Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34944 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34944 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di POTENZA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a POTENZA il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di quest’ultimo
COGNOME NOME nato a POTENZA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Potenza Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata in accoglimento dei primi tre motivi del ricorso dell’Ufficio requirente e il rigetto del ricorso dell’indagat o.
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Potenza, in funzione di giudice del Riesame, in parziale accoglimento dell’i mpugnativa dell’indagato, escludeva i gravi indizi di colpevolezza per i delitti di cui ai capi 1), 17), 147) e 166) della rubrica provvisoria e tutte le condotte di
falso relative alla certificazione informatica ‘RAGIONE_SOCIALE 7 moduli user’, sostituendo la misura custodiale degli arresti domiciliari a cui era sottoposto COGNOME NOME con la misura interdittiva ex art. 290 cod. proc. pen..
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Potenza e COGNOME NOME a patrocinio di difensori abilitati.
Il ricorso del Pubblico Ministero si compone di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla struttura del reato di cui all’art. 629 cod. pen. -oggetto dell’incolpazione sub 166 – e carenza, contraddittorietà ed illogicità manifesta dell’impianto motivazionale. In primo luogo, si è sostenuto come la ritenuta infondatezza dell ‘ipotesi estorsiva tradirebbe la consolidata giurisprudenza di legittimità che ritiene idonea ad integrare il reato di estorsione anche la minaccia di esercitare una facoltà in astratto legittima, se finalizzata a conseguire un profitto scientemente non dovuto. Con il motivo è poi eccepita la mancanza di un sostrato argomentativo effettivo a fondamento della decisione, che si ridurrebbe ad un assunto laconico e tautologico.
3.2. Il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta non configurabilità del reato di cui all’art. 416 cod. pen. -di cui al capo 1) – e carenza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione. Nel dettaglio, è evidenziato un passaggio contraddittorio dell’ordinanza nella parte in cui, nel riconoscere dapprima il ruolo centrale del RAGIONE_SOCIALE nella ramificata vicenda RAGIONE_SOCIALE, finisce poi per negare il coinvolgimento nell’RAGIONE_SOCIALE per delinquere dei referenti delle altre società citate nell’addebito , qualificandolo come contributo meramente occasionale e limitato a singoli reatifine . Viene poi censurata la valorizzazione dell’assenza di una cassa comune del gruppo al fine di escludere il reato associativo. Inoltre, dopo aver ricordato il discrimen tra concorso di persone nel reato continuato ed illecito associativo, individuato dalla giurisprudenza di legittimità nella stabilità del vincolo e nell’indeterminatezza del programma criminoso anche oltre la commissione dei reati scopo programmati, il ricorso si profonde sui pacifici connotati di integrazione del reato associativo, esclusi da ll’ordinanza impugnata con una motivazione meramente apparente.
3.3. Nel terzo motivo è affrontata la natura della certificazione ‘RAGIONE_SOCIALE 7 moduli user’, a cui l’ordinanza impugnata ha negato natura di atto pubblico idoneo ad integrare uno degli elementi della figura di cui all’art. 479 cod. pen. , sulla base di una inosservanza o erronea applicazione delle norme giuridiche che disciplinano il rilascio di tali certificazioni, riportate ed analizzate nel motivo, che l’autorità procedente avrebbe dovuto prendere in considerazione nell’applicazione della legge penale, e nella conseguente individuazione della fattispecie configurabile.
L’impianto motivazionale è poi censurato come carente, illogico e contraddittorio, mancando un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, che risulterebbe, dunque, solo apparente.
3.4. Il quarto motivo di ricorso deduce inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche che l’autorità procedente avrebbe dovuto prendere in considerazione nell’applicazione della legge penale relativamente alla qualificazione della natura fidefacente dei documenti oggetto di contraffazione; qualificazione che non potrebbe essere esclusa, considerata sia la tipologia di atti oggetto di contraffazione, sia i soggetti emittenti (la Regione Campania ed enti accreditati), coerentemente con i riportati principi della giurisprudenza di legittimità.
3.5.Il quinto motivo ha affrontato il tema delle esigenze cautelari, ravvisate in quelle di cui all’art. 274 comma 1 lett. c) cod. proc. pen..
Il ricorso dei difensori di COGNOME si articola, a sua volta, in quattro motivi.
4.1. Il primo motivo, afferente alle esigenze cautelari, lamenta i vizi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in ordine a concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione. Sarebbe escluso il requisito dell’attualità dell e esigenze cautelari: non avendo il COGNOME la possibilità di rilasciare certificazioni accreditate (che nella vicenda erano rese disponibili da altre scuole, in Campania) e mancando un immediato collegamento con NOME centri, la misura interdittiva gli impedisce di svolgere legittime attività lavorative, che non possono ontologicamente condurre alla commissione del reato di falso.
4.2. Con il secondo motivo è censurata la illogicità e carenza di motivazione in relazione al ruolo attribuito al COGNOME nella vicenda. Difatti l’ordinanza, nell’escludere il vincolo associativo, non si cura di distinguere a quali singoli soggetti siano ascrivibili le condotte contestate . In particolare, pur avendo escluso l’RAGIONE_SOCIALE per delinquere, l’ordinanza continua ad attribuire al COGNOME un compito apicale, quando un ruolo preminente dovrebbe essere semmai attribuito alle due società campane, titolari del potere certificatorio e detentrici dell’ interesse ad accaparrarsi clientela.
4.3. Il terzo motivo, nel tornare sui vizi dell’art. 606 comma 1 lett. b ) ed e) cod. proc. pen. relativamente alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 comma 1 lett. c ) cod. proc. pen.., obietta come il pericolo di reiterazione del reato, considerato tuttora sussistente in relazione alla personalità dell’indagato, non sia conciliabile con l’impossibilità oggettiva, per COGNOME NOME, di rilasciare certificazioni, poiché non titolare di un centro di formazione accreditato. Il rischio di reiterazione sarebbe dunque stato valutato in termini esclusivamente potenziali, non reali ed attuali. Tanto più che l’assenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di altre condotte illecite è desumibile dal tenore della misura interdittiva, che ha
attinto i titolari dei centri dotati del potere di certificazione, e dall’assenza di dati che possano far emergere potenziali collaborazioni con NOME RAGIONE_SOCIALE.
4.4. Con il quarto motivo è dedotta l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità o inutilizzabilità ai fini delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 comma 1 cod. proc. pen. con riferimento all’attività di intercettazione. Dagli atti risult erebbe, infatti, come l’attività di intercettazione sia iniziata in data antecedente alla commissione della assunta tentata estorsione, senza che vi sia traccia di ipotesi di reato ‘a monte’ , idonee ad autorizzare l’attività intercettiva. Inoltre, viene evidenziato come l’esclusione sia dell’ipotesi di tentata estorsione , sia dell’ipotesi associativa , lasci in vita solo imputazioni inidonee a legittimare l’attività di intercettazione.
6.La difesa dell’indagato ha trasmesso in data 19 settembre 2025 una memoria difensiva, con cui ha insistito nelle ragioni di ricorso e chiesto il rigetto dell’impugnazione del pubblico ministero.
Considerato in diritto
1.Per gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. 2, n. 28865 del 14/06/2013, Cardella, Rv. 256657). In questo quadro, qualora sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare -ovvero ad escludere – la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; conf.: Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828) senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, COGNOME, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 2000, Alberti, Rv. 215331). Il controllo di logicità, dunque, «deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo
possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate» (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460-01; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 4, n. 18807 del 23/03/2017, COGNOME, non mass. sul punto, nonché Sez.2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01).
E il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, Martorana, Rv. 210019).
1.1.Occorre ancora premettere che il collegio intende dare continuità al principio di diritto, recentemente convalidato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale in tema di impugnazioni cautelari, sussiste l’interesse del pubblico ministero a proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che, pur avendo confermato la sussistenza della gravità indiziaria in relazione a taluni dei delitti contestati e disposto il mantenimento della misura cautelare, abbia, purtuttavia, annullato parzialmente il provvedimento genetico in relazione ad NOME delitti per i quali la misura stessa risultava adottata (sez.5, n. 4748 del 11/12/2024, P., Rv.287525, a cui è d’uopo rinviare per l’articolata motivazione; nello stesso senso, sez. 4, n. 22694 del 21/04/2023, Petito, Rv. 284775; sez. 5, n. 19540 del 20/04/2022, COGNOME, Rv. 283073; sez. 1, n. 20286 del 17/06/2020, Petito, Rv. 280123). L’interesse all’impugnazione dell’organo della pubblica accusa include la sussistenza della circostanza aggravante ad effetto speciale del carattere fidefaciente degli atti pubblici, esclusa dall’ordinanza tribunalizia, perché la richiesta di annullamento si è estesa alla rivalutazione del dimensionamento delle esigenze cautelari, sul quale potrebbero influire un diverso apprezzamento della gravità dei fatti , dei contorni edittali della sanzione irrogabile e, di conseguenza, dell’eventuale termine di durata massima della misura (sez.2, n. 37977 del 24/11/2020, Guerra, Rv. 280469; sez. 6, n. 33473 del 6/6/2018, Rv. 274057; sez. 2, n. 32655 del 14/07/2015, Pmt in proc. Senatore e NOME, Rv. 264526; sez. 4, n. 22345 del 15/05/2014, Francavilla, Rv. 261962; sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502).
2.Tracciate le coordinate ermeneutiche alle quali ci si atterrà nello scrutinio dei motivi d’impugnazione delle parti del procedimento , il ricorso del pubblico ministero è in gran parte fondato, per quanto di ragione.
2.1. Il secondo motivo di censura, che attiene all’annullamento dell’ordinanza cautelare con riferimento alla configurabilità del substrato indiziario del delitto di RAGIONE_SOCIALE per delinquere, coglie nel segno.
Nell’ampio e risalente panorama della giurisprudenza di legittimità, per quanto di interesse in questa sede, mette conto rammentare che l’RAGIONE_SOCIALE per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi, costituiti da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o
comunque stabile, tra almeno tre persone, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, dall’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira ( ex multis , sez.2, n. 16339 del 17/01/2013, Burgio e NOME, Rv.255359; sez.2, n. 20451 del 03/04/2013, COGNOME NOME, Rv.256054;sez. 6, n. 3886 del 07/11/2011, COGNOME e NOME, Rv. 251562); non è di ostacolo alla configurabilità del reato la diversità o persino la contrapposizione degli scopi personali perseguiti dai componenti, i quali rilevano esclusivamente come motivi a delinquere (sez.3, n. 2039 del 02/02/2018, COGNOME/COGNOME NOME, Rv. 274816); né si esige una partecipazione degli associati ad un’uguale, o quantomeno proporzionale, divisione degli utili conseguiti dall’organizzazione (sez. 1, n. 7063 del 05/05/1995, COGNOME e NOME, Rv. 201907). Per la sussistenza del delitto di RAGIONE_SOCIALE per delinquere non rileva l’avvicendamento delle persone che ne fanno parte, ovvero che ad una RAGIONE_SOCIALE inizialmente costituita fra determinate persone, altra persona si aggreghi nel corso del tempo, o taluna nel corso del tempo da essa receda, prima o dopo che alcuno dei delitti del programma venga commesso, ovvero che tutti i membri di essa si conoscano personalmente, o tutti concorrano alla consumazione di ogni singolo delitto ed agiscano nello stesso luogo, atteso che, essendo ciascuno punito ‘per il solo fatto di partecipare all’RAGIONE_SOCIALE‘, la quale concreta un reato di natura permanente, ciò che è essenziale è che la RAGIONE_SOCIALE rimanga sempre formata da un minimo di tre persone e che ciascuna, qualunque sia il momento della sua volontaria aggregazione, sia consapevole di far parte di un tale sodalizio (sez.3, n. 345 del 13/02/1970, Cerrato, Rv. 115071). Non sono decisivi ai fini del riconoscimento della esistenza dell’RAGIONE_SOCIALE per delinquere NOME parametri, quali la distribuzione dei compiti tra gli associati, la presenza di capi promotori od organizzatori, la conoscenza reciproca tra i partecipanti e, tanto meno, la ‘comunanza di vita’ tra di essi (sez. 1, n. 1913 del 14/11/1980, Ferrari, Rv. 147954); non rilevano la consumazione o meno dei delitti formanti oggetto del pactum sceleris, la rudimentalità delle strutture associative, le circostanze che i compartecipi non abbiano la medesima residenza, non si riuniscano, non si conoscano, non operino sullo stesso territorio, abbiano rapporti tra loro per interposta persona, abbiano contrasti di interessi (sez. 1, n. 6393 del 24/03/1983, Nuvoletta, Rv.159857). Ed ai fini della configurabilità di un’RAGIONE_SOCIALE per delinquere, legittimamente il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati-fine, e dell’indeterminatezza del programma criminoso, che segna la distinzione con il concorso di persone, dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati (così Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540). Anche con riferimento al reato di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE per delinquere ex art. 416 cod. pen. è applicabile il principio ripetutamente affermato in ordine al reato di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE per delinquere di tipo mafioso, secondo cui la condotta di partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE è a forma
libera e può realizzarsi in forme e contenuti diversi; il partecipe può anche non avere la conoscenza dei capi o degli NOME affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne consapevolmente gli scopi (v., per tutte, Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, Almanza, Rv. 284057 e in motivazione; Sez. 2, n. 55141 del 16/07/2018, COGNOME, Rv., 274250, e Sez. 2, n. 4976 del 17/01/1997, Accardo, Rv. 207845).
L’unico elemento da cui non può prescindersi è la consapevolezza dei singoli associati di partecipare, insieme ad almeno altre due persone, a un organismo stabile e organizzato nei sensi sopra precisati. In questa direzione va letta la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, per la configurabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, non è richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, a una società RAGIONE_SOCIALE strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (sia pure in tema di RAGIONE_SOCIALE finalizzata al narcotraffico, cfr. sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, COGNOME, Rv. 287482; Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 252232; Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013, Casoria, Rv. 258645).
Orbene, la lettura dei provvedimenti giurisdizionali in rassegna e, in particolare, quello del primo giudice, restituisce le evidenze che seguono.
RAGIONE_SOCIALE è l’Organismo di Certificazione che eroga il programma internazionale RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE – che certifica competenze tecniche in materia informatica, gran parte delle quali sono utilizzabili in vari settori della Pubblica amministrazione. Svolge tali attività direttamente o per il tramite delle agenzie formative accreditate. Tali certificazioni -tra le quali vi sono le RAGIONE_SOCIALE 7 MODULI USER ed RAGIONE_SOCIALE PERSONALE ATA -sono util i all’inserimento nelle graduatorie per il personale ATA, ovvero il personale Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario in ambito educativo e scolastico. Analoga attività svolge RAGIONE_SOCIALE, Organismo abilitato al rilascio della C.I.A.D. – Certificazione Internazionale Alfabetizzazione Digitale, tra cui la certificazione denominata DIGCOMP 2.2 -presupposto per l’accesso per le figure professionali di Assistente amministrativo, assistente tecnico ed operatore scolastico.
Il provvedimento genetico (pag. 89 e segg.) ha nel dettaglio illustrato il robusto compendio indiziario, rappresentato essenzialmente dalla denuncia di NOME COGNOME, da risultanze intercettive e riscontri documentali, relativo all’esistenza di una organizzazione collaudata, stabile nel tempo, con ripartizione di compiti, nel cui contesto COGNOME e COGNOME, titolari del RAGIONE_SOCIALE, acquisivano la clientela, resa edotta dell’illecito meccanismo di ottenimento delle certificazioni con la corresponsione di una mercede; provvedevano ad interessare, secondo la tipologia della certificazione richiesta, alternativamente ma con sistematicità in base al l’accertato radicamento dei rapporti, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE -nelle quali operavano regolarmente NOME ed NOME ed COGNOME COGNOME NOME, coniuge di NOME COGNOME – enti autorizzati a vendere l’offerta formativa ed accreditati dalla RAGIONE_SOCIALE e dagli NOME enti certificatori, che a loro volta confezionavano le
certificazioni dopo la predisposizione ed attuazione di uno sperimentato apparato di collaboratori (tra cui, sia pure occasionalmente, il fratello e la cognata della COGNOME, es. pag. 150, pag.171) che , con l’uso delle pertinenti credenziali di accesso informatico, ‘si sostituivano’ a i clienti-candidati (che, nel caso delle certificazioni RAGIONE_SOCIALE, avrebbero avuto l’obbligo, poi non rispettato, di svolgere l’esame presso la sede dell’agenzia di formazione) nel sostegno della prova. Identico modus operandi è stato seguito per il conseguimento fraudolento di attestati di superamento degli esami universitari dell’RAGIONE_SOCIALE, sia pure riqualificato nel delitto di procacciamento e presentazione di lavori od elaborati altrui, di cui agli artt. 1 e 2 della L. n. 475 del 1925, attribuito, per quanto di interesse in questa sede, ai soli COGNOME e COGNOME; mentre diversa metodica artificiosa è stata adottata nell’ambito delle intese con la RAGIONE_SOCIALE, i cui referenti erano COGNOME NOME e COGNOME NOME, alla quale il RAGIONE_SOCIALE ha, con continuità, procurato ampia clientela alla quale sono state assicurate la possibilità di sequela dell’ iter del tirocinio senza frequentare le lezioni e la fasulla attestazione delle regolari presenze al corso, indispensabili per l’ottenimento della qualifica di operatore socio -sanitario; è stata infine accertata, in sede di svolgimento d ell’ esame, l’abilità comunicativa degli indagati con i componenti della commissione, finalizzata ad edulcorarne l’approccio con il candidato. In tal guisa, i funzionari della Regione Campania sono stati ripetutamente tratti in inganno e indotti ad attestare falsamente la regolare acquisizione dei requisiti professionali dell’operatore sociosanitario. Al lume dei canoni esegetici scolpiti dalla giurisprudenza tradizionale in materia di reati associativi, l ‘impianto motivazionale dell’ordinanza impugnata si rivela affetto, dunque, dai vizi di intrinseca contraddittorietà (v., ad esempio, pag. 90, ove il Tribunale afferma delinearsi ‘una organizzazione tra il centro RAGIONE_SOCIALE lucano e quelli campani’) e manifesta illogicità denunciati dalla Procura della Repubblica, perché, per un verso, il reato di RAGIONE_SOCIALE per delinquere è a forma libera, e può realizzarsi in forme e contenuti diversi; l’ analisi della sussistenza del legame associativo di rilievo penale non può essere circoscritto, riduttivamente, al rapporto intercorrente tra i soggetti facenti parte del singolo ente, quasi a reciderne l’interazione con le persone deputate allo svolgimento di ruoli consolidati, convergenti e sinergici, nella prospettiva della realizzazione del generico ed unitario programma delittuoso prestabilito, sol perché riconducibili a diversa realtà imprenditoriale. Per altro verso, non rileva la ‘circolarità dei rapporti’, perché ciò che conta è che ciascuno dei componenti del gruppo sia consapevole di far parte di un sodalizio, nel senso descritto, con almeno due persone che, nel caso in esame, e a tutto concedere, sono individuabili proprio nella COGNOME e nel COGNOME, a loro volta coscienti di collaborare e confrontarsi con gli NOME indagati nel contesto di un progetto operativo comune, perseguito attraverso le rispettive aziende in funzionamento ; non rileva l’esistenza di una ‘cassa comune’ tra gli associati, poiché soddisfa la bisogna la sussistenza di una struttura organizzativa stabile, anche di carattere rudimentale, strumentale alla commissione di un numero indeterminato di delitti e il perseguimento di finalità di lucro non ne costituisce un requisito indefettibile, ancorchè di regola presente e, in ogni caso, l’incameramento e la
distribuzione dei profitti tra i compartecipi può avvenire con le più svariate modalità; non è necessario il perfezionamento dei reati-fine -peraltro, in base alle argomentazioni dell’ordinanza del Tribunale, molteplici nella fattispecie in disamina – né hanno rilevanza quali tra di essi siano commessi e il quomodo della loro consumazione.
3.Il terz o motivo del ricorso dell’Ufficio di Procura è fondato.
Rimane oscura e nel complesso contraddittoria l’esclusione della valenza di atto pubblico a riguardo delle certificazioni RAGIONE_SOCIALE 7 MODULI USER, affermata in modo lapidario a pag. 111 del provvedimento impugnato, sul mero rilievo che non potrebbe esservi estesa la medesima qualificazione attribuita dalla legge alle certificazioni RAGIONE_SOCIALE e ID CERT. Come correttamente posto in risalto dal pubblico ministero ricorrente, tra i certificati emessi da RAGIONE_SOCIALE – alla cui documentazione è riconosciuto valore di atto pubblico dal Tribunale del riesame -sono inclusi gli RAGIONE_SOCIALE 7 MODULI USER, al pari delle certificazioni RAGIONE_SOCIALE PERSONALE ATA, in relazione alle quali non è stato mosso alcun rilievo. Non è dato comprendere, in altre parole, la ragione per la quale, una volta riconosciuta portata di atti pubblici a tutte le certificazioni della RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima debba essere ribadita per una sottocategoria e negata per l’altra.
Ancora, è opportuno evidenziare che l ‘atto pubblico contemplato dagli artt. 476 e 479 cod. pen. è quello caratterizzato dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica. Difatti, già, e con esegesi mai messa in discussione, Sez. U, n. 544 del 29/10/1983, dep. 19/01/1984, Mario, Rv. 162200, definiva l’atto pubblico come quell’atto caratterizzato dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e, in via congiuntiva o anche alternativa, dalla documentazione di attività compiuta dal pubblico ufficiale o di fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti; diversamente, il certificato si riduce a semplice attestazione di verità o di scienza, priva di contenuto negoziale e svincolata dal compimento di attività direttamente percepite od eseguite dal pubblico ufficiale, relativa a fatti dei quali è stata aliunde già accertata la esistenza. In altre parole, la qualificazione come certificato amministrativo attiene all’ atto proveniente da un pubblico ufficiale se l’atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; e se l’atto, pur quando riproduca informazioni desunte da NOME atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente (Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251549). Nel caso in esame, non vi è dubbio che i ‘certificati’ emessi da RAGIONE_SOCIALE -società a cui è riconosciuta dallo Stato e dalla Unione Europea l’idoneità a rilasciare certificazioni informatiche utili a stimare il grado di preparazione informatica delle persone che le conseguono (pag.100 ordinanza applicativa) – non fossero meramente riproduttivi di NOME atti -e fossero caratterizzati da una propria, autonoma efficacia giuridica, relativa al la costituzione di un diritto a ‘spendere’ il titolo così conseguito in
ambito concorsuale nei vari, pertinenti settori della pubblica amministrazione. Tanto depone, a sua volta, per un apprezzamento di illogicità intrinseca della soluzione adottata dal Tribunale, perché dalle emergenze investigative, riportate negli elaborati decisori della fase incidentale, la produzione di tali, significativi effetti giuridici è correlata all’emissione di tutte le certificazioni informatiche, le RAGIONE_SOCIALE 7 MODULI USER e le RAGIONE_SOCIALE PERSONALE ATA; né il tribunale ha esplicitato le ragioni per le quali mera portata ‘derivativa’ debba essere assegnata alle certificazioni RAGIONE_SOCIALE 7 MODULI USER, la cui falsificazione ideologica è stata apoditticamente ricondotta al paradigma normativo dell’art. 480 cod. pen..
4.Il quarto motivo, concentrato sulla portata fidefaciente delle certificazioni e delle attestazioni rilasciate con induzione in errore dei pubblici ufficiali, è inammissibile per genericità e carenza di interesse. Il pubblico ministero, che pure è insorto contro l’ordinanza del Tribunale per titoli di reato che già consentirebbero l’applicazione delle misure cautelari personali e pur in presenza di un titolo cautelare pendente, applicato per più delitti di cui agli artt. 48,479 cod. pen., non ha affrontato il profilo dell’interesse sotteso al riconoscimento della circostanza aggravante ad effetto speciale in parola nella fase cautelare, con particolare riferimento alla sua incidenza sui termini di durata della misura, modulati sulla fase procedimentale in corso e, dunque, a prescindere dalla considerazione delle fasi successive (cfr. per il principio espresso, sez. 6, n. 33473 del 06/06/2018, P, Rv. 274057 ; e, sia pure a riguardo dell’interesse concreto all’appello cautelare, sez.1, n. 20286 del 17/06/2020, Petito, Rv.280123).
5. E’ invece altresì fondato il primo motivo di ricorso del pubblico ministero, che ha investito l’annullamento dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari in ordine al capo 166) dell’incolpazione provvisoria.
5.1.La minaccia di far valere un diritto nascente da un accordo negoziale integra una condotta penalmente rilevante quando il contratto sul quale si fonda la pretesa non sia diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 cod. civ. e l’esercizio del preteso diritto non sia conforme alla finalità prevista dall’ordinamento. In NOME termini, la minaccia – ancorché non penalmente apprezzabile quando è legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico – diventa contra ius e, quindi, sussumibile nel paradigma del delitto di estorsione, quando l’agente, pur avvalendosi di mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, o per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia realizzando, quindi, un profitto “ingiusto” perché indebito e coartato(sez.2, n. 9948 del 23/01/2020, P., Rv. 279211; nello stesso senso, sez.2, n. 34242 del 11/07/2018, COGNOME, Rv. 273542; v. anche Cass. n. 47895/2014 Rv. 261217; Cass. n. 17754/2013 Rv. 256219; Cass. n.119/2009 Rv. 246306; Cass. n. 36942/2003 Rv. 227317; Cass. n. 39903/2004 Rv. 230139; Cass. n. 12444/1990 Rv. 214407; Cass. n.3380/1992 Rv. 189680). Dalla trama espositiva dei provvedimenti della fase cautelare, si apprende che la denuncia sporta da NOME abbia trovato pieno riscontro nell’intellegibile contenuto della
conversazione telefonica tra costei e l’indagato (es. pag. 102 e segg. ordinanza impugnata), nel corso della quale, a fronte delle rimostranze della vittima che aveva inteso recedere dagli accordi contrattuali, COGNOME ha prospettato di adire le ‘vie legali’ ove non avesse ricevuto il pagamento della prestazione pattuita; ed in quello successivo tra COGNOME e COGNOME NOME, il cui eloquente tenore dà contezza dell’avvenuta, ‘apparente’ effettuazione di un ‘esame’ da parte della cliente, che non lo aveva mai sostenuto, per l’ottenimento della certificazione RAGIONE_SOCIALE; circostanza che non avrebbe consentito ai sodali di ‘annullare’ l’iscrizione al corso della NOME, ma che consolida il contesto indiziario a riguardo dell’illiceità della pretesa del corrispettivo avanzata dal ricorrente nel corso dell’interlocuzione con la denunciante, accompagnata dalla ‘minaccia’ di rivolgersi all’autorità giudiziaria.
Anche a tal proposito l’ordinanza impugnata tradisce violazione di legge penale e manifesta illogicità della motivazione, poiché laconicamente svilisce il dato dell’illegittimità della richiesta della controprestazione e si sofferma, impropriamente, sulla potenzialità lesiva delle parole pronunciate, dimenticando che, a riguardo dell’offensività dell’azione ed ai fini della configurabilità del reato di estorsione, il carattere minaccioso della condotta e la idoneità della stessa a coartare la volontà del soggetto passivo vanno valutate in relazione alle concrete circostanze oggettive, non rendendosi necessario che si sia verificata l’effettiva intimidazione del soggetto stesso (Sez. 2, n. 36698 del 19/06/2012, COGNOME, Rv. 254048; Sez. 6, n. 3298 del 26/01/1999, COGNOME, Rv. 212945).
6. L’esame dell’ultimo motivo di ricorso, inerente alle esigenze cautelari, rimane assorbito dalle conclusioni adottate per gli NOME, fondati motivi di ricorso, essendo necessaria e conseguenziale la rivalutazione del quadro cautelare all’esito della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza per le fattispecie allo stato escluse dal provvedimento impugnato.
7.Il ricorso del COGNOME è invece destituito di fondamento.
7.1.Deve essere rimarcato che la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, anche con riferimento alla corretta qualificazione giuridica attribuita ai fatti, o di assenza di esigenze cautelari, è ammissibile solo se la censura riporta l’indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l’indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione del provvedimento, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito (cfr. Sez. 3, n. 40873 del 21.10.2010, Merja, Rv 248698). Pertanto, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , senza possibilità, per la Corte di cassazione, di verificare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Da tanto consegue, in particolare, che minime lacune argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga meritevoli di ponderazione e tali
da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento dell’ordinanza impugnata.
8.Il quarto motivo del ricorso, che pone una questione di natura processuale e di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, deve essere esaminato con priorità, ed è generico e manifestamente infondato, sotto plurimi aspetti.
Lo scopo dell’impugnazione è quella di rivolgersi ad un giudice diverso da quello che ha emanato il provvedimento che non si condivide, di protestare l’illegittimità di un pregresso provvedimento giurisdizionale e di richiedere al giudice che deve operarne il controllo di eliminarlo, in tutto o in parte; ad esso si correla l’interesse ad impugnare, che va individuato in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (sez. U n. 6624 del 27/10/2011, COGNOME, Rv.251693). E’ pertanto evidente che quanto deliberato dal secondo giudice a riguardo dell’insussistenza di un grave quadro indiziario in relazione alle incolpazioni di RAGIONE_SOCIALE per delinquere, di tentata estorsione ed alla esclusione di talune fattispecie di reato di falso ideologico per induzione è tuttora sub judice per effetto del ricorso per cassazione del pubblico ministero e non produce riverbero alcuno, allo stato, sulla idoneità probante delle intercettazioni a sorreggerne la rispettiva configurabilità, che dovrà essere semmai vagliata nel proseguo del procedimento. La doglianza si rivela, pertanto, intempestiva e fuori fuoco. Le intercettazioni sono poi pacificamente utilizzabili a supporto del materiale indiziario relativo alle incolpazioni di falso ideologico per induzione (artt. 48,479 cod. pen., combinato con l’art. 476 comma 1 cod. pen.) che il Tribunale del riesame ha ritenuto integrate, che sono delitti per i quali, anche nella forma non aggravata dal carattere fidefaciente dell’atto, è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a 5 anni (art. 266, primo comma, lett. a) cod. proc. pen.). Parimenti inammissibile, per indeterminatezza , è la censura focalizzata sull’insussistenza dei gravi indizi di reato costituenti il presupposto dello strumento captativo, perché è costante orientamento di questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione, grava sulla parte che deduce l’inutilizzabilità di un atto l’onere di indicare specificamente i documenti sui quali l’eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora essi non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (sez.5, n. 23015 del 19/04/2023, Bernardi, Rv. 284519; sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, Nunziato, Rv. 273007). Invero, il potere della Corte di cassazione di controllo degli atti per la verifica della fondatezza dei motivi inerenti ad asseriti errores in procedendo non esonera il ricorrente dalla specifica indicazione, secondo quanto previsto dall’art. 187, comma 2, cod. proc. pen., degli elementi dai quali dedurre le caratteristiche dell’atto, anche quando venga allegato un vizio che si risolve nell’inutilizzabilità dell’atto stesso (Sez. 6, n. 36612 del 19/11/2020, COGNOME,
Rv. 280121). Anche le Sezioni Unite hanno affermato che nel caso in cui una parte deduce il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale, al AVV_NOTAIO onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME Iorio, Rv. 244329). Nulla è stato compiegato al ricorso per cassazione e l’ obiezione è stata formulata in modo vago e puramente esplorativo.
9.I restanti motivi di ricorso, unitariamente focalizzati sulla confutazione delle argomentazioni espresse a riguardo della sussistenza delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza e proporzione della misura interdittiva applicata, si risolvono, per la gran parte, in censure non consentite in sede di legittimità e nel complesso caratterizzate da genericità estrinseca perché inadatte ad un compiuto confronto con le proposizioni dell’ordinanza impugnata.
L’elaborato del Tribunale della cautela, che ha fatto propria l’ampia dissertazione dell’ordinanza genetica (pag.89 e segg.), ha descritto con dovizia di particolari il ruolo di vertice dell’i ndagato nell’assetto finalizzato all”organizzazione dei falsi procacciando e fidelizzando i clienti, promettendo loro il sicuro superamento delle prove d’esame funzionali al conseguimento delle certificazioni’ e ne ha esaltato i compiti di protagonista nei ‘rapporti con i titolari e dipendenti dei centri campani complici delle falsificazioni’. Non è necessario indulgere in inutili ripetizioni per rilevare allora l’inconsistenza di semplici note di dissenso funzionali ad una lettura alternativa e riduttiva delle emergenze indiziarie, come quelle che sostengono che il RAGIONE_SOCIALE svolgesse mera attività di scouting ; che al l’indagat o fosse inibito di curare direttamente il rilascio delle certificazioni in quanto lo RAGIONE_SOCIALEo non era accreditato presso le amministrazioni pubbliche o gli enti abilitati; che dei guadagni più consistenti beneficiassero i centri di formazione accreditati; che il RAGIONE_SOCIALE svolgesse anche prestazioni lecite; che le attività intercettive non abbiano provato i collegamenti con tali COGNOME e COGNOME, che nemmeno figurano tra gli indagati elencati dal provvedimento genetico, presso le cui residenze risulterebbero eseguite talune delle plurime, false prove d’esame.
Quanto, invece, alla configurazione del quadro delle esigenze di cautela di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., occorre rimarcare che l’orientamento oramai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità – ed al quale il Collegio intende aderire – è nel senso per cui il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socioambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza, che esula dalle facoltà del giudice ( ex multis tra le più recenti Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep.
2019, COGNOME, Rv. 277242; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991). In NOME termini, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 2, Sentenza n. 5054 del 24/11/2020, dep. 2021, Barletta, Rv. 280566). Né il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie deve essere inteso come pericolo di reiterazione dello stesso fatto reato, atteso che l’oggetto del ” periculum ” è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto reato oggetto di contestazione ( ex multis , sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, Pedato, Rv.274403); appunto, quest’ultimo, che incide sulla stima del l’irrilevanza dell’avvenuta, contestuale sottoposizione a misura cautelare dei coindagati, vuoi per l ‘ontologica provvisorietà e revocabilità del regime cautelare, vuoi perché in tema di esigenze cautelari, la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ex art. 274 cod. proc. pen., con particolare riguardo al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da ognuno dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo (cfr. sez. 4, n. 13404 del 14/02/2024, Nisi, Rv. 286363).
Sono infondate, dunque, le critiche avanzate sul punto dal ricorrente all’ordinanza impugnata, che ha sottolineato la molteplicità delle condotte illecite realizzate con serialità e condivisione d’intenti con la convivente, la loro durata, il ricorso ad ‘espedienti surrettizi’ volti a far conseguire, indebitamente, i risultati ambiti dai discenti; la disinvolta ‘disponibilità nel falsificare le certificazioni dei discenti per fini di lucro’; la posizione apicale da l ui assunta nella gestione dell’attività criminale con i centri campani; la spregiudicatezza mostrata nel corso dei dialoghi intercettati; tutti indicatori concordi, in linea con parametri di ragionevolezza inferenziale, nell’illustrare un profilo di persistente allarme e di ‘specifica capacità delinquenziale’ , idoneo a giustificare il ricorso alla misura personale interdittiva, peraltro ossequiosa del criterio del minor sacrificio per la libertà personale a cui si deve ispirare l’intervento cautelare (Corte Cost. sent. n. 231 del 2011).
Per completezza di giudizio, va solo dato atto, infine, della tardività del deposito della memoria difensiva in data 19 settembre 2025, perché non rispettosa del termine di cinque giorni liberi antecedenti alla data dell’udienza in camera di consiglio (sez.2, n. 12680 del 06/12/2018, COGNOME, Rv. 276325).
L’accoglimento in parte qua dell’impugnazione del pubblico ministero comporta l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame di Potenza. Ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di reiezione del ricorso, consegue invece la condanna del ricorrente COGNOME al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente ai reati di RAGIONE_SOCIALE a delinquere, di falso in atto pubblico ad oggetto le certificazioni RAGIONE_SOCIALE User e di tentata estorsione, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza. Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero nel resto.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 24/09/2025
Il consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME