Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22241 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA nel procedimento a carico di:
COGNOME nato a LATINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio la sentenza impugnata.
udito il difensore
AVV_NOTAIO NOME conclude chiedendo l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso del Procuratore Generale.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 ottobre 2023, la Corte di appello di Roma, in riforma di quella emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina il 25 febbraio 2022, ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 416 cod. pen. per non aver commesso il fatto.
Nei confronti dell’imputato è stata rideterminata la pena per il delitto di cui all’art. 440 cod. pen. ascrittogli al capo 5) in un anno, sei mesi e venti giorni d reclusione.
I giudici di appello hanno ritenuto non sufficientemente dimostrata la tesi della partecipazione di COGNOME ad un’associazione dedita all’illecito sfruttamento di manodopera e alla contraffazione di sostanze alimentari nel contesto dell’attività svolta nell’azienda gestita dalla società agricola «RAGIONE_SOCIALE.
All’imputato era stato contestato di avere partecipato al sodalizio, in veste di agronomo incaricato della consulenza per l’azienda agricola, «fornendo indicazioni e conoscenze necessarie all’impiego dei fitosanitari sulle colture, assicurando mediante monitoraggio che i trattamenti non emergessero nelle analisi sui prodotti, nonché contribuendo ad occultare l’utilizzo dei prodotti vietati al controllo dell’Autorità».
La Corte di appello ha ritenuto dimostrata, anche per effetto dell’ammissione dell’imputato che non ha proposto impugnazione avverso la relativa decisione di condanna di primo grado, la condotta relativa al delitto di CUI all’art. 440 cod. pen. avendo COGNOME consigliato e prescritto l’utilizzazione di prodotti fitosanitari non autorizzati sulle colture oggetto della produzione della predetta azienda, prima che fossero distribuiti per il consumo.
Ha indicato l’epoca di commissione di tali condotte nel periodo 2017 – 2020, escludendo, tuttavia, la prova della condotta associativa in quanto, pur avendo intrattenuto rapporti «intensi e non occasionali con gli altri soggetti ai quali contestato il reato associativo», questi si sono manifestati solo nell’ambito dell’attività professionale di consulente agronomo dell’imputato.
Tali rapporti erano intercorsi con gli amministratori e coloro che avevano svolto attività di intermediazione con i braccianti dell’azienda.
Egli veniva interpellato al bisogno e non è stato ritenuto dimostrato che avesse consapevolezza dell’esistenza di un’organizzazione sovrapponibile a quella aziendale.
In sostanza, l’attività delittuosa dell’imputato è stata c:onfinata a quella consistente nella consumazione di plurimi reati di cui all’art. 440 cod. pen. «in
uno spazio temporale significativo», senza alcuna forma di adesione ad un indefinito programma criminoso dell’associazione a delinquere.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma articolando un unico motivo con il quale ha eccepito il vizio di motivazione della sentenza sotto i profili della sua mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità.
Ha evidenziato come la motivazione della sentenza impugnata non abbia dato adeguatamente conto delle difformi conclusioni raggiunte rispetto alla decisione di primo grado.
Non sono stati indicati i concreti elementi fattuali idonei ad escludere la fondatezza della motivazione resa dal primo giudice.
La sentenza si porrebbe, infatti, in termini contraddittori rispetto alle prove acquisite nel corso del giudizio che avrebbe fatto emergere plurimi elementi (non valutati) tali da impedire la riconducibilità dell’attività dell’imputato a ragi meramente professionali.
A tale proposito sono stati segnalati la continuità dell’opera prestata per un lungo lasso di tempo e delle istruzioni volte ad eludere i controlli e le analisi sui campioni, l’utilizzazione costante di fitofarmaci vietati.
Inoltre, ha evidenziato il mancato confronto con un consistente compendio intercettativo illustrato nella sentenza di primo grado, riportato per sintesi nell’atto di impugnazione e consistente in elementi indiziari dai quali potrebbe desumersi una ricostruzione alternativa (fatta propria dal Giudice per le indagini preliminari) con la quale la Corte di appello ha omesso di confrontarsi.
Si tratta del materiale indicato nei paragrafi della sentenza di primo grado intitolati «il rinvenimento della contabilità occulta» e «il coinvolgimento del Ragag n in».
Il ricorrente ha, inoltre, richiamato il contenuto della confessione dell’imputato e l’esistenza di rapporti intensi con gli altri partecipi dell’associazione.
Il difensore dell’imputato ha chiesto procedersi a trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Vengono eccepiti vizi della motivazione della sentenza impugnata sotto i profili della sua mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità in ragione, sostanzialmente, del mancato effettivo confronto con la difforme sentenza di
primo grado che è pervenuta all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sia per il delitto di cui all’art. 440 cod. pen., che per quel associativo di cui all’art 416 cod. pen.
Il vizio denunciato sussiste atteso che la Corte di appello ha ritenuto dimostrate le seguenti condotte di COGNOME, nel contesto dell’attività dell’azienda agricola «RAGIONE_SOCIALE».
Secondo la ricostruzionedella sentenza, l’imputato ha:
dal 2017 al 2020 (pag. 1 della sentenza) posto in essere una prolungata condotta consistita nel «consigliare e prescrivere l’utilizzo di prodotti fitosanitar non autorizzati sulle colture oggetto della produzione della azienda, prima che fossero distribuiti per il consumo»;
«fornito indicazioni e consigli agli operatori della azienda»;
«impartito prescrizioni circa l’utilizzo di fitofarmaci non autorizzati sull colture di produzione»;
«assicurato che detti trattamenti fitosanitari non emergessero nelle analisi sui prodotti agroalimentari».
La Corte di appello ha, tuttavia, escluso possa affermarsi con certezza che l’imputato abbia «assunto il ruolo di partecipe di una associazione per delinquere insistente tra altri soggetti che svolgevano attività lavorativa con diverse mansioni all’interno della azienda agricola peraltro amministrata con gestione di tipo familiare».
Ha ricondotto i rapporti, pur ritenuti «intensi e non occasionali», al contesto dell’attività professionale svolta dall’imputato, ossia a quella di consulente agronomo interpellato quale consulente esterno ma solo in caso di necessità e bisogno.
Il rapporto con gli imprenditori, quindi, era esclusivamente di natura professionale.
La Corte ha concluso, quindi, affermando che «non può confondersi la accertata sistematica adulterazione delle colture in serra, da parte degli operatori, sostenuta e agevolata dal contributo di consulenza del COGNOME, con una ipotetica indeterminatezza di un programma criminoso della associazione, del quale non vi è prova della conoscenza e consapevolezza da parte del professionista, che era soggetto estraneo all’azienda».
Tale motivazione è, per certi versi, carente, per altri contraddittoria e manifestamente illogica.
Sotto il primo profilo, va ribadito che «in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente
diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod.proc.pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado)» (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056).
Nel caso di specie, la sentenza di primo grado si è ampiamente soffermata sul copioso materiale investigativo costituito dalle intercettazioni che hanno visto coinvolto COGNOME (pagg. 12 e seguenti) e sulla struttura del reato associativo del quale l’imputato è stato ritenuto partecipe proprio in ragione della sua indispensabile competenza professionale in funzione della programmazione dei trattamenti non consentiti (pagg. 46 e seguenti).
Tale competenza, nella ricostruzione della sentenza di primo grado, si sarebbe manifestata (sulla scorta di dati captativi espressamente riportati nella motivazione) nei momenti di fibrillazione della compagine associativa a causa dei controlli di polizia giudiziaria, allo scopo di prevenire i clarini eventualmente derivanti all’azienda.
In tali circostanze si sarebbero rivelate particolarmente utili e funzionali agli scopi del sodalizio le competenze professionali di COGNOME.
Si tratta di profilo che non è stato, in alcun modo, preso in considerazione dalla Corte di appello che ha risolto la questione dell’apporto dell’imputato all’economia complessiva del gruppo con il riferimento alle competenze professionali e alla natura «esterna» dell’attività di consulenza fornita.
Trattasi di profilo che non può certamente assumere rilievo decisivo per escludere l’affectio societatis in quanto la qualifica professionale dell’imputato si presentava del tutto coerente rispetto ai compiti da questo svolti nell’associazione a delinquere per come delineata sin dal capo di imputazione.
Laddove, poi, la Corte di appello ha segnalato la nal:ura intensa, non occasionale e stabile dell’attività dell’imputato nell’azienda che costituiva, in base all’imputazione, essa stessa l’associazione a delinquere, è incorsa nel vizio di contraddittorietà della motivazione nel momento in cui ha neutralizzato tali caratteristiche della collaborazione con il riferimento alla natura professionale dell’apporto dato da COGNOME.
In tale prospettiva sono state trascurate, ancora una volta, le emergenze istruttorie valorizzate nella sentenza di primo grado, in relazione al compimento di attività volte a rendere più complesse le attività di polizia giudiziaria che
evidentemente, non rientrano nei compiti del consulente agronomo.
Occorre, pertanto, che la Corte di appello esamini anche tale profilo, per come valorizzato anche dal giudice di primo grado, in funzione della ricostruzione della fattispecie associativa.
Le considerazioni che precedono rendono evidente anche il vizio di manifesta illogicità della motivazione laddove si esclude che la sistematica attività di adulterazione delle colture in serra (ossia dell’attivi «istituzionalmente» demandata a COGNOME a ragione delle proprie competenze professionali) non sia tale da integrare la dimostrazione della consapevolezza dell’indeterminatezza del programma criminoso.
E’ noto e condiviso il costante orientamento di questa Corte per cui «nel concorso di persone nel reato continuato l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto volto alla sola commissione di più reati ispirati da un medesimo disegno criminoso, mentre le condotte di partecipazione e promozione dell’associazione per delinquere presentano i requisiti della stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso, elementi che possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, ove indicativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine, in cui la Corte ha ritenuto carente la motivazione della decisione di condanna per non aver individuato, con specificità, né gli indicatori dell’autonomia dell’associazione rispetto al mero accordo criminoso funzionale alla consumazione delle azioni predatorie, riè il ruolo dei singoli partecipi al sodalizio)» (Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, Bronzellino, Rv. 284724).
In conformità è stato anche deciso che «l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati. (Fattispecie in cui è stata esclusa l’associazione per delinquere in presenza di un programma criminoso ben determinato rappresentato dall’intento di colpire individui che avevano intrattenuto relazioni sentimentali o sessuali con l’imputata)». (Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv.
274442).
Nella fattispecie, in sostanza, la Corte di appello, a fronte dell’ampia e dettagliata motivazione della sentenza di primo grado in punto di condotta partecipativa all’associazione a delinquere da parte di COGNOME, non ha illustrato in termini completi e privi di vizi manifesti le ragioni per cui dovrebbe ritenersi configurabile il concorso nel reato continuato.
Sarà compito dei giudici di rinvio colmare tale lacuna motivazionale attenendosi ai principi di diritto di ordine processuale e sostanziale sin qui illustrati.
Da quanto esposto discende l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al delitto associativo, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente al delitto di cui all’art. 416 codice penale con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 18/04/2024