a ragione, rivendicare l’ignoranza dell’inesistenza dei crediti. Dunque, secondo gli stessi giudici di appello per ritenere la sussistenza del dolo bisognerebbe poter attribuire ai due imputati un ruolo ben diverso dalla semplice intermediazione, senza però fornire alcun elemento a supporto di tale condotta qualificata. Con la conseguenza che l’argomento speso della possibile ignoranza della frode in capo ai procacciatori, diviene la miglior dimostrazione dell’assenza di dolo.
Ad ogni modo, la sentenza impugnata non spiegava perché COGNOME e COGNOME non avrebbero dovuto fare affidamento su quanto prospettato dal COGNOME, confortato dalle rassicurazioni dei suoi avvocati e dai documenti che lo stesso COGNOME aveva fatto pervenire ai due coimputati (in particolare la sentenza di assoluzione del Tribunale di Gela del 2017, nonché l’attestazione dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate di Pescara in ordine alla sussistenza dei crediti). Né poteva assumere rilievo il fatto di aver continuato il procacciamento dei crediti da compensare anche dopo aver scoperto il sistema fraudolento del COGNOME, trattandosi di un argomento che non poteva valere a “ritroso” e, per come spiegato dall’imputata, dovuto alle pressanti esigenze della clientela che era alla ricerca di crediti fiscal da compensare legittimamente.
Il motivo è infondato.
Dalla lettura delle sentenze di merito risulta che il riconoscimento del dolo di concorso nel reato fiscale, lungi dall’essere stato ricavato da una sorta di responsabilità di posizione derivante dalla qualità professionale rivestita sia dalla COGNOME che dal COGNOME – che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo – si nutre della ricorrenza di un complesso di convergenti elementi fattuali (non ultimo le stesse iniziali ammissioni comunque rese dal COGNOME, le anomale modalità di fatturazione seguite, il contenuto del dichiarato dello stesso COGNOME e dei dialoghi intercettati anche prima dell’avvenuto abbandono del COGNOME), dimostrativi dell’essersi gli imputati prestati all’attuazione dell’originario disegno illecito perseguito dal RAGIONE_SOCIALE volto alla realizzazione di indebiti profitti, lucrati per la loro spettanza dai ricor (v. pagg. 137-146 della sentenza di primo grado e pagg. 328 e 329 della sentenza impugnata).
Inoltre, va escluso, per come prospettato dalla difesa, che ai fini della prova del dolo non possa tenersi conto del comportamento successivo al reato: è asserzione contraria al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che ritiene tale comportamento rilevante ai fini della prova del dolo (sul punto Sez.
1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012; Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015, A., Rv. 2653061, Sez. 3, n. 43995 del 12/09/2023, Donna, non mass.).
Peraltro, l’argomento costituito dall’avere gli imputati, una volta “bruciato” i COGNOME, proseguito nell’attività di procacciamento dei crediti da compensare, non si pone in termini affatto distonici col ragionamento seguito dai giudici di merito, in quanto il rivolgersi ad altri soggetti per continuare le stesse operazioni, lungi dal conseguire ad una accertata esclusione della consapevolezza del sistema fraudolento sino allora orchestrato dal COGNOME, finisce per porsi in sostanziale continuità con l’affermata pregressa consapevolezza delle operazioni svolte.
Del resto, anche a voler prescindere dalla pluralità di elementi sintomatici del dolo citati dalla sentenza di merito, la natura di reato a dolo generico non lascia spazio neppure al dubbio che gli imputati, secondo la tesi difensiva, avrebbero manifestato sulla reale natura dei crediti, non essendo il dubbio su una circostanza di fatto che costituisce elemento essenziale della fattispecie criminosa di per sé sufficiente ad escludere il dolo, in quanto chi agisce nel dubbio è invece consapevole di potersi esporre a violare la legge, cosicché il compimento dell’azione comporta l’accettazione del rischio nella causazione dell’evento, concretizzando così una forma di responsabilità a titolo di dolo eventuale (sulla natura di reato a dolo generico punibile anche a titolo di dolo eventuale, v. proprio con riguardo ad illecite compensazioni operate dal COGNOME in concorso con altri soggetti, tra i quali anche chi ha assunto la veste di procacciatore, Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279755 – 01, in motivazione a pag. 6).
Con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, sfuggono al vizio di motivazione le censure mosse a proposito degli argomenti comunque spesi per confutare la tesi difensiva dell’ignoranza dei crediti.
Valenza di merito hanno, infine, le altre censure difensive in quanto attaccano la motivazione sulla scorta di un’alternativa ricostruzione dei fatti che avrebbe determinato l’agire degli imputati, non consentita in questa sede.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen. con riferimento all’affermazione di responsabilità per i reati di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000.
Posta la natura di reato proprio istantaneo della fattispecie di cui all’art. 10 quater d.lgs. n. 74/2000 e la circostanza che le compensazioni non erano state materialmente operate dai ricorrenti avendo loro agito quali meri intermediari (rectius nel procacciare, prima a COGNOME e poi a COGNOME, il contatto con imprenditori interessati al pagamento dei crediti tributari mediante compensazione
con i crediti acquistati), la difesa pone il problema della configurabilità del concorso di persone in capo agli imputati, stante l’assenza di una posizione di garanzia da costoro rivestita da cui derivino obblighi di controllo, nonché di una valenza istigatrice dell’intermediazione svolta, considerato che non si era al cospetto di imprenditori già motivati e alla ricerca dei crediti necessari che sarebbero stati quantomeno rafforzati nel loro intento dalla proposta del procacciatore, ma di imprenditori mossi da un intento egoistico già ben delineato e non certamente rafforzato, ma nemmeno agevolato dall’opera del procacciatore.
Il motivo non è fondato.
Il concorso di persone nel reato proprio non determina, in forza del principio di atipicità che governa l’istituto, alcuna restrizione dell’area dei contributi c possono essere prestati dai concorrenti che non rivestono la qualifica soggettiva richiesta dalla legge per il perfezionamento del reato. Il codice del 1930, operando un’inversione di rotta rispetto al codice Zanardelli del 1889, ha optato per il modello della tipizzazione unitaria basata sul criterio dell’efficienza causale della condotta di ciascun concorrente, a cui non sfugge affatto l’ipotesi in cui l’estraneo contribuisce col suo comportamento di partecipe alla lesione del bene protetto realizzata dal soggetto qualificato.
Nel caso in esame, si è correttamente evidenziato come il reperimento di soggetti che possano acquistare crediti fasulli si pone, nell’ambito della catena criminosa congegnata dal COGNOME RAGIONE_SOCIALE, come un antecedente causale necessario alla successiva e conseguenziale operazione volta all’indebita compensazione, posto che in tanto l’operazione si conclude e l’F24 viene emesso, in quanto gli imputati hanno consapevolmente procurato l’acquirente, cioè il soggetto che evaderà le imposte compensandole con falsi crediti e che mi retribuirà per questo.
Si è al cospetto di un contributo che rispetto alla materiale trasmissione del modello svolge una funzione strumentale di carattere agevolativo, a nulla valendo che l’imprenditore alla ricerca della scappatoia fiscale NOME già in tal senso orientato, in quanto l’attività del procacciatore costituisce l’anello di congiunzion col successivo meccanismo fraudolento a sostegno del quale il gruppo criminale era stato costituito.
Del resto, a conferma della soluzione raggiunta, possono richiamarsi i precedenti della Corte di legittimità che, proprio nell’affermare la configurabilità del concorso ex art. 110 cod. pen. da parte dell’extraneus nel delitto di cui all’art. 10 -quater d.lgs. n. 74/2000, hanno attribuito rilievo anche a contributi non solo di istigazione morale ma anche agevolativo:
Sez. 3, n. 40324 del 05/10/2021, Gabriele, Rv. 282334 – 01 a proposito della condotta del componente del collegio sindacale di una RAGIONE_SOCIALEetà che esprima parere favorevole all’acquisto di un credito fiscale inesistente, o di un compendio aziendale contenente un credito fiscale inesistente, nella consapevolezza di tale inesistenza e della strumentalità dell’acquisto al successivo utilizzo del credito a fini di compensazione;
Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, dep. 2018, Addonizio, Rv. 272713-01, riguardo il contributo prestato dal consulente fiscale.
Né una tale conclusione risulta contraddetta dal precedente della Corte di legittimità citato nella requisitoria del pubblico ministero a motivo della richiest di annullamento della sentenza in parte qua, per cui “va esclusa la configurabilità del reato in quanto l’imputato non ha compilato alcun mod. F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione (Sez. 3, Sentenza n. 15236 del 16/01/2015)”.
In realtà, il principio citato, lungi dall’affermare una sorta di indifferenza ai concorsuali dei contributi resi, attiene ad ipotesi del tutto diversa, in cui si era cospetto del mero dato costituito dal mancato versamento delle somme dovute in assenza a monte del meccanismo della compensazione, in relazione al quale la compilazione del modello F24 assumeva valenza decisiva ai fini di prova.
Vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonché alla determinazione della pena per la violazione più grave (quella di cui al capo 1, della rubrica) e per i reati in continuazione. Erronea applicazione dell’aumento di pena dovuto alla recidiva reiterata e specifica.
Si era disatteso il riconoscimento delle attenuanti generiche facendosi riferimento all’assenza di elementi tali da fondare una valutazione di effettiva resipiscenza (affermazione da ritenersi già del tutto eccentrica rispetto al nostro ordinamento processuale), non ravvisabili a giudizio della Corte di appello nella partecipazione al processo e nella spiegazione dei motivi a fondamento dell’agire criminoso. In realtà, non si era apprezzato che con l’atto di appello la difesa aveva incentrato la richiesta sul comportamento collaborativo reso dall’imputata – che le era valso la sostituzione della misura cautelare inframuraria con quella domiciliare (al riguardo si cita il parere favorevole prestato dal pubblico ministero, che richiama le dichiarazioni rese dalla ricorrente con l’interrogatorio del 30 gennaio 2020) – e sul fatto che la stessa avesse completamente cambiato vita iniziando un percorso lavorativo del tutto diverso da quello in cui erano maturate le condotte contestate.
Apodittica era la motivazione posta a fondamento della determinazione del
trattamento sanzionatorio, soprattutto alla luce delle censure di sproporzione sollevate dalla difesa con l’atto di appello, stante il contributo definito marginal prestato dall’imputata al sodalizio protrattosi per un arco temporale di appena pochi mesi.
Privo di motivazione era l’aumento per la recidiva, avendo la Corte d’appello omesso di indicare sul perché i reati oggetto del presente procedimento sarebbero sintomatici di un’ulteriore pericolosità RAGIONE_SOCIALEale dell’imputata.
Il motivo non è fondato.
Quanto alle attenuanti generiche, sebbene possa concordarsi con la difesa laddove stigmatizza la apoditticità della motivazione resa dalla Corte d’appello nella parte in cui ha disatteso il rilievo costituito dalla valenza delle problematich familiari che hanno indotto l’imputata ad abbandonare il mondo criminale, resta il dato dirimente costituito dal richiamo, quale indice di pregnante disvalore, dei precedenti specifici dalla medesima annoverati.
Al riguardo, infatti, deve richiamarsi l’orientamento della Corte di legittimità secondo cui per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 -bis cod. pen. resta oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163).
Ne consegue che il diniego delle stesse può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi, tra cui anche il riferimento a precedenti penali (Sez. 1, n. 12787 del 05/12/1995, Rv. 203146 – 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01, Sez. 6, n. 8668 del 28/5/1999, COGNOME, Rv. 214200).
Generico, invece, resta l’indice costituito dal rilievo del contributo processuale fornito dall’imputata, non potendosi al riguardo valorizzare il mero richiamo della circostanza che il pubblico ministero ha espresso, per tale ragione, parere favorevole alla sostituzione misura (condiviso dal Gip), senza precisarne il contenuto, indicazione necessaria al fine di consentire alla Corte di legittimità di svolgere appieno il proprio sindacato sulla motivazione resa dal giudice del merito.
Anche la misura del trattamento sanzionatorio sfugge al vizio di legittimità denunziato, essendosi richiamati quali indici di disvalore la gravità dei fatti anche
in ragione del numero significativo dei reati per i quali l’imputata è stat riconosciuta colpevole.
Manifestamente infondata è la censura in tema di recidiva, in quanto generico sul punto è il relativo motivo di appello (v. penultima e ultima pagina del motivo n. 5 dell’atto di appello).
Erronea applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 74/2000 avuto rigu all’applicazione delle pene accessorie in assenza di alcuna motivazione in ordine alla misura concretamente inflitta.
Il motivo è inammissibile in quanto non proposto con l’atto di appello e non ricorrendo un’ipotesi di “pena illegale” risultando la misura delle pene accessorie inflitte nella cornice stabilita dalla legge.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
COGNOME NOME (art. 416 cod. pen., ritenuta la partecipazione capo 1; art. 10 -quater d.lgs. n. 74/2000, capi 67 e 68; art. 346-bis cod. pen., capo 102, esclusa l’aggravante del comma 4, e 117; delitti di falso, capi 111, 115, 116 nei sensi precisati dal Tribunale).
(Sul capo 1, art. 416, comma 2, cod. pen.). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova), in riferimento all’art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riguardo agli artt. 416, comma 2, e 133 cod. pen.
Il motivo attiene alla tenuta degli elementi dimostrativi della condotta di partecipazione che si sostiene i giudici di merito abbiano finito per ricavare dai meri rapporti, anche familiari, con il COGNOME, omettendo di considerare che l’imputato non aveva nessun vincolo permanente o contatti operativi con le altre persone indicate nel capo di imputazione, non aveva partecipato a riunioni e non aveva alcuna contezza dell’esistenza di un substrato organizzativo. Inconferenti erano al riguardo le intercettazioni pure evocate dai giudici di merito. Anzi, si sottolinea come il processo avesse restituito la figura di un imputato che non solo non soggiace agli ordini, ma “prendesse in giro” l’asserito vertice asRAGIONE_SOCIALEativo e lo “beffasse in maniera continuativa”, portando il COGNOME a credere di poter contare sulla sua attività di mediazione illecita, unica ragione che lo aveva portato a compiere più atti di disposizione (consegne di denaro) che altrimenti non avrebbe effettuato. Si deduce, infine, l’assenza di un contributo causale che, alla stregua del modello condizionalistico, NOME idoneo ad integrare la condotta di partecipazione, nonché della relativa affectio RAGIONE_SOCIALEetatis.
Il motivo è manifestamente infondato.
Va, anzitutto, ricondotta ad un mero refuso la generica indicazione nel titolo del presente motivo, come in quelli successivamente rubricati dal numero 2 al numero 6, della denuncia di violazione dell’art. 133 cod. pen., in quanto si di un tema che la difesa affronta nel motivo finale rubricato al numero 7.
Tanto premesso, quanto alla condotta di partecipazione, la doglianza difensiva reitera le censure, peraltro anche di fatto, già spiegate con l’atto di appello disattese dalla Corte d’appello con motivazione che non si presta alla censura di legittimità denunciate.
Le sentenze di merito, infatti, hanno precisato come il contributo del ricorrente non si esaurisca nell’ambito dei rapporti intercorrenti con il COGNOME di cui era l’uomo di fiducia in ragione dei rapporti familiari e commerciali che li legavano, ma svolga anche un’efficienza causale a favore del sodalizio.
In particolare, si sono indicate l’attività di fornire, a molteplici soggetti anc asRAGIONE_SOCIALEati con cui il COGNOME interloquiva, schede telefoniche dedicate per le comunicazioni riservate, nonché di assicurare il supporto tecnico, essendo elettricista, per effettuare la bonifica sulle auto al fine di rilevare event microspie; si cita anche l’intermediazione svolta tra COGNOME e due commercialisti che, a loro volta, hanno clienti che fruiscono dei servizi del COGNOME (v. anche pagg. 336, 349 e ss. sentenza di primo grado).
Si è, dunque, al cospetto di un’attività che integra la condotta di partecipazione, in ossequio a quanto affermato dalla Corte di legittimità secondo cui la condotta di partecipazione consiste nel contributo, apprezzabile e concr sul piano causale, all’esistenza e al rafforzamento dell’asRAGIONE_SOCIALEazione e, quindi, alla realizzazione dell’offesa degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice qualunque sia il ruolo o il compito che il partecipe svolga nell’ambito dell’asRAGIONE_SOCIALEazione (Sez. 6, n. 1472 del 02/11/1998, dep. 1999, Archesso, Rv. 213447 – 01).
Parimenti indicati sono gli elementi evocativi dell’a ffectio RAGIONE_SOCIALEetatis, tratti anche dal compendio intercettivo citato a dimostrazione della conoscenza di tutti gli affari anche più complessi che riguardano il COGNOME e dal rapportarsi in più occasioni con gli altri membri del gruppo (v. anche pagg. 320 e 322 sentenza di primo grado). Né a fondamento del rilievo è ammesso contestare il contenuto significante delle intercettazioni, non scrutinabile in questa sede esulando evidenze di palese distonia.
La circostanza, poi, che l’imputato vedesse nell’interrelazionarsi col COGNOME la possibilità di acquisire autorevolezza nel mondo del lavoro non priva della
destinazione finalistica la condotta, in quanto ben possono assumere rilievo forme caratterizzate da una finalità che, oltre a comprendere l’obiettivo vantaggio del sodalizio criminoso, in relazione agli scopi propri di quest’ultimo, comprenda anche il perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo asRAGIONE_SOCIALEativo può assumere anche, nell’ottica del soggetto, una funzione meramente strumentale, senza per questo perdere nulla della rilevanza penale (Sez. 2, n. 52005 del 24/11/2016, COGNOME, Rv. 268767 – 01).
Tanto basta a configurare a carico dell’imputato il reato contestato, non assumendo alcun rilievo il fatto che non partecipasse alle riunioni del gruppo, stante anche il ruolo di diretta subordinazione al COGNOME ovvero che millantasse conoscenze con soggetti influenti, trattandosi di aspetti che non privano di rilievo causale, sul piano agevolativo e rafforzativo, i contributi comunque reiteratamente resi a favore del sodalizio, correttamente ricondotti alla figura non qualificata del partecipe.
(Sui capi 67 e 68, artt. 110 cod. pen., 10 -quater, comma 2, d.lgs. n. 74/2000). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova) in riferimento all’art. 546 comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (requisiti della sentenza) e vizio di motivazione con riguardo agli artt. 110 cod. pen., 10 -quater, comma 2, d.lgs. n. 74/2000 e 133 cod. pen.
Si lamenta l’inconferenza degli elementi addotti a sostegno del coinvolgimento del ricorrente nelle indebite compensazioni e, in particolare, del contenuto delle intercettazioni telefoniche (su cui aveva riferito il teste di p.g. COGNOME) evocate nelle sentenze di merito a dimostrazione che il ricorrente abbia reclutato imprenditori – clienti per realizzare i reati contestati nei capi 67) e 68). richiamano, a conferma dell’ipotesi difensiva, le dichiarazioni di estraneità rilasciate dal coimputato COGNOME. Nessun diretto e personale coinvolgimento era stato poi asseverato nella gestione delle RAGIONE_SOCIALEetà beneficiarie delle indebite compensazioni. Difettavano, dunque, quelle figure di carattere significativo in forza delle quali la giurisprudenza ammette il concorso dell’extraneus nel reato proprio di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000 (si rammenta come l’imputato sia un elettricista e non un commercialista)
Il motivo è manifestamente infondato.
La censura, infatti, assume valenza di merito in quanto finisce per investire il contenuto delle intercettazioni telefoniche in forze delle quali i giudici di meri hanno ritenuto il ricorrente parte attiva nelle indebite compensazioni.
In particolare, la sentenza impugnata, in coerenza con i dialoghi registrati, ha sottolineato come l’imputato avesse fatto da tramite tra il COGNOME e il COGNOME, indicato come uno dei soggetti a cui era riferibile la RAGIONE_SOCIALE che ha portato in compensazione crediti inesistenti ceduti dal COGNOME. E tale ruolo è stato anche riempito di significato facendosi riferimento all’attivit materiale svolta in favore del disegno illecito perseguito dal COGNOME, della cui contezza in capo all’imputato si sono citati elementi altrettanto significativi (v. pag 149 e ss., 218 sentenza di primo grado e 341 di quella impugnata).
L’affermazione della compartecipazione del ricorrente sfugge, dunque, alle censure di legittimità sollevate e tanto alla luce della tipizzazione unitaria de concorso di persone nel reato, la quale assegna rilievo, a pari titolo, a chi compie la condotta tipica rispetto a colui o a coloro che – come l’imputato – hanno apportato un contributo qualsiasi, purché dotato di rilevanza causale nell’ambito della realizzazione collettiva del fatto (sul tema in diritto vedi anche argomentazioni spese a proposito dell’analogo motivo svolto dalla difesa della coimputata COGNOME sub 5).
3. (Sui capi 102 e 117; art. 346-bis, comma 1, con esclusione del comma 4 quanto al capo 102). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova) in riferimento all’art. 546 comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (requisiti della sentenza) e vizio d motivazione con riguardo agli artt. 81, comma 2, cod. pen., 346-bis, comma 1, e 133 cod. pen.
Il motivo attiene alla mancata riqualificazione in truffa dei reati di traffico influenze illecite, contestati ai capi 102) e 117) della rubrica, con conseguente esclusione della procedibilità per difetto di querela (trattandosi di fatti accertati seguito di intercettazioni telefoniche), che la difesa aveva sollecitato richiamando un orientamento della Corte di legittimità (Sez. 6, n. 28657 del 2/02/2021, Lepore, Rv. 281980 – 01) che la Corte d’appello aveva disatteso richiamando altro orientamento giurisprudenziale da ritenersi però a sua volta superato da successivi interventi della Corte di cassazione (Sez. 6, n. 47671 del 28/11/2023, COGNOME, non mass.).
In particolare, si lamenta l’omesso approfondimento dell’inesistenza del millantato percettore finale dell’utilità promessa, dovendosi escludere il traffico d influenze ogniqualvolta l’indicazione o il richiamo al ruolo del percettore risult talmente generico da non rendere neppure certo il riferimento ad un pubblico ufficiale o a un funzionario, né il chiaro tipo di mansioni svolte (nella fattispec inesistente).
In sostanza, è da ritenersi al di fuori dell’ambito applicativo della fattispeci stante l’assenza anche dell’oggettività giuridica imposta dalla norma la vendita di un’influenza che non esiste e che mai potrà essere esercitata (il c.d. compratore di “fumo”, indotto in errore a compiere un atto di disposizione patrimoniale che altrimenti non avrebbe compiuto).
Nel caso in esame, si sottolinea come tutti i p.u. evocati siano inesistenti e che l’imputato, tramite la millanteria, truffava sia COGNOME che COGNOME fingendo di poter corrompere un funzionario pubblico e chiedendo per questa attività un compenso.
Il motivo è fondato.
La Corte di merito ha disatteso la differente prospettazione qualificat sollecitata dalla difesa facendo mero richiamo dell’orientamento giurisprudenziale che, ricostruito il rapporto tra l’abrogato reato di millantato credito di cui all’ 346, comma 2, cod. pen. e la fattispecie di traffico di influenze illecite, come novellata dalla legge n. 3 del 2019, ha affermato che l’abrogazione dell’art. 346 cod. pen. non ha significato l’abolizione delle ivi descritte figure criminose, specificamente di quella contenuta nel comma secondo, e non ha comportato la sopravvenuta irrilevanza delle condotte prima sussumibili in entrambe le diverse e autonome figure (Sez. 6, n. 32574 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283724; Sez. 6, n. 20935 del 22/03/2022, COGNOME, Rv. 283270).
Si tratta, però, di un orientamento che non solo ha rinvenuto esiti difformi nella giurisprudenza delle Sezioni semplici (al riguardo può farsi riferimento alla ricostruzione operata da Sez. 6, n. 47671 del 15/09/2023, COGNOME, e alla giurisprudenza richiamata, in motivazione da pag. 6 a pag. 13 del considerato in diritto), ma che risulta successivamente superato dal recente intervento delle Sezioni unite COGNOME, le quali hanno affermato che, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, non sussiste continuità normativa tra il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis cod. pen., come modific dall’art. 1, comma 1, lett. t), legge 9 gennaio 2019, n. 3, ed il reat di millantato credito “corruttivo” di cui all’art. 346, comma 2, cod. pen., abr dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge n. 3 cit., le cui condotte potevano, e tutto possono, configurare gli estremi del reato di truffa, in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito “corruttivo”, purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relat diversa fattispecie incriminatrice (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286304 – 01).
Tanto premesso, le sentenze di merito – in ragione di quanto esposto alle
pagine 267 e ss. riguardo alla vicenda di cui al capo 102) e alle pagine 289 e ss. con riferimento alla vicenda di cui al capo 117) – hanno evidenziato come si sia al cospetto dell’ipotesi del c.d. “venditore e compratore di fumo” e tanto basta a ritenere non integrata la fattispecie incriminatrice contestata, alla luce anche della nuova formulazione della fattispecie a seguito della recente riforma introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera e) della L. 9 agosto 2024, n. 114, per cui ora le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere effettivamente esistenti e utilizzate, con eliminazione di qualunque profilo di millanteria.
Ciò esime la Corte di legittimità da ogni ulteriore valutazione rispetto alla sussumibilità della vicenda nell’alveo della fattispecie di truffa, in quanto questione di fatto che richiederebbe accertamenti di merito preclusi in sede di legittimità e tanto a prescindere dalla mancata proposizione della querela (e dalla carenza di interesse del ricorrente allo scrutinio di tale profilo).
Non essendo i fatti di cui ai capi 102) e 117) previsti dalla legge come reato dovrà procedersi alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, operazione alla quale può procedere direttamente la Corte di legittimità, ai sensi dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen.
Considerato che la sentenza impugnata ha inflitto all’imputato la pena complessiva di anni sette e mesi sei di reclusione (v. pag. 344), stabilendo, in aumento ex art. 81 cpv. cod. pen. per i reati di cui al presente giudizio sulla condanna irrevocabile del Gup del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE (anni quattro e mesi sei di reclusione): anni uno di reclusione per il reato di cui al capo 111), anni uno di reclusione per il reato di cui al capo 1) e complessivamente anni uno di reclusione per le residue imputazioni (ossia per i reati di cui ai capi 67, 68, 102, 115, 116 e 117), dovranno detrarsi quattro mesi di reclusione a cagione del disposto annullamento parziale per i reati di cui ai capi 102) e 117).
La pena inflitta all’imputato dovrà complessivamente determinarsi in anni sette e mesi due di reclusione, risultato al quale si giunge eliminando mesi quattro di reclusione dalla pena complessivamente inflitta di anni sette e mesi sei di reclusione.
4. (Sul capo 111; art. 648-ter.1, commi 1 e 3, cod. pen). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova) in riferimento all’art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (requisiti della sentenza) e vizio di motivazione con riguardo agli artt. 110, 648-ter.1, commi 1 e 3, cod. pen. e 133 cod. pen.
La difesa nel motivo di appello ha sostenuto che le indebite compensazioni attribuite all’imputato (capo 67, artt. 110 cod. pen. e 10-quater, comma 2, d.lgs.
n. 74/2000, in concorso con COGNOME ed altri) sono successive alla commissione del reato di autoriciclaggio (capo 111), tanto che il Tribunale ha superato la contestazione ipotizzando ulteriori indebite compensazioni precedenti al reato di a utoricicla gg io.
Tanto premesso, si lamenta che la Corte di appello nell’affermare che almeno parte delle somme provenienti da COGNOME e destinate alla Lasting Led del COGNOME siano pervenute dopo la commissione del reato di cui al capo 67), non ne abbia tratto le necessarie conseguenze escludendo la responsabilità dell’imputato quale ritenuto concorrente nel reato di autoriciclaggio (capo 111), almeno con riferimento al provento delle indebite compensazioni di cui al capo 67) e mandandolo assolto per la condotta contestata al capo 111).
Si sostiene, altresì, che lo stesso Tribunale, accertato che non è stata raggiunta la prova che la somma così come quantificata nel capo di imputazione NOME interamente provento di delitto (potendosi ammettere che parte dei conferimenti in denaro possano trovare spiegazioni in effettive forniture a COGNOME di lampade e materiali – v. pag. 281 sentenza di primo grado), abbia ritenuto di riqualificare l’ipotesi di reato in quella di cui all’art. 648-bis ov ricorrendone i presupposti in quella di cui all’art. 648-ter cod. pen., supponendo un’identità del fatto, escludendo, però, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. che, invece, ad avviso della difesa sussiste stante la diversità delle finalità e quindi, del relativo atteggiamento psicologico dei presunti concorrenti rispetto all’originaria ipotesi di autoriciclaggio.
Inoltre, problematico era individuare il delitto presupposto nell’illecit compensazione quale reato che avrebbe prodotto il reddito da poter essere reimpiegato. Infine, si evidenzia che l’istruttoria aveva asseverato l’esistenza di un’avviata attività commerciale giustificativa dei flussi finanziari in entrata s conto dell’imputato.
Il motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto va precisato che dalla lettura della sentenza di primo grado (v. pagg. 277 e ss.) risulta che il Tribunale, in aderenza all’editto dispositivo, ha ritenuto ricorrente responsabile del delitto di autoriciclaggio di cui al capo 111), in relazione al delitto presupposto costituito dai flussi di denaro derivanti dalle illeci compensazioni del COGNOME contestate in concorso con il COGNOME al capo 67).
In particolare, è stato ritenuto provato – e rispetto a tale decisum le censure riproposte in questa sede a conferma della esclusiva riconducibilità dei flussi finanziari ad attività lecite assumono valenza di merito – che parte delle somme rigirate sulla Lasting Led del COGNOME (e di cui si sostiene il COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALEo
di fatto) costituiscano profitto di pregresse partecipazioni dell’imputato a reati compiuti in concorso con COGNOME.
Se è vero, per come evidenziato dalla difesa, che i reati di indebite compensazioni attribuiti al COGNOME sono stati commessi il 26/10/2017 (capo 67) ed il 31/01/2018 (capo 68), mentre il reato di autoriciclaggio risulta contestato dal gennaio 2016 al dicembre 2017, la Corte d’appello, dopo avere precisato che l’obiezione difensiva vale per il capo 68), ha al contempo escluso che analoga obiezione sia interamente sostenibile con riguardo al capo 67), posto che l’istruttoria dibattimentale (v. intercettazioni ed accertamenti di p.g. richiamati pag. 342 della sentenza impugnata) ha comunque accertato che almeno parte delle somme provenienti dal COGNOME (“di cui non si dubita che sono il frutto delle attività di indebita compensazione anche in ragione ella stretta vicinanza dei reati”) siano pervenute dopo la commissione del reato di cui al capo 67). Ne ha, quindi, correttamente concluso che l’imputato va necessariamente ritenuto concorrente nel reato di autoriciclaggio con riferimento al provento delle indebite compensazioni di cui al capo 67), essendo concorrente nel reato di indebite compensazioni e, per tale parte di condotta, va ritenuto responsabile del reato contestato al capo 111).
Nessun profilo, dunque, di immutatio facti per come assume la difesa.
Del resto, lo stesso Tribunale, accedendo alla tesi del pubblico ministero “che vuole parte delle somme provento di delitto rigirate sulla Lesting Led costituire profitto di pregresse partecipazioni di COGNOME a reati compiuti in concorso con NOME“, ha affermato il ruolo di “intraneus” del ricorrente nella pregressa vicenda criminosa e non di extraneus per come adombrato nel ricorso, laddove si sostiene che la decisione di primo grado abbia mutato rotta affermando nella sostanza una responsabilità per il più grave delitto di riciclaggio, ipotesi che invece il Tribunale ha indicato solo per completezza argomentativa “diversamente opinando”.
(Sui capi 115 e 116; art. 110, 81, comma 2, 477, 482, 483, 494, 479 cod. pen). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova) in riferimento all’art. 546 comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (requisiti della sentenza) e vizio di motivazione con riguardo agli artt. art. 110, 81, comma 2, 477, 482, 483, 494, 479 e 133 cod. pen.
Posto che la condotta contestata al ricorrente doveva individuarsi in quella di “intermediario tra il COGNOME ed il COGNOME ove quest’ultimo riceveva dall’imputato le somme di denaro ricevute dal COGNOME“, si eccepisce, stante l’identità del fatto, il ne bis in idem con la condotta contestata al capo 119) che ha portato
all’assoluzione del ricorrente e del COGNOME (giudicato separatamente). Si evidenzia, poi, l’estraneità con la condotta dell’imputato dei residui reati indicati nel capo d imputazione, così come dal reato di cui al capo 116), costituente un’appendice del capo 115).
Il motivo è inammissibile in quanto riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliato e disatteso con corretti argomenti giuridici dalla Corte d’appello che ha sottolineato la diversità dei fatti e non scandito da specifica critica delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata.
Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova) in riferimento all’art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (requisiti della sentenza) e vizio di motivazione con riguardo agli artt. 530, comma 2, 533 cod. proc. pen. e 133 cod. pen.
Il motivo attiene alla corretta applicazione della regola di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, mancando nella sentenza impugnata una motivazione volta a confutare anche le spiegazioni alternative del fatto.
La censura è del tutto generica, in quanto il ricorrente omette di specificare quale sarebbe stata l’ipotesi alternativa corretta che, seppur non fornita di prova piena, avrebbe dovuto formare oggetto della valutazione giudiziale, conducendo all’auspicato risultato assolutorio.
Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale con riguardo all’art. 192 (valutazione della prova) in riferimento all’art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (requisiti della sentenza) e vizio di motivazione con riguardo agli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
Si lamenta, per un verso, che la Corte di appello, fondando il diniego delle circostanze attenuanti generiche sull’assenza di resipiscenza del ricorrente, abbia finito per far assumere rilievo ostativo all’esercizio di una facoltà legittima qual la facoltà dell’imputato di restare in silenzio e, per altro, disatteso la presenza d indici circostanziali favorevoli, quale l’epoca datata dell’ultimo precedente penale (risalente al 1988). Si lamenta, infine, che la Corte di merito, pur avendo nell’esaminare il capo 68) ritenuto condivisibile l’obiezione difensiva secondo cui le indebite compensazioni erano avvenute prima del reato di autoriciclaggio, non avesse ridotto la pena.
Il motivo è manifestamente infondato.
Come evidenziato sub 4, già il Tribunale aveva circoscritto l’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di autoriciclaggio a parte delle somme provento dei delitti di indebita compensazione, alla luce della prospettazione difensiva che lo indicava come in parte “extraneus” sul rilievo che i reati presupposti NOMEro
successivi alle condotte di autoriciclaggio (v. pag. 282 sentenza di primo grado).
Di conseguenza, nessuna ulteriore riduzione obbligata di pena gravava sul giudice di appello.
Quanto alle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha condiviso le ragioni del diniego espresse dal Tribunale, il quale ha anche richiamato indici di disvalore attinenti al delitto asRAGIONE_SOCIALEativo e alla condotta dell’imputato, con la conseguenza che non affatto decisivo si rivela il rilievo difensivo che vuole la motivazione viziata per non avere comunque favorevolmente apprezzato la natura datata del precedente penale annoverato dal ricorrente, considerato anche il principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui non è necessario che il giudic merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli rite decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, COGNOME, Rv. 248244 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01).
Peraltro, è consentito al giudice del merito, una volta affermata la penale responsabilità dell’imputato, valutare negativamente ai fini circostanziali ex art. 62-bis cod. pen., la condotta processuale dell’imputato che, pur a fronte di profili di colpevole evidenza (sono citate le vicende relative alla patente e alle false denunce di smarrimento), abbia mantenuto un atteggiamento “non collaborativo”. (Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, Rv. 270339 – 01. In motivazione, la S.C. ha osservato che, se l’esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili dichiarazioni false rese a propria difesa dall’imputato, ciò non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all’art. 133 cod. pen.; Sez. 4, del 4/04/2018, Prendi, Rv. 272747 – 01, a proposito di imputato che aveva protestato contro ogni evidenza l’estraneità ai fatti).
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi 102) e 117), perché i fatti non sono previsti dalla legge come reato, eliminandosi il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di mesi quattro di reclusione; va invece dichiarato inammissibile nel resto il ricorso.
COGNOME NOME (art. 10-quater d.igs. n. 74/2000, capi 9, 25, 30, 44, 48, 49 e 51) della rubrica).
Contraddittorietà ovvero carenza ed illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla dichiarazione di responsabilità del ricorrente per i reati contestati in ordine ai reati di cui ai capi 9 25), 30), 44), 48) e 51) della rubrica.
Si lamenta anzitutto che, a fronte di una contestazione elevata per avere concorso nelle indebite compensazioni nella qualità di intermediario abilitato alla presentazione dei modelli F24, la sentenza impugnata – posto che l’istruttoria aveva accertato che l’imputato ebbe ad abilitarsi a detto servizio soltanto dall’8 maggio 2018 e, dunque, al medesimo non potevano riferirsi tutti i modelli F24 trasmessi per suo conto prima di quella data (capi 9, 25, 30, 44 e 51) – aveva mutato il tiro facendo riferimento ad un interesse manifestato dal ricorrente alla compensazione dei crediti di imposta per come si ricaverebbe dalle dichiarazioni di COGNOME e del COGNOME (l’interesse deriverebbe dal legame sentimentale indimostrato – con la NOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, indicata quale coobbligata cedente il credito inesistente negli F24 inoltrati dall’COGNOME asseritamente dal ricorrente per conto di diverse RAGIONE_SOCIALEetà).
Una tale prospettazione peccava di illogicità in quanto, se il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda discendeva dal legame con la NOME e dal rapporto con l’COGNOME, la sentenza avrebbe allora dovuto spiegare perché al ricorrente non risultavano contestati altri episodi di indebita compensazione di crediti inesistenti che vedevano sempre protagonista la RAGIONE_SOCIALE della NOME e l’COGNOME (capi 47, 53, 55, 64 e 70).
Anche il ruolo additato all’imputato di “essere intervenuto in corsa per consentire al COGNOME di proseguire la sua attività criminosa” era smentito dallo stesso capo di imputazione, in cui solo due erano gli episodi che lo vedevano concorrere con il COGNOME (capi 9 e 48), mentre ne era estraneo in tutti i restant capi di imputazione (25, 30, 44, 49 e 51). Lo stesso COGNOME era poi imputato con l’COGNOME e la NOME nei capi 53 e 70 che non coinvolgono il ricorrente.
Analogamente, l’affermazione che NOME stato il ricorrente a dare incarico all’RAGIONE_SOCIALE di realizzare le operazioni relative ai crediti fiscali – circost indicata in sentenza quale premessa probatoria per affermare l’esistenza di un interesse del ricorrente alla realizzazione delle condotte illecite – non spiegava la ragione per la quale, dalla data dell’8 maggio 2018, il COGNOME – che si sostiene legato sentimentalmente alla NOME – avrebbe dovuto presentare personalmente gli F24 dopo avere ottenuto le credenziali quale intermediario abilitato e perché
analoga funzione avrebbe dovuto continuare a svolgere l’RAGIONE_SOCIALE.
In conclusione, posto che in ben cinque capi di imputazione (47, 53, 55, 64 e 70) alla NOME e all’NOME vengono contestate indebite compensazioni senza elevare analoghe contestazioni al ricorrente in ragione del fatto che egli non aveva presentato il modello F24, ne conseguiva la contraddittorietà dell’affermazione che faceva derivare il suo coinvolgimento dall’affermazione di un interesse nel disegno criminoso perseguito dai due complici, finendo, dunque, per appuntarsi l’affermazione di responsabilità nell’esclusivo dato costituito dalla mera presentazione dei modelli, attività da ricondursi, invece, all’COGNOME, il quale sua insaputa aveva chiesto l’abilitazione ad operare, immettendo poi nel sistema gli F24.
Con la conseguenza che privo di rilievo indiziario era la presenza del ricorrente a Torino il 20 aprile 2018, epoca in cui era privo del titolo abilitante e, pertanto non avrebbe potuto fornire alcun contributo alla realizzazione delle condotte illecite.
L’acquisizione della richiesta di abilitazione al servizio telematico avrebbe consentito di verificare se effettivamente NOME stato l’imputato ad operare ovvero se, per come sostenuto dalla difesa, si NOME al cospetto di un’iniziativa dell’COGNOME che aveva rapporti con la NOME sin dai primi mesi del 2018, il quale aveva interesse ad avvalersi per la presentazione dei modelli di altro soggetto al fine di evitare di superare la soglia di punibilità.
Il motivo è generico e/o manifestamente infondato.
Anzitutto la lettura della sentenza di primo grado consente di superare il profilo di contraddittorietà della motivazione denunciato dalla difesa, facente leva sull’inconciliabilità tra il momento in cui l’imputato acquisisce formalmente l’abilitazione alla presentazione dei modelli F24 (1’8 maggio 2018) e quello in cui si sarebbero consumati, ad eccezione di quello contestato al capo 48), i reati al medesimo contestati che fanno riferimento a date antecedenti, con la conseguenza che “tutti i modelli F24 trasmessi per suo conto prima di quella data, da soggetti terzi, non sono ad esso imputabili” (v. anche pag. 6 del motivo di appello).
Per come precisato dal Tribunale, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285747 02), il reato si consuma, per ogni annualità, con l’ultima presentazione dell’F24 contenente compensazioni con crediti inesistenti. Pertanto, la data indicata nel capo di imputazione non esaurisce l’attività svolta dall’intermediario, in quanto non rappresenta affatto, né in tal senso nulla in contrario è allegato, il momento consumativo del reato, ossia l’ultimo momento di presentazione dell’F24 per l’anno
2018, ma al contrario segna, in ossequio alle modalità accertate dai giudici di merito e riepilogate in sentenza per ciascun capo di imputazione, quello di “perfezione del reato”, ossia allorché l’utilizzo indebito dei crediti in compensazione a nome della RAGIONE_SOCIALEetà compiacente raggiunge la soglia di punibilità richiesta dalla legge (v. ad es. pag. 183 con riguardo al capo 25, e pag. 187 con riferimento al capo 30, a pag. 198 in ordine al capo 44).
All’imputato, infatti, al pari del coimputato COGNOME, si deve l presentazione di successivi modelli in epoca anche successiva alla data di perfezionamento del reato indicata nei capi di imputazione (v. ad es. nota 574 a pag. 184 della sentenza di primo grado in cui si precisa che l’imputato, in relazione al capo 25, ha presentato telematicamente come intermediario il modello NUMERO_DOCUMENTO il 4 giugno 2018, dopo l’intervenuta abilitazione; pag. 188 riguardo al capo 30, ove è indicata la data del 4 giugno 2018 quale momento di diretto coinvolgimento dell’imputato a seguito della presentazione telematica del modello; analogamente si indica la data del 29 maggio 2018 riguardo al capo 44, ecc.).
Pertanto, il ricorrente, mediante la presentazione telematica dei modelli quale soggetto abilitato in epoca successiva al momento del conseguimento di tale titolo, risulta avere fornito un contributo causale di carattere materiale al disegno perseguito dai correi di realizzare un ingiusto profitto mediante il reiterato meccanismo delle illecite compensazioni.
Correttamente, poi, si è smentito l’ulteriore assunto che vuole l’imputato, in ragione della sua sprovvedutezza dovuta alla mancanza di competenze in materia (non ostative però, per come si è sottolineato, al rilascio dell’abilitazione), strumento inconsapevole dell’COGNOME. E non solo perché effettuando compensazioni a partire da un’annualità avanzata ben avrebbe potuto (e dovuto) verificare se vi NOMEro state indebite precedenti compensazioni nel corso del 2018 e per quali importi (mediante la consultazione del cassetto fiscale della RAGIONE_SOCIALEetà o sentendo gli altri soggetti coinvolti), ma in forza di altri convergenti elementi d tipo indiziario forieri di diretto e consapevole coinvolgimento, costituiti dall chiamata in reità dell’COGNOME, dai contatti con il COGNOME, da quanto riferito coimputato COGNOME (v. pag. 350 sentenza impugnata) e dal legame sentimentale – riferito dall’COGNOME – che lo univa all’altra principale complice dell’or fraudolento, ossia la NOME, quale legale rappresentante della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALEetà coobbligata che ha ceduto i crediti inesistenti ai diversi intermediari abilitati alla presentazione dei modelli F24.
Con la conseguenza che la circostanza, citata dai giudici di merito, dell’incontro con il COGNOME avvenuto prima che l’imputato NOME abilitato ad operare
(qualche mese) non elide affatto la logicità del costrutto accusatorio, in quanto elemento continente con l’intervento di carattere adesivo e temporalmente successivo che il ricorrente dovrà assicurare e prestare agli altri concorrenti.
Del resto, a conferma dell’ipotesi concorsuale al ricorrente elevata, può citarsi anche l’ulteriore dato, di carattere logico ma egualmente significativo, costituito dal fatto che un meccanismo fraudolento di tal genere, per come congegnato che vedeva e richiedeva la partecipazione di soggetti “affidabili”, difficilmente avrebbe coinvolto persone ignare.
La circostanza, infine, che al ricorrente non siano state contestate altre ipotesi di reato che pure rientravano nel disegno criminoso perseguito dagli stretti correi è coerente non solo con l’impostazione accusatoria, ma risponde anche ad esigenze di certezza, in quanto per come affermato nello stesso ricorso negli altri capi di imputazione contestati all’COGNOME e alla NOME (47, 53, 55, 64 e 70) manca il contributo materiale costituito dalla presentazione di uno dei modelli TARGA_VEICOLO utilizzati per portare reiteratamente in compensazione nell’annualità di riferimento i crediti inesistenti.
Contraddittorietà ovvero carenza ed illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla dichiarazione di responsabilità del ricorrente per i reati contestati in ordine ai reati di cui ai capi 9 25), 30), 44), 48) e 51) della rubrica sotto il profilo della mancata coincidenza tra la data del commesso reato e della condotta attribuita al ricorrente.
Si sottolinea come per tutti i capi di imputazione, ad eccezione del n. 48), la data del commesso reato indicata nella rubrica NOME anteriore al conseguimento dell’abilitazione alla presentazione dei modelli F24 da parte del ricorrente (8 maggio 2018) e come coincidesse con il momento in cui la soglia di punibilità stabilita per legge fu superata compensando crediti inesistenti.
Avendo la sentenza impugnata affermato che il reato si sarebbe consumato con la presentazione dell’ultimo modello TARGA_VEICOLO, ciò avrebbe dovuto portare ad una modifica del capo di imputazione, con la conseguenza che il ricorrente, ad accezione del capo n. 48, non poteva essere ritenuto responsabile degli altri reati ascritti.
La censura è manifestamente infondata alla luce degli argomenti evidenziati a confutazione del motivo precedente con particolare riguardo al significato da attribuirsi alla data di commissione del reato indicata per ciascun capo di imputazione.
Peraltro, l’attribuzione a ciascun concorrente delle condotte penalmente rilevanti è ben declinata dalla sentenza di primo grado, facendosi specifico
riferimento al momento temporale in cui ciascuno presta il proprio contributo e alle relative fonti di prova acquisite nel contraddittorio delle parti, con l conseguenza che sul punto nessuna immutatio facti si è verificata, al pari della violazione del diritto di difesa, neppure specificamente e tempestivamente denunciata coi motivi di appello.
Contraddittorietà ovvero carenza ed illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62 -bis e 114 cod. pen.
Si lamenta l’apoditticità della motivazione su cui era stato fondato il diniego delle due circostanze: il riferimento al “ruolo non assolutamente secondario” che avrebbe svolto il ricorrente non era aderente al dato processuale, del tutto slegato da una valutazione obiettiva dei fatti, non essendosi indicato il presunto profitto che l’imputato avrebbe ricavato dall’attività illecita.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto il riferimento al ruolo non secondario svolto dall’imputato, posto dalla sentenza impugnata a fondamento del diniego delle invocate attenuanti generiche e di quella del contributo di minima importanza, risulta coerente sia con il molteplice numero di operazioni illecite al medesimo contestate sia alla gravità complessiva del reato in ragione dei plurimi indici di disvalore pure citati nelle sentenze di merito con riferimento alle modalità non affatto di tipo elementare che sovraintendono alle indebite compensazioni.
E tanto senza sottacere, a proposito del contributo di minima importanza, che, a norma dell’art. 114, comma 2, cod. pen., l’attenuate speciale non si applica laddove il numero dei concorrenti sia superiore a cinque e che i giudici di merito per diverse ipotesi hanno ritenuto il concorso qualificato di persone.
La difesa nel corso della discussione ha argomentato anche in ordine all’eccezione di incompetenza introdotta dalle altre difese, richiamando a conferma della censura una sentenza del Tribunale di Milano. Si tratta, tuttavia, di un motivo inammissibile per tardività, in quanto non dedotto coi motivi principali, né con i motivi aggiunti e tanto a prescindere dai profili di mancata allegazione. In ogni caso, possono richiamarsi le argomentazioni spese a proposito della posizione della coimputata e ricorrente COGNOME NOME (sub motivo 1).
Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.
NOME (capo 1, art. 416 cod. pen., perdurante sino al 2018, ritenuta la partecipazione, anni uno e mesi otto di reclusione, pena sospesa e non
menzione).
Eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in favore di quello di Gela.
Il motivo è infondato per le ragioni esposte a proposito di analoga censura della coimputata COGNOME (sub motivo 1) alle quali si rinvia.
Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego del circostanze attenuanti generiche.
Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di merito, infatti, dopo avere normativamente escluso il rilievo dell’assenza di precedenti penali, nonché della partecipazione al processo, trattandosi dell’esercizio di una facoltà difensiva, ha parimenti escluso che possano assumere altrettanto rilievo le ammissioni rese nel corso delle indagini, in quanto necessitate dalla evidenza delle prove raccolte a carico del ricorrente. Di conseguenza, il richiamo all’assenza di segni di resipiscenza risulta del tutto confacente alla realtà processuale, come quello all’assenza di ulteriori (e diversi) elementi valutabili a detto fine che, peraltro, non risultano neppure allegati col ricorso.
Nullità della sentenza per mancata indicazione delle conclusioni e delle richieste della Procura generale.
Il motivo è manifestamente infondato.
La circostanza che a pag. 52 della sentenza si indichi soltanto “udita la requisitoria del AVV_NOTAIO” e non si sia proceduto alla trascrizione delle conclusioni rese a verbale di udienza, non costituisce alcun motivo di nullità della sentenza, considerato che ai sensi dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., è sanzionata a pena di nullità la sola mancanza o incompletezza del dispositivo, ovvero se manca la sottoscrizione del giudice (in termini Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252404 – 01).
Il ricorso deve essere rigettato.
COGNOME NOME (art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, capi 9, 25, 30, 44, 47, 48, 49, 51, 53, 55 e 70).
Vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità riguardo ai capi 9, (9-ter), 25, 30, 49, 51 e 53 della rubrica.
Si lamenta la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione nella parte in cui, per un verso, colloca al 20 aprile 2018 il primo incontro conoscitivo del ricorrente
con i correi COGNOME, NOME, COGNOME e COGNOME e, per altro, ne afferma la responsabilità per la mediazione illecita prestata in relazione a reati consumati in epoca antecedente. L’imputato, infatti, nella stessa ricostruzione accusatoria subentrerebbe nel nuovo gruppo a cui il COGNOME, unitamente all’NOME, dà vita per proseguire nell’attività di cessione dei crediti, dopo che COGNOME ha interr suo rapporto con il COGNOME.
Con riferimento, poi, all’intermediazione svolta dall’imputato nella sua qualità di commercialista, si ribadisce che essendo la procedura di cessione dei crediti in esame esclusivamente telematica, era precluso qualunque intervento da parte dell’intermediario e, in particolare, che potesse verificare la natura e bontà del credito ceduto, essendo lo stesso maturato con la mera allegazione progettuale di investimento nel mezzogiorno (area svantaggiata) e da ritenersi esistente in quanto presente nel relativo cassetto fiscale del cedente.
Inoltre, si sottolinea come il visto di conformità fiscale effettuato dall’intermediario sia meramente formale e non sostanziale (al pari di quello compiuto dalla procedura telematica utilizzata al fine della cessione del credito). Ancora, si evidenzia come il credito in oggetto sia del tutto scollegato dalla dichiarazione dei redditi del cedente, trattandosi di credito di imposta interamente imperniato sulla progettualità del soggetto che intenderebbe investire nel meridione d’Italia. Con la conseguenza che essendo il credito di imposta agganciato ad una modalità di investimento, laddove il soggetto non lo effettui, il credito viene meno e tale responsabilità rimane esclusiva del cedente. La particolare tipologia del credito di imposta – legato ad una progettualità -comportava che al momento della cessione del credito non era tenuta la cedent ad aver realizzato quanto promesso allo Stato (la realizzazione doveva avvenire entro l’anno successivo alla maturazione del credito). Ciò che contava era, dunque, la presenza del credito nel cassetto fiscale del soggetto cedente. E, al riguardo, si sottolinea come la RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE di NOME (indicata nel capo di imputazione quale RAGIONE_SOCIALEetà cedente il credito ritenuto inesistente) era l’unica RAGIONE_SOCIALEetà cedente ad avere presentato un progetto di investimento al Centro operativo di Pescara.
L’imputato si era limitato a svolgere una mera attività professionale, né poteva ritenersi consapevole che i crediti oggetto di cessione NOMEro falsi, in quanto al momento in cui egli riceve la documentazione da NOME e da COGNOME nessun accertamento risulta essere tato espletato dalla G.d.F. (gli accertamenti svolti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE hanno una data successiva a tutta la vicenda, ossia quella dell’8/04/2019). Né poteva esigersi dall’imputato la
spiegazione di come sarebbe stato indotto in errore da questi ultimi, il quale si è limitato ad intermediare il credito con la documentazione a lui da costoro fornita.
Infine, si ribadisce che il reato contestato di cui all’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74/2000 si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta detentiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti.
Il motivo è generico.
Ricondotta ad un refuso la denuncia di violazione di legge relativa al capo 9ter (non contestato e per cui non vi è stata condanna), la difesa, infatti, reitera la censura svolta con l’atto di appello secondo cui l’imputato si sarebbe limitato a svolgere l’attività di mero intermediario, all’oscuro dell’insussistenza dei crediti e delle vicende della RAGIONE_SOCIALEetà che a lui si era rivolta.
Le sentenze di merito, invece, restituiscono una realtà del tutto differente che rende ininfluente i profili formali e di automaticità che caratterizzano la procedura di inserimento dei crediti da parte dell’intermediario abilitato, incentrando l’affermazione di colpevolezza a titolo di concorso a monte delle operazioni, sulla scorta di un complesso di elementi che additano l’imputato come uno degli artefici della continuità del meccanismo fraudolento proseguito dal COGNOME.
A conferma di ciò valga la conversazione, già valorizzata in sede di cautela personale, tra l’COGNOME ed il COGNOME nella quale i due concordano espressamente i termini della collaborazione illecita, vantandosi il primo delle proprie pregresse esperienze nell’ambito delle indebite compensazioni, giungendo a sottoporre dei suggerimenti finalizzati a “non attirare l’attenzione delle forze di polizia”, cos “mostrando di aver pienamente compreso ed aderito alle proposte del suo interlocutore”. In una ulteriore conversazione con COGNOME NOME, come rilevato dal Gip e dal giudice del riesame, l’COGNOME dimostrava di essere perfettamente a conoscenza del meccanismo criminoso.
Per non sottacere, poi, il rilievo degli altri elementi pure declinati nell sentenza impugnata (v. pag. 374) che indicano l’imputato come colui che aveva predisposto la documentazione per l’ottenimento dei crediti mai posseduti dalla RAGIONE_SOCIALE e curato la relativa pratica e i crediti da gasolio per autotrazione, nonché come colui che, unitamente all’COGNOME, si preoccupava di “piazzare” i clienti da lui ottenuti tramite la RAGIONE_SOCIALE.
Del resto, rileva pure l’ulteriore dato di carattere logico, citato dalla Corte territoriale a fondamento della consapevolezza del ricorrente dell’insussistenza dei
crediti in precedenza ceduti dal gruppo RAGIONE_SOCIALE, costituito dal fatto di essere stato interpellato proprio a seguito dei problemi con quest’ultimo verificatesi che avevano indotto il COGNOME a ricercare, tramite l’NOME, altro canale per proseguire nell’attività di cessione dei crediti dopo appunto avere interrotto il rapporto con il COGNOME.
Tali convergenti elementi rendono del tutto ininfluente che all’accertamento di inesistenza dei crediti si sia poi giunti successivamente a seguito delle indagini della RAGIONE_SOCIALE, attenendo tale profilo alla prova dei reati, ma non al loro momento costitutivo, avente per come già sottolineato causa illecita, nota all’imputato.
Altrettanto generica è, infine, anche la censura con cui si assume l’estraneità dell’imputato ai reati indicati in premessa che porterebbero una data di consumazione antecedente all’incontro tra l’imputato, l’NOME e il COGNOME, datato 20 aprile 2018 che darebbe il via all’illecito accordo.
La sentenza impugnata, infatti, ha respinto il relativo motivo di appello sottolineando che “i capi di imputazione riportano la data di superamento della soglia e non quella dell’ultimo F24 presentato dal cessionario che si avvale del credito”.
Inoltre, richiamando le motivazioni spese a proposito di analoga censura svolta dal coimputato COGNOME (v. pag. 351), le sentenze di merito hanno spiegato, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, le ragioni per le quali è comunque possibile ravvisare una responsabilità concorsuale dell’imputato, in ragione della natura a formazione progressiva della complessa fattispecie escogitata e del contributo di carattere morale, rafforzativo e agevolativo nel complesso assicurato e prestato.
Si tratta di un argomento che non viene specificamente censurato col ricorso.
Vizio della motivazione in ordine a diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Errato era il riferimento alla circostanza che il ricorrente NOME gravato da altri precedenti penali; peraltro, la stessa sentenza impugnata, ai fini dell’esclusione della recidiva, dava (contraddittoriamente) atto che tale precedente era stato depenalizzato.
Illogico era poi – nella valutazione del comportamento processuale – aver stigmatizzato che l’imputato, il quale si era sottoposto a due interrogatori dinanzi al pubblico ministero, non si NOME sottoposto ad esame. Anzi, lo stesso ricorrente aveva fornito dichiarazioni spontanee a richiesta del Collegio giudicante.
Un giudizio ragionevole condotto alla stregua della complessità della vicenda e sulla scorta di una valutazione globale del fatto e della personalità dell’imputato,
incensurato, avrebbe imposto l’applicazione di una pena inferiore.
Il motivo è generico e manifestamente infondato.
La censura muove dal presupposto che la Corte di merito abbia valorizzato ai fini del giudizio di disvalore il precedente penale annoverato dall’imputato per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali di cui all’art. 2 I. n. 638/1983, successivamente depenalizzato in quanto per “cifra inferiore ai 10.000 euro”.
Dalla lettura della sentenza impugnata, in realtà, emerge che la depenalizzazione è stata correttamente valutata ai fini dell’esclusione della recidiva specifica, mentre a supporto del diniego delle attenuanti generiche si sono richiamati gli altri precedenti penali (“sia pure contravvenzionali”) che il ricorrente in effetti annovera, per come risulta dall’esame del relativo certificato (si tratta d due condanne per contravvenzione con decreto penale del Gip del Tribunale di Enna rispettivamente esecutivo il 16/10/2015 e 20/11/2015; il ricorrente annovera pure altri precedenti la cui irrevocabilità è successiva ai fatti oggetto del presente giudizio).
Tanto premesso, nessuna manifesta illogicità sconta poi la sentenza impugnata per avere ritenuto non decisiva la circostanza che il ricorrente si sia sottoposto ad interrogatorio, trattandosi di condotta processuale che, al pari dell’esame, costituisce esercizio di facoltà difensive e che, dunque, può apprezzarsi, semmai, in relazione al contenuto del dichiarato e, in relazione a ciò, nulla di meritevole è indicato nelle sentenze di merito.
Del resto, neppure gli elementi attinenti al fatto che la difesa pure valorizza nel ricorso a corredo delle attenuanti generiche si prestano ad inficiare la motivazione della Corte d’appello, non solo per la loro genericità essendosi richiamate mere categorie di riferimento quali complessità della vicenda, la valutazione globale del fatto e della personalità dell’imputato, ma soprattutto perché la descrizione che di tali categorie si rinviene nelle sentenze di merito si pone in contraddizione con un giudizio di meritevolezza, essendosi, al contrario, rimarcata la gravità dei fatti, all’interno dei quali il ruolo rivestito dal ricor non viene ritenuto affatto secondario.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
COGNOME NOME (art. 416 cod. pen., quale promotore, organizzatore e direttore, capo 1; art. 10-quaster d.lgs. n. 74/2000: capi 3, 3-ter, 5, 5-ter, 6, 7quater, 8-ter, 9, 9-ter, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 23, 24, 25, 26, 29, 30,
t
33, 34, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 53, 66, 67, 68, 72, 73, 74, 75, 77, 80, 82, 85, 86; art. 629 cod. pen., capi 95, come originariamente qualificato, escluse le aggravanti di cui agli artt. 628, comma 3, n. 3 e 416-bisl. cod. pen. e 96, esclusa l’aggravante di cui all’art. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3 cod. pen.; art. 648-ter.1. cod. pen., capi 110 e 111; delitti di falso, capo 115).
Violazione di legge con riferimento agli artt. 8 e ss. cod. proc. pen. Contraddittorietà e illogicità della motivazione.
1.1. In punto di determinazione della competenza per territorio in favore del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, anziché di Gela con riferimento al delitto asRAGIONE_SOCIALEativo di cui al capo 1) della rubrica.
1.2. Si lamenta, altresì, l’erronea individuazione della competenza per territorio nel Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con riguardo ai reati di estorsione di cui ai cap 95 (ai danni di COGNOME che sarebbe stato costretto a consegnare all’imputato un’auto e un personal computer) e 96 (ai danni di COGNOME a cui sarebbe stato imposto di allontanarsi dallo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE). La consegna dell’auto sarebbe avvenuta in provincia di Milano e lo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è situato in Milano. Considerato che i due reati non costituiscono delitti fine dell’asRAGIONE_SOCIALEazione, doveva farsi riferimento al luogo di consumazione del reato di estorsione e non a quello asRAGIONE_SOCIALEativo.
Peraltro, l’esclusione da parte dei giudici di merito dell’aggravante di cui all’art. 416-bis1. cod. pen. in conseguenza della qualificazione dell’asRAGIONE_SOCIALEazione di cui al capo 1) della rubrica come semplice – che aveva inizialmente portato a riconoscere la competenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE – avrebbe dovuto radicare la competenza in Milano, quale luogo di consumazione delle estorsioni.
I motivi in tema di competenza per territorio sono rispettivamente infondati e inammissibili.
1.1. In ordine al reato asRAGIONE_SOCIALEativo, il motivo è infondato per le ragioni evidenziate a proposito della coimputata COGNOME in punto di infondatezza della relativa eccezione, a cui deve integralmente farsi rinvio (v. sub 1).
1.2. In ordine ai delitti di estorsione il motivo è inammissibile: l’eccezione di incompetenza è stata, infatti, correttamente disattesa dalla Corte territoriale in quanto proposta soltanto con i motivi aggiunti e, dunque, poiché rivestiva carattere di novità rispetto ai motivi principali dedotti con l’atto di appello e stan l’assenza di una connessione funzionale con i motivi originari.
Né, poi, può ritenersi consentito alla parte dedurre la questione col ricorso per cassazione, essendo precluso al giudice di legittimità decidere su violazioni di legge non rilevabili d’ufficio, i cui presupposti di fatto non siano già stati esaminat
ii dai giudici di merito (Sez. 6, n. 28455 dell’11/06/2024, P., Rv. 286758 – 01).
Violazione di legge con riferimento all’art. 416 cod. pen.; illogicità dell motivazione.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo escluso la natura mafiosa del sodalizio di cui al capo 1), ha comunque ritenuto sussistente un’asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere semplice, richiamando elementi di tipo meramente indiziario e congetturali. Si era, invece, al cospetto di plurime condotte criminose i cui accorgimenti organizzativi erano unicamente volti a perseguire lo scopo criminoso preventivamente individuato e non di realizzare una struttura stabile, funzionalmente destinata alla commissione di una serie indeterminata di reati. Mancava una cassa comune e un programma indefinito di delitti, trovandosi semmai, dinanzi, nell’ipotesi accusatoria, a singole condotte perpetrate da e unicamente a soggetti di volta in volta diversi; risultava parimenti assente, per come affermato dallo stesso Tribunale, anche una rigida organizzazione verticistica e una stretta subordinazione dei membri del gruppo a regole e capi (COGNOME vuole sottrarre clienti al COGNOME, il quale subisce anche un attentato, COGNOME ammette di essere debitore di COGNOME, ma di non avere ricevuto per questo nessuna ritorsione).
Il motivo è inammissibile.
La doglianza, infatti, riproduce profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di merito che, a pagina 392 e ss. della sentenza impugnata, ha dato motivatamente conto dell’esistenza di indici dimostrativi del concorso necessario, stante la presenza di un’organizzazione minima e stabile a cui vanno ricondotti i molteplici delitti fine commessi, nell’ambito di un’ideazione criminosa che trascende i singoli reati e risulta riferibil ad un pactum sceleris avente carattere originario.
La circostanza, poi, che i singoli reati richiedano, ai fini della loro commissione, anche un substrato organizzativo non esclude affatto che il dato strutturale assuma altresì rilievo ai fini della sussistenza del delitto asRAGIONE_SOCIALEativo, in quanto giudici di merito hanno correttamente evidenziato che la struttura serviva proprio per realizzare una serie indeterminata di reati dello stesso tipo, secondo un programma delittuoso indefinito, e governato dal ricorrente, volto alla ricerca di nuovi cessionari. Si è, dunque, al cospetto di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi delitti fine e che trova i suoi antecedenti agevolativi nella stessa struttura asRAGIONE_SOCIALEativa; peraltro, gli stessi reati fine, sono già di per sé significativi, per numero e modalità, ai fini della prov del reato asRAGIONE_SOCIALEativo e dell’affectio RAGIONE_SOCIALEetatis in forza degli orientamenti della Corte
a
di legittimità già richiamati a proposito di analoghe doglianze mosse dai coimputati.
Il fatto che, poi, mancasse una rigida struttura verticistica non si pone in termini distonici con le conclusioni raggiunte dal giudice del merito, in quanto la partecipazione all’asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere, per come già osservato a proposito di analoghe censure, è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice. Ciò che conta – e di ciò la sentenza impugnata dà atto – è che i correi collaboravano per realizzare il comune fine costituito dal trarre profitto dalla cessione illecita dei crediti.
Violazione di legge con riferimento all’art. 629 cod. pen.; illogicità e contraddittorietà della motivazione.
3.1. (Capo 96, estorsione aggravata ai danni del RAGIONE_SOCIALE per averlo, con condotte intimidatorie e minacce, costretto a cedere la propria auto, già esclusa dal Tribunale l’aggravante di cui all’art. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3 cod. pen.).
Il motivo investe l’affermazione di responsabilità del ricorrente in ordine all’estorsione a danni del RAGIONE_SOCIALE che la Corte di merito aveva fondato sulle dichiarazioni della vittima, pur dando atto delle contraddizioni in cui era caduta, ritenendola attendibile solo per la parte che ipoteticamente andrebbe a danneggiare l’imputato, in violazione del principio del favor rei che avrebbe dovuto imporre il contrario, ossia di valorizzare le numerose dichiarazioni a favore del ricorrente.
Peraltro, una corretta valutazione delle dichiarazioni della p.o. e degli elementi di prova acquisiti avrebbe portato ad escludere la sussistenza dell’estorsione, poiché mancava una qualsiasi violenza o minaccia da parte del COGNOME.
Al riguardo, mediante il richiamo di emergenze processuali (indicate sub 3.1 del motivo di ricorso), la difesa fa leva sull’assunto secondo cui il COGNOME, presunta vittima dell’estorsione, nessuna circostanza ai danni del COGNOME avrebbe riferito, insistendo, invece, in merito al fatto che l’auto acquistata NOME di proprietà del ricorrente che l’aveva interamente pagata e non gli venne sottratta con nessuna minaccia, nemmeno indiretta e larvata.
Di conseguenza, si sostiene, egli non contestò nulla al COGNOME (ritenuto invece dai giudici di merito come colui che su ordine del COGNOME costrinse il RAGIONE_SOCIALE alla consegna dell’auto) non perché irretito dal metus, ma perché riteneva che, cessata la collaborazione aziendale in virtù della quale aveva in uso l’auto ed il veicolo gli
era stato intestato, non aveva più alcuna ragione di conservare il possesso dei beni (macchina e computer portatile) necessari per svolgere l’attività.
Non sarebbe, poi, vero che la vittima, nel momento della consegna dell’auto, chiese di parlare con il COGNOME e che il COGNOME lo contattò alla presenza del COGNOME, adducendo che quest’ultimo poteva chiamare direttamente il COGNOME da solo; COGNOME poteva fingere di chiamare COGNOME; nessuna telefonata, ad ogni modo, è stata intercettata.
Anche sulla valenza estorsiva attribuita alla richiesta di consegna dell’auto, si precisa come il COGNOME avesse escluso qualsiasi forma di violenza fisica e che all’iniziale spavento dovuto alla telefonata ricevuta poco prima dalla madre – la quale, preoccupata, lo aveva allertato che due persone erano venute a cercarlo, intimandogli di tornare subito a casa – non ne era seguito alcuno nel momento in cui il COGNOME gli intimò di consegnargli l’auto.
Inoltre, la stessa presunta vittima mai aveva collegato le persone presentatesi a casa dalla madre con uomini del COGNOME, altrimenti avrebbe a questi telefonato prima di recarsi a casa.
Ricondurre, poi, la richiesta di restituzione dell’auto al paradigma della minaccia implicita conseguente alla provenienza da ambienti criminali, mal si conciliava con l’esclusione da parte dei giudici di merito della ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Peraltro, in punto di spontaneità e credibilità della testimonianza della p.o., la sentenza impugnata aveva disatteso di assegnare rilievo alla genesi delle dichiarazioni del COGNOME, rese allorché era indagato come partecipe nel delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (posizione poi archiviata) ed aveva interesse ad accreditarsi come vittima al fine di uscire dal procedimento penale il prima possibile. Il ricordo della vicenda che il teste restituisce in termini minatori e estorsivi si registra solo e soltanto quando era indagato, a fronte, invece, di un deciso cambio di rotta allorché, archiviata la sua posizione, non ha più riferito di minacce ricevute tanto che successivamente alla sentenza di primo grado ha anche inviato una dichiarazione al COGNOME per confermare di non essere vittima di alcun reato.
Contraddittoria era poi la motivazione con cui la Corte d’appello, alla luce della lettera inviata, aveva rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria del Poliagh sostenendo che la dichiarazione non faceva altro che confermare quanto già affermato dal teste, ossia che il COGNOME non lo aveva mai minacciato e che l’auto era effettivamente di questi.
Il motivo è infondato.
Dalla lettura delle sentenze di merito risulta, infatti, che alla sussunzione della vicenda nell’alveo estorsivo la Corte territoriale sia pervenuta attraverso una ricostruzione che ha valorizzato, per un verso, il dichiarato della persona offesa e, per altro, la successione logica degli eventi per come dalla stessa riferiti.
Si è anzitutto escluso che si sia al cospetto di un rapporto giuridico dissimulato (comodato d’uso a fronte di compravendita) partendo dall’accertamento della esclusiva proprietà del mezzo in capo alla vittima, non ricavato soltanto dal dato formale della intestazione in suo favore, bensì dalla circostanza, non sfornita di rilievo logico, che il COGNOME per altri collaboratori bisognevoli di veicoli era ricorso al noleggio. Inoltre, si cita anche il fatto c l’autovettura era stata individuata dallo stesso COGNOME che aveva chiesto aiuto al ricorrente per acquistarla (tanto che questi versò gran parte della somma) e che, per l’acquisto del mezzo, aveva dato in permuta la propria autovettura (la deduzione difensiva secondo cui tale circostanza non corrisponderebbe al vero in quanto l’auto sarebbe stata sottoposta a fermo amministrativo non è dedotta e allegata quale travisamento).
Inoltre, si è fatto riferimento alle stesse modalità con cui il COGNOME, tramite il complice COGNOME, torna in possesso del bene, in quanto si è precisato che la spoliazione del veicolo non vede neppure manifestate ragioni alcune da parte del ricorrente (benché tramite il COGNOME sia stato dalla vittima interpellato) e che l’auto, alla fine, è stata intestata ad un terzo estraneo, diverso dal COGNOME che aveva parzialmente finanziato l’acquisto del veicolo e corrispondente a colui che è ritenuto l’artefice dell’intimazione minacciosa rivolta al RAGIONE_SOCIALE di consegn l’autovettura.
Peraltro, il tema della “consegna” dell’auto, per come emerge dalla ricostruzione della vicenda contenuta nella sentenza di primo grado, non costituisce affatto un episodio isolato che vede il COGNOME avanzare la richiesta a cui il RAGIONE_SOCIALE decide liberamente di dare seguito, ma si inserisce in un contesto caratterizzato da ripetute intimidazioni e minacce che la persona offesa aveva poco prima subito.
Si legge, infatti, a pag. 253 e ss. della sentenza di primo grado che: il RAGIONE_SOCIALE – nonostante NOMEro cessati i suoi rapporti lavorativi col COGNOME – era stato convocato presso il residence Sabbia D’Oro di Desenzano e qui, dopo avergli fatto fare anticamera mentre COGNOME era a consulto con NOME e COGNOME, gli erano state mosse delle accuse … che vertevano sull’aver mancato di rispetto a COGNOME, aver parlato male di lui con qualcuno .. , aver mentito sullo stato di salute dei suoi genitori per non prendere parte al matrimonio del COGNOME. Nell’occasione, si
Se questo è, dunque, il contesto di fatto in cui si inserisce e origina la richiesta del COGNOME, nessuna illogicità sconta la sentenza impugnata per avere attribuito eguale carica intimidatoria alla richiesta di consegna dell’auto, sia perché avanzata sine causa sia perché espressiva dell’intento punitivo e ritorsivo perseguito dal COGNOME contro il COGNOME e, soprattutto, perché avviene con modalità e tempistiche del tutto continenti sia alle intimidazioni che la vittima aveva de visu dapprima ricevuto e su cui riferisce anche altro teste, sia al messaggio anch’esso intimidatorio che era tato recapitato alla madre della persona offesa.
aggiunge, NOME COGNOME, alla presenza degli altri, aveva esclamato con tono aggressivo e minaccioso “non dimenticare mai che sappiamo dove sei di casa e dove abitano i tuoi genitori”. COGNOME si era spaventato moltissimo e se ne era andato. Mentre stava facendo ritorno a casa era stato riconvocato al residence ed era tornato indietro: arrivato al parcheggio era stato avvicinato da NOME e da NOME che gli hanno detto essere arrivate nuove intercettazioni che lo riguardavano e che non era finito lì. Era stato in pratica accusato di aver denigrato COGNOME e il suo gruppo, di aver parlato male della struttura lavorativa del gruppo di COGNOME. Il pomeriggio del giorno successivo, mentre si trovava fuori casa con la sua compagna, il COGNOME aveva ricevuto una telefonata dalla madre che, con voce tremante, gli aveva detto “guarda che sono venuti qui due signori, uno si chiama NOME, mi ha detto di tornare a casa di corsa”. il COGNOME aveva lasciato la compagna e, con l’auto, si era precipitato a casa. Ancora prima di arrivare, quando ormai era vicino alla sua abitazione, il suo automezzo era stato accostato da un’auto che si era messa dietro di lui e gli aveva fatto i fari invitandolo ad accostare. Dall’auto era sceso COGNOME NOME, accompagnato da una seconda persona che il COGNOME non aveva identificato. NOME lo aveva invitato a consegnargli le chiavi dell’auto e a lasciare tutto quello che vi si trovava a bordo informandolo che, da quel momento, era sospeso da tutte le sue attività. COGNOME aveva chiesto di parlare con COGNOME ed effettivamente COGNOME aveva effettuato una chiamata ma gli aveva detto che COGNOME non intendeva parlare con lui e di rimanere in attesa. COGNOME aveva consegnato le chiavi dell’auto e se ne era tornato a casa a piedi. Dopo qualche tempo, COGNOME si era rivolto a lui e gli aveva detto “per adesso facciamo il passaggio di proprietà della macchina, lo fai su di me” e poi COGNOME era andato a fare il passaggio di proprietà a favore del COGNOME in San NOME COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Correttamente, pertanto, si è escluso che il revirement del RAGIONE_SOCIALE assuma valenza significativa ai fini dell’esclusione dell’affermazione di colpevolezza e, dunque, sia foriero di rinnovazione istruttoria, in quanto le circostanze favorevoli
al ricorrente ivi rappresentate risultano – per quanto precisato dalla sentenza impugnata (v. pag. 393) – già esposte nel corso del suo esame e le contraddizioni pure presenti nella sua testimonianza rispetto a quelle, maggiormente pregnanti, rese in sede di indagine e acquisite al processo mediante le “ammissioni” res seguito delle contestazioni, sono state motivatamente ritenute espressive del timore ancora manifestato nei confronti del COGNOME che, piuttosto, originate da un intento calunnioso volto ad allontanare dal teste un’accusa di partecipazione all’asRAGIONE_SOCIALEazione per delinquere di stampo mafioso, poi archiviata.
A tale riguardo, l’affermazione poi contenuta nella sentenza impugnata che, a corredo della carica intimidatoria, si siano evocati anche scenari di contiguità mafiosa del COGNOME e della sua corte non risulta affatto contraddittorio rispetto all’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., in quanto gl scenari evocati risultano riferiti a soggettività esterne rispetto al sodalizio oggett della mutata qualificazione giuridica.
3.2. (Capo 95, concorso in estorsione con NOME, escluse le aggravanti di cui agli artt. 628, comma 3, n. 3 e 416-bis1. cod. pen.).
Il motivo investe l’affermazione di responsabilità del ricorrente per avere concorso con NOME nell’estorsione ai danni di COGNOME NOME (la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, ha riformato la sentenza del Tribunale che aveva assolto il COGNOME e condannato lo NOME “riqualificato il reato a termini degli artt. 110, 610 cod. pen.”).
Si sostiene che una corretta ricostruzione della vicenda che aveva portato COGNOME a cedere il ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALEetà al COGNOME (che acquistava le quote di maggioranza, rimanendo le restanti alla figlia del COGNOME) escludesse qualunque connotazione estorsiva: il COGNOME non aveva allontanato il COGNOME dalla RAGIONE_SOCIALEetà, né aveva costretto la figlia a cedere le quote; né aveva estromesso il COGNOME dal potere decisionale con minacce posto che quest’ultimo non aveva alcun ruolo nell’azienda, non essendo neppure RAGIONE_SOCIALEo. Non solo mancavano, dunque, le violenze o minacce da parte del ricorrente, ma anche l’atto di disposizione patrimoniale da parte della presunta vittima.
Né valeva fare riferimento alla costrizione volta a neutralizzare COGNOME affinché non frapponesse ostacoli all’utilizzazione dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quale luogo per svolgere riunioni e perseguire gli scopi del gruppo, posto che l’asRAGIONE_SOCIALEazione è accusata di realizzare indebite compensazioni, finalità che mal si concilia con l’uso di uno RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e fermo restando che il ricorrente, a tale scopo, non avrebbe avuto bisogno di acquistare una RAGIONE_SOCIALEetà per svolgere riunioni, per le quali sarebbe bastato affittare un ufficio.
Inoltre, la Corte di merito avrebbe trascurato che il controllo operato dal COGNOME sul COGNOME, consistito nel farsi supportare dai suoi collaboratori nello RAGIONE_SOCIALE, era dovuto al sospetto che sottraesse soldi alla RAGIONE_SOCIALEetà per pagare debiti di droga.
Non si era poi tenuto conto dell’inaffidabilità del COGNOME, il quale aveva nascosto al COGNOME persino di essere un dentista (si precisa che il COGNOME è attualmente detenuto per esercizio abusivo della professione). Difatti, quando COGNOME acquista il ramo d’azienda, COGNOME è l’unico a lavorare sui pazienti, non essendo presente alcun direttore COGNOMEtario.
Era stato COGNOME a rivolgersi al COGNOME per vedere la RAGIONE_SOCIALEetà e successivamente alle minacce ricevute lo aveva cercato per vederlo e continuare a collaborare insieme, atteggiamento che logicamente escludeva timore nei confronti del ricorrente (ambientale del 4 settembre 2018).
Il motivo non è fondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’intento perseguito dal COGNOME che ha determinato le condotte minacciose e violente ai danni della persona offesa, alle quali lo COGNOME ha direttamente preso parte, è stato ravvisato nel volere piegare ai suoi voleri COGNOME NOME, il quale, deputato alla gestione dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE secondo gli accordi intervenuti col COGNOME (il quale nella qualità di RAGIONE_SOCIALEo di maggioranza avrebbe dovuto occuparsi della parte amministrativa), poteva opporsi a che venisse trasformato in un locale riunioni per cosche malavitose.
La circostanza è asseverata dallo stesso Tribunale che nel riportare le dichiarazioni della persona offesa, la cui attendibilità è stata vagliata alla luce de molteplici elementi di riscontro indicati nelle sentenze di merito (tra i quali gli esi dei servizi di osservazione e il contenuto di diverse intercettazioni), precisa che “lo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era diventato il locale riunioni di COGNOME: egli riceveva lì persone che non erano pazienti; lo RAGIONE_SOCIALE aveva visto la frequente presenza di soggetti che parlavano con spiccato accento siciliano e che si posizionavano agli ingressi come a fare dei buttafuori; il COGNOME era stato accusato di essere una spia” (v. pag. 246 ss.).
Se dunque questo è lo scopo che ha animato l’agire del COGNOME e del compiacente ricorrente, correttamente la vicenda è stata sussunta dalla Corte territoriale nell’alveo estorsivo, in quanto non si è al cospetto di legittime scelt imprenditoriali effettuate dal RAGIONE_SOCIALEo di maggioranza al fine di conseguire l’oggetto RAGIONE_SOCIALEale, bensì di strumentalizzare lo RAGIONE_SOCIALE per fini del tutto estranei alla sua destinazione e financo illeciti, imponendo i suoi desiderata, a fronte dell’opposizione dell’altro RAGIONE_SOCIALEo di fatto, mediante minaccia e violenza.
La strumentalizzazione dello RAGIONE_SOCIALE alle finalità organizzative proprie del gruppo criminoso non risulta affatto distonica, per come prospettato dalla difesa del COGNOME, rispetto al rilievo che l’asRAGIONE_SOCIALEazione sarebbe finalizzata alla commissione di illecite compensazioni. Al di là della descrizione di un panorama finalistico più ampio n capo al sodalizio da parte delle sentenze di merito, resta il fatto che lo RAGIONE_SOCIALE era utilizzato quale luogo per tenere le riunioni del gruppo e, al contempo, come copertura delle attività criminose di chi viene indicato essere il dominus di tale organizzazione. Una funzione di carattere logistico, dunque, che si presta ad essere del tutto continente con l’operatività di un’asRAGIONE_SOCIALEazion delinquere e con l’esigenza dei sodali di disporre di un luogo sicuro per incontrarsi ed occultare all’esterno l’esistenza del gruppo organizzato.
Né risulta decisivo – ai fini del vizio di illogicità della motivazione – quan evidenziato dalla difesa del COGNOME, secondo la quale – sotto il profilo del vantaggio che l’imputato avrebbe tratto dall’estorsione – non si comprende perché lo stesso avrebbe dovuto acquistare una RAGIONE_SOCIALEetà solo per svolgere le riunioni, le quali sarebbe bastato affittare un ufficio. Le sentenze di merito restituiscono, invero, un quadro differente, ove la strumentalizzazione dello RAGIONE_SOCIALE alle esigenze illecite perseguite dal COGNOME va di pari passo e, comunque, non elide affatto l’intento di locupletazione che aveva determinato tale imputato a fare ingresso dapprima nella RAGIONE_SOCIALEetà con una quota di maggioranza, giungendo poi ad acquisire il relativo ramo d’azienda, tanto che si precisa, quanto ai rapporti col COGNOME, come il COGNOME volesse piegarlo alla sua volontà, ma non fino a giungere al risultato di privarsi del suo portafoglio clienti attraverso una definitiva estromissione, in quanto, pur esercitando il COGNOME abusivamente la professione di odontoiatra, ciò non aveva affatto precluso l’operatività della struttura.
Il fatto, poi, che il COGNOME potesse affittare un ufficio per soddisfare le esigenze di carattere solidale non solo costituisce un’alternativa di merito a rime “non obbligate”, ma dà financo conto del vantaggio patrimoniale perseguito e conseguito, rappresentato dalla sottrazione agli oneri per disporre di altro locale utile allo scopo.
Se, pertanto, l’intento estorsivo va ravvisato nel disegno perseguito dal COGNOME di voler piegare il COGNOME a tutti i costi al suo volere, affinché nessun ostacolo si frapponesse alla strumentalizzazione dello RAGIONE_SOCIALE ai suoi desiderata “extra-RAGIONE_SOCIALEali”, nessuna illogicità sconta la sentenza impugnata nell’essersi discostata dalla differente qualificazione della condotta di violenza privata che aveva operato il Tribunale con riguardo alla posizione dello COGNOME, giungendo alla condanna dell’imputato per concorso in estorsione.
La conclusione del primo giudice, infatti, muoveva dall’assoluzione del COGNOME, incentrata però sulla circostanza che tutti i profili di estromissione della persona offesa NOMEro giustificabili in forza della posizione di maggioranza da costui rivestita all’interno della RAGIONE_SOCIALEetà, evenienza non spendibile, invece, quanto al profilo di strumentalizzazione a fini illeciti dello RAGIONE_SOCIALE, ritenuta (erroneamente estranea ai diritti RAGIONE_SOCIALEali delle parti.
Posto, dunque, che al COGNOME va ricondotto – per come anche comprovato dagli esiti delle intercettazioni – il mandato conferito allo COGNOME e agli altri “personaggi” di intimorire la persona offesa, rea di non essersi portata a cospetto in quel di Barberino del Mugello e considerato che al COGNOME stesso si deve l’aver ordinato al COGNOME di portarsi presso lo RAGIONE_SOCIALE ove rinveniva lo NOME e gli altri “personaggi” che lo minacciavano e lo percuotevano (v. pag. 246 sentenza di primo grado e pag. 297 sentenza impugnata “E’, infatti, lui che comunica al COGNOME che “sarebbero andati a prenderlo”), al paradigma estorsivo è stato correttamente ricondotto anche il contributo causale prestato dal coimputato, in quanto volt far soggiacere la persona offesa ai desiderata del COGNOME.
Le minacce rivolte nell’occasione del pestaggio alla persona offesa risultano, infatti, coeve e finalisticamente legate ai rimproveri, agli spintoni e al pugno in faccia che la vittima aveva ricevuto dal COGNOME “sentendosi dire che doveva fare quello che dicevano loro senza prendere iniziative là riguardo allo RAGIONE_SOCIALE” (v. pag. 246 sentenza di primo grado).
Con la conseguenza che la dichiarazione di estraneità dello COGNOME alla partecipazione al sodalizio criminoso non svolge alcuna interferenza logica rispetto all’attribuzione di un ruolo concorsuale nell’estorsione, in quanto rispetto a tale fattispecie criminosa non rileva la condivisione delle finalità illecite perseguit dall’asRAGIONE_SOCIALEazione capeggiata dal COGNOME – alle quali l’imputato è estraneo – ma la coscienza e volontà di prestarsi ad un’azione intimidatoria ai danni di un terzo, al fine di renderlo del tutto recessivo agli ordini del COGNOME, anche co riferimento al ruolo che la vittima rivestiva all’interno dello RAGIONE_SOCIALE professionale (tanto che gli si intima di non farsi più vedere), circostanza, quest’ultima, ben conosciuta dall’imputato che, presso detta struttura, vi lavorava.
Delineati così gli ambiti dell’estorsione, generiche risultano anche le censure difensive dello NOME che fanno leva sull’assenza di “patrimonialità” della sua condotta, in ragione del fatto che era stato già assunto presso lo RAGIONE_SOCIALE dent dal legittimo amministratore e detentore della maggioranza delle quote RAGIONE_SOCIALEali e che, in virtù del suo stato di lavoratore dipendente, era escluso dalla partecipazione agli utili, con la conseguenza che nessun interesse avrebbe potuto
conseguire dalla rinuncia del COGNOME ai dividendi dello RAGIONE_SOCIALE e/o alla liquidazione delle quote. Si tratta, infatti, di profili di ingiustizia del profitto coevi all’ ipotesi estorsiva mossa all’imputato, ma che, in virtù di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non ricadono nell’ambito del nucleo della condotta estorsiva ai danni del COGNOME per come è stata circoscritta la vicenda ad opera della Corte di merito. E sul punto va ribadito che la strumentalizzazione di uno RAGIONE_SOCIALE professionale per fini differenti da quelli RAGIONE_SOCIALEali, unitamente all’allontanamento del COGNOME seppur per qualche giorno (con preclusione al medesimo di svolgere attività lavorativa) costituiscono indici idonei ad asseverare la natura patrimoniale della condotta minacciosa e violenta realizzata ai danni della persona offesa.
4. Violazione di legge con riferimento all’art. 24 Cost. e 585 cod. proc. pen.
La censura attiene all’omesso esame da parte della Corte d’appello dei motivi aggiunti che la difesa aveva presentato, sul rilievo che non essendo collegati con quelli principali sarebbero tardivi.
Si precisa, invece, che i motivi aggiunti attenevano, da un lato, all’eccezione di incompetenza territoriale rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio, e, dall’altro, entravano nel merito dei singoli capi di imputazione per quali l’imputato è stato condannato con argomentazioni che non possono dirsi scollegate all’atto di appello, ma ne costituivano un approfondimento ulteriore.
“In tal modo la Corte ha violato il diritto del COGNOME di difendersi in questa sede, non avendo contezza delle motivazioni di condanna della Corte e potendo basarsi solo su quelle della sentenza di primo grado”.
Il motivo è manifestamente infondato.
Quanto alla tardività dell’eccezione di incompetenza si è già osservato nell’ambito del primo motivo.
Riguardo agli altri profili, dall’esame dell’atto di appello risulta che la dife ebbe specificamente a censurare col primo motivo il capo 96), col secondo motivo il capol) e con il terzo e ultimo motivo il trattamento sanzionatorio.
Dal che consegue la tardività dei motivi aggiunti con cui si avanzano doglianze in ordine alla competenza territoriale, ai reati fiscali sulle indebite compensazioni e ai reati di autoriciclaggio, difettando la necessaria connessione con i motivi originariamente proposti (Sez. 2, n. 17693 del 17/1/2018, Rv. 272821; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Rv. 268980; Sez. 4, n. 12995 del 5/2/2016, Rv. 266295).
Violazione di legge con riferimento all’art. 10-quater d.igs. n. 74/2000 e omessa motivazione (capi 3, 3-ter, 5, 5-ter, 7-quater, 8, 8-ter, 9, 9-ter, 10, 11, 13, 14, 15, 17, 18, 20, 23, 24, 25, 26, 29, 30,33, 34, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43,
44, 45, 46, 47, 53, 66, 67, 68, 72, 73, 74, 75, 77, 80, 82, 85 e 86).
Posto che l’indebita compensazione deve risultare dal modello F24 – quale strumento imposto dal legislatore tributario per poter eseguire le compensazioni tra debiti e crediti tributari – la cui presentazione segna anche il momento consumativo del reato in cui si realizza la condotta decettiva del contribuente relativamente all’anno interessato, si lamenta come l’esecuzione delle compensazioni indebite si stata desunta dalla G.d.F. senza acquisire l’unica e necessaria fonte di prova costituita dai modelli F24, per come sollecitato dalla difesa al Tribunale. In difetto di tale accertamento, mancava la prova del reato.
Il motivo non è scrutinabile in questa sede in quanto, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello. Peraltro, a confutazione del motivo valgono anche le argomentazioni spese a proposito di analoga censura sollevata dalla difesa di COGNOME (sub 3).
Violazione di legge con riferimento all’art. 648-ter.1 cod. pen.; omessa motivazione (capi 110 e 111).
Si lamenta l’assenza degli elementi costitutivi dei reati di autoriciclaggio: le attività contestate al COGNOME non possono qualificarsi economiche o imprenditoriali ai sensi dell’art. 648-ter.1. cod. pen., trattandosi per lo più di me versamenti su conto corrente o prelievi.
Inoltre, mancherebbe l’effetto dissimulatori°, in quanto tutte le operazioni risultano effettuate tramite prelievi da conti correnti intestati all’imputat mediante un passaggio pienamente tracciato. Addirittura, si precisa, che alcuni dei trasferimenti di denaro contestati consistono in bonifici partiti dal conto del ricorrente a quello della RAGIONE_SOCIALEetà intestata allo stesso. Ciò assumeva rilievo anche ai fini dell’esclusione del dolo.
Il motivo non è scrutinabile in questa sede in quanto, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello.
Violazione di legge con riferimento all’art. 81 cod. pen.; illogicità e contraddittorietà della motivazione.
7.1. Si lamenta che la Corte d’appello, nell’escludere la continuazione tra i fatti oggetto di giudizio e quelli di cui alla sentenza irrevocabile nel processo “Stella cadente” (Corte di appello di Caltanissetta irrevocabile il 20/09/2022), abbia fatto mal governo dell’art. 81 cod. pen., rendendo una motivazione illogica e contraddetta dalle stesse risultanze investigative, stante l’unicità del fine che
consente di ricondurre all’unico disegno criminoso le indebite compensazioni al fine di riutilizzarne i proventi nel traffico di droga.
Il motivo è manifestamente infondato.
Ai fini del riconoscimento della continuazione occorre provare la sussistenza del medesimo disegno criminoso che ricorre solamente quando i vari reati sono stati presenti nella mente dell’agente almeno nelle linee fondamentali sin dal momento in cui viene posto in essere il primo reato.
La circostanza che l’asRAGIONE_SOCIALEazione di stampo mafioso e finalizzata al traffico di droga sia stata costituita in Gela nel 2014 (in relazione alla quale l’imputato ha riportato condanna irrevocabile) non lascia affatto intravedere, in assenza di precisi indici rivelatori, l’esistenza di una deliberazione di carattere unitario che gi accentrasse in sé anche la successiva costituzione, in altro territorio e in epoca successiva (dal 207), di altro sodalizio che, peraltro, si precisa porsi in contrasto con la precedente asRAGIONE_SOCIALEazione alla quale l’imputato ha aderito.
Peraltro, priva di allegazione è la circostanza che, nel medesimo arco temporale, il COGNOME abbia realizzato le indebite compensazioni a RAGIONE_SOCIALE per poi dirottarne i proventi a Gela per il traffico di stupefacenti in relazione al qual ha riportato la condanna definitiva (risultando estranea alla presente indagine l’eventuale unicità del disegno criminoso con riguardo ad altri reati per cui pendono diversi procedimenti dinanzi a diverse autorità giudiziarie, anche nissene).
7.2. Ulteriore violazione era ravvisabile nella quantificazione della pena, con riguardo al rispetto dello sbarramento costituito dal triplo del reato più grave. Posto che il reato più grave era stato individuato in quello di estorsione ed inflitta una pena base di anni cinque, il massimo aumento per la continuazione non avrebbe dovuto superare gli anni quindici di reclusione, a fronte, invece di una pena complessiva di anni sedici e mesi quattro.
Il motivo – che ripercorre quello di appello e non si confronta con la nuova determinazione della pena a cui è giunta la Corte territoriale – è aspecifico e manifestamente infondato.
La pena base è stata rideterminata dalla Corte d’appello, in riforma della sentenza del Tribunale, a seguito dell’accoglimento dell’appello del pubblico ministero contro l’assoluzione dell’imputato dal reato di estorsione cui al capo 95), (con esclusione della continuazione interna e delle aggravanti di cui agli artt. 628, comma 3, n. 3 e 416-bis.1 cod. pen.) in anni cinque e mesi sei di reclusione; si è pervenuti con gli aumenti per la continuazione alla pena complessiva di anni sedici e mesi quattro che non risulta superiore al triplo di quella inflitta per la violazion più grave.
(Motivi aggiunti del 23/11/2024).
8.1. Violazione di legge in relazione a tutti i reati fiscali.
Si lamenta l’assenza di prova dei reati commessi: posto che va esclusa la configurabilità del reato laddove l’imputato non abbia compilato alcun modello F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito – la cui presentazione costituisce il momento consumativo del reato – si evidenzia che nessun modello F24 era stato rinvenuto, essendosene ricavata la presentazione sulla scorta delle intercettazioni telefoniche.
Il motivo, al di là della sua manifesta infondatezza, posto che il reato è contestato anche in forma concorsuale assumendo rilievo anche i contributi di carattere materiale e morale strumentali alla presentazione dei modelli F24, e genericità nella parte in cui non si confronta con le specifiche ragioni indicate dal giudice del merito a corredo della prova dell’avvenuta presentazione dei modelli, risulta non consentito in ragione dell’inammissibilità del relativo motivo principale per quanto osservato sub 5.
8.2. Violazione di legge con riferimento all’art. 629 cod. pen. – illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Il motivo attiene all’estorsione in danno di RAGIONE_SOCIALE: si reitera la censura volta a ricondurre la vicenda nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sul rilievo ch l’auto in questione doveva considerarsi di proprietà del ricorrente e, pertanto, la restituzione di un bene concesso in comodato d’uso da parte del proprietario un diritto legittimo e astrattamente tutelato sul piano giuridico.
Peraltro, si evidenzia che “la condotta è molto distante da quella necessaria sotto il profilo psichico per la configurabilità di una fattispecie estorsiva”.
Il motivo è manifestamente infondato per le ragioni esposte a proposito del motivo principale sub 3.1, nulla aggiungendo in punto di novità e decisività sul tema dedotto.
Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.
NOME (capo 1, art. 416 cod. pen., quale partecipe; art. 10quater d.igs. n. 74/2000 capi 15, 17, 18, 23, 24, 25, 26, 29, 30, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 47, 49, 50, 51, 55, 72, 73; art. 648-ter.1 cod. pen., capo 114).
Violazione degli artt. 8 e ss. cod. proc. pen. (in tema di incompetenza per territorio del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in favore di quello di Gela). Contraddittorietà e illogicità della motivazione.
Il motivo è infondato per le ragioni già evidenziate a proposito di analoga
censura svolta dalla ricorrente COGNOME NOME a cui si rinvia essendo le posizioni comuni.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione per la ritenuta partecipazione al reato asRAGIONE_SOCIALEativo in luogo del concorso di persone nel reato continuato.
Il motivo è infondato per le ragioni già evidenziate a proposito di analoga censura svolta dalla ricorrente COGNOME NOME a cui si rinvia essendo le posizioni comuni.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000.
Il motivo è manifestamente infondato per le ragioni già evidenziate a proposito di analoga censura svolta dalla ricorrente COGNOME NOME a cui si rinvia essendo le posizioni comuni.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione all’art. 43 cod. pen. con riferimento all’affermazione di responsabilità per i reati di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000.
Il motivo è infondato per le ragioni già evidenziate a proposito di analoga censura svolta dalla ricorrente COGNOME NOME a cui si rinvia essendo le posizioni comuni.
Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen. con riferimento all’affermazione di responsabilità per i reati di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000,
Il motivo è infondato per le ragioni già evidenziate a proposito di analoga censura svolta dalla ricorrente COGNOME NOME a cui si rinvia essendo le posizioni comuni.
Erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., avuto particolare riguardo all’art. 648-ter.1, commi 1 e 5, cod. pen. per avere entrambi i giudici di merito ritenuto configurabile in capo all’odierno ricorrente il reato di autoriciclaggio di cui al capo 114) della rubrica, nonché vizio di motivazione.
6.1. Si lamenta la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui il giudice del merito aveva assolto l’imputato in relazione ai trasferimenti di somme di denaro dalla RAGIONE_SOCIALE (di cui l’imputato deteneva il 50% delle quote) alla RAGIONE_SOCIALE, mentre lo aveva condannato per analoghi trasferimenti disposti in favore di altre due RAGIONE_SOCIALEetà (RAGIONE_SOCIALE direttamente riferibile
all’imputato e RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALEetà di diritto bulgaro sempre direttamente e formalmente riconducibile al ricorrente). Si era al cospetto di situazione fattuali essenzialmente sovrapponibili e, dunque, contraddittori e contrastanti dovevano considerarsi gli esiti decisori a cui il giudice del merito era pervenuto.
6.2. Si denuncia, poi, l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’elemento oggettivo del reato (sia sotto il profilo della prova di un effettiv impiego in attività economiche delle somme provento dei reati tributari, sia in ordine all’effettiva capacità di dissimulazione delle operazioni materiali): si sottolinea, infatti, che le somme provenienti dai delitti tributari erano state oggetto di trasferimento da un c/c di una RAGIONE_SOCIALEetà dell’imputato ad un altro di altra RAGIONE_SOCIALEetà sempre riferibile allo stesso, con conseguente impossibilità di costituire ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa delle somme, a nulla valendo, per come affermato dalla Corte territoriale, che il conto, così come la sede della RAGIONE_SOCIALEetà, NOMEro siti all’estero; inoltre, la circostanza che le somme NOMEro state trasferite su un conto corrente intestato ad una RAGIONE_SOCIALEetà non poteva ritenersi integrare il requisito di fattispecie costituito dal necessario impiego in attivi economiche (posto che non risulta accertato che tali somme siano state oggetto di ulteriori trasferimenti, né oggetto di investimenti), per come erroneamente ritenuto dai giudici di merito facendo leva sul fatto che la RAGIONE_SOCIALEetà aveva nell’oggetto RAGIONE_SOCIALEale lo svolgimento di attività economiche.
6.3. Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità dell’art. 648-ter.1 cod. pen., si censura la decisione impugnata sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, posto che l’ammessa riferibilità al ricorrente delle RAGIONE_SOCIALEetà su cui erano finite le somme e l’assenza di successivo trasferimento e/o impiego delle stesse dava conto ed integrava l’ipotesi della destinazione al godimento personale.
6.4. In punto di dolo, poi, la tematica era stata disattesa con meri richiami alla decisione di primo grado, omettendo del tutto di affrontare la censura spiegata nei motivi di appello.
Il motivo, sotto tutti i profili evidenziati, non è fondato.
6.5. Al riguardo può farsi riferimento alle motivazioni della sentenza di primo grado (pag. 286-287), richiamate da quella impugnata nella parte espositiva. Nessuna contraddittorietà è data scorgere per essere pervenuto il giudice del merito ad esiti opposti con riguardo alle somme transitate a favore della RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelle dirette a favore della RAGIONE_SOCIALEetà direttamente riferibili
all’imputato. L’esclusione dell’autoriciclaggio a proposito dei trasferimenti in favore del COGNOME poggia, infatti, sul rilievo che si è al cospetto del pagamento dell’illecito profitto costituito dalle indebite compensazioni nell’ambito di una ripartizione concordata tra i complici (si sarebbe al cospetto di una rimessa). Pertanto, rispetto a tale trasferimento non può nemmeno ipotizzarsi il delitto di autoriciclaggio, mentre gli esiti difformi a cui si è pervenuti riguardo alle altre due RAGIONE_SOCIALEetà che hanno beneficiato dei trasferimenti dalla RAGIONE_SOCIALE, sono stati ricondotti al paradigma dell’autoriciclaggio in forza della destinazione finalistica in favore dell’imputato nell’ambito di un ordito volto ad ostacolare l’identificazione della provenienza della provvista illecita.
6.5.1. Secondo la difesa il fatto che le somme – provenienti dai reati fiscali siano state trasferite con un unico bonifico da un conto di una RAGIONE_SOCIALEetà riferibile all’imputato ad altro conto di diversa RAGIONE_SOCIALEetà, sempre riferibile al ricorrente avente allocazione estera, in assenza di un successivo trasferimento e/o reimpiego nell’attività economica, darebbe luogo ad un’operazione di carattere “statico”, priva di quella necessaria dinamicità che deve invece caratterizzare la fattispecie in esame, richiedendo il legislatore che il trasferimento avvenga in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa.
Si tratta di una prospettazione che non può essere condivisa.
La condotta incriminata (“trasferisce in attività economiche”) va, infatti, ravvisata in quella consistita nel trasferimento delle ingenti somme da una RAGIONE_SOCIALEetà all’altra, trattandosi di un’operazione che determina un incremento di carattere patrimoniale e finanziario in favore della persona giuridica che riceve la consistente provvista, tanto che di tale innesto deve poi darsi conto in sede di bilancio, nell’attivo patrimoniale quale disponibilità liquide. Non dirimente, pertanto, è il rilievo che tali somme non siano state poi direttamente impiegate dalla RAGIONE_SOCIALEetà che le ha ricevute nell’esercizio dell’impresa, in quanto la condotta di trasferimento si pone a monte dell’operazione e non a valle come vorrebbe la difesa.
La condotta, poi, si rivela idonea a ledere il bene giuridico tutelato, quale l’ordine pubblico economico, in quanto l’accrescimento del patrimonio di una RAGIONE_SOCIALEetà attraverso incrementi illeciti pone quella persona giuridica in una posizione di indebito vantaggio sul mercato che è proprio quello che la norma sull’autoriciclaggio mira ad impedire. E sul punto non sfornito di rilievo è quanto evidenziato dai giudici di merito, i quali sottolineano come tale innesto di fondi non possa ritenersi fine a sé stesso, ma necessariamente volto ad un reimpiego in aderenza alla natura giuridica del soggetto che riceve le somme, ossia una RAGIONE_SOCIALEetà
che ha ad oggetto lo svolgimento di attività di impresa.
Quanto, poi, all’identificazione della concreta capacità dissimulatoria della condotta, la giurisprudenza di legittimità ha già affermato che le valutazioni debbono essere orientate da un criterio “ex ante”. In effetti, nel momento in cui in qualunque contesto di indagine sia identificata un’operazione finanziaria o imprenditoriale sospetta, si avrà una sorta di “emersione” dell’attività di occultamento, senza tuttavia che ciò possa escludere, a posteriori, il requisito della concretezza, a meno di non voler ridurre l’art. 648-ter.1 cod. pen. a un’incriminazione “impossibile” (Sez. 2, n. 40890 del 18/07/2017, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri F., Rv. 279407 – 01).
Proprio in applicazione di tali principi è stato escluso che l’esistenza di operazioni tracciabili, l’emissione di fatture da parte delle diverse RAGIONE_SOCIALEetà e l’identificazione delle transazioni tra RAGIONE_SOCIALEetà comportino automaticamente l’esclusione della punibilità (Sez. 2, n. 1309 del 7/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285815 – 01, in motivazione pag. 25; Sez. 2, n. 28548 del 20/06/2023, COGNOME, n.m., in motivazione a pag. 5; Sez. 2, n. 46538 del 6/10/2022, COGNOME, n.m., in motivazione a pag. 4; Sez. 5, n. 45687 del 12/10/2022, COGNOME, n.m., in motivazione a pag. 7).
Il tema di fondo del delitto in esame è rappresentato dalla reimmissione nel circuito dell’economia legale di beni di provenienza delittuosa, ostacolandone la tracciabilità. La rado è quella di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura lede “l’ordine economico”. Il giudice penale dovrà pertanto valutare l’idoneità specifica della condotta posta in essere dall’agente a impedire l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni; idoneità che – come si è detto – deve essere valutata “in concreto”.
Il trasferimento o la sostituzione penalmente rilevanti sono quindi comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene o delle disponibilità o che diano altresì luogo a una utilizzazione non più personale, ma riconducibile a una forma di reimmissione del bene nel circuito economico.
Proprio applicando detti principi la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che non integra la condotta di autoriciclaggio il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un “quid pluris” che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (Sez. 5, n. 8851 del 01/02/2019, Petricca, Rv. 275495 – 01).
È stato, altrettanto, escluso il reato nel caso del versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto (Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Babuleac, Rv. 267459 01). Anche in relazione a contratti di affitto di un’azienda poi dichiarata fallita, stato nuovamente precisato che l’atto distrattivo non può integrare, di per sé solo, bancarotta per distrazione e autoriciclaggio (Sez. 2, n. 38838 del 04/07/2019, COGNOME marco, Rv. 277098 – 01).
Al contrario, nel caso di trasferimento di denaro ad altre imprese potrà, invece, ritenersi aggredito il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 648 -ter.1 cod. pen. – che, come si è detto, è costituito dall’ordine pubblico economico – quando appare evidente che a cagione della possibilità di utilizzare profitti illeciti da parte di imprese operative si realizza l’effetto inquinante del reinvestimento del profitto illecito.
Allo stesso modo, se il trasferimento ad altre imprese è attuato con l’intestazione del profitto a un soggetto giuridico diverso, sia esso una persona fisica ovvero una RAGIONE_SOCIALEetà di persone o di capitali, vi è la possibilità di individuare una condotta dissimulatoria proprio perché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca e individuazione del successivo trasferimento.
È, dunque, la modifica della formale intestazione che comporta la condotta di sostituzione del bene che risulta idonea ad ostacolare l’individuazione dell’origine illecita dello stesso e si concretizza l’ipotesi astrattamente punibile.
L’attività di autoriciclaggio si viene, infatti, ad arricchire di un’attività ampia in forza della quale l’originaria provvista si autonomizza e perde la sua identità, assumendo diversa destinazione e transitando nella disponibilità di altro soggetto giuridico, così rendendo obiettivamente difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa di quanto autoriciclato.
6.5.2. Manifestamente infondato è il rilievo difensivo svolto a proposito della causa di non punibilità, assumendosi che i trasferimenti di denaro alla RAGIONE_SOCIALEetà di diritto bulgaro sarebbero funzionali al godimento personale del ricorrente.
L’esclusione dell’ipotesi di cui al quinto comma poggia su una motivazione corretta: si è, infatti, osservato come, per un verso, le somme sono state trasferite sul conto corrente di una RAGIONE_SOCIALEetà commerciale il cui oggetto RAGIONE_SOCIALEale indica lo svolgimento di attività economica, sicché le eventuali riserve mentali dell’imputato in ordine alla destinazione finale delle somme trasferite non rappresentano certo dimostrazione della finalizzazione al godimento personale; per altro verso, si precisa come la clausola di non punibilità si applichi solo allorché l’autore dei reati
presupposto utilizza e/o gode in modo diretto dei beni provento del delitto presupposto senza cioè, come nel caso che qui occupa, che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa, cioè che si verta in una tipica ipotesi di autoriciclaggio.
6.5.3. In punto di dolo possono richiamarsi le motivazioni spese dal giudice di primo grado a fondamento dell’esclusione della causa di non punibilità, condivise dalla Corte di merito (v. pag. 413), in quanto il motivo di appello era incentrato sul rilievo che l’imputato avesse agito con il precipuo intento di tenere solo per sé i proventi del reato senza in qualche modo condividerli con il RAGIONE_SOCIALEo, intento che mal si concilia con l’attività di schermo RAGIONE_SOCIALEetario posta in essere e con la destinazione della provvista a soggetto giuridico differente.
Erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., avuto particolare riguardo agli artt. 62 -bis e 81 cpv. cod. pen. e vizio di motivazione. Travisamento per omissione delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del suo esame dibattimentale.
Si lamenta che la Corte territoriale abbia fondato il diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla mancata confessione resa dall’imputato, stigmatizzando una legittima scelta processuale che aveva determinato un motivato mutamento della linea difensiva rispetto all’iniziale ammissione degli addebiti resa in fase cautelare.
Si deduce, poi, la mancanza di una specifica motivazione sugli aumenti di pena per la continuazione complessivamente rilevanti, soprattutto con riguardo a quello inflitto per il reato asRAGIONE_SOCIALEativo pur a fronte di una motivazione che aveva definito in termini “restrettivi” il contributo reso dal “RAGIONE_SOCIALE” al sodalizio RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è manifestamente infondato.
Quanto alle attenuanti generiche, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la valutazione negativa dell’assenza di resipiscenza si inserisce nell’ambito di un giudizio di disvalore che fa leva anche sul dato dirimente costituito dal richiamo alla durata delle condotte illecite e alla gravità dei molteplic reati commessi, elementi del tutto continenti con il numero assai elevato delle violazioni, anche di carattere eterogeneo, per cui l’imputato è stato riconosciuto colpevole. Sul tema, quindi, possono richiamarsi gli orientamenti giurisprudenziali evidenziati a proposito dei motivi addotti dalla coimputata COGNOME COGNOME ordine al diniego delle attenuanti generiche.
Quanto agli aumenti per la continuazione va anzitutto rilevata l’inammissibilità della censura con riguardo alla misura dell’aumento apportato per il delitto
asRAGIONE_SOCIALEativo in mancanza di specifica doglianza sollevata con l’atto di appello, ove i rilievi attenevano in particolare alle singole contestazioni di indebita compensazione e alla pena base stabilita per l’autoriciclaggio anche in ragione dell’esclusione delle somme transitate a favore della RAGIONE_SOCIALEetà RAGIONE_SOCIALE (v. penultima pagina non numerata atto di appello ove a proposito della continuazione per tale reato si chiese una riduzione di pena e pag. 411 della sentenza impugnata che riporta pressoché integralmente il motivo di appello).
Erronea applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 74/2000 avuto riguardo all’applicazione delle pene accessorie in assenza di alcuna motivazione riguardo la misura concretamente inflitta.
Con riguardo, invece, agli aumenti operati per i reati fiscali, la misura particolarmente contenuta apportata per ciascuna indebita compensazione (mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa) rende congrua la motivazione resa dalla Corte territoriale che ha fatto complessivamente riferimento al disvalore costituito dalla gravità dei reati tenuto conto degli importi e del numero dei reati fiscali, in conformità al consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati e i reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (in termini, espresso da Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279770 – 01; Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01; Sez. 7, ordinanza n. 540 del 9/11/2023, dep. 2024, Camporesi, non mass.; Sez. 4, n. 51604 del 6712/2023, dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, non mass.; Sez. 2, n. 27877 del 16/05/2023, RAGIONE_SOCIALE, non mass.; Sez. 3, n. 22091 del 9/03/2023, Albergo, non mass.; Sez. 1 n. 7781 del 21/12/2022, dep. 2023, Liga, non mass.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il motivo è inammissibile in quanto non proposto con l’atto di appello (a fronte della conferma della sentenza di primo grado e dell’applicazione delle pene accessorie da parte del Tribunale, v. pag. 396) e non ricorrendo un’ipotesi di “pena illegale” risultando la misura delle pene accessorie inflitte nella cornice stabilita dalla legge.
(Motivo nuovo). Erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione alla determinazione della pena e in particolare riguardo al superamento del limite del triplo della pena stabilita per la violazione più grave previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen. (la pena base era stata stabilita in ordine al delitto di autoriciclaggio in anni due di reclusione
Il motivo, scrutinabile in quanto dipendente da quello relativo all’eccessività della pena inflitta anche con riguardo al complessivo aumento operato per la continuazione, è fondato in quanto è stata applicata una pena detentiva aumentata al di sopra del triplo per effetto della continuazione (art. 81, cod. pen.).
Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta, infatti, che la p.b. è stata stabilita in anni due di reclusione ed euro 5.000,00 di multa in ordine al delitto di autoriciclaggio di cui al capo 114); sono stati, poi, apportati aumenti ex art. 81 cpv. cod. pen. pari a: anni uno di reclusione ed euro 1.000,00 di multa per il reato asRAGIONE_SOCIALEativo (capo 1); mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa per ciascuno dei 24 reati fiscali uguale a quattro anni di reclusione ed euro 2.400,00 di multa, così pervenendosi alla pena complessiva di anni sette di reclusione ed euro 8.400,00 di multa.
Al riguardo, va richiamato l’orientamento, espresso anche a Sezioni unite, secondo cui assume natura illegale l’aumento per la continuazione determinato dal giudice di merito in misura superiore al limite massimo del triplo della pena inflitta per la violazione ritenuta più grave (da ultimo, v. Sez. 3, n. 46370 del 2/07/2019, COGNOME, Rv. 277298 – 01; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 – dep. 10/12/2003, COGNOME, Rv. 226076-01).
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla determinazione dell’aumento di pena ex art. 81, comma 2, cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, rigettandosi nel resto il ricorso e dichiarandosi irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
NOME COGNOME (capo 95, art. 629 cod. pen., in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, riforma in punto di qualificazione giuridica del fatto. ricondotto all’originaria contestazione di estorsione aggravata in concorso con COGNOME NOME, escluse le aggravanti di cui agli artt. 628, comma 3, n. 3 e 416-bis cod. pen. e la continuazione interna, a fronte dell’ipotesi di violenza privata ritenuta dal Tribunale; rideterminata la pena nel minimo in anni sette di reclusione ed euro cinquemila di multa).
Violazione di legge in relazione agli artt. 81 cpv., 110, 629, commi 1 e 2, cod. pen.
La censura attiene all’affermazione di responsabilità del ricorrente quale concorrente del COGNOME nell’estorsione ai danni di COGNOME NOME.
In particolare, si lamenta che siano state impropriamente estese al ricorrente le considerazioni che avevano condotto la Corte d’appello ad affermare la responsabilità per estorsione del NOME, a fronte invece di un quadro
del tutto differente dal quale risultava l’inesistenza nell’agire dell’imputato del fin di procurarsi un ingiusto profitto con corrispondente danno per la vittima.
Il motivo non è fondato per quanto evidenziato a proposito della posizione del coimputato COGNOME sub 3.2). Inoltre, per completezza, va evidenziato che il profilo di violazione della regola iuris dell’obbligo di motivazione rafforzata a cui si presterebbe la sentenza impugnata è inammissibile poiché tardivamente dedotto dalla difesa soltanto nel corso della discussione.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
COGNOME NOME (capo n. 75, art. 10 -quater, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, anni due di reclusione).
Erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 62 -bis cod. pen.
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata (v. sub 3, pag. 426) risulta che il diniego delle attenuanti generiche è stato fondato sull’assenza di resipiscenza ricavabile dal fatto che l’imputato ha reso una dichiarazione non conforme ai fatti. Secondo la difesa il fatto che la Corte di merito ha in precedenza osservato che “non può desumersi la mancata resipiscenza dalla semplice estraneità al reato da parte dell’imputato che difenda la sua posizione” determinerebbe un insanabile contrasto nella valutazione dello stesso elemento processuale: da un lato viene ritenuto non idoneo a fondare il diniego delle attenuanti generiche; dall’altro lato, viene valutato sufficiente per negare tali circostanze.
Inoltre, a corredo del vizio di contraddittorietà si cita anche l’ulterior passaggio della motivazione in cui la Corte d’appello afferma che “può, invece, accogliersi la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche essendo l’imputato incensurato e potendo presumersi che la vicenda in esame lo induca a riflettere sul rischio della commissione di nuovi reati, astenendosi dal farlo”.
Ciò premesso, quanto al primo profilo della censura, il diniego risulta conforme all’orientamento di legittimità secondo cui la condotta processuale dell’imputato che mantenga un atteggiamento “non collaborativo” può giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. (In motivazione, la S.C. ha osservato che, se l’esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili dichiarazioni false rese a propria difesa dall’imputato, ciò non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del
processo, agli effetti e nei limiti di cui all’art. 133 cod. pen.; Sez. 2, n. 28388 d 21/04/2017, Leo, Rv. 270339 -01; Sez. 4, n. 20115 del 4/04/2018, Prendi, Rv. 272747 -01, a proposito di imputato che aveva protestato contro ogni evidenza l’estraneità ai fatti)
Quanto, poi, al secondo profilo, la contraddittorietà è solo apparente, in quanto se si ha riguardo al dispositivo della sentenza impugnata risulta che all’imputato sono stati concessi, in riforma della sentenza di primo grado e in adesione al relativo motivo di appello, i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. Da ciò si ricava che il passaggio motivazionale in cui si fa riferimento all’accoglimento della richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche deve intendersi ai benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, per come comprovato anche dalla motivazione resa a sostegno che ne richiama i presupposti, esplicitati anche con riferimento alla prognosi postuma che il giudice del merito deve compiere al riguardo.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
In conclusione:
va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente ai reati di cui ai capi 102) e 117), perché i fatti non sono previsti dalla legge come reato, eliminandosi il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di mesi quattro di reclusione; va dichiarato inammissibile nel resto il ricorso;
va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena stabilito a titolo di continuazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE; va rigettato nel resto il ricorso, dichiarandosi irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato;
vanno rigettati i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali;
vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così stabilita in ragione dei profili di colpa ravvisabili nella determinazione delle cause di inammissibilità.
Annulla la sentenza impugnata: – senza rinvio nei confronti di COGNOME NOME limitatamente ai reati di cui ai capi 102 e 117, perché i fatti non sono previsti dalla legge come reato, ed elimina il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di mesi quattro di reclusione; dichiara inammissibile nel resto il ricorso; – nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla determinazione dell’aumento di pena ex art. 81, comma secondo, cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabili le affermazioni di responsabilità.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME e NOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dispone (come da ordinanza verbalizzata) la separazione processuale della posizione di COGNOME NOME, con rinvio a nuovo ruolo, mandando alla cancelleria per la formazione di autonomo fascicolo processuale.
Così deciso, il 10 dicembre 2024.